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The Lost Caverns of Ixalan Episode 6 è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Valerie Valdes e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 20 ottobre 2023. Racconta parte della storia di Quintorius Kand, Huatli e altri personaggi di Ixalan dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia e narra della battaglia nel Nucleo del Paradiso.

Racconto precedente: The Lost Caverns of Ixalan Episode 5

Storia[]

Huatli[]

Inti è morto.

La battaglia infuriava nel cielo, con i guerrieri Oltec e dell’Impero del Sole che inseguivano i contorti soldati della Legione del Vespro attraverso i detriti intorbiditi della barriera di cosmio. A terra, Huatli cullava il corpo spezzato di suo cugino, in ginocchio sul suolo macchiato di sangue di una terra lontana da casa.

Non era riuscita a proteggerlo. La morte era la compagna costante di ogni guerriero, ma nessuno cadeva impaziente tra le sue braccia. Cos’avrebbe detto alla loro famiglia? Ogni parola di conforto che avrebbe mai potuto offrire alle persone care di un compagno caduto diventavano sabbia nella propria bocca.

Una raffica di vento e un battito d’ali annunciarono l’arrivo del suo nemico. Vitor brandiva la stessa lancia che trasportava quando lo incontrò nella città sotterranea degli Araldi del Fiume, ma la sua forma era corrotta, una malefica combinazione tra uomo e pipistrello.

Aclazotz sarà compiaciuto quando ti consegnerò a lui” disse Vitor. La sua voce era più rauca, e le zanne più lunghe. “La sua vittoria è imminente.”

Huatli si alzò in piedi, preparando la sua spada e il suo scudo dai lati taglienti. Tilonalli, punisci i miei nemici, pregò lei, in silenzio.

Vitor le girò intorno, con la lancia puntata al cuore di Huatli. “Quando torneremo a Torrezon, io sarò reso santo. Porterò al mio popolo il puro vangelo del sangue, non più macchiato dalla nostra debole regina e dalla falsa Santa Elenda. I fedeli torneranno sulla retta via e accetteranno i veri riti di Aclazotz o verranno epurati.”

Quell’informazione sarebbe stata gradita da Caparocti, se era ancora vivo; sarebbe stato più facile invadere Torrezon se i vampiri erano impegnati ad uccidersi a vicenda. In quel momento, però, a Huatli non importava granché.

Vitor fece un affondo. Huatli deviò la punta della sua lancia verso il basso e lei si spostò di lato. Lui colpì ancora e ancora, mentre lei danzava oltre la sua portata.

“Insieme, io e Vona comanderemo al fianco del nostro padrone” continuò lui. “Abiteremo la sua dimora per l’eternità, mentre i fedeli che lo hanno servito durante la sua prigionia comanderanno questo luogo. Un’alleanza di sangue e potere.”

Avrebbe mai finito di parlare? Huatli cercò un’apertura. Aveva bisogno di volgere quel combattimento a suo favore.

“Dovrei lasciarti vivere” disse Vitor, mostrando i denti. “Chi meglio della poetessa del mio nemico caduto per rendere canoniche le mie parole? Per tramandare la storia della mia vittoria contro l’impero che presto non sarà altro che un ricordo?”

Huatli ampliò i propri sensi, contattando con la propria magia la terra attorno a lei, in cerca. Diramò un richiamo, e udì la risposta.

“Dove sono i tuoi bei discorsi, Poetessa Guerriera?” la provocò Vitor. “Il ritorno di Aclazotz ti ha frenato la lingua? O è stata la morte del tuo prezioso siniscalco?”

Huatli appoggiò un ginocchio a terra, aumentando la portata della sua magia fino a sentirsi come un sottilissimo strato di gomma. I suoni attorno a lei svanirono. Inviò un richiamo alle montagne e nelle foreste, nei campi e nelle vallate. Risposero altre voci, finché la sua testa non dovette sforzarsi per contenerle tutte.

“Desideri affidarti alla mia misericordia?” chiese Vitor. Lui colpì di nuovo, con la punta della sua lancia che scivolò sull’armatura superiore del braccio di lei. Il dolore concentrò la sua volontà.

Huatli si alzò, barcollando sotto l’assalto delle moltitudini che aveva convocato. Vitor cercò di farla inciampare, ma lei si spostò all’indietro con grazia. Gli anni di addestramento la rendevano agile nonostante la magia che non le consentiva di concentrarsi appieno.

Vitor balzò in aria, utilizzando l’altezza e la distanza a suo vantaggio. Huatli non poteva raggiungerlo, non poteva colpirlo, poteva solo continuare a deviare i suoi colpi con lo scudo. I suoi muscoli erano già doloranti per lo sforzo. Presto si sarebbe stancata. Presto sarebbe caduta.

Non ancora. Almeno finché Inti non fosse vendicato. Il terreno tremò sotto i suoi stivali.

“Abbandona le tue sciocche speranze” disse Vitor, librandosi sopra di lei come un’ombra tetra. “Aclazotz è sorto e il suo regno eterno è inevitabile.”

Affondò la lancia in basso, verso Huatli. Lei la bloccò nell’apertura del suo scudo, facendogli perdere la presa sull’arma.

“Solo la morte è inevitabile” disse Huatli. “Anche per te.”

Un grido spezzò l’aria. Vitor si voltò per individuarne la fonte. Un dinosauro volante si fiondò contro di lui, facendolo capitombolare a terra. Da un’altra direzione, Pantlaza corse verso la luce emanata dall’armatura di Huatli, attaccando Vitor con gli enormi artigli affilati delle sue zampe posteriori. Solcarono una coppia di lunghi tagli sulla pelle grigia di lui, che sanguinava icore nero come il suo cuore malvagio.

“Come osi?” strillò Vitor.

Altri dinosauri arrivarono dalla terra e dal cielo, sciamando sul vampiro con denti e artigli. Ogni volta che lui provava ad alzarsi in volo, veniva trascinato nuovamente giù. A terra, era fiancheggiato e attaccato ripetutamente da ogni lato.

Huatli raccolse la lancia, un’arma magnifica brandita da una mano distorta. Meritava una fine adatta.

Vitor allontanò un dinosauro, lasciando uno spazio nella barriera che lo circondava. Con un ruggito, Huatli caricò, il suo braccio reso forte dalla potenza della sua ira e del suo dolore. La lancia scivolò attraverso la corazza del vampiro, perforando il suo malefico cuore e bloccandolo a terra.

Vitor si bloccò per la sorpresa e, sperò Huatli, per il dolore. Cadde in ginocchio, tentando di estrarre la lancia con le sue mani mostruose. Proprio il suo sangue rendeva il manico troppo scivoloso per essere afferrato.

“Aclazotz” sussurrò lui “perché mi hai abbandonato?”

Huatli era in piedi di fianco a lui quando cadde di lato, con il sangue accumulato sotto di lui sulla terra scura. La luce rossa morì nei suoi occhi mostruosi.

L’impero si era liberato di un pericoloso nemico. Eppure, Huatli si sentiva vuota. La morte del vampiro non avrebbe riportato in vita suo cugino.

I dinosauri si raggrupparono attorno a lei come avevano circondato Vitor. Ma, invece di attaccare, la accarezzarono con i loro musi, le sfiorarono la pelle con le loro piume, confortandola. Pantlaza cinguettò verso Huatli, canticchiando come fa un padre con la sua figlia ferita.

“Grazie” mormorò Huatli, toccando la luce del Triplice Sole nel punto in cui brillava sulla propria armatura. Ma la battaglia non era finita. Rimanevano altri vampiri, e Aclazotz stava ancora oscurando quelle terre.

Con un comando mentale, Huatli inviò i dinosauri volanti verso la barriera di cosmio e gli altri verso l’attendente e i suoi altri alleati. Salì in sella al proprio pipistrello e volò via dai corpi della sua famiglia e del suo nemico, promettendo a Inti di tornare quando ogni vampiro nel Nucleo sarebbe stato eliminato.

