The Lost Caverns of Ixalan Episode 5 è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Valerie Valdes e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 20 ottobre 2023. Racconta parte della storia di Quintorius Kand, Huatli e altri personaggi di Ixalan dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia.
Racconto precedente: The Lost Caverns of Ixalan Episode 4

Storia[]
Quint[]
Che sensazione avrebbe potuto provare toccando il sole?
Quint era in piedi sopra una collina sovrastante la vallata che ospitava la guarnigione delle Mille Lune e la città vicina, facendosi aria lentamente con le proprie orecchie. La terra curvava verso l’alto in lontananza, invece di rimanere dritta, mentre al di sotto gli acquedotti serpeggiavano tra i blocchi di piramidi e gli edifici più piccoli, con l’acqua che trasportavano riversata in bacini di pietra. Osservò i guerrieri dell’Impero del Sole indossare delle particolari imbracature, assistiti dai membri delle Mille Lune. Huatli sussurrava al suo pipistrello, mentre Wayta e la sua cavalcatura stavano già volando lentamente in tondo nell’aria.
L’Attendente Akal sembrò percepire l’invidia di Quint. “Questa è una cerimonia di passaggio all’età adulta per il nostro popolo” disse lei. “I nostri nuovi cugini sono già adulti, e hanno le loro tradizioni, ma siamo felici di condividere questa con loro.”
“Sono onorato di poter osservare” disse Quint. “E poi, qualcuno dovrà pur stare insieme a Pantlaza.”
Udendo il proprio nome, il raptor spostò lo sguardo verso Quint. Non appena realizzò che Quint non aveva cibo, tornò al suo riposino.
I cavalca-pipistrelli si lanciarono in aria, rimpicciolendo sempre più fino a diventare dei puntini neri che si avvicinavano alla scia di luce rosa che si allungava dal guscio spezzato attorno al sole. La barriera di cosmio, la chiamavano: un luogo pericoloso pieno di frammenti metallici e pezzi di cristallo che utilizzavano per le loro armature, armi e altri dispositivi. Huatli e gli altri avrebbero provato ad ottenere un pezzo di quel cosmio per sé.
L’Attendente Pakal interruppe le fantasticherie di Quint. “Tu provieni da un altro piano? Non dalla superficie?”
“Esatto” rispose Quint. “Da Arcavios. Frequento un’università lì, Strixhaven.”
“Un luogo di insegnamento?” chiese l’Attendente Pakal.
“Sì” disse Quint. “Ho studiato archeologia e archeomanzia, tra le altre cose. Voglio trovare storie perdute e condividerle. Preservarle per le generazioni future.”
L’Attendente Pakal produsse un breve mormorio di comprensione. “Siete come i nostri didatti. Esplorano, imparano e insegnano. Le storie sono i ricordi del piano, e dimenticare significa soccombere all’oscurità. Persino durante la Guerra della Notte le nostre storie furono una luce guida.”
Quint iniziò a ponderare su come chiedere informazioni riguardo la Guerra della Notte, o il metallo attorno al sole, o una tra altre milioni di domande. C’era così tanto da imparare in quel luogo che non aveva idea da dove iniziare.
Spostò nuovamente la propria attenzione sui pipistrelli. “Tutto questo dovrebbe rimanere segreto o potrei condividerlo con i miei colleghi?”
“Non è un segreto” disse l’Attendente Pakal. “Ma sarebbe meglio lasciare le spiegazioni a chi di noi ne comprende le sfumature. Sarei felice di evocare uno dei nostri didatti per assisterti, magari in cambio di alcune storie e conoscenze originarie della tua casa?”
“Uno scambio sarebbe eccellente.” Un didatta avrebbe anche potuto aiutarlo con la sua ricerca sull’Impero delle Monete. In base a come si sarebbe evoluta la situazione, avrebbe potuto portare lì anche Saheeli, o alcuni dei suoi colleghi da Arcavios…
Una brezza rinfrescò la pelle di Quint e increspò i campi erbosi. Quint abbassò i suoi occhialoni sugli occhi per avere una vista migliore. Dinosauri e altri animali vagavano selvaggi, insieme a roditori grandi come cani e ruminanti dal lungo collo con una pelliccia apparentemente morbida. Che pace.
Le figure in lontananza che sfrecciavano nella barriera stavano iniziando a tornare. Huatli davanti, Inti dietro di lei, mentre Caparocti e Wayta li seguivano insieme agli altri soldati.

Huatli atterrò per prima, scendendo dalla sella e consegnando il proprio pipistrello ad un assistente. Iniziò a saltellare verso l’Attendente Akal, sventolando un pezzo di cristallo rosa.
“Ho trovato un frammento!” esclamò Huatli. “Pensate che sia abbastanza grande per una collana?”
L’Attendente Akal annuì. “Potresti anche riuscire a decorarci un’arma. Una spada, forse?”
Il volto di Huatli si scurì. “Forse” disse lei, senza più entusiasmo. Grattò leggermente la testa piumata di Pantlaza, guadagnandosi un cinguettio felice come risposta.
Inti e Caparocti planarono fino a fermarsi, ma Wayta volò oltre. Un fischio potente mandò dei cavalieri Oltec al suo inseguimento, inclusa Chara, e Quint si chiese se non stesse avendo problemi con la sua cavalcatura. Nel giro di qualche secondo, tuttavia, si voltò e atterrò, ma non scese. La fronte sopra il suo occhio visibile era aggrottata, e la sua bocca assunse una conformazione seria, rispecchiata dalla tensione nelle sue spalle.
“Laggiù” disse Wayta, con calma autoimposta, indicando verso l’angolo più lontano della guarnigione, dall’altra parte della vallata. “I vampiri hanno evocato una nuvola della loro nebbia maledetta, più grande del normale.”
Quint non sapeva cosa significasse, ma tutti gli altri membri della fazione dell’Impero del Sole si innervosirono.
