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The Lost Caverns of Ixalan Episode 1 è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Valerie Valdes e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 20 ottobre 2023. Racconta parte della storia di Quintorius Kand, Huatli, Saheeli Rai e altri personaggi di Ixalan dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia.

Racconto precedente: Episode 5: Broken Oaths

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Storia[]

Quint[]

Quando Quint viaggiò tra i piani da un corridoio di pietra debolmente illuminato al sole splendente lievemente schermato dalle foglie, il calore lo colpì come un panno umido. Gli ricordava la Palude delle Punizioni, ma almeno in quel luogo il terreno non era fangoso e i fiori simili a campanule sui viticci che avvolgevano gli alberi avevano un odore piacevole e non cadaverico. Si guardò intorno lentamente, esaminando i dintorni con interesse finché non capitò in mezzo ad un nugolo di insettini. Dopodiché, iniziò a sputacchiare e agitare la proboscide tutt’intorno, inciampando su una roccia e finendo con un ginocchio a terra.

Goffo come sempre, si rimproverò. Non l’aveva visto nessuno, perlomeno.

Eccetto che, sfortunatamente, qualcosa lo aveva visto. Lui alzò lo sguardo e si ritrovò pericolosamente vicino ad una bocca piena di curvi denti aguzzi. Appartenevano ad una creatura bipede ricoperta di piume sgargianti, e i suoi artigli affilati stavano scavando dei solchi nel terreno. Il battito del suo cuore accelerò per la paura e per la meraviglia. Principalmente per la paura. Quello, presumibilmente, era uno dei famigerati dinosauri di Ixalan.

Hulking RaptorART1

Con un suono a metà via tra un ruggito e uno stridio, balzò verso di lui.

Quint lo evitò spostandosi di lato, atterrando di fronte ad un altro dinosauro. Erano abbastanza intelligenti da averlo fiancheggiato. Non procedeva bene.

Una terza creatura più grande si unì agli altri. Iniziarono a camminare in cerchio, con i loro piccoli occhi che seguivano ogni fremito della sua proboscide. Forse avrebbe potuto usare la sua magia per far cadere un ramo su di loro, o per farli scontrare l’uno con l’altro. Iniziò a disegnare un sigillo a mezz’aria per allontanarli. Prima che potesse completare la magia, i dinosauri si bloccarono, guardando alla sua sinistra.

Arrivò qualcuno da una struttura di pietra in rovina. Pelle abbronzata e capelli scuri tirati indietro per lasciare spazio ad un viso che lui vide di profilo. Le braccia muscolose, i bracciali e la spada inserita nella sua cintura suggerivano che fosse una guerriera, mentre la sua pelle liscia indicava che fosse una giovane… non più di un’adolescente, una ventina d’anni al massimo.

Pantlaza, vieni” disse lei. Il terzo dinosauro trottò obbediente al suo fianco, nonostante fosse alto quasi quanto lei. Con un gesto della mano, congedò gli altri come se fossero animaletti addestrati, che sparirono nella giungla. La ragazza si mise di fronte a lui. Uno dei suoi occhi marroni era coperto da un disco di metallo, simile ad una benda per occhi. “Tu sei Quintorius Kand?” chiese lei.

“Sì, sono io” rispose Quint, volgendo lo sguardo verso le rovine ricoperte di viticci. Una piramide? Quella era pietra calcarea? Con grande sforzo, diresse nuovamente l’attenzione alla sua salvatrice. “Chiamami Quint. Grazie per l’aiuto. E tu saresti?”

“Mi chiamo Wayta” disse lei. “La poetessa guerriera ci ha detto che saresti venuto.”

“Non vedo l’ora di incontrarla” disse Quint, facendosi aria al viso con le orecchie. Ixalan era una sauna in confronto al caldo secco di Piccorupe. “Tutti i nuovi arrivati vengono accolti da un comitato di benvenuto di dinosauri?”

“No” disse lei. “Ci sono estranei che appaiono in strani luoghi, quindi abbiamo aumentato le pattuglie. Non si è mai troppo attenti dopo la guerra.”

“Comprensibile.” Quint iniziò a camminare verso le rovine. “Questa è Orazca? Dalle descrizioni di Saheeli, mi sarei aspettato più oro.”

Wayta seguì lo sguardo di lui. “Quella non è Orazca. Da questa parte.”

Quint la seguì. Attraverso uno spazio tra gli alberi, la luce del sole era riflessa dal metallo. Lui si mosse verso la luce, coprendosi gli occhi mentre attraversava la barriera di fogliame, e vide tutta l’accecante lucentezza della città dorata nella valle sottostante. Le guglie si estendevano nel cielo blu come spilli, strade e lucidi edifici che si diramavano in lontananza e, al centro, un enorme tempio sorgeva come una montagna scintillante.

“Ah” disse Quint. “Sì. È decisamente più oro.” Si strofinò gli occhi, cercando di far sparire le immagini residue. “Non credo tu possa farmi da guida, vero? Sei impegnata? Conosci bene la città?”

“Abbastanza bene” rispose Wayta, incrociando le braccia sul petto.

“Meglio di me, sicuramente” disse Quint.

“Vero.” Wayta si lasciò sfuggire un sorriso. “Ti fidi facilmente.”

“Non hai lasciato che i dinosauri avessero un lossodonte per pranzo” disse Quint. “Per me è più che sufficiente.”