Malcolm[]

L’esercito del Micotiranno si diffuse per la terra immacolata come… bè, come una virulenta infezione fungina, ossia quello che praticamente era già. Malcolm si sentiva in colpa per aver portato quel problema in un luogo che sembrava idilliaco, se non si consideravano i vampiri, l’oscurità e il ritorno di un antico male.

Ecco, no, stava andando tutto male.

Mentre ascoltava Quint che discuteva con uno spirito di nome Abuelo, che si definiva un Eco, Malcolm pensò a Vraska e a tutto quello che gli aveva detto riguardo gli altri piani, le città e i mari. Lei gli mancava. Era morta durante l’invasione, o così aveva sentito. Non voleva credere che fosse accaduto alla sua vecchia capitana, che era sempre sembrata così potente, quasi invincibile, ma la guerra aveva la brutta abitudine di distruggere le belle illusioni delle persone e sostituirle con terribili verità. Wayta ne era un esempio vivente: una bambina costretta a crescere più in fretta delle alghe incantate dagli Araldi. Lei si trovava in piedi lì vicino, mentre Braghe stava mangiando voracemente un frutto locale. Malcolm avrebbe dovuto fare lo stesso, ma il suo stomaco si era chiuso per la preoccupazione.

“Non lo sapremo finché non tentiamo” disse Quint, sollevando un khipu. Abuelo annuì con espressione determinata.

“Cosa stanno facendo?” chiese Malcolm a Wayta.

Lei alzò le spalle. “Magia.”

Quint stese il khipu sul terreno e tracciò dei brillanti sigilli blu sopra di esso. La magia si diffuse fino al khipu, con il blu che diventò rosa quando i cristalli annodati tra le corde dell’indumento si illuminarono. Abuelo era fermo come se stesse trattenendo il fiato.

Sull’indumento si formò una bolla di luce azzurra, che si innalzò fino a fluttuare all’altezza delle spalle di Malcolm. La luce si agitava e vorticava come una tempesta in miniatura poi, in un battito di ciglia, divenne la figura di una donna. Il khipu era appeso al suo collo, sopra il suo poncho. Delle labbra rugose si allargarono in un sorriso quando scorse Abuelo.

“Eccoti!” esclamò lei. “Pensavo che quel titano ti avesse preso.”

Abuelo ridacchiò. “Lo ha fatto.”

“Oh, suppongo di sì.” Si guardò intorno. “Cos’è accaduto agli altri Komon?”

“Non lo so” disse Abuelo. “Ma permettimi di presentarti ai nostri nuovi amici. Questa è Abuela.”

Abuela annusò l’aria. “Il Micotiranno si avvicina. Dobbiamo radunare gli altri Echi.”

Braghe ingoiò qualsiasi cosa stesse masticando. “ALTRI FANTASMI?” chiese, sconcertato.

“Meglio dei dinosauri ricoperti di funghi” mormorò Malcolm.

Delle luci raggiunsero la vetta di una collina nelle vicinanze. Malcolm si alzò in volo per esplorare, avvistando delle persone con poncho e khipu che suggerivano fossero Oltec. Trasportavano dei bastoni con cristalli rosa in cima, e alcuni erano accompagnati da creature pelose dal lungo collo che lui non aveva mai visto prima. I loro volti erano decorati con dei tatuaggi, alcuni dei quali brillavano leggermente nell’oscurità del sole nascosto.

Malcolm tornò dai suoi alleati ritrovando Abuela che batteva le sue mani spettrali dall’emozione.

“I giardinieri sono arrivati!” esclamò.

Abuelo annuì. “Siamo fortunati che siano venuti qui così rapidamente.”

“Cosa possono fare?” chiese Malcolm.

L’attendente rispose, con voce piena di convinzione. “Dall’inizio dell’Era Silenziosa, hanno sviluppato tecniche per combattere questo nemico. Speravamo di non averne mai bisogno, ma desideravamo essere preparati.”

Una tra i giardinieri si avvicinò all’attendente, porgendo un saluto formale e chinando la testa educatamente. “Tan Jolom manda i suoi saluti, così come alcuni dei suoi amici Echi.”

Diversi giardinieri estrassero oggetti disparati: una collana, un copricapo, una piccola maschera di cristallo, una spada seghettata e altro. Degli spiriti piombarono nell’esistenza, ancorati agli oggetti. Alcuni erano meno solidi, altri meno umani, ma tutti si inchinarono verso l’attendente e attesero ulteriori ordini.

L’Attendente Akal osservò il gruppo. “I nostri antichi nemici sono tornati. Mentre le nostre Mille Lune combattono per salvare Chimil, voi dovete preservare la terra per il loro ritorno.”

Ojer Kaslem ci aiuterà” rispose la giardiniera. “Insieme a Ojer Axonil, con il suo fuoco e le sue tempeste, e agli altri dei.”

La vampira solitaria in piedi lì vicino… Amalia, era quello il suo nome… fece un passo in avanti, stringendo nervosamente una gamba dei suoi pantaloni. “Potrei essere d’aiuto” disse. “Posso modificare la terra con la mia mappa.”

L’Attendente Akal la indicò. “Coordinati con i giardinieri. Tutti dobbiamo operare insieme.” Kellan, che Malcolm aveva visto solamente al fianco di lei, strinse la spalla di Amalia per confortarla e le offrì un sorrisetto, completo di fossette sul viso.

“Che gli dei ci possano guidare tutti” disse l’Attendente Akal. “Salvate Chimil e salvate il Nucleo!” Rispose un ruggito di approvazione, poi i membri dell’armata appena istituita si allontanarono.

Malcolm volò verso la massa di funghi, che aveva finalmente finito di sciamare attraverso la porta dorata. Il loro inquietante bagliore verde li rendeva dei facili bersagli nell’oscurità, distinti dai raggi di bianco, rosa o rosso sangue che emanavano altre fonti di luce. Al centro del gruppo, due enormi creature con la testa da fungo sorreggevano il Micotiranno a mezz’aria nella sua rete di fibre.

Malcolm rabbrividì e osservò il terreno, poi si voltò per tornare dagli altri.

“Il Micotiranno non è lontano. Si sta dirigendo…” Che direzioni cardinali avevano senso in quel luogo? Il sole non si muoveva. “Da questa parte” disse, infine, indicando una direzione.

I giardinieri si voltarono verso Amalia, che tirò fuori una mappa e una penna da un contenitore appeso dietro la sua schiena. Si ferì il dito mordendolo, lo immerse nella sua scatoletta di cenere e spalmò attentamente la mistura di sangue sulla pergamena. Malcolm osservò la mappa. Alcune parti erano complete, ma altre erano vuote. Man mano che la soluzione si diffondeva, le porzioni vuote della mappa sparirono, sostituite da una rappresentazione dettagliata del terreno. Mostrava persino la massa dell’esercito di funghi come una macchia più scura.

“Potrebbe tornarci utile quel tipo di magia nell’Alleanza” disse lui ad Amalia. “Se mai vorrai saltare su una nave, per dire.”

Amalia gli dedicò un debole sorriso, quasi imbarazzato.

“Aspetta di vedere il resto” disse Kellan, colpendola leggermente con il fianco.

Amalia chiese alla giardiniera: “Dove volete la fenditura?”

La giardiniera mosse il dito attorno ad una specifica sezione della mappa. “Lì. Falla più profonda che puoi. Noi faremo il resto.”

Amalia annuì e abbassò la sua penna sulla pergamena. Attese, prese un profondo respiro, poi fece scorrere il pennino lungo la mappa.

Il terreno tremò e si scosse. Malcolm barcollò. Quando lui guardò nuovamente la mappa, sul sentiero dell’esercito si trovava un profondo crepaccio che li circondava, così che la ritirata sarebbe stata difficile.