“Sei sicura?” chiese Caparocti.
Wayta annuì. Inti imprecò sottovoce. Un altro forte fischio di cadenza differente annunciò il ritorno di Chara. Anche lei, come Wayta, rimase in sella.
“La Millesima Luna si avvicina” disse Chara. “Porta due prigionieri con sé.”
L’Attendente Akal si appoggiò al suo bastone. “Dobbiamo interrogarli.”
I guerrieri borbottavano tra loro mentre Wayta smontava dalla sella per raggiungere il fianco di Quint. La tetra figura di Anim Pakal camminò velocemente verso di loro, arma alla mano e automa gnomo al suo fianco. Di fronte a lei, una vampira e un uomo arrancavano faticosamente. La vampira inciampò e l’uomo la sorresse, aiutandola a rimettersi in piedi.
“Abbiamo trovato questi due in fuga dalla guarnigione” disse Anim a sua sorella.
“Non stavamo fuggendo” disse l’uomo, sulla difensiva. “Stavamo provando a cercare aiuto.” Quint lo osservò più attentamente e notò che le sue orecchie erano appuntite. Un elfo, suppose. Il primo che vedeva su Ixalan.
“Io sono Amalia, e lui è Kellan” disse la vampira. “Gli altri vampiri, loro… Hanno ucciso i nostri servitori umani e l’emissario della regina, poi sono scappati. Stanno cercando Aclazotz.”
“Il Traditore?” chiese Anim, indietreggiando per lo shock. “È imprigionato da secoli.”
“Sapete dove si trova?” chiese Amalia.
L’Attendente Akal impallidì e strinse il suo bastone ancora di più. “No, ma c’è chi tra gli Oltec ancora lo venera, e potrebbero aver tramandato questa informazione.” Alzò lo sguardo verso il sole, chiudendo gli occhi. “Se i vampiri trovano questi alleati, potrebbero infine essere sufficientemente potenti per liberare il dio pipistrello dalla sua prigione. Nessuno all’interno del Nucleo sarà al sicuro dalla sua interminabile sete di sangue.”
Proprio quello che ci serviva, pensò Quint. Una divinità violenta che cerca di ammazzare tutti per divertirsi.

Malcolm[]
Un’armata di creature fungine si avvicinò mentre il Micotiranno scrutava in basso verso Malcolm e Braghe dal proprio trespolo intrecciato nella caverna, con quell’imperscrutabile bagliore verde negli occhi.
“Basta con le chiacchiere” disse, sempre usando Xavier come marionetta. “Vi assimileremo, poi saliremo verso la superficie ed il suo sole.”
Malcolm calcolò mentalmente quanto velocemente avrebbe potuto volare via insieme a Braghe, e se facesse differenza che l’unica uscita possibile fosse sorvegliata.
Doveva esserci un’altra via di fuga. Ampliò i propri sensi per percepire le correnti d’aria e trovò un tunnel dietro il Micotiranno. Una debole brezza da quella direzione trasportava l’odore e la sensazione di una grande massa d’acqua. Lì? Sottoterra?
“GROSSO BOOM?” chiese Braghe, con un sussurro buffamente rumoroso.
Malcolm diede un’occhiata verso l’alto, poi intorno a loro, con lo sguardo che ricadde su un dinosauro incrostato di funghi. Si ricordò del combattimento nella caverna e sorrise.
“Fammi provare prima una cosa” disse Malcolm. “Tappati le orecchie.”
Braghe obbedì. Prendendo un profondo respiro, Malcolm iniziò a cantare.
Gli occhi del Micotiranno si chiusero e tutti attorno a Malcolm si bloccarono, storditi. Lui continuò a cantare, afferrando Braghe e tirandolo verso l’uscita che conduceva all’acqua. Oltrepassarono altre figure immobili, e persino gli alberi-funghi velenosi sembravano a riposo. Si chiese se la propria vicinanza al Micotiranno rendesse efficace la sua magia sull’intera colonia, come quella creatura chiamava la sua orda di marionette.
Trovò il tunnel, grato di avere la sua luce da spalla, dato che i funghi lucenti si erano spenti. Braghe continuava a tenere le mani sulle orecchie mentre lo seguiva. Malcolm non sapeva per quanto a lungo avrebbe funzionato la sua magia, ma cantò finché non furono nelle profondità della roccia, sperando potesse rimbombare e mantenere i mostri sotto la sua influenza finché lui e Braghe non fossero in salvo.
Un terrificante grido emesso da più voci riecheggiò dietro di loro. Doveva veramente smetterla di sperare.
“Corri” disse Malcolm, poi partì correndo all’impazzata.
Braghe corse con un’andatura tranquilla che teneva il passo con quella di Malcolm. Una luce verde si accese attorno a loro, con crescite fungine che si contorcevano e cercavano di afferrarli mentre passavano. Non osò guardarsi alle spalle per paura di rallentare ed essere catturato.
La sensazione e l’odore dell’acqua diventarono più forti. Una luce li attendeva più avanti, più blu che verde, cosparsa di lievi accenni di magia. Araldi del Fiume, ma anche qualcos’altro. Qualcosa di più antico e più potente.
Senza preavviso, il tunnel terminò con una breve scogliera. Sotto di lui, un oceano si estendeva così lontano da non riuscire a vederne la fine, mentre più vicino alla sua posizione una città d’oro affollava le rive e scendeva negli abissi. I tritoni nuotavano in acqua o si rilassavano sulla costa, mentre alcune guardie puntarono verso di lui e Braghe quando altri continuavano le loro faccende ignari dell’incursione in arrivo.
“Arrivano!” gridò Malcolm, incanalando la magia nella propria voce per farla rimbombare. Afferrò Braghe e si lanciò in picchiata sull’acqua, puntando verso la città.
