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The Lost Caverns of Ixalan Episode 4 è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Valerie Valdes e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 20 ottobre 2023. Racconta parte della storia di Quintorius Kand, Huatli e altri personaggi di Ixalan dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia.

Racconto precedente: The Lost Caverns of Ixalan Episode 3

Storia[]

Quint[]

Gli esploratori dell’Impero del Sole attesero la Grande Plasmatrice Pashona in una stanza abbastanza grande da ospitare loro e i dinosauri che erano sopravvissuti al viaggio. Huatli diede da mangiare a Pantlaza delle striscioline di carne essiccata, che vennero avidamente ingurgitate dal grosso raptor, mentre Inti supervisionava la pulizia di armi e armature. Caparocti e Wayta erano impegnati in una danza di addestramento con complicati movimenti di gambe, grugnendo e colpendosi a vicenda con dei bastoni.

Quint esaminò il poncho che indossava lo spirito di Abuelo mentre rimuginava su ciò che lui e Wayta avevano discusso precedentemente. Lui non aveva mai lavorato in un sito archeologico così fuori dalla propria esperienza, e non si sentiva preparato, nonostante il suo addestramento. Quanti tra i testi di storia a Strixhaven erano stati scritti da membri della cultura che descrivevano? Non era lui in primis a trovarsi infastidito da come alcune volte i lossodonti venissero rappresentati? Quando aveva trovato la città perduta di Zantafar, alcuni archeologi sostennero che lui non avrebbe dovuto avere il permesso di lavorare al sito perché non era sufficientemente neutrale. Fortunatamente la loro richiesta fu respinta, ma fu un periodo molto teso.

Ora, dopo aver assistito ad un’incredibile scoperta dopo l’altra, si stava chiedendo se Wayta non avesse ragione: non doveva raccontare per forza lui quella storia. Anche se trovando qualche prova in più sull’Impero delle Monete, magari…

Nicanzil tornò nella stanza e qualsiasi attività terminò.

“La convocazione ha inizio” disse Nicanzil. “Seguitemi.”

Si misero gli zaini in spalla, rinfoderando le armi, e di lì a poco il contingente dell’Impero del Sole iniziò a salire i gradini delle interminabili scale che portavano alla cima dell’edificio. Arrivarono davanti all’enorme porta dorata che videro dalla riva quando arrivarono la prima volta. Quint voleva esaminarla, ma un’improvvisa tensione tra i suoi alleati lo fermò.

Vampiri” disse Wayta, con disprezzo. Gli altri guerrieri ebbero simili reazioni di disgusto, alcuni addirittura fecero per prendere le proprie armi.

Vampiri? Sarebbe dovuta essere la Legione del Vespro, da Torrezon. Saheeli gliene aveva parlato.

Una tritona rugosa entrò dal lato opposto della stanza; la sua pelle verde era cosparsa di puntini rosa marroncini, e delle pinne rosa si aprivano dietro di lei come fossero un mantello. Indossava un’armatura di giada come molti degli Araldi del Fiume, ma non portava armi visibili… forse utilizzava la magia.

“Grande Plasmatrice Pashona” disse Huatli, inchinandosi a fondo. “Ci onorate con la vostra presenza.”

Poetessa Guerriera” rispose la Plasmatrice Pashona, inclinando la testa. Con sorpresa di Quint, poi fissò lo sguardo su di lui. “Chi sei tu, straniero?”

Quintorius Kand” rispose Quint, toccandosi educatamente la fronte con la propria proboscide. “Archeologo lossodonte. Sono in visita da Arcavios, che sarebbe… un luogo lontano da Ixalan.”

“Perché ti trovi qui?” chiese la plasmatrice.

“Per aiutare l’Impero del Sole con una ricerca” rispose Quint, “ma anche per una missione personale, in cerca di conoscenza.”

“Cosa intendi fare con questa conoscenza?”

Quint si chiese se la plasmatrice potesse leggere la mente. Lanciò uno sguardo verso Wayta, poi disse “Non ne sono ancora sicuro. Nulla di male.”

La Plasmatrice Pashona rivolse la propria attenzione a Huatli. “E voi, Poetessa Guerriera, e il vostro popolo? Quali sono le vostre intenzioni?”

Huatli indicò l’enorme porta. “Siamo venuti alla ricerca di questo portale. Crediamo che conduca a”-lanciò uno sguardo sospettoso verso i vampiri-”ad un luogo di importanza storica per l’Impero del Sole.”

La Plasmatrice Pashona seguì lo sguardo di Huatli. “Chi vi guida?” chiese lei ai membri della Legione.

Uno dei vampiri in armatura che brandiva una lancia si fece avanti. “I nostri affari non vi riguardano. Vi ordino di liberarci immediatamente.”

Inti, già di una certa statura, raddrizzò la schiena e portò indietro le spalle, sembrando grande il doppio. “Questi invasori dovrebbero venire imprigionati” disse lui.

“O uccisi” aggiunse Caparocti.

Huatli, con sorpresa di Quint, annuì in accordo con loro. Non aveva mai visto lo sguardo di lei così sanguinario.

“Voi siete tutti invasori” disse la Plasmatrice Pashona. “Vi abbiamo aiutati così da poter comprendere i vostri obiettivi, ma possiamo ributtarvi in mare e lasciare che siano gli spiriti a decidere il vostro destino.”

“Non potete fermare la nostra sacra missione” insistette il leader dei vampiri.

“Se ci uccidete” disse Inti, “dichiarerete guerra all’Impero del Sole.”

Un altro vampiro si fece avanti, vestito elegante e con una frusta appesa alla cintura. “E anche a Torrezon. La Regina Miralda sarebbe molto contrariata.”

Le pinne di Nicanzil fremettero. “Date per scontato che la vostra gente riuscirà a trovarci.”

Le mani si avvicinarono alle armi, e il pungente odore della magia riempì l’aria. Quint si preparò nella mente l’immagine di un sigillo difensivo.

“Basta!” esclamò Huatli. “Plasmatrice, il mio popolo e il vostro cercano di aprire questa porta. Vi offro di lavorare insieme.”