Kellan afferrò il gomito di Amalia per farla smettere di tremare. “Sei fantastica in questo” disse lui.

Le guance di Amalia si scurirono… stava forse arrossendo? I vampiri non arrossivano. Che dolce cucciola.

Malcolm tornò in volo verso il Micotiranno e le sue truppe. I primi piccoli esploratori fungo trovarono la spaccatura, troppo profonda e ripida perché potessero scalarla e troppo larga per saltare. Arrivarono altre creature, decine, centinaia, e con suo disgusto iniziarono a lanciarsi giù dalla scarpata.

No, si stavano tenendo a vicenda, si innestavano tra loro, formando una spessa catena fungina. Una delle creature volanti si lanciò in picchiata nello spazio vuoto e afferrò l’ultimo fungo, trasportandolo dal lato opposto. Altri ancora si impilarono l’uno sull’altro, e in poco tempo uno spesso ponte collegava il crepaccio.

E tanti saluti per quel piano, pensò Malcolm.

Prima che potesse avvicinarsi ulteriormente al Micotiranno, Malcolm non vide, ma percepì qualcosa sopra di lui. Un pipistrello incrostato di funghi scese in picchiata, mancandolo di pochissimo. Altre creature simili riempivano i cieli, con movimenti scoordinati e a scatti rispetto ai suoi, ma avrebbero potuto sopraffarlo per la sola superiorità numerica.

“Non oggi, satirione” disse, e si ritirò.

Sotto di lui, gli Echi formarono un’avanguardia spettrale che raggiunse i funghi prima di chiunque altro. Malcolm atterrò vicino a Braghe e Quint, facendo loro un cenno.

“Cosa stanno facendo?” chiese Malcolm.

Quint si abbassò gli occhialoni. “Osserva.”

Un Eco con il volto simile ad un teschio fluttuò fino ad uno dei funghi ambulanti più piccoli, che si fermò preso dalla confusione. Silenziosamente, l’Eco attraversò la creatura e sparì.

All’inizio, non accadde nulla. Poi il fungo venne preso da spasmi e tremori, con vene di azzurro luminoso che gli spezzavano la pelle. Si dissolse in uno sbuffo di fumo blu, come se fosse stato consumato da un fuoco invisibile.

L’Eco riacquistò la sua forma e planò verso il prossimo nemico. Gli altri Echi seguirono l’esempio e, uno per uno, i soldati dell’armata fungina si dissiparono.

“Si trasformano in una malattia” spiegò Quint. “Ha effetto solamente sui micoidi… che sarebbe il nome che loro danno a questi funghi.”

“Notevole” disse Malcolm. “Ce ne sono tantissimi, però.”

“La contro-infezione è solamente uno dei nostri strumenti” disse un giardiniere. “Eccone un altro.”

I giardinieri si divisero in gruppi da tre e si misero spalla contro spalla, alzando i loro bastoni. Dai cristalli incastonati nel legno vennero emanati dei sottili anelli di luce rosa che si espansero verso l’esterno a ondate. Con un grido, i giardinieri abbassarono le proprie armi, e la magia fendette l’aria, andando verso i micoidi.

Ogni fungo toccato dalla luce prese fuoco. Decine di creature caddero a terra contorcendosi, poi si fermarono, incenerendosi.

Eppure, ne continuavano ad arrivare. Il combattimento si ridusse ad una mischia, con alcuni micoidi che brandivano lance o spade, e altri che lanciavano magie che soffocavano gli Oltec con spore fetide. Kellan rimase vicino ad Amalia, sconfiggendo con grazia i nemici grazie ad una coppia di spade magiche. Davanti a Quint si srotolò una pergamena fluttuante usata come scudo… e in modo molto efficace, visto che la carta irrigidita magicamente frantumava e deviava le frecce e le lance in arrivo. Quint usava un’altra pergamena come frusta, con sigilli che scagliavano fasci di energia dorata che circondavano i nemici e li tagliavano come una lama di rasoio. I micoidi avanzavano nonostante le loro ferite, lasciando mucchi di funghi in decomposizione sulla loro scia.

I titani rimasero dall’altro lato del crepaccio, troppo pesanti per attraversare il ponte di funghi. Il Micotiranno era appeso in mezzo ad essi, con i suoi nefasti occhi verdi che osservavano in modo malevolo i suoi nemici.

Malcolm si accorse che Braghe stava fissando il supremo signore fungino con la stessa perspicacia che mostrava quando doveva calcolare quanto erano profonde le tasche di uno sprovveduto. Infine mostrò i denti in un largo ghigno e indicò.

“GROSSO BOOM!” esclamò Braghe.

“Pensi che possa uccidere il Micotiranno?” chiese incredulo Malcolm.

Braghe annuì e sorrise. Dal suo zaino, tirò fuori l’arma che aveva ricevuto alla Secca come pagamento di un debito. Il tubo di metallo era lungo quanto un avambraccio, con la superficie finemente intagliata con il disegno di un rampicante, una foglia sporgente come innesco e dei petali di fiore sagomati all’estremità. Malcolm fu sorpreso quando il precedente proprietario aveva accettato di privarsi di quell’oggetto. Dopo averlo visto in azione, tuttavia, aveva concluso che si sarebbe continuato ad affidare ai cannoni, con sentiti ringraziamenti. Era più distruttivo e inaffidabile di quanto ne valesse la pena.

Ma in quel momento, quelle caratteristiche potevano fare al caso loro.

Malcolm sollevò Braghe e scattò in aria, volando a cerchio verso la direzione che aveva deciso di chiamare sud. “È probabile che avremo una sola occasione” disse Malcolm. “Non mancarlo.”

Braghe gli lanciò un’occhiataccia indignata.

Malcolm non ribatté. Di sicuro avrebbe colpito qualcosa. Voleva solamente non essere lui.

Uno dei titani che sosteneva il Micotiranno ruotò la sua testa raggrinzita da morchella per osservare Malcolm e Braghe che si avvicinavano in volo. Con un ruggito, afferrò un micoide vicino e lo lanciò. La piccola creatura agitava gli arti e cercò di colpire Malcolm o Braghe al suo passaggio con la lancia.

Malcolm si abbassò e gli passò sopra. Seguì un altro micoide, poi un altro, e desiderò tanto di tornare alla Secca per raccontare la storia di quella giornata impensabile ai suoi amici durante una bevuta.

“Funghi” avrebbe detto. “Funghi intelligenti, trasformati in proiettili. Che cercavano di accoltellarmi. No, seriamente. Lo giuro sulla mia canzone.”

Dando per scontato che sarebbe sopravvissuto, cosa che sperava ardentemente.

“Quando vuoi, Braghe” disse Malcolm, affaticato.

Braghe puntò il tubo contro il Micotiranno.

Un dinosauro ricoperto di funghi lo assalì. Malcolm schivò e Braghe perse la presa sull’artefatto, che ruotò e si mosse tra le sue mani. Lui lanciò la coda in avanti e lo afferrò prima che potesse piombare a terra. L’estremità floreale, sfortunatamente, ora osservava il volto di Malcolm.

“Attento a dove punti quel coso!” gridò Malcolm. “Deciditi a colpire quel maledetto Micotiranno!”

“VOLA MEGLIO!” ribatté Braghe. Si passò il tubo ai piedi, poi alle mani, tenendo l’artefatto in modo che entrambi i lati fossero a debita distanza.

Malcolm disse: “Avvertimi prima di-”

FOOOOOM!

Fumo e scintille partirono dal retro del tubo. Davanti si formò un’enorme palla di fuoco fuso, densa e appiccicosa come il catrame. La forza della magia di quell’arma spinse all’indietro Malcolm e Braghe, e Malcolm per poco non fece cadere il suo passeggero goblin prima di stabilizzarsi.