Discesero il lato della collina fino a raggiungere l’arco che torreggiava sulle porte della città. Persone, carretti e dinosauri si facevano largo per avere un po’ di spazio, osservati da guardie che indossavano elmi d’argento sovrastati da pennacchi simili ad ali e brandivano lance decorate con vivaci piume arancioni. Il largo viale centrale li convogliava in un mercato, con banchetti e coperte disposti in cerchi concentrici che si espandevano a partire da una fontana al centro, alimentata dagli acquedotti. Alcuni sguardi si concentrarono su Quint, ma lui li ignorò mentre seguiva Wayta, esaminando un frutto spinoso rosato in un punto, e delle collane tempestate di gemme in un altro. Era difficile credere che quel luogo fosse stato colpito duramente dalla guerra, ma ne mostrava ancora le ferite, con edifici collassati, mura squarciate e punti colorati in maniera sconnessa nelle strade sotto i suoi stivali.

Raggiunsero l’entrata del palazzo, dove Wayta si consultò con una guardia mentre Quint studiava i disegni sulle mura, con la vernice rossa e bianca che si era sbiadita al passare del tempo. Fu sorpreso di trovare delle raffigurazioni di una sfinge; non aveva compreso che la loro influenza si fosse estesa anche su quel piano. Questa sembrava stesse dando qualcosa ad una figura più piccola, o forse stava ricevendo un dono? Prima che potesse continuare la sua disamina, apparve un’altra guardia che li fece avanzare non all’interno dell’enorme piramide, ma attorno ad essa, verso un edificio senza decorazioni parzialmente danneggiato dalla magia vicino al confine della città. Dei fori provocati dall’acido segnavano la porta, mentre i segni di bruciatura sulle pareti rivelavano le cruente silhouette degli umani probabilmente deceduti che in passato si trovavano in quel punto.

“Da questa parte” disse Wayta, facendogli cenno di precederla.

Wayta, Trainer ProdigyART1

Quint entrò in una stanza spoglia con delle scale sul lato opposto. Risalivano delle voci man mano che scendeva, per poi ritrovarsi in una stanza molto più grande, ricoperta di murali dipinti e bassorilievi di guerrieri che uscivano da una caverna in adorazione di una figura con il glifo di un sole dietro la testa. Sul pavimento erano disposte una serie di tavolette di rame con glifi incisi e intarsiate con giada, vermiglione e gemme: ambra, turchese e quarzo rosa, se non si era sbagliato. Lungo un’altra parete, questa invece decorata con dei guerrieri che combattevano una creatura bipede assurdamente alta, si trovava una porta fatta d’oro, argento e rame alta quanto l’intera stanza, dal pavimento al soffitto. Delle rientranze rettangolari nella porta suggerivano che le tavolette dovevano essere posizionate al loro interno.

Due donne smisero di parlare quando lui entrò. Entrambe dalla pelle bruna, con capelli e occhi scuri, ma le somiglianze si fermavano lì. Saheeli era più alta, con un viso più affilato, e indossava un vestito rosso scuro con degli elaborati gioielli d’oro lavorato, mentre l’altra (presumibilmente Huatli) aveva il portamento di Wayta, quello di una guerriera, e la sua armatura d’argento confermava quella valutazione. Era seduta per terra, circondata dalle tavolette, finché Pantlaza il dinosauro non le corse incontro e la fece cadere, come se fosse un enorme cucciolo impaziente.

“Quint, ce l’hai fatta!” esclamò Saheeli, correndogli a fianco. “Benvenuto a Ixalan. Mi dispiace non essere venuta di persona ad accoglierti, ma le Vie dei Presagi sono meno… flessibili dei viaggi planari. Questa è la mia compagna, Huatli.”

“Un piacere” disse Huatli, cercando di guardarlo oltre la testa del dinosauro. “Speravo che Pantlaza sarebbe stato meno energico dopo un po’ di movimento all’aperto, ma chiaramente mi sbagliavo.”

“Si è divertito a farmi un agguato, almeno” disse Quint. “Grazie per avermi invitato qui, comunque. Quando Saheeli mi disse che avevate trovato delle prove sulla presenza dell’Impero delle Monete, sapevo di dover venire a dare un’occhiata.”

“Hai capito chi sono questi tuoi amici scomparsi in antichità?” chiese Saheeli, toccandogli delicatamente il braccio.

“Non ancora” disse Quint. “Li ho seguiti su diversi piani, ma sono ancora un enigma. L’Impero delle Monete non è nemmeno il loro nome, è solo come li chiamo io…” Non terminò la frase, esaminando le tavolette. “È questo il progetto per il quale avevate bisogno di aiuto?”

“Sì” disse Huatli, sorridendo a Saheeli. “Credo che siano la chiave per aprire questa.” Indicò l’enorme porta. “I glifi formano una poesia, e le parti che ho tradotto suggeriscono che oltre di essa troveremo il luogo di nascita dell’umanità e la dimora degli dei.”

“Un’affermazione di un certo peso” disse Quint, stringendo gli occhi. Gli sfuggì un barrito emozionato mentre puntava una delle tavolette con la proboscide. “Quelle sono le monete! Sono proprio come quelle-”

“Huatli, sei ancora quaggiù? Il sole si dimenticherà del tuo viso se non esci ogni tanto.” Un uomo, muscoloso e in armatura, scese le scale, emanando calma e diletto.

Huatli ridacchiò verso il nuovo arrivato. “Inti, benvenuto” disse lei. “Ti ha mandato una delle tue sorelle perché ho saltato nuovamente un pasto?”

