The Gathering Storm/Capitolo Tredici è il tredicesimo capitolo di The Gathering Storm.
Capitolo Tredici[]
Vraska abbassò lo sguardo sulla sua mappa: delle linee di inchiostro su pergamene ricoperte di scarabocchi a matita. Per ora erano solamente delle righe su un foglio. Ma ciò che rappresentavano…
Mi sembri turbata, amica-Vraska, disse Xeddick nella sua mente.
Vraska si appoggiò al suo trono di corpi pietrificati, finalmente ricoperto di cuscini e molto più comodo. Lasciò andare la testa contro lo spesso cuscino che copriva il volto urlante di un elfo oscuro, e alzò lo sguardo verso il soffitto a volte. I globi di luce fluttuavano ad intervalli regolari, brillando dolcemente con la loro bioluminescenza, sospesi in grandi ammassi di tela di ragno. Vraska chiuse gli occhi e si premette le dita contro la fronte. Le faceva male la testa, e i tentacoli su di essa erano immobili e senza vita.
Devi riposare, disse Xeddick, uscendo dalle ombre al fianco del trono. Oltre ad alcune guardie degli Antecessori, era l’unico altro presente nella sala del trono. La notte precedente, lei aveva ordinato che nessuno entrasse. Ti stai sforzando troppo.
“È l’unica cosa che posso fare” mormorò Vraska, e scosse la testa. Raddrizzò la postura e rivolse lo sguardo verso il kraul albino. Era piccolino rispetto al resto della sua specie, le sue ali penzolanti erano deboli ed inutili, ma la sua mente era straordinaria. E si preoccupa per me. E quel gesto, durante quei giorni, era una merce rara. “Scusami. Hai ragione. È che…”
Fece un gesto verso la mappa.
Stai pianificando l’attacco agli abitanti della superficie, disse Xeddick. Sei sicura che verranno?
“Verranno” disse tristemente Vraska. “Ral Zarek non si arrenderà. Non è nella sua natura.” Le sue labbra si incurvarono. “Ed è una delle sue qualità più affascinanti.”
Quindi verranno, disse Xeddick. E tu li sconfiggerai.
Lei poteva percepire la sua totale sicurezza in ciò che diceva, e la cosa la fece sussultare. “Ci sarà un prezzo, ed il tuo popolo ne pagherà la maggior parte.”
C’è sempre un prezzo, amica-Vraska. E il mio popolo nei tuoi confronti ha un debito che difficilmente riusciremo mai a ripagare. Ci accolleremo questo fardello, e lo faremo con gioia.
“Mazirek potrebbe non essere d’accordo.”
Mazirek è cresciuto diversamente rispetto agli altri kraul, disse Xeddick. Sembrava insicuro: criticare non era nella sua natura. È diventato… orgoglioso. Ha dimenticato che lo scopo di tutti i kraul è servire l’alveare. È l’alveare che resiste, quando l’individuo fallisce.
Esattamente, pensò Vraska. Lanciò quelle parole nelle profondità della propria mente, dalle quali aveva il terribile presentimento che Jace la stesse osservando. Ho fatto quello che dovevo per il bene dei Golgari. Sono loro il mio popolo, e sono mia responsabilità. Devo proteggerli meglio di come fece Jarad, così che nessuno possa subire ciò che ho subìto io. La prigione, la tortura e quasi la morte, solo per il fatto di essere nata gorgone.
E comunque. Vraska si sforzò di sorridere, mostrando i denti appuntiti. Mi è piaciuto. Osservare la grande sfinge Isperia, il giudice che aveva distrutto la sua vita con una firma su un documento, irrigidirsi in solida pietra. Avrei dovuto farlo molto tempo fa.
Xeddick si scompose un po’. Amica-Vraska, disse, le guardie hanno catturato un intruso.
“Un altro assassino?” Vraska guardò il trono. “Non mi serve per il trono. Fallo buttare-”
Mi dispiace, ma non sembra essere un assassino. Dice di essere un’emissaria dei Rakdos.
“Dei Rakdos?” Vraska si accigliò. “Portatela dentro.”
Pochi secondi dopo, un paio di Antecessori entrarono, trascinando una figura vestita con una calzamaglia di cuoio cucita e completamente fradicia. L’acqua aveva eliminato il collante dai suoi capelli, lasciandoli lisci e gocciolanti.
“Hekara” disse Vraska, con un sospiro.
“Vraskina!” disse Hekara, saltellando e spargendo acqua ovunque.
“Cosa ti è successo?” disse Vraska.