Ogni cosa sulla strada della palla di fuoco venne annientata. Il Micotiranno ebbe solo un attimo per vedere la sua morte incombente prima che il proiettile trapassasse il titano più vicino, colpendolo in pieno corpo. Lui cadde a terra dalla sua rete, bloccata dal proiettile infuocato, che inondava di fiamme ogni direzione.

Ogni creatura fungina attorno strillò all’unisono, alcune collassarono come marionette a cui furono tagliati i fili. Altre, colpite dal fuoco appiccicoso, agitavano le braccia, correndo in tondo o rotolandosi a terra. Altre si lanciarono nel crepaccio, trasformando quel luogo scuro in una fossa di fiamme agitate.

Vennero presto seguite dal ponte, quando i giardinieri sfondarono la prima linea e utilizzarono i loro fuochi magici per ripulire la zona. Gli Echi continuavano a trasformare funghi, con quel fumo innocuo che si mischiava alla sua acre controparte. La terra un tempo fertile ora giaceva sterile, bruciata, cosparsa di cumuli di cenere e dei corpi dei caduti.

Ma stavano vincendo, e ciò significava che forse anche Città di Sotto sarebbe stata al sicuro.

Malcolm si tirò quasi uno schiaffo per aver osato sperare di nuovo. Com’era possibile che quell’impulso fosse ancora presente in lui?

Come per rispondere a quella domanda, una tempesta di energia oscura scaturì dalle montagne in lontananza. Balenarono delle scariche di fulmini rossi, che illuminavano rocce staccate a causa di una frana che alzò nuvoloni di polvere. Il terreno tremò, facendo inciampare o cadere completamente le persone. Delle urla preoccupate attraversarono il campo di battaglia e in alto, nella barriera di cosmio, i pipistrelli strillavano come delle unghie che grattavano sul metallo. Le piume di Malcolm tremarono involontariamente.

Quando la polvere si diradò, l’involucro attorno al sole si stava aprendo lentamente, in maniera quasi impercettibile. La maggior parte delle terre rimase avvolta nell’ombra, ma dei raggi di luce brillavano ogni tanto, man mano che quella strana alba avanzava.

Gli Oltec festeggiarono, e persino Quint, Amalia e Kellan si unirono alla celebrazione. Malcolm atterrò vicino, lasciando finalmente a terra Braghe e massaggiandosi i muscoli doloranti delle braccia. Una persona, notò lui, non stava festeggiando.

Wayta fissava le montagne, socchiudendo il suo unico occhio visibile. “Cos’è quello?” chiese lei.

Le colonne di un grande tempio si innalzarono dal lato spezzato della montagna. Dall’interno proveniva un bagliore rosso sangue, e Amalia barcollò, afferrandosi la testa in preda alle fitte.

“Aclazotz” disse Amalia. “Quello è il suo tempio. Dobbiamo andare lì, per fermarlo!”

Cos’avrebbe potuto fare di peggio che oscurare il sole? Malcolm ci pensò.

Anim Pakal fischiò, poi si rivolse ai guerrieri radunati. “Giardinieri, vi prego di continuare ad eliminare le forze del Micotiranno. Non dovete lasciare in vita nemmeno una spora. Mie Lune, venite. Sradicheremo la piaga degli assimilatori di cosmio e porremo fine anche a loro.”

Amalia la seguì, con Kellan e le sue spade magiche al seguito. Abuelo e Abuela volavano lì intorno insieme agli altri Echi, trasformando i funghi in nebbia con gioia. Quint passò un fazzoletto sui suoi occhialoni con la proboscide, poi lo infilò in una sacchetta sulla sua cintura.

“Questo sarà un incredibile articolo accademico” disse Quint.

Wayta emise un suono soffocato, poi iniziò a ridere così forte da farle scendere delle lacrime dall’occhio. Malcolm non aveva mai visto il portamento stoico di lei così estremamente alterato: sembrava più giovane, più felice. Il povero Quint sembrava confuso, ma anche a lui scappò un sorriso.

Braghe inclinò all’indietro il suo cappello con la coda e sospirò felicemente. “GROSSO BOOM.”

Fu più un grosso foom, pensò Malcolm, ma non voleva rovinare quel momento. Aveva il presentimento che sarebbe stato rovinato da qualcos’altro piuttosto presto.

Amalia[]

La strada per il tempio di Aclazotz era piena di assimilatori di cosmio, vivi e morti. Le Mille Lune combattevano spietatamente tutti quelli che incontravano con l’aiuto di Amalia e Kellan. L’acre fumo dei funghi in fiamme si mischiava con le nuvole di polvere della frana, costringendo Amalia a stringere gli occhi e sbatterli ripetutamente per evitare che si irritassero. I dinosauri vagavano per la zona, con piume e artigli ricoperti di sangue, come se stessero pattugliando… o cacciando.

“Dietro di te!” gridò Amalia.

Kellan si voltò, accucciandosi, e conficcò una delle sue lame lucenti nel ginocchio di una vampira. Ruotò l’altra lama verso l’alto, aprendo in due il suo nemico dal cavallo dei pantaloni fino alle clavicole. L’altra gamba della vampira cedette e, portando la prima spada verso l’altra come le lame di una forbice, Kellan le tagliò la testa.

Amalia sbiancò e distolse lo sguardo. “Sei sorprendentemente bravo, Kel” mormorò lei.

“Questi qui non sono un granché” disse Kellan. “Ti sei mai azzuffata con un’oca gigante?”

“Cosa sarebbe un’oca?” chiese Amalia.

“È come un dinosauro, ma che porta rancore.”

Avanzarono, salendo inesorabilmente verso il tempio. I guerrieri trasportavano torce e cristalli lucenti, mentre le candele fluttuanti di Amalia rimanevano incatenate alla sua cintura, tremolando terribilmente. L’oscurità si agitava sopra di loro, un’ombra più oscura della notte che sembrava una macchia nell’aria, ma i lampi rossi si erano fermati. Amalia temeva ciò che avrebbero trovato.

Un pipistrello-vampiro si lanciò verso Kellan, che evitò a malapena l’affondo di lancia della creatura. Indossava ancora l’armatura della Legione del Vespro, con orrore di Amalia. Cos’aveva fatto Vitor al suo popolo? Cos’avrebbe detto alla Regina Miralda se fosse riuscita a fuggire da quel luogo?

Doveva continuare ad avanzare. Essere testimone. Portare le storie con lei di nuovo a casa.

Un fischio si levò e terminò dinanzi a loro, a cui risposero una coppia di note uguali.

“Abbiamo trovato l’entrata, Millesima Luna” disse uno degli esploratori.

Anim Pakal inclinò la testa, poi fece cenno ad Amalia di avvicinarsi. “Vieni” disse. “Forse tu potrai dirci qualcosa del tuo dio.”

Amalia sussultò ricordando la sua connessione con Aclazotz e volse uno sguardo di supplica in direzione di Kellan. Lui le rispose con quel suo sorrisetto con le fossette.

“Sono con te” disse lui.

Una porta di pietra incombeva, spezzata a metà a causa del terremoto e che presentava un foro frastagliato verso il tempio oltre di essa. Amalia si arrampicò in un’anticamera col tetto crollato, poi si accucciò per oltrepassare delle colonne parzialmente cadute, come se il dio stesso le avesse scagliate di lato nella sua collera.

All’interno, delle file di posti a sedere conducevano in basso verso un palco con una fossa da un lato ed una caverna sbarrata dall’altro. Dei frammenti di catene incastonate di gemme giacevano sparsi intorno, come se fossero stati distrutti da una poderosa forza. Tutto era distrutto, coperto di detriti e dalla polvere che riempiva l’aria. I sensi di Amalia erano talmente pervasi dall’odore del sangue che avrebbe voluto urlare. Così tanta morte. E per cosa? Per trasformare Vitor, Clavileño e gli altri in mostri?

“Aclazotz non c’è più” disse Anim. “Così come il resto degli assimilatori di cosmio e della Legione del Vespro, dando per scontato che alcuni siano sopravvissuti alla battaglia.”