Inti ghignò mentre grattava la cresta sulla testa di Pantlaza. “Ho sentito che il nostro ospite è arrivato e sì, sono venuto a controllare te e Saheeli. Non puoi mangiare delle rocce antiche, per quanto tu abbia la testa dura.”

“Quint, questo è Inti” disse Huatli. “Siniscalco del Sole, cavalca dinosauri, eroe della guerra contro i Phyrexiani.”

“E suo cugino” aggiunse Saheeli.

Quint abbassò la testa educatamente, ma il suo sguardo puntava verso le monete sulle tavolette.

“Prima che tu lo chieda” disse Huatli, alzando una mano, “non ho trovato nulla riguardo armi o magie che possiamo usare contro la Legione del Vespro.”

Quint direzionò una delle sue orecchie verso di lei. Armi? Legione del Vespro?

L’imperatore è sempre più impaziente” disse Inti, la cui voce era improvvisamente diventata attentamente neutrale, come se stesse recitando le parole di qualcun altro. “Chiede nuovamente se la porta può essere aperta utilizzando altri metodi.”

“La vuole sfondare” spiegò Saheeli.

Quint trasalì. Rovinare un artefatto inestimabile? Come poteva qualcuno anche solo pensarlo?

“L’albero con radici poco profonde non resisterà alla tempesta” rispose Huatli, scuotendo la testa. “Digli che ho quasi finito.”

“Allora continueremo con i preparativi” disse Inti. “Sei sicura che non si rivelerà essere solo un armadio? Se è pieno di palle di gomma, te lo rinfaccerò per sempre.” “Ne sono certa” disse Huatli. “Preparatevi ad un lungo viaggio, non un gioco.”

Inti se ne andò, Pantlaza si rannicchiò in un angolo e Saheeli iniziò a massaggiare le spalle di Huatli. Huatli sospirò, facendo ciondolare in avanti la testa.

“Stai facendo del tuo meglio” disse Saheeli.

“E anche te” rispose Huatli. “Come stanno venendo le tue creazioni?”

Saheeli rise. “Ho fatto l’errore di chiedermi ad alta voce se potevo far loro sputare fuoco. L’imperatore ne fu estremamente interessato.”

E anche Quint lo era, onestamente. Le abilità da artefice di Saheeli erano leggendarie. Strixhaven avrebbe potuto far pagare il doppio della retta per una sua lezione, e la classe sarebbe stata comunque piena fino ai travetti.

Huatli avvolse con un braccio la gamba di Saheeli. “È solo che non voglio più guerre” disse piano Huatli. “Proprio un bel pensiero per la poetessa guerriera dell’impero, eh?”

“E io voglio che tu sia al sicuro” disse Saheeli, accovacciandosi per abbracciare più stretta Huatli. “È difficile immaginare sicurezza quando ogni piano è deciso a scoprire nuove forme di pericolo, ma è a questo che servono i costrutti dinosauro sputa-fuoco.”

“Credo che dovresti tornare alla tua officina” mormorò Huatli.

“Credo di sì” concordò Saheeli.

Quint distolse lo sguardo per dare loro un’illusione di riservatezza. Saheeli salutò Quint con la mano mentre saliva i gradini, lanciando un ultimo bacio a Huatli prima di andare.

Huatli si schiarì la gola, con la pelle arrossata. “Pronto a cominciare?”

“Sempre” disse Quint, preparandosi a richiamare l’incantesimo che l’avrebbe aiutato a tradurre. “Cos’abbiamo per ora?”

Nel giro di pochi secondi, si concentrarono sul loro compito, e Quint non poteva essere più felice.

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Malcolm[]

Il corpo era accasciato in un mucchio di foglie mezze marce nella giungla, abbastanza vicino a Baia Raggio di Sole che Malcolm sarebbe potuto arrivare a piedi e non in volo. Le Giubbe Blu erano in fermento attorno a lui, intente a prendere misure e fare disegni, oltre che a parlare con voci basse che urtavano il suo udito da sirena… e i suoi nervi.

“Uno dei tuoi, Lee?” chiese l’uomo a capo dell’indagine.

Era difficile capirlo. Delle strane scaglie fungine coprivano le fattezze del cadavere come delle piaghe rosse, che emergevano dalla bocca e da una delle orbite oculari. Le vene sulla sua pelle cinerea erano nere, con altri funghi che crescevano lungo il collo e le braccia. Sembrava si stesse deteriorando rapidamente, eppure era vivo fino a qualche ora prima, secondo quello del posto che l’aveva trovato.

“Credo che sia Lank” disse infine Malcolm. “Era un minatore a Città di Sotto.” Alzò i suoi occhi verso quelli della Giubba Blu. “La Capitana Vance ha detto che aveva una nota?”

L’uomo mostrò un pezzo di carta piegato a Malcolm, che lo prese tra due dita e lo aprì scuotendolo.

Città di Sotto è stata attaccata, c’era scritto. Mandate aiuto. Era firmato dal sindaco, Xavier Sal, e le macchie di inchiostro non uniforme suggerivano che l’avesse scarabocchiato con estrema fretta.

Questo spiegava perché le consegne dalla miniera erano rallentate, per poi fermarsi qualche giorno prima, portando l’economia del resto di Baia Raggio di Sole (e, per estensione, quella dell’intera Alleanza di Bronzo) ad una brusca pausa. La Capitana Vance aveva già ordinato a Malcolm, emissario ufficiale di Città di Sotto, di tornare ad indagare, e Malcolm fu contento di obbedirle. Possedeva delle quotazioni nella redditizia miniera e, soprattutto, aveva degli amici lì.