“Sono caduta nel fossato” disse prontamente Hekara.
“Il fossato è pieno di coccodrilli” disse Vraska.
“Sì, l’avevo notato” disse Hekara, col sorriso stampato sulla faccia. “Mordicchiano!”
Vraska scosse la testa, con i tentacoli ondeggianti dal divertimento. “Ral sa che ti trovi qui?”
“No” disse Hekara. “Volevo soltanto parlare.” Si morse il labbro, poi guardò le guardie e Xeddick.
“Lasciateci sole” disse Vraska. “Anche tu, Xeddick. Con te parlerò più tardi.”
Il kraul fece un inchino alla maniera della sua specie, piegando le zampe anteriori, e poi si ritirò, con i barcollanti Antecessori al seguito. Hekara, ancora fradicia, saltellò verso il trono.
“Mi piace come hai sistemato qui” disse. “È molto da te, sai?” Si piegò per esaminare una delle statue contorte che componevano il trono. “Bella sedia, tra l’altro. Dev’essere stato difficile scolpire tutti questi dettagli.”
“Non è… stato un problema” disse Vraska, sorridendo nonostante tutto. “Cosa ci fai qui, Hekara? Sei venuta a parlare per conto di Rakdos?”
“No. Sua Fiammosità è assolutamente furioso con te per… tutto quanto. Non gli piace essere tradito, dice, ed è strano perché lui tradisce sempre tutti gli altri, giusto? Oh, questi demoni!” Lei rise, anche se un po’ forzatamente. “Non sono qui per conto di nessuno. Solo mio.”
“Bene” disse Vraska. “E cosa mi vuoi dire?”
“Ho riflettuto su ciò che è successo” disse Hekara. “E penso che dovresti tornare.”
“Tornare” disse Vraska, impassibile.
“Già.” Hekara saltellava sui talloni. “Perché siamo compagni. Tu, io e Ral. Non dovremmo combatterci a vicenda.”
“Anche Ral sarà probabilmente… ‘assolutamente furioso’ con me.”
“Eh. Gli passerà.” Hekara fece un gesto con la mano. “È in ballo con un progetto nuovo di cui non dovrei parlare, e ci va anche bene perché non c’ho capito quasi nulla, e poi lui inizia a partire per la tangente quando non dorme abbastanza, inizia a disegnare sui muri, ed ora penso di aver perso il filo del discorso dimenticandomi quello che stavo dicendo. Ma comunque dovresti tornare perché siamo compagni, non serbo rancore e anche lui alla fine smetterà di essere arrabbiato.”
“È una bella offerta” disse Vraska, inclinandosi ancora contro il suo trono.
“Lo immaginavo” disse Hekara. “Allora? Torni?”
“Sfortunatamente, non penso che sia così semplice.”
Hekara corrugò la fronte. “E perché?”
“Ho delle... responsabilità.”
“Bruciale!” disse immediatamente Hekara.
“Brucia-” Vraska scosse la testa.
“Ho scoperto che il fuoco risolve molti problemi” disse Hekara.
“No…” Vraska respirò profondamente. “I Golgari hanno bisogno di me. Ho il dovere di proteggerli.”
“Il mio vecchio maestro mi diceva sempre che avevo tre doveri. Ascoltare il mio capo, proteggere i miei compagni e proteggere me stessa.” Hekara inclinò la testa. “Tu sei il capo, quindi il numero uno è a posto. Puoi portare con te il tuo amichetto insetto, se vuoi. Lo terrò in camera con me. Nessuno lo verrà a sapere.”
“Non posso, Hekara” disse Vraska, gentilmente.
“Ma tu non puoi stare qui.” Le labbra di Hekara tremarono. “Altrimenti finirai con scontrarti contro Ral. E voi siete compagni. Ho provato a dire anche a lui la stessa cosa, ma non mi ascoltava. Ma lui ha quel drago come capo, mentre te no, quindi pensavo…”
Oh, io ho un drago completamente diverso. Vraska tenne per sé quel pensiero. Anche se non avessi avuto Bolas, avrei comunque dovuto risponderne al popolo Golgari.
“Mi dispiace” disse Vraska.
“Sei stupida” disse Hekara, sbattendo un piede per terra. “E anche Ral. Voi non capite.”
Ruotò su sé stessa e iniziò a camminare verso l’uscita, lasciandosi dietro una scia di impronte umide. Qualche minuto dopo riapparve Xeddick.
La vostra ospite è caduta di nuovo nel fossato, disse.