La Plasmatrice Pashona inclinò la testa. “Quale aiuto ci offrite?”

Huatli sorrise. “Possiamo tradurre le scritte sulla porta. Se è simile a quella che abbiamo trovato a Orazca, riusciremo ad aprirla rapidamente.”

“Grazie per averci ricordato del tradimento del tuo popolo con la conquista della città dorata” mormorò Nicanzil.

“Se ci stiamo ricordando cose a vicenda” disse Inti, “ricordate che fu un Araldo del Fiume il primo a reclamare il Sole Immortale.”

“Chi muore senza aver commesso errori non ha mai vissuto” disse diplomaticamente Huatli. “Tutti noi abbiamo combattuto contro i Phyrexiani per difendere le nostre case. Ora che il nostro nemico comune è stato sgominato possiamo combatterci l’un l’altro, oppure possiamo sfruttare questa opportunità per costruire una pace più duratura tra i nostri popoli.”

Con sorpresa di Quint, il secondo vampiro parlò di nuovo. “La Regina Miralda potrebbe essere aperta a tali negoziati, in base a ciò che troveremo.”

“Tappati la bocca, Bartolomé” sbottò l’altro vampiro. “Ti ho avvertito-”

“Molto bene” disse la Plasmatrice Pashona, e il vampiro si zittì. “Poetessa Guerriera, potete procedere.”

Huatli fece cenno a Quint di accompagnarla, e insieme esaminarono la porta. Non conteneva tavolette rimovibili, e i glifi sembravano leggermente diversi. Di fianco alla porta, incastrata nella parete, si trovava una scatola stratificata con compartimenti di diverse dimensioni, il cui scopo sfuggiva a Quint.

“Questo dialetto non è lo stesso dell’altra porta” disse Huatli, aggrottando la fronte. “Potrebbe volerci più di quanto pensassi.” Lesse attentamente i glifi, muovendo leggermente le labbra, mentre i membri delle diverse fazioni mostravano disagio. Pantlaza emise un basso cinguettio e si sedette per pulirsi le piume.

Quint stava per cercare tra le sue pergamene un incantesimo che potesse aiutarli, quando si rese conto di avere qualcosa di potenzialmente migliore. O, più precisamente, qualcuno.

“Sto per evocare un fantasma” disse Quint. “Niente panico, per favore.”

Wayta trattenne una risata, e Quint le dedicò un sorrisino.

Tirò fuori il poncho dal suo zaino e lanciò nuovamente la magia per evocare Abuelo. Per poco temette che lo spirito si fosse perso nella lotta con l’enorme fungo ambulante, ma con suo sollievo il famigliare bagliore rosato della magia all’interno del tessuto si concentrò nella stessa figura di colore blu che aveva già conosciuto.

Huatli fece un passo indietro. “Chi è questo?”

“Abuelo” rispose Quint. “Spero che sappia come aprire questa porta.”

Abuelo diede un’occhiata alla folla, poi guardò il portale. “Oh, siete arrivati a Matzalantli!” esclamò. “Magnifico. Dobbiamo entrare e avvertire gli Oltec del Micotiranno.”

“Come possiamo farlo?” chiese Quint.

“È piuttosto semplice” disse Abuelo. Poi il suo volto si contrasse per la confusione. “Ma non riesco a ricordarmelo.”

Huatli indicò la scatola di fianco alla porta. “Bisogna usare questa?”

“Sì, esatto!” esclamò Abuelo, raggiante. “Che bravi, lo avete capito.”

Huatli e Quint si scambiarono uno sguardo divertito. “Cosa dobbiamo fare?” chiese gentilmente Huatli.

Abuelo aggrottò la fronte. “C’è una chiave. Me la dimentico sempre. Abuela la teneva nel suo khipu, e io stavo sempre con lei…”

“È questo il khipu?” chiese Quint, prendendo l’oggetto che aveva trovato insieme al poncho di Abuelo: una corda simile a una cintura decorata con dei tratti di fili annodati e biglie.

“Sì, sì, dammelo” disse Abuelo. Perlustrò tutti i fili con mani sorprendentemente corporee, borbottando tra sé e sé finché non trovò quello che voleva. “Ecco! La porta dorata.”

Quint si avvicinò, trattenendo il fiato mentre le dita dell’Eco scivolavano tra i nodi e le biglie.

“Aprite il cassetto sul lato” disse Abuelo, indicando la scatola. Huatli lo fece, trovando una raccolta di gemme lucide di diversi colori.

“Dove vanno inserite?” chiese Huatli, prendendole con entrambe le mani.

“Verde negli angoli in alto a destra e in basso a sinistra” rispose Abuelo. “Giallo negli altri angoli, e anche nei tre spazi sopra o sotto, e uno è fatto.”

Huatli fece come le fu ordinato, con Abuelo che annuiva e sorrideva.

“Infine, il cosmio” disse lui.

“Quelli rosa?” chiese Quint.

“Sì.” Abuelo subì un’interferenza, come il fumo di una candela, poi si allontanò. “Scusatemi. A volte il cosmio può avere strani effetti sugli Echi come me.”

Quint annotò quell’informazione per il futuro. “Quindi, queste dove vanno?”

Abuelo subì un’altra interferenza. Mosse la bocca, ma non uscì alcuna parola.

Inti sbuffò. “C’eravamo quasi” disse. “E ora?”

Huatli esaminò la scatola, inclinando la testa. “Penso di conoscere questo schema.”

“Davvero?” chiese Quint. “Che cos’è?”

Huatli rise a bassa voce. “È una chiave.” Mise le biglie di cosmio rimaste negli scomparti centrali, creando una forma simile ad una serpe stilizzata.

Non appena l’ultima biglia venne messa in posizione, la scatola brillò leggermente, e il bagliore rosato si diffuse verso la porta e i suoi glifi. Una luce si sprigionò attraverso la fessura sulla giuntura del portale ora sbloccato, che si spalancò con una ventata di aria sorprendentemente fresca.