Ora sapeva che doveva aspettarsi il peggio.

“Cosa ne pensi?” chiese la Giubba Blu. “Magia oscura?”

“Sembrerebbe” disse Malcolm. Ma chi? E perché?

L’Alleanza di Bronzo aveva molti nemici. L’Impero del Sole non vedeva l’ora di scacciare i cosiddetti invasori dai loro territori. Gli Araldi del Fiume organizzavano delle imboscate, cercando di fermare i terremoti e le fuoriuscite causati dalle miniere, anche se ultimamente se n’erano stati più tranquilli… troppo tranquilli. La flotta della Chiglia Funesta si scontrava contro gli editti della Governatrice Cuor di Bronzo e potrebbe vederlo come un modo per prendersi la Secca per loro minando la loro fonte di ricchezza. Anche i vampiri della Legione del Vespro stavano cercando di fare la loro parte, in cerca di ricchezze da riportare a Torrezon: chiunque di loro si sarebbe presto spostato come un paguro per comandare su quel pezzo di terra. Tutti i loro rivali sarebbero stati felici di causare trambusto a Città di Sotto, ma nessuno si era ancora fatto avanti per rivendicare la sua responsabilità.

Purtroppo, il cadavere non aveva risposte. Malcolm avrebbe dovuto scavare più a fondo da solo, sperando di trovare l’oro.

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Amalia[]

Vieni a me, sussurrò la voce.

Un vasto mare di sabbia si estendeva dinanzi ad Amalia, cosparso di isole di pietra, e la costa opposta era celata nell’ombra.

Vieni a me.

Delle cascate di fuoco si riversavano come metallo fuso lungo le pareti di un’enorme caverna, brillanti ed ustionanti.

Vieni a me.

Una rotonda porta dorata incombeva, incisa con sigilli di un linguaggio simile all’Itzocan dell’Impero del Sole, eppure diverso.

Vieni…

Amalia si mise rapidamente dritta in sella, con un braccio dolorante come se fosse appena stata spinta. Sbatté le palpebre come un gufo guardando Clavileño, il comandante dei soldati che proteggevano la spedizione. Lui si accigliò, mostrando le zanne.

“Stavi per cadere” disse, con tono accusatorio e voce grezza.

“Grazie” rispose lei, ancora riprendendo fiato. Lui cavalcò più lontano, con i suoi soliti occhi inespressivi.

Sopra di lei, i rami degli alberi della giungla si intrecciavano come un soffitto di foglie e viticci, e l’aria era stantia con l’odore della terra bagnata delle ultime piogge. Amalia percepì una fitta di nostalgia di casa pensando alla biblioteca della residenza della sua famiglia. Era facile sognare l’avventura quando si era circondati da libri e pace. Era molto più difficile assaporarla quando dei piccoli vermetti appesi a fili invisibili le cadevano nel colletto, quando i dinosauri la attaccavano dalla vegetazione, quando le tempeste cercavano di inzuppare tutte le sue mappe ogni pomeriggio puntuali come il rintocco di un orologio.

Eppure, dopo la guerra, voleva fare qualcosa di proficuo nella sua vita, qualcosa di più che leggere meticolosamente dei tomi polverosi. La posizione di cartografa per la Compagnia di Baia Regina prometteva esattamente quello, ed ora si trovava lì, a mappare le terre selvagge di Ixalan.

“Come ti senti?” Bartolomé del Presidio, uno degli alti ufficiali della Compagnia, sorrise gentilmente alla sua sinistra.

Amalia non poteva raccontargli delle sue strane visioni, o della voce che le sussurrava. Se fosse stata in preda all’astensione dal sangue, sarebbe stato anche comprensibile. Ma si era nutrita di recente, eppure continuava a cadere in uno stato di trance, vedendo e udendo cose che non c’erano.

“Sto bene, grazie” rispose Amalia. “Mi sto ancora abituando alla… sistemazione di viaggio.”

“Pesante, vero?” disse Bartolomé. “Fai del tuo meglio. Ho un balsamo che aiuta con la spossatezza. Te ne darò un po’ quando ci fermiamo.”

“Vi sono molto riconoscente” disse Amalia.

Bartolomé diede un colpo alle redini e si mosse più avanti nella processione. Erano una trentina in tutto, tra soldati, servitori e i penitenti che cercavano assoluzione per i crimini commessi a Torrezon. In testa, con la schiena rigida sulla sua enorme cavalcatura, Vitor Quijano de Pasamonte guidava la loro spedizione. Si rese a malapena conto della presenza di lei quando si incontrarono per la prima volta, apparentemente assorto nei propri pensieri e priorità, e la cosa non era cambiata durante il loro lungo viaggio via mare, né nei giorni da quando avevano lasciato Baia Regina. Quando non abbaiava ordini o fissava il nulla con espressione contrariata, leggeva e rileggeva un libro malmesso che nessun altro aveva il permesso di sfogliare. Bartolomé cercò di farselo prestare una volta; Vitor lo afferrò per la gola e lo bloccò contro un albero.

Lei aveva la sensazione che i due vampiri non condividessero gli stessi obiettivi, per quanto sostenessero di avere uno scopo comune.