“Ripescatela” disse Vraska. “E assicuratevi che torni in superficie sana e salva.”
Era il minimo che potesse fare. L’unica cosa che posso fare.
E le difese? disse il kraul, indicando la mappa con un arto anteriore.
“Dì a Mazirek e ai suoi di iniziare a disporle” disse Vraska. “Il più velocemente possibile. Non abbiamo molto tempo.”
Kaya seguì Tomik Vrona nell’ufficio di Teysa, percorrendo i corridoi elegantemente ammobiliati delle sezioni più privilegiate di Orzhova. Lassù le cose erano decisamente più simili ad una banca che ad una chiesa, con ritratti di vecchi illustri Orzhov accigliati appesi su ogni parete, mobili dorati e tonnellate di marmo. Tomik si fermò di fronte ad un portone intagliato con fregi molto elaborati, e Kaya si fermò di colpo al suo fianco.
Se sono io la capogilda, pensò lei, perché mi sento come se fossi io quella che sta per essere sgridata?
Tomik batté leggermente sul legno. Da dentro la stanza, la voce di Teysa disse: “Sì?”
“Ho portato la capogilda, Lady Teysa, come ha richiesto.”
“Certo. Entrate.” A Kaya non piacque la freddezza delle parole di Teysa.
Entrarono. L’ufficio di Teysa era costruito quasi interamente in marmo, ed un fuoco divampante all’interno di un enorme focolare rendeva l’atmosfera quasi soffocante. Delle finestre alte e strette ricoprivano la parete dietro alla grande scrivania di legno massiccio, sferzate dalla pioggia. Fuori, i fulmini illuminavano brevemente le nuvole, e Kaya sentì un basso rombo di tuono.
Teysa, seduta tra due pile di grossi libri rilegati in cuoio, alzò lo sguardo dal libro mastro sul quale stava scrivendo e mostrò un sorriso forzato.
“Capogilda” disse lei.
“Ehm… Teysa.” Kaya non era sicura del suo titolo ufficiale. “Come va?”
“Sto dando una controllata ai conti” disse Teysa, indicando i libri.
“Capisco.” Kaya lanciò un’occhiata a Tomik, che si era piazzato in un angolo per non disturbare. “Pensavo che avesse delle persone che lo facessero per lei.”
“Il leader degli Orzhov, il capogilda, dovrebbe avere un apprezzamento particolare per il controllo dei nostri conti. Dopotutto, siamo una banca. Il bilancio delle nostre risorse a fronte degli ingenti obblighi di cui ci facciamo carico è una questione di grande importanza.”
“Giusto.” Kaya fece spallucce. “Ascolti, sappiamo entrambe che è una cosa che io non sarò mai in grado di fare, quindi se è di questo che voleva parlarmi-”
Teysa alzò lo sguardo, l’espressione era fredda, ma stava nascondendo una certa rabbia. “Ne sono perfettamente conscia. Tant’è che hai accettato di stare ben lontana dalle politiche Orzhov in quanto capogilda, così che me ne occupassi io. Ma ora…” Picchiettò un dito sul libro mastro. “I conti non tornano.”
Kaya finse confusione. “Non capisco.”
“Allora lascia che ti semplifichi le cose. Hai perdonato dei debiti, senza consultare né me né altri ufficiali Orzhov.”
“Io…” Oh, al diavolo. Kaya scosse la testa. “Va bene, e se l’avessi davvero fatto? Non sono stati così tanti-”
“Sessantasette persone, ad oggi. Per un valore totale di duecentoquarantaseimila e trecentododici zini netti alla valuta attuale, assumendo… bè, un certo numero di cose.”
“Sono certa che gli Orzhov possano permetterselo” disse Kaya. “Riesco a sentire i nostri contratti, ricorda? E quelli erano una piccolissima frazione del totale.”
“Che possiamo permettercelo o meno non è il punto” disse Teysa, alzando la voce. “Mi avevi promesso che non avresti interferito con gli affari degli Orzhov.”
“Indipendentemente dal fatto che io voglia starne fuori o da ciò che avevamo concordato” disse Kaya. “Lei ha detto a tutte queste persone che sono io la capogilda. Può biasimarle se mi trattano da tale?”
“Non sto biasimando loro. Ma basterebbe rifiutare!”
Kaya sentì montare la rabbia. “Perché? Così che voi possiate continuare a riscattare i debiti dai loro bisnipoti?”