Per quanto Quint volesse correre dentro e assaporare il brivido della scoperta, lasciò che fosse Huatli la prima ad entrare, con gli altri guerrieri al suo fianco. Camminarono in un grosso tunnel, scavato abbastanza largo da poter contenere una decina di persone. Il passaggio era leggermente inclinato verso il basso, eppure quando Quint camminava, aveva la buffa sensazione che tutto intorno a lui si spostasse, proprio come quando compiva un viaggio planare. Continuò a scendere, con la strada ripida ma mai troppo da essere inagibile… finché non raggiunse un ampio cerchio di pietre simile a un pozzo, probabilmente dello stesso diametro del tunnel stesso. Huatli si fermò sul bordo del pozzo e sussultò. Gli altri si raggrupparono subito intorno a lei per vedere.

“Questo è impossibile” disse Huatli.

“Incredibile” aggiunse Inti.

“Straordinario” mormorò Caparocti.

Wayta si limitò a sbattere lentamente il suo unico occhio visibile.

Si trovavano di fronte ad un cerchio di cielo cosparso di nuvole. La porta li aveva riportati in superficie? Ma no, erano nei profondi recessi della terra, e il tunnel si inclinava verso il basso.

Apparvero delle ombre ai lati dell’apertura. Persone, che allungavano il collo oltre il confine del pozzo, guardando in basso verso Huatli e gli altri.

“Trovate Anim Pakal” disse uno di loro, con una voce più preoccupata che sorpresa. “Qualcuno ha aperto il sigillo.”

Malcolm[]

Con le corde dell’ascensore tagliate, Malcolm dovette volare pian piano verso il basso da un livello al successivo. A volte trasportava anche Braghe, mentre altre volte il goblin sfruttava le pareti grezze per calarsi giù, fermandosi a riposare quando si sentivano troppo stanchi. Il disturbante bagliore verde dei funghi illuminava il loro cammino insieme alle lampade da spalla, ed entrambi continuavano ad indossare le proprie maschere improvvisate per paura di respirare qualsiasi spora avesse infettato i loro compagni.

Infine, trovarono l’ascensore, danneggiato ma praticamente intatto, appoggiato in cima ad una distesa di funghi che si estendeva fino al centro del cenote come fosse un macabro palco. Non trovarono alcun cadavere, né alcun segno dei caduti, oltre alla bile nera che gli infetti avevano riversato sulla piattaforma di legno.

Eppure, il fondo della cavità ancora non riusciva a vedersi.

Malcolm perse traccia del tempo, con minuti che si trasformavano in ore intere. Da qualche parte, molto più in alto, il sole sorse e tramontò. Ma giù nell’oscurità, solo la stanchezza, la fame e la sete indicavano l’assenza delle tipiche abitudini quotidiane.

Una flebile luce sotto di loro aumentò gradualmente di intensità, finché infine non raggiunsero la fine della loro discesa apparentemente infinita. Un tunnel sulla sinistra si illuminò quando il bagliore attorno a loro svanì, come se qualcosa li stesse guidando. O attirando.

Braghe bofonchiò: “BRUTTI FUNGHI.”

“L’hai detto, amico” concordò Malcolm.

Seguirono il bagliore attraverso tunnel scavati in modo approssimativo, ma troppo regolari e ordinati per essere naturali. Più camminavano, più il terrore di Malcolm cresceva. Se fosse stata una trappola, come sarebbero fuggiti? Il cielo era così in alto, e il mare così lontano…

Il tunnel si aprì dentro una grotta abbastanza grande da contenere una città intera, con il soffitto talmente alto che Malcolm avrebbe potuto volare tranquillamente senza mai urtarlo. Davanti a loro si estendeva una foresta fungina, inquietantemente bella, cosparsa di rovine mezze distrutte. Le spore bioluminescenti fluttuavano come piccole lucciole tra quei funghi alti come alberi, con i loro cappucci e steli di tutte le tonalità di verde, dalla più chiara spuma di mare al quasi totalmente nero. Le lamelle vibravano quando Malcolm e Braghe passavano vicino, come se stessero venendo annusati.

Dei suoni ovattati suggerivano che non fossero soli. Lo strascico dei passi, corpi che sfioravano il terreno, alcuni mormorii occasionali. Forse dei sopravvissuti di Città di Sotto? E se fossero stati tutti infetti? Lo stomaco di Malcolm si chiuse dall’orrore.

Raggiunsero una radura, con il terreno ricoperto di cerchi concentrici interconnessi, simili ai segni sulla pelle dei suoi alleati. Malcolm si fermò, attento a non calpestare quelle linee, che assomigliavano ai fili di una ragnatela. Non aveva intenzione di essere catturato come una mosca.

Un eterogeneo gruppo di persone uscì dalla foresta. Non li riconobbe subito, coperti com’erano di funghi come il cadavere che aveva dato il via a quell’indagine. Alcuni erano fiancheggiati da dei funghetti ambulanti con braccia e gambe, simili a delle terrificanti bambole per bambini.

Uno degli umani si fece avanti, con movimenti scattosi e gli occhi sostituiti da dei funghi rotondi. Xavier Sal, il sindaco di Città di Sotto. La speranza di Malcolm di poter trovare dei sopravvissuti svanì non appena l’uomo aprì bocca.

“Noi vi diamo il benvenuto in questo luogo” disse Xavier, senza alcun tono di voce.

“‘Noi’, chi?” chiese Malcolm.

“Noi siamo il Micotiranno.” Xavier fece un gesto indicando dietro di sé, ed un’enorme figura venne improvvisamente illuminata da decine di funghi luminosi.

Il Micotiranno era appeso su una rete circolare di filamenti simili a radici che si allungavano dal terreno fino al soffitto. Il suo corpo, simile a quello di un rospo, era largo e verde con alcuni puntini violetti. Le lamelle erano vestite come un collare. Dei grossi funghi spuntavano dalla sua schiena e alcuni più piccoli dalla sua testa e, nonostante non avesse le gambe, due spesse braccia terminavano con terribili artigli. Sopra le sue fauci aperte senza labbra e irte di denti simili a spine, degli occhi rotondi brillavano di verde, e osservavano Malcolm e Braghe con malevolo interesse.

“Noi ti conosciamo, Malcolm Lee” disse Xavier. “Così come la tua missione, grazie ai tuoi vecchi compagni.”