Sembrava che un Tempio di Aclazotz li stesse aspettando nelle profondità di quel continente. All’interno di quel tempio, una porta. E dietro quella porta, si sperava, una soluzione allo scisma crescente che minacciava di spezzare la Chiesa del Vespro in un’ondata di violenza peggiore delle Guerre Apostatiche.

Era la porta delle sue visioni? Amalia non poteva saperlo finché non l’avessero trovata. Fino ad allora, lei aveva del lavoro da fare.

Rivolse nuovamente la propria attenzione alla sua cartomanzia, estraendo la mappa sempre più dettagliata del loro viaggio. Il loro percorso a partire da Baia Regina era una linea rossa che brillava debolmente sulla loro posizione attuale. Si punse il mignolo con una delle sue zanne, poi intinse il dito insanguinato in un piccolo contenitore di cenere, mescolando. Combinata in questo modo, fece colare la soluzione sulla superficie della mappa, permeandola della sua volontà. Lentamente, come inchiostro che si spandeva sulla carta bagnata, la mistura di sangue e cenere si diffuse fino a riempire le porzioni vuote della sua pergamena con dettaglio incredibilmente preciso.

Vieni a me…

Amalia rabbrividì, desiderando sapere di chi fosse la voce che la stava chiamando. Sperando… avendo paura… che presto lo avrebbe scoperto.

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Huatli[]

La traduzione era finita.

Huatli si stiracchiò e diede un’occhiata a Quint, che stava studiando i suoi appunti. Wayta era in piedi in un angolo, che osservava interessata. Huatli ripeté la traduzione tra sé e sé, assaporando i ritmi della poesia.

Noi siamo i Komon, del Quinto Popolo, bastoni e vanghe dell’ottimo luogo donato a noialtri dagli Dei Profondi, esiliati in superficie per i nostri fallimenti.

Sconfiggemmo il Grande Traditore, combattemmo i dissidenti, invasori, che imprigionarono Chimil, la Stella Squarciata, nascosta è la gloria della di lei triplice luce.

L’Era del Sole terminò con l’oscurità per sedici cicli completi della sua rotazione, finché le Mille Lune non infransero il guscio rotante della sua prigione…

“Cos’è un ciclo completo?” chiese Quint.

“Venti” rispose freddamente Huatli. “Una rotazione è più o meno un anno. Se il loro sistema è come il nostro, dovrebbero essere 320 anni.”

“Tre secoli di oscurità?” esclamò Quint. “Incredibile.”

“Orribile” mormorò Huatli. “Come possono aver imprigionato un dio?”

“Questo è il dio che tu credi sia simile al vostro?” chiese Quint.

“Sì” disse Huatli. “Il nostro è il Triplice Sole, anche se noi non l’abbiamo mai chiamato Chimil.” Lei chiuse gli occhi. “Pensare che siano la stessa cosa potrebbe essere considerato eresia.”

Quint fece un gesto simile ad un’alzata di spalle con la sua proboscide. “I misteri dei piani non finiscono mai. Le nuove scoperte spesso riscrivono vecchie storie.”

Huatli inclinò la testa verso di lui. “Sembra che tu ne abbia già avuto esperienza.”

“Certo che sì. Ricordami di raccontarti del mio mentore qualche volta.” Quint tamburellò su una riga dei suoi appunti. “Cosa mi dici di questa parte?”

Huatli analizzò la tavoletta.

Lasciamo questo ricordo, questa chiave e questa mappa, così che i semi del nostro frutto possano diffondersi attraverso le serpeggianti strade di Topizielo, fino a Matzalantli, porta dorata degli dei, e trovare così le radici perdute del nostro albero.

“Non penso si riferisca a questa porta” disse Huatli. “Ce ne dev’essere un’altra oltre.”

“Molto oltre, se ‘serpeggianti strade’ è un’indicazione” disse Quint. “Non che potremo mai scoprirlo se prima non apriamo questa.”

Huatli esaminò la porta. Le tavolette che contenevano la poesia erano innestate nel metallo quando furono trovate, ma presto lei scoprì che erano rimovibili. Dietro le tavolette si trovavano dei glifi tenui, uno per ogni rientranza, ciascuno una singola parola.

“Hai posizionato nuovamente le tavolette nell’ordine in cui le hai trovate?” chiese Quint.

“Sì, e non ha funzionato” disse Huatli.

“Forse serve un comando verbale?” suggerì Quint. “Ho aperto una porta simile recitando parte del Cantico di Jed.”

“Il cosa?”

“È un’importante storia dei lossodonti. Non preoccuparti, era solo un’idea.”

“Cosa potrei recitare?” rifletté Huatli.

“La poesia?” chiese Quint.

Huatli aggrottò la fronte pensierosa. “È piuttosto lunga, e la mia pronuncia dell’antica lingua potrebbe non essere corretta.”

“Hai ragione” concordò Quint. Girò su sé stessa una delle tavolette. “È interessante che ci siano simboli sulla porta, ma non su queste.”

Huatli esaminò nuovamente i glifi della porta. Guerriero, foglia, contadino, ombra… parole semplici e comuni. Nessuna corrispondeva ai glifi sulle varie tavolette. Rilesse tutta la poesia ancora una volta, cercando schemi che potessero esserle sfuggiti.

“Oh!” esclamò. “Ho un’idea.”

Si allungò a prendere la tavoletta con il verso “combattemmo i dissidenti” e la fece scivolare nel foro con il simbolo del guerriero.

Non accadde nulla.

“Potresti doverle prima mettere tutte nelle posizioni corrette” disse Quint, incoraggiandola.