Le forze del Micotiranno scaturirono dal tunnel. Malcolm alla fine rischiò di guardarsi alle spalle. Sembrava che ogni abitante infetto di Città di Sotto fosse alle sue calcagna, rotolando sulla spiaggia o annaspando senza grazia nell’acqua. I loro numeri erano inferiori rispetto ai dinosauri e alle persone-felino mezzi decomposti, oltre a quegli inquietanti funghi ambulanti, che brandivano armi o incanalavano la loro magia. Ancora peggio, i fori nella parte superiore della caverna riversarono creature volanti: dinosauri e pipistrelli giganti talmente avvolti dai funghi che facevano fatica a rimanere in aria.
Il caos della battaglia infranse qualsiasi serenità godibile in quel luogo. I tritoni estrassero le armi, attivarono gli incantamenti nelle loro armature, tirarono fuori totem di giada ed evocarono enormi creature elementali per respingere l’invasione fungina. Dei falò ambulanti lanciavano getti di fiamme, mentre grossi geyser d’acqua facevano cadere nemici dall’aria, spedendoli a capofitto verso il loro destino.
In cima ad una piramide simile a quelle dell’Impero del Sole una porta si apriva verso uno spazio che prometteva cieli impossibili, se solo Malcolm e Braghe fossero riusciti a raggiungerla…

Una guerriera tritona si stagliò davanti a Malcolm, brandendo un bastone dalla punta di giada. Lui si fermò di colpo.
“Chi siete?” chiese lei.
“Malcolm Lee, al vostro servizio” disse Malcolm, inchinandosi gentilmente. “Questo è Braghe, il mio socio.”
Braghe si tolse brevemente il cappello.
“Pirati” disse la tritona, storcendo la bocca per il disgusto. “Io sono Nicanzil. Quale piaga avete portato sulle nostre coste?”
“Si fa chiamare il Micotiranno” disse Malcolm. “Trasforma le persone in funghi.”
Nicanzil rimuginò su quell’affermazione, con le pinne che vibravano dietro di lei. “Questo dev’essere il pericolo a cui accennava l’Impero del Sole. La nostra gente oltre la porta dorata deve essere avvertita che è più vicino di quanto credessero.”
Se avvertirli equivaleva a scappare oltre quella porta, Malcolm sarebbe stato pronto a farlo. “Forza” disse a Braghe. “Andiamo a dare l’allarme.”
Braghe mostrò i denti in segno di consenso mentre estraeva le sue tre spade, una per mano più una per la coda, e insieme attraversarono il campo di battaglia, evitando i combattenti mentre Malcolm puntava infallibilmente a quella promessa di cieli aperti.

Vitor[]
Vieni a me…
La voce di Aclazotz richiamava Vitor più forte che mai. Stava guidando i vampiri rimasti della sua spedizione per i larghi sentieri della guarnigione, ricoperti di nebbia impenetrabile. Nonostante Bartolomé avesse impedito di compiere il suo sacrificio designato, finalmente era riuscito ad ottenere la sua vendetta su quella spina della Rosa Nera. Il suo corpo ronzava per il santo sacramento che aveva consumato, e non vedeva l’ora di compierne altri.
Delle voci si alzarono nella nebbia, con sentori di confusione, spavalderia ma, più di ogni altra cosa, paura. Clavileño e gli altri soldati trovarono e ne misero a tacere alcune, dilettandosi in un’estasi di sangue. Le parole del Venerabile Tarrian ronzavano nella mente di Vitor come i battiti cardiaci delle persone che cacciava.
Siano benedetti i deboli, poiché nutriranno i forti.
Siano benedetti i pacifici, poiché si arrenderanno senza lottare.
Siano benedetti gli spietati, poiché non necessiteranno di alcuna pietà.
Nella nebbia apparve un bagliore rosso, diretto verso Vitor. Lui abbassò la propria lancia per attaccare.
“Vitor Quijano de Pasamonte” sussurrò la misteriosa figura. “Sono stato inviato per guidarvi da Aclazotz.”
Che fosse un trucco? Nessuno avrebbe mai osato.
“Sono pronto” disse Vitor, alzando la lancia come un vessillo.
Lasciarono la guarnigione e calpestarono i campi attentamente coltivati, passando oltre dimore isolate i cui abitanti si rannicchiarono l’uno con l’altro dalla paura, scendendo infine nelle profondità di una palude fetida. La pelle dei vampiri era pallida come il muschio che penzolava simile alla barba di un uomo anziano dai rami nodosi attorno a loro. Gli stivali sguazzavano nel fango, che puzzava di uova marce e putrefazione, fino alle caviglie, e qualsiasi suono o canto di animale che un tempo avesse potuto dare vita a quella terra cadde in silenzio come se affetti da un incantesimo. Altre persone si unirono a loro, tutte che trasportavano o indossavano dei cristalli che brillavano di un rosso tenue, finché non diventarono una vera e propria armata che viaggiava invisibile dentro la nebbia che si faceva strada serpeggiando tra gli alberi, trasformando il sole in un tenue fantasma. Alcuni di loro trascinavano dei prigionieri dagli occhi vitrei attraverso la fanghiglia, probabilmente degli imminenti sacrifici per Aclazotz.
“Chi siete voi?” chiese Vitor.
“Noi siamo i servitori di Aclazotz” rispose la figura. “Abbiamo venerato il nostro padrone da quando venne imprigionato, in attesa del giorno della sua salvezza.”
Vitor barcollò quando accennò all’imprigionamento. Aveva dato per scontato che Aclazotz stesse semplicemente prendendosi il suo tempo, che fosse parte di un disegno più grande… non che fosse stato intrappolato in quel luogo senza notte. Il padre dei vampiri, in gabbia.
Poi, una scarica di orgoglio prese il posto di quell’attimo di dubbio. Lui era lo strumento del suo dio, un salvatore. Avrebbe realizzato la visione del Venerabile Tarrian, superando quella delusione che fu Santa Elenda. A Torrezon sarebbe cominciata una nuova era pura, con lui alla guida dei fedeli.