Un guerriero si schiarì la gola. “Uno degli assimilatori è stato catturato per interrogarlo.”

Altri tre membri delle Mille Lune trascinarono il loro prigioniero. I suoi poncho e khipu erano macchiati di sangue davanti, così come il mento, e sputò in segno di sfida verso Anim. Lei pulì il fluido tinto di rosso e incrociò le braccia.

“Dov’è Aclazotz?” chiese Anim.

“Lui è libero” disse l’assimilatore di cosmio. “Raduna i suoi figli, e presto porrà fine alla Quinta Era per dare inizio ad una nuova era di sangue. Chiunque si unirà a lui banchetterà sui deboli per l’eternità, e chiunque si opporrà a lui verrà consumato.”

“No” sussurrò Amalia, in preda all’orrore.

Lo sguardo dell’assimilatore si spostò su di lei. “Tu” disse lui, con tono velenoso. “Traditrice. Ti abbiamo vista fuggire quando sei stata chiamata. E ora ti mostri al fianco dei nemici del tuo dio? Tu e la tua stirpe verrete epurati dal fuoco e dal sangue, e i vostri nomi saranno dimenticati.”

Amalia poteva solamente fissarlo ammutolita, lasciando che i legami della sua fede, un tempo forti, si infrangessero come le catene che si trovavano sparse a terra.

“Dov’è Aclazotz?” ripeté Anim, afferrando il mento dell’uomo. Lui tentò di morderla, e lei indietreggiò.

“È oltre la vostra portata” rispose l’assimilatore. “Ma voi non sarete oltre la sua per molto.”

Amalia barcollò fuori dal tempio, di nuovo all’aria aperta, con la risata dell’assimilatore che la inseguì come un mastino. Si fermò oltre la soglia, avvolgendosi tra le proprie braccia, tremando.

Non avrebbe dovuto lasciare casa sua. Non sarebbe dovuta partire per quel dannato viaggio. Bartolomé era morto per proteggere lei e Kellan, ma il suo sacrificio è stato vano. Lo scisma non si sarebbe mai risolto. Ancora peggio, sembrava che Vitor avesse avuto ragione fin dall’inizio. Cos’avrebbe fatto Aclazotz alla Regina Miralda? O a Santa Elenda? E alla sua famiglia? Voleva trasformare tutti i vampiri a sua immagine?

Una mano le toccò il braccio, spaventandola. Amalia alzò lo sguardo verso Kellan, verso i suoi gentili occhi scuri.

“Mi dispiace” mormorò Amalia. “Mi hanno cresciuta facendomi credere che il mio dio fosse distante, ma benevolo. Che ci incaricasse della sacra missione di servirlo e tramandare il suo dono. E ora scopro che è… che è…”

“Che è qualcosa che non ti aspettavi?” chiese Kellan.

Amalia annuì. “Mi sento come se avessi sempre vissuto una menzogna.”

“Potrei comprendere questa sensazione meglio di chiunque altro qui.” Kellan le offrì un triste sorriso. “Hai ancora una scelta, però. Non sei bloccata in un destino che qualcun altro ha pianificato per te.”

“Cosa posso fare? Tornare a Torrezon e avvertire la Regina Miralda di tutto questo? Come posso scegliere una semplice donna a discapito del mio dio?” Amalia fissò il tempio, la porta, spezzata come la propria fede.

Kellan sembrò pensarci per davvero. “Se non ti piace ciò che sta facendo il tuo dio, magari dovresti cercarne un altro?”

“Un altro dio?” Amalia rise amaramente. “La fai facile.”

“Effettivamente è un po’ complicato” disse Kellan. “Forse Quint può aiutare. Lui è intelligente, e tutti quei professori all’università di cui parla probabilmente sono ancora più intelligenti. Potresti parlare con loro.”

Altri piani. Altri dei. Altri vampiri? Era addirittura più di quanto Amalia potesse immaginare. Ma effettivamente, non si sarebbe mai aspettata di trovare un mondo intero sotto il proprio, dentro di esso, come il seme di un avocado, o una perla in un’ostrica. Aveva trovato anche qualcosa dentro sé stessa: non una perla, magari, non ancora, ma il seme di qualcosa che sarebbe potuto diventare più resistente e più forte.

“Mi racconterai dei tuoi dei?” chiese lei a Kellan.

“Da dove vengo io non ne abbiamo” disse Kellan. “Ma ti posso parlare delle fate. Sono la cosa più vicina, credo.” Insieme tornarono al sentiero, allontanandosi dalle rovine per tornare verso l’alba sempre più luminosa.

Wayta[]

La seconda delegazione dell’Impero del Sole raggiunse Oteclan una settimana dopo la battaglia, ritrovando Chimil ripristinata alla sua antica gloria, anche se con le pire dei morti che bruciavano. Gli Araldi del Fiume si ritirarono nel loro oceano sotterraneo, l’Alleanza di Bronzo tornò in superficie con la vampira rimasta e il suo compagno, mentre gli Oltec iniziarono a ripulire la confusione creata in casa loro.

Wayta si grattò involontariamente l’occhio sotto la benda mentre l’Attendente Akal accoglieva i nuovi arrivati, con Anim Pakal subito dietro di lei. Persino lei riusciva a riconoscere alcuni tra i cosiddetti diplomatici: molti di loro erano guerrieri, alcuni di rango più alto di altri. Tutti fedeli all’imperatore.

Huatli faceva fatica a nascondere il broncio.

Seguirono dei discorsi, per ora soltanto belle parole; ci sarebbe stato tempo più avanti per i negoziati. Lunghe tavolate abbondanti di cibo li invitavano a banchettare, radunando le persone che aveva imparato a conoscere e rispettare. Lei stette vicino a Quint e ad alcuni dei soldati che erano sopravvissuti agli attacchi dei vampiri e dei micoidi, festeggiando con moderazione. Ricordando i caduti.

Caparocti sedeva alla sinistra dell’Attendente Akal, essendo stato appuntato come voce dell’imperatore durante il procedimento. Wayta era troppo lontana per udire la discussione, ma l’attendente appariva seria, preoccupata, mentre sua sorella dal lato opposto si muoveva in maniera agitata prima di lanciare una fetta di frutta in aria. Huatli, di fianco ad Anim, era seduta rigidamente e spingeva in avanti il suo piatto, senza aver toccato cibo. Dietro la sua sedia, Pantlaza attendeva gli avanzi con impazienza.

Quint diede un leggero colpo di gomito a Wayta, che per poco non rovesciò il suo succo. “Sai” disse lui, “ho un incantesimo per origliare.” Quando lei non rispose, lui aggiunse: “Se non lo usi tu, lo farò io.”

Wayta esitò, poi annuì. Non che la conversazione potesse essere privata in quel luogo pubblico.

Estraendo una pergamena dal suo zaino, Quint si schiarì la gola. Srotolò la pergamena e iniziò a leggerla a bassa voce, con singole parole secche e chiare, ma che in qualche modo svanivano e si mischiavano tra loro; abbastanza per Wayta da non comprenderle.

“Ha funzionato?” chiese lei.

La voce di Huatli improvvisamente si udì proprio come se fosse attaccata al suo orecchio. “Di certo abbiamo già perso abbastanza. Non possiamo ricostruire e piangere i morti invece di ricercare nuove battaglie?”

“Aclazotz minaccia l’intera superficie” ribatté Caparocti. “Hai visto ciò che ha fatto ai vampiri qui. Vuoi fronteggiare un esercito intero di quegli esseri a Ixalan?”

“Possiamo combattere Aclazotz senza dichiarare guerra contro l’intera Legione del Vespro” disse Huatli. “Se agiamo velocemente, con una forza ristretta, dovremmo riuscire a fermarlo prima che raduni più alleati per-”

“Hai intenzione di combattere un dio con una forza ristretta?” chiese incredulo Caparocti. “Cosa farai, lo annoierai a morte con la tua poesia?”