“Sono qui?” chiese Malcolm, terrorizzato dalla risposta.

“Sì” rispose Xavier. “Sono stati incorporati nella nostra colonia, come coloro che un tempo abitavano nel luogo che tu chiami Città di Sotto.”

Malcolm si inquietò. “Incorporati, come…?”

“Noi siamo uno” dissero tutti gli umani inquietantemente all’unisono.

Malcolm aveva visto alberi fatti cadere da dei funghi, con i tronchi marciti dall’interno. Visto ciò che era accaduto alla sua gente, i dinosauri che avevano combattuto, e quello che stava vedendo in quel momento, poteva assumere che anche loro stessero per subire un simile destino.

Guardò oltre Xavier, puntando il Micotiranno, avvolto dalla luce fungina. “Cos’è che vuoi?” chiese Malcolm. “Gemme? Denaro? Cibo?”

Il Micotiranno produsse una nuvola di spore, simile ad una silenziosa risata. La bocca di Xavier si deformò in una smorfia che replicava i movimenti del suo burattinaio.

“Ogni cosa.”

Amalia[]

La porta dorata, l’immagine che stava tormentando Amalia da settimane, era aperta di fronte a lei. Non poteva fare a meno di sentirsi emozionata e, al contempo, profondamente turbata dalla sua preveggenza che si rivelò veritiera ancora una volta. Con Kellan al seguito, seguì l’ammasso di persone attraverso un tunnel, sbucando nel luogo incredibile che aveva visto nelle sue visioni.

Un vasto panorama si estendeva davanti, sopra e tutt’intorno a lei quando oltrepassò il portale. In lontananza la terra era ricoperta di sgargianti praterie, delle strane creature pelose dal lungo collo pascolavano e gli uccelli sfrecciavano in aria, soli o in stormi. Ma la terra, invece che sparire all’orizzonte, curvava verso l’alto. Amalia ebbe la sconcertante sensazione di trovarsi all’interno di un enorme globo inverso.

Al centro di tutto, fluttuava uno strano sole, così vicino che Amalia immaginò di raggiungerlo se avesse avuto il potere di volare. Illuminava metà della terra, mentre le altre parti venivano avvolte dalle ombre a causa dei pezzi metallici che ruotavano intorno ad esso. Una coda di altri frammenti di metallo si allungava più lontano, con una brillantezza leggermente rosata. Aveva previsto anche quell’oggetto, e tremò al pensiero di quali altri luoghi potessero esserle mostrati in futuro.

“È veramente incredibile” disse Kellan. “È questo ciò che stavate cercando?”

Amalia alzò le spalle con impotenza. “Non lo so. Non sono mai stata qui.”

Alla loro sinistra, una piramide si innalzava su diversi piani, con un grande disco circondato da punte in cima, simile a quelli dell’Impero del Sole. Attorno ad essa erano sparsi edifici più bassi, e le persone si riversarono fuori da essi. Vestivano poncho e khipu come lo spirito che l’archeologo aveva chiamato Abuelo, e brandivano armi dalla lama rosa e bastoni con magia che inviava impulsi vibranti nell’aria. Tra i loro ranghi, scorrazzavano delle creature più piccole, i cui corpi segmentati erano composti di diverse tipologie di metallo. Ognuno aveva un solo occhio brillante di colori che andavano dal rosso, al verde, al viola e oltre. Degli spiriti fluttuanti si unirono a loro, alcuni umanoidi con volti riconoscibili, altri che sembravano più animali o sbuffi non definiti di nebbia azzurrina.

Amalia strinse gli occhi, guardando lo strano sole, con quei puntini neri che vagavano attorno ad esso come uccelli. Alcuni di questi si spostarono in una formazione a forma di freccia e si avvicinarono. Altri guerrieri, sul dorso di grossi pipistrelli che vestivano un’armatura proprio come i dinosauri volanti dell’Impero del Sole. Qualcosa riguardo i pipistrelli la fece rabbrividire e, come in risposta a quella sensazione, la voce delle sue visioni ritornò.

Vieni a me…

Ora sembrava più chiara, più forte. Amalia lanciò un’occhiata a Vitor. Le labbra di lui si allargarono in un sorriso fanatico quando rivolse lo sguardo al cielo.

Bartolomé le toccò il braccio, e Amalia fece uno scatto. “Stai bene?” chiese lui.

“Sono solo sopraffatta” disse lei. Non aveva mai mentito così tanto in vita sua come aveva fatto durante quel viaggio.

Kellan fischiò quando notò le creature volanti in avvicinamento. “Suppongo non abbiate la minima idea di cosa stia succedendo, vero?”

Amalia sorrise imbarazzata. “Temo di no” disse lei. “Spero vivamente che presto lo scopriremo.”

“Fintanto che non ci lanceranno dentro delle altre sabbie mobili” disse Kellan, “suppongo che potremmo considerarlo un miglioramento.”

Una delle cavalca-pipistrello atterrò, e Bartolomé si spostò più vicino alla folla che si era radunata attorno a lei. Amalia lo seguì, con Kellan al proprio fianco, volendo sapere cosa stesse accadendo.

Gli scuri capelli della donna erano legati da una fascia simile a una corona, il suo khipu e la cintura erano decorati con le stesse pietre rosa utilizzate nelle armi. Una delle strane creature meccaniche la seguiva come un bimbo.

“Il mio nome è Anim Pakal” disse lei. “Sono al comando delle Mille Lune. Chi siete tutti voi, e come avete fatto ad aprire il sigillo a Matzalantli?”

Lo spirito Abuelo volò in avanti. “Li ho aiutati io” disse. “Mi venne fornita la chiave per entrare quando la porta venne sigillata, nella speranza che potessimo tornare quando il Micotiranno fosse stato sconfitto.”

Anim inclinò la testa verso di lui. “Onorevole Eco, ti diamo il benvenuto. Ciò significa che Topizielo ora è al sicuro?”

Abuelo scosse la testa. “No, e nemmeno Oteclan e il resto del Nucleo. Il Micotiranno è diventato più potente invece di sparire. Il piano di isolarsi e sconfiggerlo è fallito.”