Vitor non sapeva da quanto tempo stesse annaspando per quella palude. Un tempo, sarebbe stato sorpreso che i suoi nemici non l’avessero ancora trovato, a cavallo dei loro pipistrelli nel cielo. La nebbia sicuramente sarebbe stata visibile in lontananza. Ma Aclazotz agiva in modi misteriosi, e Vitor aveva fiducia nel fatto che il suo dio si sarebbe assicurato il successo del suo santo prescelto.
Prima di riuscire a chiedere quanto mancasse per raggiungere la loro destinazione, la nebbia si diradò, mostrando l’entrata di una grotta. Nulla faceva capire che quel luogo fosse speciale: nessun segno o simbolo inciso nella pietra esposta, nessun gradino templare che invitasse ad entrare, niente oro o argento a decorazione dell’entrata o del tunnel oltre di essa. Avrebbe potuto essere una grotta qualsiasi in qualsiasi luogo su tutto il piano, e Vitor sapeva che la sua anonimità era parte del suo potere.
Vitor aveva perso le candele magiche che gli illuminavano la via attraverso le caverne del sottosuolo. Lo guidarono le luci rosse dei servitori di Aclazotz, prima attraverso uno stretto corridoio che sembrava apparentemente di formazione naturale, poi all’interno di un tunnel laterale che era chiaramente stato aperto ad artigliate secondo uno schema ponderato. Il fetore di putrefazione riempiva quello spazio, come se fosse un tumulo o un ossario invece del santuario di una divinità.
Riusciva a vedere Aclazotz venerato in modo appropriato all’interno di templi degni della Sua Maestà, e i suoi nemici avrebbero sofferto per la loro impertinenza.
Il tunnel terminava con una strana porta, circondata da simboli e bassorilievi che non riusciva a riconoscere, con un ampio foro al centro. La figura che li guidava recuperò qualcosa dalle sue vesti: un pezzo di cristallo rosa che brillava con una luce interna.
“Questa è la chiave” disse, consegnandolo a Vitor. “Inseriscila e sarai riconosciuto come degno… oppure distrutto.”
Vitor non dubitava di essere degno. Prese il cristallo e lo inserì nella cavità.
Un anello di pietra gli bloccò il braccio, rendendolo incapace di muoversi. Il bagliore rosa del cristallo divenne più intenso, e contemporaneamente iniziò un dolore bruciante, come se il suo pugno fosse stato immerso nel sole. Vitor strinse i denti fino a bucarsi le labbra con le zanne, facendo colare del sangue sul mento. La sensazione transitò dal fuoco al ghiaccio quando il rossore di vitalità delle ultime vite di cui si era nutrito gli venne risucchiato, riversandosi nella cavità finché lui non risultò tremante, più indebolito di quanto si fosse mai sentito dalla sua ultima Astensione dal Sangue. Le sue ginocchia minacciarono di cedere, ma le costrinse a raddrizzarsi e sopportare il proprio peso. Non avrebbe deluso Aclazotz, né ora né mai.
Il dolore e la pressione sparirono, e Vitor ritirò il braccio, libero. Una luce cremisi si diffuse verso i glifi attorno alla porta, che rotolò di lato con un basso suono roboante.
“Potete entrare nel santuario” disse la sua guida.
Li attendeva una vera e propria facciata di un tempio, con le colonne che si alzavano fino a raggiungere quattro volte l’altezza di Vitor. Uno stormo di pipistrelli sbucò dall’entrata, come per segnalare l’occasione del proprio arrivo. Li lasciò passare, poi continuò la sua processione, con Clavileño e gli altri dietro di lui come una guardia d’onore.

Una piccola anticamera si apriva verso un grande anfiteatro con diversi livelli di posti a sedere. I glifi incisi nelle pareti inondavano la folla riunita in una luce rosso sangue, e un migliaio di volti pallidi si voltarono per osservare Vitor entrare. Lui alzò ancora più in alto la lancia di Tarrian mentre scendeva per compiere il proprio destino: raggiungere la figura al centro della stanza.
“Vieni a me” disse la voce, ormai familiare per Vitor quanto il proprio nome.
Aclazotz.
Il dio pipistrello era accucciato sul pavimento, coperto dalle proprie ali e avvolto da delle spesse catene dorate con centinaia di cristalli rosa incastonati. Il suo corpo era di un marrone simile a quello del vecchio sangue secco, con le ali dorate e strappate dove sfregavano contro la pietra al di sotto. Dal suo collo pendeva un collare di teschi, la sua testa era decorata da una corona nera e oro, che rendeva chiaro il suo stato divino a chiunque avesse alzato lo sguardo verso di lui.
Un singolo occhio rosso perforò Vitor con la forza del suo rispetto, e lui cadde in ginocchio in adorazione.
“Mio padrone” mormorò Vitor, con la voce piegata dall’emozione. “Sono giunto.”
Aclazotz lasciò uscire un profondo respiro frusciante. “Il mio sonno è stato disturbato dagli invasori della superficie” disse. “E per questo vi ho chiamati tutti, miei figli della notte. L’ora della mia ascesa è vicina.”
“Noi sorgeremo” intonarono gli assimilatori di cosmio riuniti.
“La fine della Quinta Era è imminente” continuò Aclazotz. “La luce di Chimil verrà soffocata, e la mia oscurità sarà assoluta. Voi, miei prescelti, servirete al mio fianco, glorificandovi nella salvezza della vita eterna. Portate i sacrifici.”
Un lamento emerse da una caverna alla sinistra di Vitor. Le persone che stavano venendo trascinate per la palude erano state recintate dentro, ammucchiate come agnelli al mercato. Vitor si alzò e si avvicinò loro, facendo cenno ai suoi soldati di assisterlo.