Huatli posizionò la tavoletta con “radici perdute del nostro albero” sul simbolo della foglia, poi “bastoni e vanghe dell’ottimo luogo” con il simbolo del contadino, poi “L’Era del Sole terminò con l’oscurità” con il glifo dell’ombra. Continuò ancora e ancora, finché tutte le tavolette non furono riposizionate nella porta.

Un sussurro di magia le toccò le dita, e lo spazio attorno a ogni tavoletta brillò leggermente. La luce si diffuse fino ai margini della porta e, con una profonda nota bassa, si aprì in uno spiraglio.

“Come hai-” iniziò a chiedere Quint.

“I glifi sulla porta corrispondevano alle tavolette” disse Huatli. “Ma non direttamente. Disegni simbolici.”

“Ah, certamente.” Quint fece un cenno con la sua proboscide. “Vorresti fare gli onori di casa?”

Huatli afferrò il bordo della porta e tirò. Produsse un suono stridente dove strofinava sul pavimento, facendo uscire una folata di aria viziata dall’apertura. Oltre, attendeva una galleria in discesa, fredda, secca e polverosa, abbastanza larga da far passare i dinosauri da soma più piccoli.

Orazca PuzzleART1

“Prendi una torcia” disse lei a Wayta, che eseguì l’ordine rapidamente.

Iniziarono a scendere, con Huatli in testa, Quint dietro di lei, e Wayta insieme a un altro guerriero nelle retrovie. In fondo al tunnel trovarono una stanza abbastanza grande da poter contenere una piramide. Di fronte all’entrata del tunnel si trovava una fila di cadaveri rannicchiati a terra e avvolti in un panno di lino. Dai loro colli pendevano collane di perle di giada e vermiglione, e nelle bende avvolte attorno ai loro occhi erano incastrate delle strisce di corteccia. Sembravano essere guerrieri, avendo delle armi posate vicino alle loro mani ossute, anche se l’armatura che indossavano era diversa rispetto a quella di lei e Wayta. Sotto le lenzuola funerarie, le loro ossa brillavano di un flebile viola rosato che formava strani disegni pulsanti di magia.

“Cos’è quello?” chiese Quint, indicando qualcosa.

L’angolo opposto della stanza era dominato dai resti di una enorme creatura umanoide. Il suo elmo… no, le sue corna… sfioravano il soffitto. Dal suo corpo sporgevano decine di lance, che sembravano piccole come frecce, e alcuni dei manici erano spezzati nonostante fossero di metallo. Un’armatura ricoperta di ruggine avvolgeva il suo corpo, con curve e aperture che la facevano somigliare ad un incrocio tra uno scheletro e una gabbia. Al di sotto era visibile della pelle grigia essiccata, e le sue mani grandi quanto una persona terminavano con artigli ricurvi.

“Non ho mai visto nulla di simile” mormorò Huatli. “È più grande dei dinosauri più grossi… Zacama esclusa.”

“È abbastanza scontato che abbia ucciso queste persone” disse Quint. “Ma stava indossando un’armatura. Dunque non è una normale bestia. Mi chiedo perché stessero lottando.”

“Forse le risposte ci attendono continuando all’interno” rispose Huatli. Si rivolse poi alla guardia, dicendo “Trova il siniscalco e il campione imperiale. Dì loro che partiamo non appena i dinosauri da soma sono pronti.”

La guardia eseguì un saluto e si affrettò a consegnare il messaggio a Inti e Caparocti. Huatli si defilò più lentamente, lasciando Quint ad ispezionare i resti insieme a Wayta, con la fiamma della torcia che proiettava inquietanti ombre sulle pareti.

Lei lanciò un ultimo sguardo ai guerrieri inginocchiati e al mostruoso cadavere nell’angolo prima di risalire sulle scale. Sarebbe riuscita a trovare una strada per la pace giù nelle profondità, come sperava, o quella battaglia del passato fu un presagio che indicava che la sua missione fosse destinata a fallire fin dall’inizio?

Saheeli aspettava nella stanza di sopra, e Huatli sospirò di piacere quando affondò il suo volto nel collo della sua compagna.

“Non sono stata via così tanto” disse Saheeli, mentre le sue dita callose si intrufolavano all’interno di un’apertura nell’armatura di Huatli per accarezzarle la pelle.

“Eppure sembra sempre un’eternità” rispose Huatli. “Prendiamo un caffè, solo noi due. Ora che la porta è aperta, partiremo presto.”

“Verso dove?” Gli occhi di Saheeli, contornati dal khol, si spalancarono. “Cos’avete trovato?”

“Morte e oscurità” mormorò Huatli. “Forza, cuore mio. Devo avere la mia dose di te prima di separarci.” Trascinò Saheeli fuori alla luce del sole, intrecciando le mani tra loro mentre camminavano insieme per le strade dorate in piacevole silenzio.

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Malcolm[]

Il nome “Città di Sotto” nacque come scherzo, ma rimase tale. L’insediamento minerario era composto da un avamposto in superficie e dal villaggio principale sotterraneo costruito dentro un’enorme caverna. La miniera effettiva era un antico cenote prosciugato che si addentrava in profondità nella terra, con diversi tunnel che si estendevano nella roccia su vari livelli come i raggi di un macchinario con centinaia di ruote. Attorno ai bordi del gigantesco foro erano disseminati edifici in legno, senza una disposizione logica particolare nella loro locazione se non in base alla volontà dei loro costruttori. Gru e passerelle si protraevano nel vuoto, facendo da sostegno per gli ascensori a carrucola, mentre montacarichi idraulici e scale a tornanti si aggrappavano alle pareti. Altre carrucole issavano secchi di minerali, che venivano riversati nei carrelli su rotaie che si incrociavano sul terreno. Le raffinerie maneggiavano la trasformazione chimica e magica, altre zone di lavorazione gestivano la pulizia manuale, e i silos erano pieni di prodotto pronto per la consegna in superficie. Solitamente, il tutto era illuminato da gigantesche lampade, magiche e non, che illuminavano a giorno, oltre che da classiche torce, candele e lanterne.