“Allora perché hai aperto la porta?” chiese Anim. “Hai condotto a noi la rovina.”

“La rovina vi avrebbe trovati addormentati nei vostri letti” rispose Abuelo, con un gesto brusco. “Ora potrete prepararvi.”

“Le Mille Lune non dormono” disse Anim. “Questa guarnigione ha fatto la guardia alla porta a Matzalantli da quando venne chiusa ai tempi dei nostri antenati. Sarebbe rimasta chiusa, e noi saremmo rimasti al sicuro, se tu non l’avessi aperta.”

A quel punto si fece avanti la poetessa guerriera, piegando la testa con fare rispettoso. “Prima o poi avremmo trovato un modo per entrare… se non attraverso questa porta, tramite altri mezzi. Il nostro popolo ha iniziato a scavare miniere che vanno sempre più in profondità nella terra, così come altri.”

“Ha ragione” disse Bartolomé, ignorando l’occhiataccia di Vitor. “L’Alleanza di Bronzo, ad esempio, ha un’intera città sotterranea dedicata agli scavi.”

La Plasmatrice Pashona aggiunse “Noi eravamo convinti di trovare la Sorgente oltre la porta. Anche noi avremmo fatto tutto il possibile per sbloccarla. L’ignoranza può fornire una forma di sicurezza, ma può anche condurre a cattive scelte.”

E quanto bene lo sapeva Amalia. Se avesse capito prima cos’avrebbe significato quel viaggio per lei, se ne sarebbe rimasta a casa. Ma no, quello era un pensiero disonesto. Aveva imparato così tanto, e le sue mappe sarebbero state molto preziose per il suo popolo, se fosse mai riuscita a tornare a Torrezon.

Anim lanciò un’occhiata al gruppo con il mento alzato imperiosamente, poi fissò lo sguardo sulla poetessa guerriera. “Fate parte dei Komon?” chiese.

“Facciamo parte dell’Impero del Sole” disse la donna, indicando il resto dei suoi compagni e i loro dinosauri. “Io mi chiamo Huatli. Chi sono i Komon?”

“Rispetto a me, un didatta saprebbe dirti di più” disse Anim. “I Komon sono i nostri antenati che abbandonarono il Nucleo per esplorare Topizielo. Finché le porte non vennero sigillate, commerciavamo regolarmente, ma da allora non li abbiamo più visti.”

Il lossodonte, Quintorius, si schiarì la gola educatamente. “Forse i Komon riuscirono a raggiungere la superficie? Spiegherebbe la somiglianza tra i glifi usati dall’Impero del Sole e, bè, i vostri, se siete coloro che hanno costruito la porta.”

L’interruzione portò ad uno scambio di presentazioni più completo: prima lui e tutti i membri dell’Impero del Sole, poi gli Araldi del Fiume. Amalia fece fatica a prestare attenzione mentre rimuginava sulle implicazioni della loro discussione. Se l’Impero del Sole discendeva da quel popolo, cosa significava quel luogo all’interno del piano? Forse anche il suo popolo un tempo abitava questi campi e queste colline, o sfrecciava nei cieli sui pipistrelli. Spiegherebbe il motivo per cui la ricerca del loro dio li avesse condotti fin lì.

Anim alzò lo sguardo verso altri cavalca-pipistrelli in arrivo. “Abbiamo dato notizia del vostro arrivo a Oteclan. Tra poco giungerà Akal Pakal per dare il benvenuto ai nostri lontani cugini, se siete effettivamente tali.”

L’uomo di nome Inti si inchinò e disse: “Vi offriamo la forza del nostro popolo in cambio della vostra ospitalità. Non vediamo l’ora di poter commerciare e migliorare i legami che ci uniscono.”

L’espressione di Huatli venne attraversata da un’ombra, ma prima che potesse parlare, Anim si avvicinò a Vitor, che si ergeva rigidamente in piedi di fianco a Clavileño.

“Non ci siamo presentati” disse Anim. “Mi scuso per la svista.”

Vitor inclinò freddamente la testa, ma non disse nulla.

Bartolomé fece di nuovo da intermediario. “Siamo umili esploratori della Compagnia di Baia Regina” disse, con un inchino educato.

“Sono vampiri” gridò un soldato dell’Impero del Sole.

Il cambio di atteggiamento di Anim Pakal fu immediato. La magia crepitò tra le sue dita e danzò sulle sue braccia mentre evocava uno scudo lucente tra lei e Vitor. Gli Oltec circondarono i membri della Legione, estraendo le armi e manifestando altra magia crepitante nell’aria.

“Gli adoratori del Grande Traditore non sono i benvenuti qui” disse freddamente Anim. “Imprigionateli.”

“Di nuovo?” si lamentò Kellan. Amalia era dello stesso avviso, ma se combattere i Malamet era stato avventato, attaccare gli Oltec sarebbe stato un suicidio.

Vitor sembrò volesse protestare, poi i suoi occhi si persero nel vuoto, stringendo il braccio di Clavileño. “Tutto procede secondo la sua volontà” disse.

Amalia sussultò, aspettandosi che i duri sussurri di Aclazotz riecheggiassero nuovamente nella propria mente, ma non udì nulla. Forse era meglio così.

Le ombre dei cavalca-pipistrelli giunsero sui vampiri e vennero portati via, nelle profondità della guarnigione, lontani dalla luce di quello strano sole coperto da un guscio.

Wayta[]

Il contingente dell’Impero del Sole si sedette in una sala da pranzo all’interno della guarnigione, assaggiando il delizioso cibo locale. Dopo giorni di razioni da viaggio, Wayta si concesse qualche sfizio. Non poteva sapere quando sarebbe stato il prossimo vero pasto; darsi un limite era da sciocchi.

Uno degli Oltec si avvicinò a Huatli. “L’attendente è arrivata. La Millesima Luna mi ha mandato per guidarvi.”

“Ti ringraziamo” rispose Huatli, lanciando l’ultima porzione del suo cibo a Pantlaza e dirigendosi verso la porta.