“Non temete la morte” disse Vitor, con voce calma. “Il vostro sangue farà sorgere il potere, la gloria e il regno eterno di Aclazotz, ora e per sempre.”
Uno per uno, i prigionieri vennero consegnati al dio pipistrello, che banchettò con le loro essenze mentre Vitor evitava rispettosamente il suo sguardo. I corpi venivano trascinati via e scagliati in una fossa, con sbiadite strisce di sangue che segnavano il loro passaggio. Con ogni morte, il minaccioso occhio del dio si illuminava sempre più: un faro nella stanza in penombra.
Dopodiché, l’opera venne compiuta. Aclazotz si rannicchiò su sé stesso e poi, con uno strillo penetrante, si alzò e fece forza sulle sue catene. I cristalli rosa al loro interno si illuminavano a intermittenza, poi si fissarono sullo stesso rosso dell’occhio del dio. Una concussione di magia colpì tutti i presenti nella stanza quando gli anelli d’oro si spezzarono in decine di punti. Con un potente movimento, Aclazotz lanciò le catene su tutto il pavimento. Si alzò al massimo della sua altezza e spiegò le ali, con Vitor che cadde nuovamente in ginocchio con timore reverenziale.
“Venite a me” intonò Aclazotz. “Che riceviate la mia benedizione.”
Vitor raggiunse il dio per primo, prostrandosi. “Io sono degno” disse.
“Allora il mio patto eterno sarà tuo.”
Aclazotz si piegò in basso finché il suo respiro non avvolse il volto di Vitor, che sentì odore di sangue e una specie di fiore dolce in piena decomposizione. Le zanne del dio si allungarono e diventarono più affilate. In un attimo, le affondò in profondità nel collo e nel busto di Vitor. Vitor urlò. Il dolore si diffuse dal suo petto, poi raggiunse i suoi arti: un fuoco ben oltre ciò che il sangue avesse mai innescato nelle proprie vene. I muscoli ebbero degli spasmi e le ossa si spezzarono per ricomporsi, con dei puntini neri che danzavano nel suo campo visivo e minacciavano uno stato di incoscienza. Le zanne di Aclazotz lasciarono la loro presa su di lui, e si accorse a malapena che anche gli altri attorno a lui stavano venendo benedetti, uno dopo l’altro.

La magia si ritirò, e Vitor sussultò all’esplosione di suoni e odori che improvvisamente richiedevano la sua attenzione. Le tenui luci rosse dei cristalli brillavano come torce anche se tutti gli altri colori furono risucchiati dalla stanza. Le sue vesti un tempo immacolate ora penzolavano a brandelli per via della sua corporatura più grande, strappate dalla sua trasformazione e dalle cure di Aclazotz. Puntò delle nuove orecchie verso Clavileño, che aveva terminato la propria trasformazione e puntò i suoi occhi rotondi verso Vitor.
Dove prima dei vampiri erano inginocchiati, delle nuove creature si erano alzate, la cui forma ricordava quella del loro padrone. Mantennero armature e armi, ma le loro mani ora terminavano con artigli letali. Vitor stiracchiò le proprie ali, con zanne più lunghe che spuntavano dalla sua bocca allargata.
“Venite” disse Aclazotz. Si lanciò in aria, uscendo dalla stanza attraversando un largo foro sul soffitto.
Vitor lo seguì senza esitare, con i suoi compagni al seguito. Passarono per un tunnel oscuro reso luminoso dagli echi dei loro strilli collettivi, finché una piccolissima luce lontana divenne sempre più grande fino a rivelare il mondo oltre di essa. Uscirono dalle caverne, una legione pronta a combattere per il dio che aveva fatto loro dono di quel potere. Il primo lampo del brillante bagliore del sole gli diede fastidio agli occhi, ma ben presto si adattarono, e la terra si stendeva dinanzi a lui in sfumature di profondo nero, bianco d’osso e grigio nebbioso. Le correnti d’aria correvano tutt’intorno a loro, trasportando miriadi di odori sia familiari che sconosciuti: la ricca decomposizione della palude, il muschiato degli animali, le nuvole pregne di umidità e, appena più avanti, pipistrelli e umani che si mischiavano. Volarono in alto, sempre più in alto e più lontano, finché non raggiunsero la lunga scia di metallo tinto di rosa che formava un arco lontano dal sole.
Aclazotz si fermò in volo, con il suo occhio nuovamente in fiamme quando voltò il suo sguardo verso la luce. “Chimil” sussurrò, rivolgendosi al sole splendente del Nucleo. “Come io venni consegnato nella mia prigione, così anche tu farai lo stesso. Consumerò i tuoi preziosi Oltec come feci con i loro antenati, come consumai la tua debole progenie divina per chiudere il velo tra la vita e la morte. Finalmente porrò fine alla Quinta Era, e i miei figli porteranno la Sesta Era sul piano.”
Le sue ali più grandi si allargarono quanto più possibile, poi iniziarono a chiudersi, lentamente, faticando come se stesse spostando un peso impossibile.
Il metallo intorno al sole si mosse, con i pezzi che ruotavano e si incastravano tra loro come un contenitore rotto che si stava ricomponendo. Ed era esattamente quello: Aclazotz incanalò il proprio potere per ricostruire una sfera frantumata che avrebbe presto imprigionato Chimil.

L’ombra di quella prigione si stagliò su tutta la terra, avvolgendola in un’oscurità più profonda di qualsiasi notte di Torrezon. Gli occhi modificati di Vitor erano contenti di quel cambiamento, riuscendo a vedere e udire la complessità della struttura del panorama.
Con un duro sussulto, Aclazotz chiuse le ali e cadde a terra, producendo un suono simile al tuono per l’impatto. Vitor atterrò di fianco a lui quando vide che il dio faceva fatica a rimanere in piedi, lanciando un’occhiata malevola agli spiragli di luce rimasti che sfuggivano dalle pareti di metallo del sole.