Brass's Tunnel-GrinderART1

Le lampade erano spente e, per quanto poteva vedere Malcolm, Città di Sotto era completamente vuota eccetto per la presenza sua e delle persone che aveva portato da Baia Raggio di Sole per aiutarlo nelle indagini.

Braghe si sistemò il tricorno con una delle sue pelose mani blu, stringendo i suoi occhi dorati. “TUTTI SPARITI?” gracchiò il goblin.

“Tutti spariti” concordò Malcolm, aggrottando la fronte.

Del minerale grezzo era stato lasciato nei carrelli minerari a metà del tracciato, e anche nei barili e nelle casse, alcune delle quali erano rovesciate. I tavoli per lo smistamento erano pieni di metalli o cristalli parzialmente puliti, con i pennelli e i ceselli appoggiati nelle vicinanze, come se i loro utilizzatori stessero per tornare da una pausa. Le porte dei dormitori erano aperte, i letti sfatti come se fossero stati abbandonati frettolosamente. Il cibo nelle cucine e nelle zone adibite ai pasti era marcito, e un odore di muffa permeava ogni cosa.

Gli unici segni di violenza erano delle bruciature su alcuni edifici ed una manciata di armi a terra. Malcolm esaminò un piccone sporco di una strana sostanza appiccicosa… sangue? Non aveva intenzione di toccarlo per scoprirlo.

Tutti gli ascensori a carrucola di Città di Sotto erano fissati in cima alle loro gru, come se fossero stati tirati su per difendersi da un assedio dai livelli inferiori. Tutti tranne uno.

Malcolm alzò la sua lanterna avvicinandosi a quell’ascensore. Era così buio che per poco non calpestò delle strisce d’icore dipinte sul terreno lì vicino. Si chinò per esaminarle più da vicino. Una parola. Le lettere spesse e squadrate.

GIÙ.

Le piume sulle sue braccia si rizzarono. Se era una trappola, ci stavano finendo dritti in mezzo. Ma in che altro modo avrebbe potuto scoprire cos’era accaduto ad un’intera città scomparsa? Come la tremolante fiamma della sua lanterna, covava una debole speranza di poter trovare e salvare dei sopravvissuti.

“Tu” disse, indicando uno dei suoi compagni. “Torna a Baia Raggio di Sole e comunica ciò che abbiamo trovato. Tu” disse, indicando un altro. “Stai quassù e aspettaci.”

Braghe si avvicinò al bordo del vuoto, con un’espressione imperscrutabile sul suo volto di goblin. “GIÙ?“ chiese.

“Sì” disse Malcolm, fissando il messaggio. “Giù.”

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Amalia[]

Le rovine fatiscenti del tempio di Aclazotz erano state parzialmente reclamate dalla giungla, con viticci che si avvinghiavano alle pareti, radici di alberi che crepavano i pavimenti di pietra e rami che foravano il soffitto sfondato. Mentre l’inchiostro rosso sangue della magia di Amalia riempiva un’altra area della mappa, i soldati e i servitori gironzolavano per l’accampamento dell’avanguardia istituito da chi era giunto lì nei giorni precedenti.

Sul gruppo calò il silenzio quando Vitor si diresse verso di loro, emanando risolutezza e minacciosità. In una mano brandiva una lancia, la cui punta si trovava alcune spanne sopra la sua testa. Nell’altra stringeva il libro dal quale non staccava mai lo sguardo. I suoi occhi blu sembravano brillare di una luce interiore, e i vampiri si avvicinarono come se lui fosse un magnete e tutti loro trucioli di metallo.

“Questa lancia” iniziò Vitor, alzando l’arma “venne brandita dal Venerabile Tarrian, colui di cui seguiamo le orme. Questo è il suo diario.” Sollevò il libro. “Contiene un resoconto dei suoi viaggi con Santa Elenda e le sue rivelazioni, occultate dalla chiesa e recuperate recentemente dai veri credenti.”

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Veri credenti? Amalia si irrigidì. Di sicuro non si riferiva ai simpatizzanti dell’Antifex. Aveva sentito alcune storie-

“Dentro questo tempio” continuò Vitor, “si trova una porta che conduce al luogo di riposo del nostro antico dio e sovrano, Aclazotz, creatore dei primi vampiri. Nonostante il suo letargo, può essere risvegliato dai suoi servitori più fedeli.”

Risvegliare un dio? Era possibile una cosa del genere? Amalia si morse il labbro, sussultando quando le sue zanne affondarono nella propria carne. Forse non era la sola ad avere quei pensieri, poiché un basso mormorio iniziò a diffondersi tra la folla.

Vitor alzò la lancia e ottenne nuovamente silenzio. “Se riportiamo Aclazotz a Torrezon, come promettono le scritture, lui curerà i fedeli e porterà pace in ogni terra. Lo scisma avrà fine e saremo nuovamente liberi di diffondere la nostra dottrina in questo continente selvaggio.”