Inti e Caparocti la fiancheggiarono, mentre gli altri guerrieri li seguirono. Wayta aspettò che Quint finisse di riempire una delle sue molte tasche di frutta prima di scortarlo fuori.

Akal Pakal, attendente degli Oltec, li attendeva in un edificio dipinto di colori sgargianti e decorato con un emblema del sole sul tetto. Vestiva diversi strati di vesti cerimoniali, con sfumature di blu, verde e oro interconnesse da intricati disegni geometrici. Dal suo collo pendevano dei grandi dischi dorati, e sulla testa era posto un alto copricapo inciso di glifi. Wayta non riusciva a immaginare cosa significasse trasportare tutto quel peso, ma forse non era molto diverso rispetto al proprio elmo e armatura.

“Siate i benvenuti” disse l’Attendente Pakal, con la voce calda e rauca per l’età. “Ho ascoltato alcune delle vostre storie da mia sorella Anim, e non vedo l’ora di sentirne altre. Prima, però, dovremmo discutere della presenza di bevitori di sangue tra le vostre fila.”

“Non sono nostri alleati” disse Huatli. “Siamo stati in guerra contro di loro, ma quando Ixalan fu invaso dai Phyrexiani, un popolo di un altro piano, quella lotta ebbe la precedenza. Dopo così tanta violenza, spero che la via innanzi a noi sia pacifica, e accetteremmo qualsiasi aiuto possiate fornirci mentre tentiamo di ricostruire.”

“Oppure” intervenne Inti, “potreste aiutarci a liberarci dei vampiri proprio ora.”

“Inti, ne abbiamo già discusso” disse Huatli, con un tono affezionato ma esasperato.

“E l’imperatore ne ha discusso con noi” aggiunse Caparocti. “Torrezon è stata indebolita dall’invasione e dalle lotte interne. I vivi si oppongono ai loro signori vampirici ora più che mai, l’Alleanza di Bronzo li assalta di continuo quando è per loro redditizio e gli orchi sulla costa occidentale non sono mai stati amichevoli. Ora è il momento perfetto per colpire.”

“È meglio lavorare insieme per occuparsi delle nostre terre e ricostruire ciò che è stato perduto” disse Huatli, “piuttosto che morire su coste straniere.”

“Meglio sfruttare questo vantaggio prima che la morte arrivi da noi” controbatté Inti.

Wayta aveva già sentito abbastanza quel discorso quando combatté a Toxatli durante la guerra. Rimanere in un posto ed erigere delle fortificazioni o rimanere mobili per essere più difficili da colpire? Ritirarsi e diminuire l’uso delle risorse, o spingere l’offensiva per scalzare il nemico? Mantenere accessibili le linee di rifornimento e rischiare una morte rapida, o lasciarle collassare e rischiare di morire di fame? Alcuni comandanti erano più attenti di altri, alcuni avevano più sete di gloria e potere. Questi ultimi, aveva scoperto, non vedevano l’ora di sacrificare le vite degli altri guerrieri in cambio della sicurezza dei propri rifugi pieni di ricchezze.

I soldati semplici soffrirono anche all’indomani della guerra, nonostante i loro sacrifici. Chi aveva ottenuto potere attraverso la violenza non era disposto a cederlo facilmente, utilizzandolo per sfruttare i deboli e aumentare la propria influenza. La sua frustrazione l’aveva condotta verso l’Alleanza di Bronzo, e poi nuovamente all’Impero del Sole, ma si chiese se ci fosse un qualsiasi luogo su tutto Ixalan dove quegli stessi problemi non la rincorressero.

Wayta camminò verso Quint, che si trovava in disparte insieme ad Abuelo, impegnati in una discussione. Le mani di Abuelo continuavano a muoversi, mentre Quint annuiva e prendeva appunti.

“Devi essere legato al poncho” disse Quint. “È ciò che ho utilizzato per evocarti.”

Abuelo abbassò lo sguardo verso i propri vestiti. “Non è proprio conveniente, ma sono contento di apparire così definito. Alcuni Echi sono degli sbuffi, mentre altri sono mostri cambiati dai loro legami.”

Forse quelle persone mostravano la loro vera forma nella morte, pensò Wayta.

“C’è un Eco legato a questo?” chiese Quint, tirando fuori il khipu che li aveva aiutati ad aprire la porta dorata.

Abuelo passò con le sue dita spettrali i fili. “Lo spero” disse lui. “Questo era di Abuela.”

“Tua moglie?” chiese Wayta.

“Sì.” Abuelo sorrise con malinconia. “Riusciva a far crescere ogni cosa. Fiori, frutti… Spine quando doveva farlo. Era impetuosa.”

Sentir parlare di fiori fece venire in mente a Wayta una poesia che aveva composto, dopo un’altra battaglia simile a tante altre:

Non abbiamo salvato i boccioli Calpestati nel fango dai nostri stivali Così abbiamo piantato semi insanguinati Nelle bocche aperte delle nostre ferite Sperando che i dorati fiori della morte Crescessero dalle nostre basse tombe

Nulla all’altezza di ciò che creava la poetessa guerriera, pensò Wayta. Ma Huatli una volta le aveva detto che le poesie dovrebbero essere oneste.

Quint usò le mani e la proboscide per distendere il khipu ed esaminarlo. “Forse possiamo riportarla indietro, come ho riportato indietro te.”

“Dando per scontato che sia un Eco” disse Abuelo. “Potrebbe essere semplicemente passata oltre.”

Quint allargò leggermente le sue orecchie. “Allora scopriamolo, che dici?”

Wayta si allontanò nuovamente come un petalo nel vento, osservando il pacifico panorama con il dolore che stava accumulandosi nel petto. Con lei c’erano i suoi fantasmi, echi di tipo diverso. Un’occhiata le fece capire che l’attendente e il suo popolo erano ancora nel pieno della discussione. Avrebbero forgiato un’alleanza? Avrebbe portato alla guerra che voleva l’imperatore? E se l’avesse fatto, quali semi avrebbe piantato Wayta?

Malcolm[]

Gli abitanti di Città di Sotto infestati dai funghi circondarono Malcolm, che non si stava muovendo, non stava nemmeno respirando. Chi aveva ancora gli occhi lo stava fissando, e chi non ce li aveva puntava le orbite vuote o dei funghi rotondi nella sua direzione.