“Di più” disse Aclazotz. “Ho bisogno di più sacrifici. E voi me li porterete.”
“Sia fatta la Tua volontà” disse Vitor. Gridò i suoi ordini alla Legione riunita e la loro risposta riecheggiò attraverso le montagne fino a scuotere le fondamenta stesse del piano.

Wayta[]
Il sole si oscurò e Wayta fece fatica a non farsi prendere dal panico, con sudori freddi che le scorrevano per tutta la schiena.
Diresse il suo pipistrello verso le nubi di nebbia che ricoprivano la guarnigione delle Mille Lune insieme alle paludi e le montagne oltre di essa. Avevano perso tempo a cercare i vampiri fuggitivi nei villaggi e nelle zone periferiche, trovando gli Oltec rintanati nelle loro case e segni di violenza per le strade. La loro destinazione non fu chiara finché uno sciame di creature non sfrecciò fuori da una caverna, guidate da un pipistrello alto quasi quanto quattro persone messe insieme: Aclazotz.
All’inizio, Wayta diede per scontato che i mostri insieme a lui fossero altri pipistrelli, ma il suo cannocchiale raccontava qualcos’altro: erano vampiri, corrotti in qualche modo, trasformati in abomini dalle sembianze del loro ripugnante dio, eppure indossavano ancora le loro armature e brandivano le loro armi. La Legione si diresse immediatamente verso la barriera di cosmio, fermandosi al suo confine. Prima che il primo tra gli Oltec riuscisse a raggiungerli, la luce aveva iniziato a sparire, come se uno schermo fosse stato posto davanti a una lanterna.
La guerra contro i Phyrexiani era stata così. Il giorno che si trasformò improvvisamente in notte mentre il nemico offuscava il sole. Le urla dei suoi alleati, dei suoi amici, si trasformarono in singhiozzi, suppliche, preghiere… subito interrotti. L’onda di ricordi raggiunse l’apice, e lei la cavalcò come una nave nella tempesta, cercando di non ribaltarsi.
Huatli planò in alto verso di lei, a cavallo del proprio pipistrello, e il frammento del Triplice Sole illuminava il suo viso come aveva fatto nelle caverne più oscure.
“Respira, giovane guerriera” gridò Huatli. “In questo giorno, la vittoria sarà nostra.”
Ma era effettivamente giorno? Non aveva importanza. Quel sentimento era forte, nonostante l’avesse già sentito proferire da molte altre persone che non sarebbero sopravvissute all’ora successiva.
“La prigione di Chimil sta venendo ricostruita” gridò la capitana di volo dalla sua cavalcatura. “Dobbiamo fermare Aclazotz il traditore, altrimenti Chimil verrà sigillata nuovamente all’interno.”
Wayta non voleva un’altra guerra. Non contro un cosiddetto dio, né contro i vampiri ripudiati dal sole, né contro nessun’altro. Ma avrebbe combattuto quella battaglia, quella che incombeva su di lei, quella che era costretta a combattere. E lei avrebbe vinto.

I cristalli sul copricapo della capitana di volo brillarono come una costellazione rosa, insieme alle gemme simili indossate dagli altri cavalca-pipistrelli. Di sotto, su tutta la terra, nelle guarnigioni e nei villaggi, nelle città e nelle capanne, il popolo richiamava a sé la luce. Fiamme libere e falò, bagliori tremanti e fari rassicuranti. Wayta non conosceva ancora bene questi Oltec, ma percepì un’affinità con loro, vedendo questo rifiuto nel piegarsi sotto il peso dell’ombra.
“Pensi ancora che dovremmo lasciare in pace Torrezon?” gridò Caparocti a Huatli.
“Questa non è Torrezon” rispose lei, con i suoi freddi occhi scuri. “E anche se lo fosse, questi mostri non rivedranno mai più la loro terra natale quando riusciremo a raggiungerli.”
“Questa è la poetessa guerriera che ci piace” scherzò Inti. “Cantaci una poesia prima di caricare in battaglia.”
Caparocti alzò gli occhi al cielo, ma Wayta cercò di ascoltare al meglio delle sue capacità, non volendo che le parole venissero perse nel vento che fischiava loro incontro.
Lo sguardo di Huatli divenne più distaccato, poi si spostò per incrociare quello di Wayta. Quando iniziò a parlare, lo fece con un possente tono di sfida.
Non temiamo la debole nebbia
Abbiamo affrontato uragani
Non temiamo la notte che cala
Sorgiamo insieme al Triplice Sole
“Per il Triplice Sole!” gridò Caparocti. Le truppe dell’Impero del Sole riecheggiarono con le sue parole, e i cavalca-pipistrelli Oltec fecero risuonare un feroce fischio che fece sentire a Wayta i brividi fin sul collo.
Dalla Legione riecheggiò un terribile stridio. Alcuni pipistrelli sbandarono spaventosamente o iniziarono a scalciare, facendo quasi cadere i loro cavalieri. La cavalcatura di Wayta sbandò avanti e indietro, facendola ritrovare con lo stomaco in gola mentre faticava a riottenere il controllo.
Gli abomini vampirici volarono verso le forze degli Oltec.
Delle enormi ali da pipistrello mantenevano in aria queste strane creature. Gli occhi rotondi osservavano dai loro magri volti pallidi con nasi appiattiti e grosse orecchie. Alcuni indossavano ancora i loro elmi, altri la loro corazza, mentre altri ancora un tempo dovevano essere degli Oltec, dati i loro poncho e khipu strappati. Strillarono di nuovo quando l’avanguardia dei cavalcatori li raggiunse, con le lance e la lucente magia rosa che si scontrarono con spade e terribili onde di rosso.