Wayta fece una smorfia. Quello era un insulto gratuito.

“Dimentichi che io sono una guerriera, oltre che una poetessa” disse freddamente Huatli.

“Eppure il tuo titolo è stato rubato da tuo cugino e non garantito dall’ultimo imperatore.”

Huatli si alzò in piedi, appoggiando le mani sul tavolo. “Non nominare il nome di Inti con quella tua bocca. Era un uomo migliore di quanto tu possa mai sognare di essere, anche se vivessi quanto i vampiri maledetti dal sole. Di sicuro condividete la stessa sete di sangue.” Iniziò ad allontanarsi, con Pantlaza al seguito, poi si fermò per lanciare un’occhiataccia a Caparocti, con i suoi occhi scuri fiammanti di minacciosità. “Non cercarmi di nuovo, Campione, perché mi troverai pronta.”

Dopo la sua partenza seguì il silenzio, anche se Caparocti sembrava più compiaciuto che imbarazzato o intimidito. Wayta ebbe la tentazione di ordinare ad un dinosauro di fare i suoi bisogni sulla sua testa.

Anim si sporse più vicina a sua sorella. “Qualsiasi cosa decidiamo, non possiamo rimanere qui ed ignorare ciò che sta accadendo sulla superficie. Non più.”

L’Attendente Akal strinse le labbra. “Specialmente se Aclazotz sta radunando lì le sue forze. E se qualsiasi residuo del Micotiranno si è diffuso, dobbiamo continuare la nostra opera di epurazione, come giardinieri che salvaguardano il raccolto.”

“Ci fornirete dei guerrieri?” chiese Caparocti. “Echi? Cosmio?”

“Coordineremo una risposta appropriata” rispose l’Attendente Pakal.

“Le Mille Lune sono pronte ad assistere” disse Anim.

“Voi restate pronte a vedere la superficie con i vostri occhi” disse seccamente l’Attendente Akal. “Noi faremo il nostro dovere.”

E quale sarebbe? Si chiese Wayta. Così tante persone avevano diverse definizioni di “dovere” e non vedevano l’ora di applicarle. Abbiamo il dovere di sconfiggere questo nemico. Abbiamo il dovere di resistere in questo tunnel. Abbiamo il dovere di sfondare questa linea. Ogni dovere era una promessa fatta, e così tante sono state pagate col sangue.

Wayta diede un colpo sulla spalla a Quint. “Grazie per avermi fatto sentire.”

“Cosa intendi fare?” chiese Quint.

“Il mio dovere.” Wayta raddrizzò le spalle e seguì Huatli, che era in piedi sul bordo di un lago, con una fresca brezza che faceva volteggiare alcuni capelli non stretti nella sua treccia. La spada del siniscalco pendeva bassa al suo fianco, con un cristallo di cosmio affisso sul pomello.

Huatli diede uno sguardo a Wayta, poi tornò a guardare l’acqua. Rimasero in silenzio per qualche minuto, con le onde che lambivano la riva e Pantlaza che inseguiva gli insetti che ronzavano di fiore in fiore.

“Un tempo volevo essere poetessa guerriera” disse Wayta. “Quando ero molto più giovane. Prima che Orazca venisse trovata e reclamata.”

“Quanto sembrano semplici quei tempi ora” mormorò Huatli. “La pietra non percepisce ogni goccia di pioggia, ma ne viene comunque consumata.” Sorrise debolmente a Wayta. “Forse ti attende un destino ancora più importante.”

Wayta alzò le spalle. “Non tutti devono essere eroi leggendari. Una candela non è luminosa come il Triplice Sole, ma riesce comunque ad illuminare una stanza.”

“Vero.” La mano di Huatli strinse l’impugnatura della spada di suo cugino. “Essere la poetessa guerriera significa che dovrei essere al comando. Andrei felicemente a caccia di Aclazotz di persona, ma un’invasione di Alta Torrezon? È troppo. Come posso trovare le parole che innescano le fiamme nei cuori del nostro popolo quando non riesco a credere veramente in questa causa?”

Wayta colpì un sassolino con lo stivale, calciandolo nell’acqua. “Una saggia donna un giorno mi disse: è più importante che una poesia sia onesta piuttosto che bella. Forse hai bisogno di trovare una missione in cui credi e che al contempo serva l’impero?”

“Forse sì.” Huatli si perse nei propri pensieri. Poi, slegò la spada dalla sua cintura e la offrì a Wayta.

“La spada del siniscalco?” chiese Wayta, confusa. “Vuoi che l’abbia io? Perché?”

“Penso che Inti lo vorrebbe” rispose Huatli. “Puoi chiederglielo, se vuoi. Ora è un Eco. Il suo spirito è qui, nella gemma.” Toccò il cristallo di cosmio sul pomello.

Wayta esitò, poi allungò la mano per prendere l’impugnatura. “Sono onorata più di quanto possa esprimere. Lo terrò al sicuro.”

“Spero che possa tenere al sicuro anche te” disse Huatli, con un lampo di divertimento sul suo volto. “Tu non sei ancora morta. Fatti forza, sorellina.” Si allontanò di un passo da Wayta, poi un altro ancora, lungo il bordo del lago e verso Pantlaza, che stava ancora divertendosi.

“Cosa farai ora?” chiese Wayta, ad alta voce.

Huatli sorrise. “Ho ricevuto un invito a Otepec da parte della sorella dell’imperatore. Ha usato attentamente le parole, ma penso di non essere l’unica a cui non va a genio l’idea di attizzare una nuova guerra quando le braci dell’ultima sono ancora calde.”

Wayta non aveva idea di cos’avrebbe fatto Caztaca Huicintli. Se qualcuno poteva persuadere suo fratello a non invadere Torrezon, sicuramente lei poteva farlo. E se non si fosse riuscito a persuaderlo? Tremò al solo pensiero di ciò che sarebbe potuto accadere.

Forse la Legione del Vespro non sarebbe stata l’unica ad affrontare una guerra civile nel breve periodo.

Malcolm[]

Arrampicarsi per uscire fuori dalle caverne era stato quasi peggiore che entrarci. Durante la discesa, Malcolm aveva sperato di trovare dei sopravvissuti a qualsiasi cosa fosse accaduta a Città di Sotto. Durante la salita, aveva imparato la lezione. Il mistero era stato risolto, ma la città sotterranea rimaneva vuota, e lui non aveva idea quando, e se, dei nuovi abitanti si sarebbero trasferiti per continuare il lavoro dei precedenti.

Lui e Braghe arrivarono a Baia Raggio di Sole esausti e sporchi per il viaggio, dopo aver detto addio ad Amalia e Kellan. Sogni di bagni e letti morbidi lo tentavano: avrebbe fatto rapporto a Vance, avrebbe dato la notizia alle famiglie dei caduti e poi sarebbe sparito sul fondo di un boccale di birra finché il retrogusto di fallimento non fosse sparito dalla sua bocca.

Quando imparerai, si disse Malcolm amaramente, fermandosi in mezzo ad una strada a fissare in alto il cielo tempestoso.

Baia Raggio di Sole era deserta come Città di Sotto, con gli stessi segni dell’opera del Micotiranno: edifici bruciati e muri rovinati dalla magia, oggetti abbandonati, cibo avariato. Funghi spuntavano da qualsiasi crepa, si raggruppavano in angoli oscuri, scuotevano le loro spore in aria e brillavano di quel terribile colore verde che Malcolm sapeva avrebbe visto nei suoi incubi per gli anni a venire.

Al porto non c’era una sola nave in attesa. Sperava che ciò significasse che la loro ciurma fosse scappata verso la salvezza prima di venire infettata, ma lui temeva il peggio. Sarebbe bastato un solo pirata, un mozzo, e il problema avrebbe continuato a diffondersi.