Il volto di Teysa divenne leggermente paonazzo. “Ogni contratto stipulato dagli Orzhov è in accordo con la legge di Ravnica, ed è volontario per entrambe le parti. Stiamo semplicemente esercitando i nostri diritti.”
“Certo. Un povero bastardo vuole pagare un dottore per aiutare sua moglie, e questo vi dà il diritto di far lavorare la sua famiglia come degli schiavi per le prossime tre generazioni.”
“I termini sono chiari. Non è stato costretto a firmare-”
“Ah, quindi avrebbe dovuto lasciar morire i suoi cari.” Kaya scosse la testa. “Non capite che ciò che fate a queste persone è sbagliato?”
“Noi non stiamo facendo nulla!” disse Teysa. “Ciò che succede loro, sono affari loro. Noi non facciamo altro che agevolare ciò che chiedono.”
Si fissarono a vicenda per un lungo attimo. Teysa aveva appoggiato entrambe le mani sul libro mastro, e respirava affannosamente. Kaya digrignava i denti.
“Lasciando da parte i tuoi… scrupoli” disse Teysa, con un tono attento, “in pratica, non possiamo semplicemente perdonare i nostri debitori. Anche gli Orzhov hanno degli obblighi, e dobbiamo avere introiti sufficienti per rispettarli. Se andassimo in bancarotta, le conseguenze per Ravnica sarebbero incalcolabili.”
“Solo perché vi siete legati a un nodo, non vuol dire che dobbiate stringerlo sempre di più” disse Kaya. “Non significa che non possiate provare ad allentarlo un po’, pian piano.”
“Kaya…” Teysa si mise le mani sulla fronte. “Se facessimo ciò che suggerisci, porterebbe alla distruzione della gilda.”
“Se la gilda dipende dalla schiavizzazione dei figli per i debiti dei loro padri, allora forse merita di venire distrutta.”
“Spero che queste parole non lascino questa stanza” disse Teysa, lanciando una profonda occhiata a Tomik. “Perché io non sarò responsabile delle conseguenze.”
“Molto sottile” disse Kaya.
“Io sto cercando di aiutarti. Quello che devi fare è solo…” Teysa agitò la mano in modo vago. “Nulla. Siediti sul trono e parla di qualche banalità. Saluta alle funzioni ufficiali. Quando i nostri maghi della legge capiranno come tirarti fuori dalle nostre obbligazioni, sarai libera di andare, con la mia benedizione. Fino ad allora-”
“Fino ad allora, devo far pensare a tutti che mi stia bene essere a capo di questa organizzazione?” Kaya sentì alzare il proprio tono di voce. Non aveva compreso, fino a quel momento, quanto le stesse a cuore la questione. “Comunque sia successo, ho il potere di cambiare in meglio le cose, ora. Non mi dica di non usare questo potere.”
“A quanto pare, non posso dirti nulla” disse Teysa. “Tranne che dovresti guardarti le spalle.”
“Per nostra fortuna” sbottò Kaya, “sono molto brava in questo.”
Si alzò in piedi e se ne andò velocemente. Tomik si affrettò a raggiungerla, per aprire il portone, ma Kaya si limitò a passarci attraverso con una vampata di luce viola.
Per Ral, l’appartamento a Fuga del Cane sarebbe dovuto essere un rifugio. Sfortunatamente, al momento, lo percepiva più come un rifugio sotto assedio da tutto il resto di Ravnica. Entrò, spargendo qualche goccia di pioggia sul pavimento, sbattendo la porta contro il vento ululante.
Le tempeste solitamente gli facevano percepire una specie di euforia. Tutto quel potere libero di sprigionarsi in aria, flussi lucenti di energia che si trasponevano sulla sua pelle con scie di fuoco. Avrebbe potuti raggiungerli, toccarli, sentirne il sapore, annusare il calore dell’ozono. In quel momento, però…
Non è abbastanza. I fulmini potevano spezzare la roccia e fondere l’acciaio. Ma non potevano velocizzare i meccanismi della burocrazia, o triangolare in modo più preciso i risonatori, o allineare le bobine di mizzium. Non possono far fare ad un branco di maledetti operai quello che gli è stato detto.
Stavano facendo progressi. I risonatori si stavano attivando per tutto il Decimo Distretto, vibrando, facendo roteare marchingegni di mizzium, cristallo e acciaio. Ciascuno doveva essere scrupolosamente posizionato, poi calibrato così che le sue bobine primarie ruotassero con la corretta frequenza e direzione rispetto alle altre. Se fatto correttamente, avrebbero formato una rete, amplificando ed alterando il campo magico del Patto delle Gilde così che Niv-Mizzet avesse potuto ottenere ciò che desiderava.