Tutti morti. Aveva sperato di salvarli, di portare fuori da quel buio profondo dei sopravvissuti, ma l’unica cosa che poteva fare in quel momento era raccogliere informazioni e cercare di tornare all’Alleanza di Bronzo vivo per consegnarle.

“Sei stato tu a fare questo alla nostra gente?” chiese Malcolm all’enorme figura del Micotiranno sopra di lui.

Ciò che era rimasto del sindaco rispose. “Avete scavato attraverso pietra, minerale e vene di cristallo lucente finché uno di voi non ci trovò. Volevamo sapere di più su di voi.”

“E non era sufficiente chiedere?”

“Unirsi è chiedere, e anche sapere.”

Le piume di Malcolm si arruffarono. “Uccidere, vorrai dire.”

La testa di Xavier si mosse con un movimento quasi umano. “Noi non uccidiamo. Noi cambiamo. Noi ci diffondiamo. Dove c’è uno di noi, ci sono tutti noi.”

Nella mente di Malcolm apparve brevemente l’immagine del corpo vicino a Baia Raggio di Sole. O questa creatura non conosceva il concetto di morte, o non capiva di star uccidendo i suoi ospiti quando… cosa stava facendo, esattamente? Controllava le loro menti? Li consumava? Li assimilava dentro di sé?

“Da dove vieni?” chiese Malcolm.

“Da qui” rispose Xavier. “Noi siamo sempre esistiti. Abbiamo osservato e siamo cresciuti. Abbiamo visto gli Oltec e i loro dèi camminare per il Nucleo prima che ce ne privassero. Eravamo qui quando i Komon Winaq costruirono città e quando le loro ossa arricchirono il suolo. Abbiamo commerciato con i Malamet e i goblin delle Profondità, e riunito conoscenza da tutta la carne che ci ha trovati.”

Malcolm non aveva idea di cosa significasse tutto quello, ma sembrava ammirevole. E preoccupante. Il fatto che avesse accennato al commercio, tuttavia, fu la prima cosa promettente che aveva sentito fino a quel momento.

“Forse possiamo trovare un accordo” disse Malcolm. “C’è qualcosa di specifico che la mia gente potrebbe riuscire ad offrirti?”

“ORO?” chiese Braghe. “GEMME?”

I brillanti occhi verdi della creatura sospesa si illuminarono.

“Noi vogliamo… il sole” disse Xavier.

“Il sole” ripeterono le persone infette.

“È da diverse ere che ci è stata negata la luce di Chimil” continuò Xavier. “Voi in superficie avete un altro sole, e noi lo avremo.”

Non si può avere un sole, pensò Malcolm, ma lo tenne per sé quando realizzò il pieno potenziale di ciò che aveva detto il Micotiranno. Se quella creatura avesse raggiunto la superficie, in base a quanto velocemente si fosse diffuso, avrebbe presto consumato tutta Baia Raggio di Sole. Forse persino tutto Ixalan.

L’oro e le gemme perse, come continuava a lamentarsi Braghe, erano assolutamente l’ultima delle loro preoccupazioni. Malcolm scrutò la foresta fungina intorno a lui, arrivando all’alto soffitto della caverna, e le sue stalagmiti e stalattiti coperte di muffa luminescente. Ripensò ai tunnel attraverso i quali lui e Braghe erano passati per arrivare fin lì, alla distanza dal fondo della miniera nel cenote di Città di Sotto fino alla superficie.

Come avrebbero realisticamente potuto lui e Braghe fuggire da quel luogo vivi?

Amalia[]

Gli Oltec non avevano prigioni come quelle a Torrezon, che Amalia aveva sentito dire fossero dei terribili posti malsani pieni di morte e malattie. Loro avevano delle stanze di detenzione temporanee, secondo la guardia che aveva risposto controvoglia alle domande di Bartolomé. Le persone non venivano messe in prigione come punizione… quel concetto sembrò allibire l’uomo.

Ma anche in quel modo, i vampiri della Legione e i loro pochi servitori rimasti erano rinchiusi in stanze vuote, con le armi confiscate, e lasciati lì ad attendere il loro destino. Bartolomé riuscì a fare in modo che lui, Amalia e Kellan fossero insieme. Lui stava camminando avanti e indietro, Amalia si sedette sul pavimento e Kellan guardava fuori dalla piccola finestra, distogliendo lo sguardo ogni tanto con espressione turbata. La mappa di Amalia non era stata presa, quindi utilizzò la sua magia del sangue per esplorare la zona limitrofa, riempiendo la pagina.

Dalla stanza di fianco alla loro si alzò la voce di Vitor. “Il momento della nostra salvezza è vicino. Le parole del Venerabile Tarrian mi hanno guidato a questo, alla nostra destinazione, e presto verremo redenti.”

Seguirono degli ovattati suoni di approvazione. Bartolomé scosse la testa dallo sconforto e continuò a camminare, avanti e indietro, con le mani strette l’un l’altra dietro di lui.

“Quindi” disse Kellan, a bassa voce. “Voi siete vampiri?”

Bartolomé si fermò. “Cosa sai dei vampiri?” chiese lui.

Kel alzò le spalle. “Uccidono persone innocenti e bevono il loro sangue, non necessariamente in quest’ordine.”

“Non è ciò che predica la nostra chiesa” disse Amalia, con un’indignazione virtuosa che iniziò ad accumularsi dentro di sé. “Ci nutriamo solo di criminali, persone malvagie, e utilizziamo il potere del sangue per aiutare il prossimo.”

“Chi decide chi è un criminale?” chiese Kellan, facendo un cenno alla stanza. “Ora come ora, siamo noi i criminali.”

“Ci sarà giustizia” disse Amalia, ma la sua convinzione vacillò. Non aveva mai considerato il fatto che le persone consegnate in prigione a Torrezon potessero essere innocenti. La chiesa non lo permetterebbe mai.

Vero?

Vitor alzò la voce: “Nostra è la promessa di eternità, battezzata nel sangue e santificata da Aclazotz, che ci attende qui, oltre queste porte.”