“Dobbiamo raggiungere la Secca” disse Malcolm a Braghe. “Dobbiamo avvertirli o scoprire se è già troppo tardi.”

“Barca grossa? Barca piccola?” chiese Braghe.

“Qualsiasi barca che galleggi” rispose Malcolm. “Forza, forse troveremo qualcosa nell’insenatura lungo la costa.”

Altrimenti, avrebbe… cosa? Continuato a camminare, supponeva. Supplicare per una barca al prossimo porto che avrebbe raggiunto. Volare verso un villaggio dell’Impero del Sole. Tornare a Orazca e far finta che il piano non stesse per finire. Ma non si sarebbe fermato, non in quel momento, forse mai. Se l’avesse fatto, i funghi avrebbero recuperato terreno.

Il cielo si aprì, riversando un velo di pioggia tiepida sulla città in rovina. Malcolm alzò il viso, lasciando che l’acqua scorresse per le sue piume, chiedendosi se si sarebbe mai sentito veramente pulito.

Amalia[]

L’isola su cui Amalia e Kellan si ritrovarono era lussureggiante anche per gli standard di Ixalan, con la giungla simile ad una spessa parete vicino alla costa. Sotto gli stivali di Amalia la soffice sabbia si spostava man mano che camminava lontano dalla barchetta che li aveva condotti a terra partendo dal vascello mercantile.

“Sicuro che sia il posto giusto?” chiese Amalia.

“È più una sensazione” disse Kellan. “La mia fortuna non mi ha ancora tradito. Non quando contava veramente, almeno.”

“Lo scopriremo presto” disse lei. “Comunque sia, la tua ricerca continuerà.”

“Esatto” concordò Kellan. “Chi sarei se mi arrendessi adesso?”

Infatti, chi sarebbe? Amalia se lo chiese. Il proprio istinto esplorativo l’aveva condotta in quel luogo, ma covava ancora delle preoccupazioni e dei dubbi. Pensava di averli cancellati durante il viaggio per mare, ma era riuscita solo ad ignorarli per un po’ di tempo.

E in quel momento, il suo tempo stava per scadere.

Trovarono un sentiero battuto che si snodava per la giungla. Il sole riempiva il terreno di chiazze quando i rami e i viticci carichi di fiori formarono una tettoia ombrosa.

Usarono un enorme albero caduto per attraversare una gola con di fianco una cascata che nebulizzava arcobaleni nell’aria. Dal lato opposto, al centro di un campo ricoperto di erba alta, trovarono ciò che stavano cercando.

Uno strano cerchio di luce scintillava e vorticava. Era più alto di un umano e altrettanto largo, e fluttuava sopra il terreno senza spostarsi o muoversi, come se fosse un dipinto fissato su una parete.

Kel sussurrò: “Eccola. Una Via dei Presagi.”

“Sei sicuro?” chiese Amalia. “Dove porta?”

“Non ne ho idea” disse Kel. “L’ultima mi ha portato qui, ma questa potrebbe non essere così clemente.”

“Pensi che potrebbe condurre in un posto peggiore di una caverna piena di goblin e persone-giaguaro infuriate?”

Kel alzò le spalle. “Desidererei di no, ma se i desideri crescessero nei campi, saremmo tutti contadini.”

Fissarono il portale vorticante in silenzio mentre il sole batteva sulle loro teste.

Amalia guardò Kel, solo per notare che lui stava fissando lei. “Che c’è?” chiese lei.

“Sei sicura di voler venire con me?” chiese lui a bassa voce. “Questo è il tuo mondo. La tua famiglia si trova qui, i tuoi amici, tutto ciò che hai sempre conosciuto. Sei veramente pronta a lasciarti tutto alle spalle?”

La domanda che Amalia stava ignorando ora era incombente, immensa e inevitabile. Aveva promesso di prendersi cura di Kel, sì, ma il suo dovere era già stato sicuramente assolto da tempo. Era un uomo adulto e non aveva bisogno di una protettrice. La missione di lui era solo sua, e lei non aveva bisogno di farsene carico per accompagnarlo.

Ma lei aveva lasciato casa propria per esplorare, per trovare nuovi luoghi, per imparare nuove cose. Voleva aiutare il suo popolo, sì, e quindi aveva lasciato una comunicazione riguardo la tempesta incombente che Aclazotz avrebbe portato alla sua famiglia e alla Regina Miralda tramite i membri rimanenti della Compagnia di Baia Regina. Tuttavia, voleva assolutamente evitare la discordia tra il suo dio… o ex dio?... ed i suoi imprevedibili discepoli. Il suo vangelo di sangue e sottomissione la disgustava, e avrebbe preferito andarsene che vederlo messo in pratica.

“Sono pronta” disse con decisione Amalia, compiaciuta nel riconoscere che era vero. “Quando vuoi.”

Kellan le prese la mano; la pelle di lui era piacevolmente tiepida. Lei poté sentire la leggera accelerazione del battito di lui attraverso il proprio pollice.

“Solo perché tu lo sappia” disse lui, “questa potrebbe condurre ovunque. Il prossimo luogo potrebbe non essere migliore di questo.”

“Cosa potrebbe essere peggio?” Kel alzò le spalle e le regalò un suo sorriso con le fossette. “Un’oca gigante?”

Amalia rise, con il cuore più leggero di quanto non lo fosse mai stato nelle ultime settimane. Senza un’altra parola, saltarono attraverso la Via dei Presagi, e tutto cambiò.

Quint[]

Il luogo che gli Oltec chiamavano Fine della Colonia si protendeva dal fianco di una montagna: un’enorme rovina semicircolare apparentemente forgiata da un singolo pezzo di metallo, nonostante i suoi strati e le sue creste. Quint non sarebbe dovuto essere sorpreso di quanto fosse grosso, viste le dimensioni dei resti che aveva visto al memoriale per la Guerra della Notte a Oteclan. Corrispondevano al cadavere trovato durante la prima incursione preliminare nelle caverne sotto Orazca. Sperava che qualcuno avesse conservato quello per degli studi futuri, come era stato fatto con quello che aveva davanti.

Colonizzatori” gli avevano detto i didatti. Le loro storie descrivevano dei giganti i cui enormi vascelli oscuri apparirono nel cielo, macchiando la luce di Chimil e intrappolandola all’interno di una prigione di metallo. A volte le leggende esageravano quando venivano raccontate, ma visto che Quint aveva visto la prigione con i propri occhi, fu incline a credere che gli Oltec non stessero esagerando.

L’avevano anche avvertito di stare alla larga dalla Fine della Colonia, perché era pericolosa e non era stata completamente esplorata. Sapeva come stare all’erta, però. Era sopravvissuto ai suoi scavi dentro Zantafar quando Asterion non era riuscito perché lui aveva preso precauzioni migliori. Che lui stesse essenzialmente facendo precisamente ciò che Asterion aveva fatto al tempo, andando in quel luogo da solo, era un dato di fatto che era pronto a tralasciare negli interessi del sapere storico.

Incastrando l’estremità libera della sua sciarpa nel colletto, Quint continuò a scalare. In poco tempo, raggiunse il lato della rovina, con la parete alta dodici volte quanto lui che incombeva. Prima di potersi perdere in contemplazione del rapporto di dimensioni, trovò la stessa identica cosa che lo condusse ad Ixalan: bassorilievi che raffiguravano gli stessi motivi a moneta che aveva scoperto in altri luoghi. La sua emozione si fece ancora più forte quando seguì quel disegno fino ad una porta aperta, con la luce del sole che entrava per illuminare una stanza costruita con lo stesso materiale metallico dell’esterno.