Un errore, però, e tutti i loro sforzi sarebbero stati peggio che inutili. I risonatori si sarebbero guastati, o peggio. L’energia potenziale per una risonanza distruttiva era devastante. Ral aveva evitato di dirlo alle altre gilde quando aveva spiegato il suo piano.
Ma se falliamo, non avrà comunque importanza. Riusciva quasi a sentire il caldo respiro di Bolas sul collo. Il drago stava arrivando, sempre più vicino, e se i risonatori non fossero stati pronti in tempo, l’unica cosa che si sarebbe potuta mettere in mezzo tra lui e Ravnica era il Faro, il disperato piano di riserva di Niv-Mizzet. Urlare nel vuoto, e sperare che qualcuno risponda. Ral rabbrividì. Se dovremo affidarci a questo, allora saremo probabilmente spacciati.
La serratura scattò, e Ral si rese conto che si era appoggiato contro la porta. Si levò di mezzo prima che essa si potesse aprire per rivelare Tomik, rannicchiato sotto un impermeabile bagnato con in mano un sacchetto di carta. Alzò un sopracciglio alla vista di Ral e si aggiustò gli occhiali.
“Ehm… ho portato del curry” disse. “Quello che piace a te. Posso entrare?”
Ral si rese conto di essere ancora davanti all’ingresso e si affrettò a spostarsi di lato. “Scusa.”
“Nessun problema” disse Tomik, entrando. “Tanto non sta mica diluviando. Non tutti hanno il proprio ombrello magico personale, sai?”
“Perfino io mi bagno in giornate come questa” mugugnò Ral. “Troppo vento.”
“Hai la mia massima compassione.” Tomik lanciò la borsa del curry sul loro tavolino. Si tolse gli occhiali bagnati dalla pioggia, fece per pulirli usando la sua maglia, ma si fermò quando scoprì che era già completamente fradicia. “Per caso hai un-”
Ral gli arrivò alle spalle e gli mise una mano sulla spalla, facendolo girare. Prima che Tomik potesse finire la frase, lo baciò, con tutta la frustrazione e la preoccupazione accumulate negli giorni precedenti. Tomik barcollò indietro di un passo, contro il muro, e Ral lo spinse contro di esso.
“-asciugamano?” Tomik finì la frase debolmente, quando Ral finalmente si staccò per un momento. Prese un profondo respiro. “Il curry…”
“Dopo” grugnì Ral.
“Dopo” concordò Tomik, appoggiando delicatamente gli occhiali sul tavolo.
E il dopo arrivò, come è solito, con triste rapidità.
“Io so di cosa io sono preoccupato” disse Ral. Erano in camera da letto, e lui stava passeggiando avanti e indietro davanti alla grande finestra. Un fulmine lo abbagliò all’orizzonte, connettendo per pochi secondi una torre al cielo, e Ral alzò le mani per rispondergli con un crepitio sulle nocche. Si passò una mano tra i suoi capelli bagnati di sudore e lasciò che una scossa di elettricità ripristinasse la sua solita acconciatura. “Cos’è che sta assillando te?”
“Chi dice che qualcosa mi stia assillando?” mormorò Tomik. Era ancora steso sul letto, con la sua figura allampanata coperta solamente da un sottile lenzuolo. Ral osservò il suo riflesso nella finestra con un occhio di apprezzamento, poi si girò e sospirò.
“Hai il broncio” disse Ral.
“Non ho il broncio. Sto pensando” disse Tomik. “Potresti provarci, qualche volta.”
“Bene” disse Ral. “E a cosa stai pensando?”
“Affari di gilda” disse Tomik, e sospirò.
Ral si guardò alle spalle. Tomik aveva la fronte aggrottata, e per un attimo Ral voleva tirargli fuori qualche informazione. Ma avevano sempre tenuto le loro posizioni pubbliche fuori dalla loro relazione, e anche se le circostanze di Ral erano cambiate, se avrò successo, nessuno negli Izzet oserebbe mai sfidarmi, e se fallirò non avrà comunque importanza, quelle di Tomik erano solo diventate più confuse, con la sua padrona Teysa che ora serviva la Planeswalker Kaya.
“Sai che puoi contare sul mio aiuto, se ne hai bisogno” disse Ral, dopo un momento di silenzio.
“Grazie.” Tomik si mise seduto e rovistò in giro alla ricerca dei suoi occhiali. “È... complicato.”
“Immagino.” Ral inclinò la testa. “Curry?”