Qualcosa nel tono di lui fece tremare Amalia, nonostante il calore. Una cura e la pace sembravano una giusta causa, ma a quale costo? C’era qualcun altro turbato come lo era lei? Bartolomé osservava Vitor con un’espressione attentamente neutrale, quindi anche lei nascose le sue emozioni. Chissà cos’avrebbe potuto fare Vitor se si fosse sentito sfidato.

“Avanti, allora” disse Vitor, facendo un cenno con la lancia. “Verso il nostro destino.”

Vitor entrò nel tempio in rovina e, con un brivido premonitore, Amalia si unì alla processione che lo stava seguendo.

All’interno si trovava un cenote, largo e profondo, con una scalinata curva scolpita sul lato e lucida di umidità. Alcuni vampiri portavano delle lanterne, altri illuminavano la via con delle candele fluttuanti legate agli zaini o alle cinture da lunghe catene. In fondo alla scalinata, un’arcata portava dentro una stanza con diverse rientranze nelle pareti. Amalia sbirciò in una, ritrovandosi davanti un mucchio d’ossa ammuffite. Indietreggiò, urtando Clavileño, che le sibilò contro e la spinse in avanti.

Le catacombe continuavano, e ogni stanza era piena delle ossa dei morti come la successiva. Sacerdoti? Antichi sacrifici? Voleva veramente saperlo? Le fiamme alle sue spalle tremolavano man mano che camminava, proiettando ombre su ogni parete.

Alla fine raggiunsero una grande sala circolare piena di candelabri vuoti, con un altare di ossidiana scanalato di fronte ad una porta dorata. Si diceva che Santa Elenda fosse uscita da una porta simile.

Con sorpresa di Amalia, quella non era la porta delle sue visioni.

Uno dei soldati tentò di aprirla, ma rimase testardamente chiusa. Altri due soldati si unirono al primo senza effetto alcuno.

“Forse non può essere aperta” ponderò Bartolomé. “Siamo arrivati così lontano per nulla?”

“Aclazotz mi guida” disse Vitor, con la voce riecheggiante in quello spazio chiuso. “Clavileño, portami uno dei facchini.”

Clavileño fece come gli fu ordinato, e ben presto entrò uno dei servitori umani dell’accampamento, col viso pallido e le mani nervosamente chiuse a pugno.

“Non aver paura” disse Vitor. “Il venerabile Tarrian ha scritto ‘Il sangue dell’agnello aprirà la porta per il paradiso’. Stiamo venendo messi alla prova, e dobbiamo essere forti. Vieni da me.”

Il facchino si avvicinò a lui con esitazione. Vitor appoggiò una mano sulla testa dell’uomo, guardandolo negli occhi con un sorriso benevolo.

“Mettilo sull’altare” disse Vitor.

Clavileño obbedì, alzando l’uomo da terra con la sua forza vampirica. Il facchino si agitò, urlando mentre il soldato tentava di stenderlo sulla lastra di ossidiana. Clavileño non si scompose.

Lo sguardo di Vitor si posò su Amalia, e lei rabbrividì. “Tu” disse lui. “Aiutalo a tenerlo giù.”

Amalia si fece piccola, alzando un braccio come per farsi da scudo.

“Il suo sacrificio lo porterà alla salvezza” disse Vitor. “Fai come ti dico.”

“Tu corrompi i sacri riti di sangue” protestò Bartolomé.

“I riti della chiesa sono una pallida imitazione dei veri sacramenti di Aclazotz” disse Vitor con sprezzo. “Il diario ci aiuterà a liberare il suo potere, e tu comprenderai.”

Amalia fissò Bartolomé, sconvolta, sperando che lui potesse mettere fine a quella farsa. Invece indietreggiò, trasformando nuovamente il suo volto in una maschera.

Vitor fece cenno ad un altro soldato. “Aiuta Clavileño.” Il suo ordine venne eseguito, e di lì a poco il facchino giaceva prono sull’altare con gli arti divaricati, lamentandosi pietosamente.

Vitor si mise il diario sotto braccio ed estrasse il coltello che portava al fianco. “Noi offriamo la tua vita ad Aclazotz. Questo sangue è il nostro patto, imperituro come la vita che ci è stata promessa. Nella sua oscurità ci rendiamo sacri.” Con un singolo movimento, Vitor tagliò la gola della vittima. L’altare si illuminò all’improvviso, e il suo colore nero sembrò brillare. Invece di venire spruzzato in aria, il sangue fluì per le incisioni dell’altare, fino al pavimento e arrivando alla porta, che si illuminò con la stessa oscurità luminescente.

La porta si aprì con fatica. Una raffica di aria stagnante emerse dal tunnel dietro di essa come il respiro di un qualche terribile mangiacarogne, facendo ondeggiare selvaggiamente le fiamme nella stanza.

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“Sia lode ad Aclazotz” intonò Vitor.

Bartolomé rimase in silenzio mentre Vitor dispensava ordini ai soldati per prepararsi alla partenza.

Vieni a me…

Amalia lasciò andare un respiro incostante, convincendosi che la voce sussurrante non fosse più forte rispetto all’ultima volta che le aveva parlato. Una delle candele che fluttuava dietro di lei si spense di colpo, scurendo le ombre attorno, e lei sperò che quello non fosse un presagio di ciò che sarebbe accaduto in futuro.

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Racconto successivo: The Lost Caverns of Ixalan Episode 2

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