Un membro della Legione del Vespro caricò Wayta, brandendo la sua spada. Lei sfoderò la propria, premendo la pietra magica che la allungò per farla diventare una lancia. Lei attese, prendendo tempo e concentrandosi per considerare velocità e distanza. Il pipistrello-vampiro era quasi a portata quando lei costrinse la sua cavalcatura a volare in picchiata, dando contemporaneamente un colpo verso l’alto. La sua lama tracciò un profondo solco nell’ala del suo nemico e, con un grido, cadde roteando verso il terreno.
Vicino, Huatli inseguiva una coppia di pipistrelli assimilatori di cosmio, mentre una delle Mille Lune combatteva una creatura con una lunga lancia dall’aspetto familiare. Wayta si mosse per fiancheggiarlo, ma un altro vampiro piombò su di lei. Aveva fatto inclinare il suo pipistrello per evitare la spada di lui, poi evitò per poco un altro attacco proveniente dal suo lato cieco. Con uno sbuffo infastidito, lei condusse la sua cavalcatura verso l’alto per analizzare la battaglia da una posizione rialzata. Attorno a lei fluttuavano i vortici della barriera di cosmio, con i suoi cumuli di cristalli piccoli come gocce di pioggia.
Sarebbe stato bellissimo, se il sangue dei suoi alleati e nemici non si fosse aggiunto a quella nuvola.
E così sarebbe sempre stato, pensò tragicamente. Sangue nel cielo, sangue sulla pietra, sangue nei fiumi e nella schiuma del mare.
Un luccichio dorato attirò la sua attenzione, brillante tra i fasci della luce del sole. La porta alla base della montagna, quella che avevano attraversato per entrare in quella nuova terra. Qualcuno ne era uscito volando… un altro pipistrello-vampiro? No, una sirena? Una sirena che era quasi sicura di riconoscere.
Un’ondata nero-verdastra si riversò attraverso il portale dietro di lui. Creature fungine, come quelle che lei e gli altri guerrieri dell’Impero del Sole avevano combattuto nella città deserta vicino al fiume sotterraneo. Centinaia, forse addirittura migliaia.
Tutte pronte ad invadere la guarnigione.
“Piove sempre sul bagnato” borbottò Wayta.

Malcolm[]
L’aria aperta non fu il balsamo che Malcolm aveva sperato, nonostante la sua relativa dolcezza dopo aver sgobbato così tanto per quelle caverne stagnanti. I suoi nemici gli erano alle calcagna, lanciando bombe di spore e corde di funghi per legare a terra le persone. Peggio ancora, per quanto quella nuova terra potesse essere intrigante, inclinata com’era verso l’alto per racchiudere tutto il cielo, sembrava che ci fosse già un’altra battaglia in corso.
Malcolm aumentò la distanza tra di lui e la brulicante massa di funghi senzienti, cercando di tenere d’occhio Braghe. Le tre lame del goblin ruotavano e tagliavano come un mietitore intento a lavorare nei campi, ma sarebbe stato sopraffatto se non si fossero presentati presto dei rinforzi.
Più Malcolm volava vicino allo strano sole oscurato al centro di quel luogo, più le correnti d’aria si spostavano… no, rallentavano, come se una qualche forza magica le rendesse più pigre. Le sue piume si gonfiarono leggermente, con il peso dei suoi arti che era impercettibilmente meno gravoso, eppure lo era. Era incredibile. Lo attirò come una falena verso la fiamma, o come un pesce verso l’amo.
Nella barriera fluttuante di metallo infuso di rosa, delle persone a cavallo di pipistrelli stavano combattendo contro… delle persone-pipistrello? Che indossavano armature della Legione del Vespro? Lui sbatté gli occhi a quella scena, sopraffatto dalla confusione. Alcuni dei cavalcatori erano dell’Impero del Sole, se la loro armatura e le luci che indossavano erano una qualche indicazione, ma come avevano fatto a trovare quel luogo? E perché?
Una di loro catturò la sua attenzione: un volto familiare della Secca o, meglio, un’arma e una benda sull’occhio riconoscibili. Si era spostata dal cuore dello scontro e ora stava fissando verso di lui. Malcolm si lanciò verso di lei, e lei fece lo stesso, ciascuno lottando con alcuni vampiri dalle ali di pipistrello finché entrambi non si incontrarono a metà strada.
“Wayta” disse Malcolm, sollevato. “Cosa sta succedendo qui?”
“Lasciami spiegare” disse Wayta, poi si fermò. “No, è troppo. Te la faccio breve. I vampiri si sono trasformati in mostri pipistrello e il loro dio ha imprigionato il sole. Te?”
“Un fungo gigante sta infettando le persone e le trasforma in suoi burattini per conquistare il piano.”
Wayta trattenne una risata. “Dovrà mettersi in fila. Pensi che possa infettare un dio?”
“Non voglio scoprirlo” disse Malcolm, arruffando le sue piume per il disagio.
“Seguimi” disse Wayta. “Dobbiamo avvertire l’attendente, se già non è al corrente.”
Li condusse in alto… no, in basso… verso un gruppetto di umani vestiti in maniera inconsueta, insieme ad una vampira e due estranei. Provenienti da mondi esterni, come furono Vraska e Jace, se doveva tirare a indovinare. E come quei dannati Phyrexiani.
Uno di quegli esterni corse verso di loro immediatamente, un lossodonte con degli occhialoni sulla testa. “Wayta!” esclamò senza fiato. “Va tutto bene lassù? Cosa succede? Chi è il tuo amico?”
Wayta mostrò un ghigno. “Quint, questo è Malcolm Lee. È tutto un pasticcio e c’è un’orda di quei funghi ambulanti che si sta riversando dalla porta dorata.”
Quint sembrò considerare tutto nella sua mente. “Riesci a quantificare un’orda?”
“Con quanti funghi riesci a fare una foresta?” rispose Malcolm.