“Curry” concordò Tomik.
“I Gruul hanno aumentato i loro attacchi in tutto il Decimo Distretto” disse Aurelia. I suoi occhi luminosi erano difficili da decifrare, ma Ral pensava presentassero un po’ di preoccupazione, anche sull’estatico volto dell’angelo. “I nostri presidi lungo le zone di macerie vengono assaliti quasi quotidianamente. Sono in numero maggiore di quanto avessimo immaginato, e sono ben organizzati. È un peccato che non siate riuscito a catturare questo Domri. La sua guida sembra essere di alto livello.”
“Le mie scuse” disse Ral. “Purtroppo eravamo un po’ impegnati. Come sta la Comandante Ferzhin, comunque?”
“Ferita, ma si riprenderà.” Aurelia inclinò la testa verso la mappa sul tavolo della sala di guerra. “Sfortunatamente, temo che il nostro contributo alla vostra offensiva contro i Golgari sarà minore di quanto avessi inizialmente anticipato.”
“È comprensibile” disse Dovin Baan. “Il Senato fornirà quanto gli sarà possibile, come promesso, ma i nostri numeri rimangono limitati.”
“Io ho parlato con il Mentefiamma riguardo all’impiego di alcune delle nostre risorse più… efficaci per il nostro attacco” disse Ral. “Ma a causa della costruzione e della protezione dei risonatori, anche noi siamo a corto di personale.”
“Mi era parso di capire che anche Rakdos avrebbe contribuito all’offensiva” disse Aurelia.
“Anche a me” mormorò Ral a bassa voce. Erano giorni che non vedeva Hekara, e anche se non era male non averla costantemente tra i piedi, stava iniziando a preoccuparsi. Perlomeno il risonatore in territorio Rakdos è ancora nei tempi, nonostante debba sempre trascinare gli operai fuori dai locali. “Vedrò cosa posso fare, ma il tempo che ci rimane è poco. Kaya, pensi che i tuoi possano aiutarci in buon numero?”
“Certo che possono” disse Kaya, fermamente. “Voglio dire, certo che possiamo. Dicci ora e luogo, e noi saremo lì.”
“L’ora è domani” disse Ral. Rovistò tra le mappe finché non ne trovò una che raffigurava la Città Sepolta. Era più un mosaico di schizzi frammentati, piuttosto che una precisa raffigurazione di quel dominio notoriamente caotico. Ma la camera di cui aveva bisogno era segnata abbastanza chiaramente: una vasta caverna circolare con un canale sotterraneo che passava per il centro. “Ed il luogo è qui. I Golgari lo chiamano Grek’ospen.”
“Questo ampio spiazzo” disse Aurelia, avvicinandosi alla mappa. Le sue ali ripiegate toccarono quasi il soffitto. “È uno spazio aperto?”
“Non penso” disse Ral. “Da quanto ci hanno detto i nostri esploratori, è una specie di alveare che appartiene agli insetti giganti alleati con i Golgari.”
“I kraul” disse Dovin Baan. “Una specie affascinante. Il comportamento eusociale è incredibilmente raro tra le razze completamente senzienti.”
“Non sarà un terreno favorevole per la battaglia” disse Aurelia. “Disordinato e caotico. Ideale per i Golgari.”
“Sfortunatamente” disse Ral, “non abbiamo scelta. Il nodo di cui abbiamo bisogno si trova lì. E Vraska probabilmente sa già che stiamo arrivando.” Troppe persone avevano lavorato a quel piano perché ci fosse qualche possibilità che fosse rimasto segreto anche alle spie Golgari, nonostante gli sforzi di Lazav per estirpare gli agenti di Vraska. “Dovremmo prepararci ad una dura battaglia.”
“Capisco” disse Aurelia. “Io condurrò personalmente le nostre forze.” Allo sguardo sorpreso di Ral, l’angelo alzò delicatamente un sopracciglio. “Ho impegnato la Legione alla vostra causa, ed io prendo seriamente le mie promesse. Questo è il modo migliore per assicurarci il successo.”
“Nonostante mi dispiaccia non poter far parte della spedizione” disse Dovin Baan, “i nostri migliori soldati saranno con voi.”
“E anch’io ci sarò, ovviamente” disse Kaya, inclinandosi in avanti. “Francamente, mi farebbe bene un po’ d’azione.”
“Molto bene, allora” disse Ral. “A domani.”
E se Vraska si mostrerà, avrò la possibilità di inchiodare la testa di quella traditrice al muro.