Bartolomé sospirò. “Alcuni di noi non seguono completamente la morale abbracciata dalla chiesa.”

Amalia sapeva che non si stava riferendo solamente a Vitor. Aveva udito le voci riguardo Vona de Iedo e altri eretici. Ma forse non erano quelli che intendeva Bartolomé?

“Hai detto di essere giunto qui attraverso un portale magico” disse Amalia, che voleva cambiare argomento. “Perché sei andato via da casa?”

Kellan tornò a guardare fuori dalla finestra. “Sto cercando mio padre” disse.

“Cosa gli è accaduto?” chiese Bartolomé.

“Non lo so” disse Kellan.

“Cosa farai quando riuscirai a trovarlo?” chiese Amalia.

“Dipende” rimuginò Kellan. “Non l’ho mai incontrato, a dire il vero.”

“Allora perché lo vuoi trovare?” chiese Bartolomé, con curiosità.

Negli occhi castani di Kellan si innescò una scintilla dorata. “Devo conoscere più cose su me stesso. Su chi sono.”

Amalia comprendeva quella sensazione fin troppo bene.

“Io sospetto” disse Bartolomé, posando una mano sulla spalla di Kellan, “che tu riesca a trovare tuo padre o meno, ti conoscerai piuttosto bene alla fine della tua missione.”

“Potresti avere ragione.” Kel ridacchiò. “Ad esempio, so già che sono stufo di farmi salvare ed imprigionare.”

Bartolomé puntò il mento verso Amalia. “La sua magia potrebbe farci uscire in qualunque momento, ma dove possiamo andare? Siamo circondati da nemici, e la superficie è troppo in alto per noi.”

Aveva ragione. Lei avrebbe potuto usare la sua magia per riscrivere la mappa, come aveva fatto in precedenza. Ma poi?

“Osservate” disse Vitor. “Il potere di Aclazotz!”

La luce inclinata che filtrava attraverso la finestra si affievolì e scomparve, sostituita da uno sbuffo di nebbia. Amalia si alzò e sbirciò fuori. Una nebbia magica aveva ricoperto l’edificio, così densa che la sua mano sarebbe sparita se l’avesse allungata oltre l’apertura. Il suo popolo poteva farlo, lo faceva frequentemente in battaglia, ma perché in quel momento?

In un’altra stanza, un grido soffocato terminò in un gorgoglio. Una supplica sottovoce terminò con un colpo disgustoso. Quando l’odore del sangue la raggiunse, Amalia temette il peggio. I soldati della Legione non si erano nutriti abbastanza da quando iniziarono la discesa, e i loro servitori umani erano diminuiti tra il deserto e i Malamet. Le tipiche regole e tradizioni potrebbero non tenere sotto controllo coloro che si erano già preparati a commettere atrocità in nome di dio.

La voce di Vitor riempì nuovamente il silenzio. “Seguitemi, figli dell’ombra. Ora è il momento di reclamare il nostro potere.”

Il suono del legno spezzato terminò le sue parole. Dov’erano le guardie? Ingoiate dalla foschia? Amalia si posizionò di fronte a Kel, che protestò e si spostò al suo fianco. Bartolomé si trovava tra loro e la porta.

“Amalia” disse Bartolomé, “se mi succede qualcosa, devi tornare dalla Regina Miralda. Raccontale tutto.” Le diede un’occhiata, voltandosi. “Promettimelo.”

“Lo giuro” disse Amalia, con voce roca.

La porta venne strappata dai cardini e lanciata di lato. Clavileño osservava selvaggiamente Bartolomé, poi si spostò lateralmente per permettere a Vitor di entrare. Un’impronta di mano scarlatta macchiava la parte frontale della sua armatura, e i suoi occhi erano ardenti… se di fervore religioso o di sete, Amalia non poteva saperlo.

“Aclazotz richiede un sacrificio” disse Vitor. Il suo tono tranquillo non si adattava alla sua espressione e al sangue che macchiava la sua bocca.

“Ha avuto abbastanza sacrifici” ribatté Bartolomé.

“Il sangue dello straniero sarà sufficiente” continuò Vitor, posando lo sguardo su Kellan, oltre Bartolomé. “Lo porteremo ad Aclazotz, che ci ricompenserà con potere inenarrabile e porterà nuovamente l’oscurità in questo luogo protetto.”

Lo sguardo di Bartolomé scattò verso Kellan, poi si posò su Amalia. L’espressione di lui cambiò, spalancando gli occhi e stringendo la mascella.

Scappate, le disse, muovendo solo le labbra.

Erano incredibilmente lontani da Torrezon, circondati dai guerrieri Oltec. Ma forse, dopo ciò che era accaduto, lei e gli estranei avevano un nemico in comune.

Amalia sollevò la sua penna sulla mappa. Con un segno sulla pergamena, avrebbero potuto essere liberi.

Bartolomé balzò verso Vitor, mostrando gli artigli nelle mani e le zanne in bocca. Lottarono, bloccando la soglia così che Clavileño e gli altri soldati non potessero intervenire.

Di fianco ad Amalia, Kellan staccò le sue impugnature di legno dalla cintura. Una luce dorata divampò da esse, solidificandosi in una coppia di spade scintillanti.

Vitor avvolse un braccio attorno alla testa di Bartolomé e fece uno scatto, con un terribile schiocco che riecheggiò nella piccola stanza. Lasciò cadere il corpo e lo guardò dall’alto con manifesto disprezzo.

Amalia soffocò un singhiozzo mentre stabilizzava la sua mano tremante. Abbassò la penna e la spostò delicatamente sul lato dell’edificio nella mappa, cancellando la linea.

Il muro dietro di lei sparì. La nebbia si riversò all’interno, inghiottendo tutti i presenti. Kellan era l’unico ancora visibile, grazie alle sue spade.

“Scappa” disse Amalia, afferrando il braccio di Kellan. La luce delle sue armi svanì mentre fuggivano, sparendo nella semi-oscurità, con la paura che la faceva correre come se avesse avuto il mastino di un paladino alle calcagna.

Racconto successivo: The Lost Caverns of Ixalan Episode 5

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