Quint recuperò un globo di luce dal suo zaino e iniziò a tracciare la mappa delle rovine. A differenza di altre che aveva esplorato, queste sembravano inquietantemente senza vita, e più fredde di quanto il clima della montagna avrebbe dovuto renderle. Più andava a fondo, meno terra e polvere coprivano il pavimento al di sotto dei propri passi riecheggianti. Niente acqua residua per causare ruggine, niente muffa cresciuta negli angoli. Quel posto era sigillato più di qualsiasi tomba.

Ed era anche privo di qualsiasi segno che fosse abitato. Degli alti oggetti oblunghi torreggiavano sopra Quint… mobili, forse, in linea con le dimensioni dei loro creatori. Pensò di arrampicarcisi, ma decise che prima era meglio completare la mappa.

Continuò stanza dopo stanza, misurando le dimensioni di quello spazio e registrandole su una pergamena. Delle rampe conducevano su e giù ad altri livelli; nonostante la sua curiosità, terminò l’esplorazione del piano attuale prima di procedere al successivo. Su o giù? Tirò fuori la moneta che stava portando con sé e la lanciò.

Giù.

Il livello inferiore era molto simile al primo, con soffitti alti e altri potenziali mobili, ma null’altro. Come viveva questo popolo? Mangiavano? Dormivano? Portarono con sé tutti i loro effetti personali quando se ne andarono? Era come se avesse trovato le ossa di una qualche creatura gigante, ripulite molto tempo prima, e stesse cercando di capire di che colore aveva gli occhi.

Girò un angolo e si fermò, sbattendo gli occhi per la meraviglia. A differenza di ogni altra stanza, questa conteneva una lunga fila di enormi cisterne con il vetro frontale infranto, con i frammenti sparsi sul pavimento. Qualunque liquido o gas che avessero potuto contenere si era asciugato o era evaporato da molto tempo, e qualsiasi oggetto all’interno non si trovava più lì… magari distrutto intenzionalmente, magari portato via dai sopravvissuti.

Quint sospirò. Aveva trovato più domande che risposte. Come al solito.

Lo scintillio di un riflesso alla sua luce colse la sua attenzione. In fondo alla fila, una delle cisterne era intatta. Come aveva fatto a sopravvivere? Forse poteva chiedere ai didatti una volta tornato a Oteclan.

Camminò verso di essa, sbirciando attraverso il vetro. L’interno era fosco, opaco; c’era qualcosa dentro? Con il suo fazzoletto, pulì la superficie, poi unì le mani ai lati degli occhi e mise la faccia contro il contenitore per vedere meglio.

Con un tonfo profondo, la cisterna si illuminò.

Quint scattò all’indietro nervosamente. Cos’aveva fatto? Cosa stava succedendo?

All’interno della cisterna vorticò dell’aria fumosa, poi si diradò lentamente, rivelando il corpo di un’enorme creatura. Era così alta che Quint non riusciva a vederne la testa da dove si trovava; solo delle grosse gambe dalla pelle grigia e delle mani che terminavano in artigli.

Che scoperta! Quell’esemplare era molto più intatto di quello a Oteclan. Ma come avrebbe mai potuto trasportarlo? Doveva tornare dagli altri e portare lì una squadra per-

�Le dita della creatura ebbero uno spasmo. Le distese, aprendo la mano, poi le richiuse in un pugno stretto.

Oppure, pensò Quint, forse dovrei andarmene. Adesso. Proprio adesso.

Micotiranno[]

Una mente era tutto, e tutte le menti erano una.

Alcuni corpi avevano bisogno di un’attenzione diretta per funzionare, mentre altri acquisivano sufficiente autonomia per agire da soli, comunque acquiescenti alla volontà del loro progenitore. Alcuni erano più testardi e si rifiutavano di obbedire. E così sia. Potevano sempre essere formati o assimilati altri corpi.

Delle rovine di un tempio nella giungla sulla superficie pullulavano di vampiri, intenti a liberare la vegetazione e costruire un accampamento. Uno di loro colpì una sacca fungina gonfia con la sua lama, rilasciando una nuvola di spore che si depositarono sulla sua pelle come moscerini. Presto, si sarebbe unito al corpo che osservava da dietro gli alberi. Così come tutti gli altri.

I pirati di Città di Sotto che erano fuggiti ora vagavano per Baia Raggio di Sole, con i volti coperti. Passarono da un corpo al successivo, ciascuno con il proprio punto di vista, un diverso afflusso di conoscenza e immissione sensoriale. Il loro rifiuto di venire assimilati era stupefacente, e frustrante, ma era così. Non comprendevano l’efficacia che avrebbero ottenuto.

La battaglia contro gli Oltec aveva insegnato loro una preziosa lezione: a volte la furtività aveva successo dove la forza bruta falliva. Un nuovo corpo era in piedi sul ponte di una nave… che oggetti utili, le navi… e osservava man mano che si avvicinava alla Secca. Quel corpo aveva mantenuto la sua forma originale in quasi ogni aspetto, eccetto per gli occhi, coperti da delle lenti scure. Meglio nascondersi, pianificare e diffondersi.

Con sufficiente tempo e perizia, tutti sarebbero stati sottomessi. Ogni cosa si sarebbe unita. Sarebbe stata controllata. La luce del nuovo sole riscaldava già le muffe e i funghi che si stavano diffondendo per tutta la superficie.

Per ogni gambo bruciato, ne sarebbero cresciuti altri. Il progresso era inevitabile. Aveva bisogno solo di tempo e pazienza. E di più corpi.

Aclazotz[]

La stiva della nave puzzava di disperazione. Dei sacrifici con gli occhi spalancati attendevano il loro destino nell’oscurità, con l’animo a pezzi e la speranza perduta. Presto, i fedeli sarebbero scesi per banchettare con il loro nettare di vita e, cosa più importante, per offrire i bocconi più gustosi al loro dio asceso.

La libertà dopo una prigionia così lunga era forse un piacere ancora più squisito, nonostante la necessità del confinamento nella stagnante stiva incrostata di sale.

Aclazotz non vedeva l’ora di stendere le proprie ali. Di volare alto. Di cacciare.

Presto la nave avrebbe raggiunto Torrezon, una terra di pecore in attesa del loro pastore promesso che le conducesse alla vita eterna. Chi era sopravvissuto alla battaglia contro gli Oltec e la loro distorta progenie della superficie avrebbe servito come generale del suo esercito. Avrebbe canonizzato i più forti tra i suoi figli, avvicinandoli ad immagini più perfette di sé stesso.

Una vampira lui bramava sopra ogni altro: Vona de Iedo, l’Antifex. Lei aveva rifiutato i falsi insegnamenti delle sue creazioni minori e trovò il sentiero verso la verità. Vitor aveva fallito e sarebbe stato dimenticato, ma Vona? L’avrebbe posta alla sua ala destra per assicurarsi che fosse fatta la sua volontà.

E, una volta conquistata Torrezon, sarebbero tornati da Chimil e l’avrebbero finalmente distrutta.

La nave scricchiolò e si scosse quando Aclazotz aprì il suo minaccioso unico occhio, avvolgendo la stiva in una luce rossa. I sacrifici gridarono e si lamentarono dal terrore, con il sangue che batteva all’interno dei loro corpi come una sincope di tamburi. Stavano suonando una così bella musica per lui. Gli sarebbe anche potuta mancare una volta messi in silenzio.

Racconto successivo: The Lost Caverns of Ixalan Pawns

Collegamenti esterni[]

Espansioni Blocco di Ixalan (IxalanRivali di Ixalan) • L'Avanzata delle MacchineLe Caverne Perdute di Ixalan
Luoghi Ixalan (Impero del SoleAraldi del Fiume) • Torrezon (Legione del VesproAlleanza di Bronzo) • Caverne (MalametGoblin delle ProfonditàMicoide) • Nucleo del Paradiso (OltecDei Profondi)
Nativi Huatli
Pubblicazioni Planeswalker's Guide to IxalanThe Art of Magic The Gathering: IxalanPlaneswalker's Guide to The Lost Caverns of Ixalan
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