“Funghi?” chiese il giovane dalle orecchie a punta. “Sono velenosi?”
Malcolm rise in modo tetro. “Molto peggio. Sono ambiziosi.”
Il vampiro donna sospirò. “Che i santi ci proteggano dall’ambizione.”
Qualcun’altro si avvicinò, una donna che indossava un elaborato copricapo e che si appoggiava a un bastone. “Questo è indubbiamente il momento della lotta” disse lei. “Io sono l’Attendente Akal, e sembra che tu ci abbia portato altri problemi.”
“Non di proposito” disse Malcolm. “Sono venuto per risolvere il mistero su ciò che è accaduto alla mia gente e, sfortunatamente, ho trovato la risposta. Dice che voi lo chiamate il Micotiranno.”
L’Attendente Pakal contrasse le sue labbra rugose. “Mia sorella stava mobilitando le Mille Lune per stabilire una difesa, ma tra questo e Aclazotz, le nostre forze sono troppo divise.” Fece un cenno ad un soldato in piedi lì vicino, che corse fin lì e fece un saluto militare. “Invia un’altra convocazione urgente per tutte le torri a qualsiasi giardiniere disponibile.”
Malcolm sospirò sollevato. Non era finita, ma lui e Braghe non erano più da soli in quella lotta.
Braghe. Oh, no.
“Wayta” disse Malcolm. “Puoi aiutarmi a dare un passaggio a qualcuno?”

Vitor[]
Quella battaglia sarebbe stata immortalata nelle nuove scritture di Aclazotz per l’eternità.
Vitor schivò un’ondata di magia proveniente da una cavalca-pipistrelli Oltec, poi la perforò in pieno petto con la sua lancia. Solo la sua imbragatura le impedì di cadere verso la sua morte quando si accasciò sulla sella. L’odore del sangue di lei addolcì l’aria, e Vitor strillò trionfante.
Attorno a lui, i flussi di lucente polvere rosa si oscuravano man mano che i sacrifici convertivano il potere della barriera, piegandola alla volontà di Aclazotz. Presto, il dio avrebbe terminato ciò che aveva iniziato, e la maledetta luce di quel mondo interiore sarebbe stata soffocata.
I suoi soldati inseguivano incessantemente i loro nemici, volteggiando nel cielo e colpendo sia umani che pipistrelli. Clavileño inizialmente aveva istituito dei ranghi, ma ben presto il combattimento si trasformò in una furiosa mischia. Spade combattevano lance, denti e artigli strappavano la magia, e le creature trasformate banchettavano o trasportavano gli umani verso Aclazotz. Quella che aveva colpito Vitor subì quel destino quando un possente vampiro con un poncho strappato fece a brandelli la sua imbragatura e la sollevò dalla sua cavalcatura. L’urlo di lei svanì nell’oscurità, e Vitor passò al suo prossimo avversario.
Clavileño sfrecciò oltre di lui, scambiandosi colpi di spada con un robusto guerriero dell’Impero del Sole che brandiva un bastone con una lama ad entrambi i capi. L’arma sfilò via l’elmo di Clavileño, e il vampiro fece appena in tempo ad abbassarsi prima che un secondo fendente potesse altrimenti aprirgli la gola. Gli tagliò invece l’orecchio a metà. O Clavileño non percepiva dolore, oppure non gli importava, poiché rinnovò il proprio attacco con ferocia maggiore.
Prima che Vitor potesse intervenire, un altro guerriero si avventò su di lui, armato con scudo e una larga spada lunga. Questo se lo ricordava dalle presentazioni avvenute tra gli Araldi del Fiume: Inti, siniscalco del sole. Decisamente appropriato che avesse incontrato lì la sua fine, mentre Aclazotz soffocava la luce di quel sole.
“Per il potere e la gloria di Aclazotz!” ringhiò Vitor, lanciandosi contro l’intruso.
Lo scudo di Inti deviò la lancia di Vitor, e la sua spada menò un fendente in basso verso il suo collo. Vitor volò indietro e il colpo fischiò inoffensivo nell’aria vuota. Lui eseguì un altro affondo con la sua lancia, e nuovamente il suo attacco venne deviato. Volarono in cerchio per aria, sole e ombra, fuoco e fumo. Il siniscalco spostò il suo scudo per mostrare la luce sulla sua cintura, accecando temporaneamente Vitor, che si ritirò con un sibilo.
“Non ti piace il potere del Triplice Sole, succhiasangue?” lo provocò Inti, sfruttando quel temporaneo vantaggio con una tempesta di fendenti. Non notò Clavileño che stava planando silenziosamente verso di lui.
Vitor mostrò le sue nuove zanne allungate. “Il mio dio mi ha fornito qualcosa di meglio del tuo, debole.”
“E sarebbe?” chiese Inti.
“Il potere del volo.” Vitor abbassò la lancia in un singolo, potente colpo… dritto nel cranio della cavalcatura di Inti. Il pipistrello sussultò e divenne immobile, poi iniziò a cadere, con Inti ancora legato alla sella.
Il guerriero cercò di sganciare i supporti che lo fissavano alla cavalcatura, e facendolo si rese vulnerabile. Clavileño lo aggirò, posizionandosi dietro di lui, e strinse la testa di Inti in uno dei suoi enormi artigli.
“Gloria ad Aclazotz” disse Vitor. Clavileño spezzò il collo di Inti e sia il corpo dell’umano che quello del pipistrello caddero nell’oscurità.
“Inti!” Un grido proveniente dalle vicinanze. La poetessa guerriera sulla propria cavalcatura, in picchiata verso il suo compagno caduto.
Vitor la seguì. Anche lei sarebbe stata un eccellente sacrificio.

Racconto successivo: The Lost Caverns of Ixalan Episode 6
Collegamenti esterni[]
- Articolo tradotto da MTG Traduzioni ITA: Le Caverne Perdute di Ixalan