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The Gathering Storm/Capitolo Tre è il terzo capitolo di The Gathering Storm.

Capitolo Tre[]

Più Ral si avvicinava al Nuovo Prahv, più gli si accapponava la pelle.

Gli Azorius erano sempre stati invadenti ed autoritari, ma qualcosa era cambiato. Ultimamente ho passato troppo tempo rinchiuso nella mia officina. Le strade attorno alla grande cittadella del Senato erano pulite e ordinate come sempre, ma ora i soldati della Colonna Lyev degli Azorius erano dappertutto, di guardia all’entrata di tutti gli edifici importanti e di pattuglia per strada, con le loro lucide armature bianche. Gli ussari passavano al trotto, con le lance pronte all’azione. Nel cielo sovrastante, per una volta libero dalla pioggia, dei costrutti alati volavano pigramente in cerchio, osservando la situazione sottostante con i loro multipli occhi simili a gemme.

Stanno iniziando ad aver paura. La presenza militare sarebbe dovuta essere una dimostrazione di forza, ma a Ral sapeva più di debolezza. Sanno benissimo che non c’è nulla di più inutile di un senato a cui nessuno dà ascolto.

Il Nuovo Prahv era maestoso come sempre: tre enormi torri che dominavano il panorama del Decimo Distretto, disposte alla stessa distanza rispetto ad un cortile centrale e affiancate dalle cupole e dalle guglie degli edifici più piccoli. I confini del gigantesco complesso erano delimitati da alte recinzioni appuntite e all’ingresso una decina di soldati in armatura bianca gestivano una postazione di controllo, perquisendo una lunga fila di pedoni. Ral ignorò la fila e si diresse direttamente verso il cancello, dove un sergente vedalken dalla pelle blu gli lanciò un’occhiataccia dalla sottile fessura del proprio elmo.

“Tutti coloro non facenti parte di una gilda devono prestarsi al controllo dei documenti prima di entrare” disse il sergente. “La prego di aspettare il suo turno.”

Ral guardò la fila con fare sprezzante. “Sono di fretta.”

“Nessuna eccezione” ringhiò il sergente. Altri due soldati si fecero avanti per affiancarlo. “La preghiamo di non causare problemi, cittadino.”

Sì, hanno decisamente paura. Ral sfoggiò un sorriso altezzoso. “Il mio nome è Ral Zarek, rappresentante personale del Capogilda Niv-Mizzet. Sono qui per incontrare il Giudice Supremo Isperia riguardo una questione della massima importanza.”

“Nessuna eccezione-” Il sergente si fermò quando uno degli altri soldati iniziò a sussurrargli con preoccupazione all’orecchio. Le sue labbra blu si incurvarono in un’espressione amareggiata. “Molto bene. Aspettate qui.”

“Spero non per molto” disse Ral.

Ci volle, infatti, quasi un quarto d’ora prima che il sergente tornasse con un capitano al seguito. Il giovane uomo, in uniforme ma senza armatura, si inchinò leggermente verso Ral.

“Benvenuto, Mastro Zarek. Io sono il Capitano Pytr Liosh. Vi prego di venire con me.”

Ral deliziò il sergente con un suo ultimo sorriso di superiorità mentre seguiva il capitano oltre la postazione di controllo. Liosh lo condusse velocemente attraverso la piazza centrale, oltre i tre grandi monoliti, entrando nel labirinto di edifici secondari che contenevano l’apparato amministrativo del senato. Ral fu colpito da quanto fosse diverso rispetto alle sale di Nivix: ovviamente non solo per il fatto che le pareti ed il pavimento non fossero ricoperti di crepe e bruciature, ma per il silenzio. I pavimenti erano di lucido marmo, senza tappeti o arazzi che potessero attutire l’eco, quindi ogni passo riecheggiava come un colpo di fulmine. Degli impiegati li oltrepassarono a testa bassa, senza guardare né Ral né le guardie che erano posizionate ad intervalli regolari come statue di ceramica. C’era anche un flusso continuo di omuncoli: piccole creature rugose che svolgevano i semplici incarichi amministrativi e che trottavano avanti e indietro, con le loro piccole braccine che sostenevano alte pile di pergamene.

Il Capitano Liosh si fermò davanti ad un grande portone, intagliato con lo stemma in argento della gilda Azorius. Dall’interno, Ral riusciva a sentire il debole suono di alcune voci animate a causa della rabbia. Il capitano tossì.

“La delegazione dalla Legione Boros è già arrivata” disse. “Mi pare di capire che la capogilda ci impiegherà ancora qualche minuto. Vi prego di attendere all’interno.”

Aprì la porta, inchinandosi nuovamente. Oltre di essa, Ral vi trovò una camera ovale per le conferenze, con un tavolo molto lungo e lucidato al suo centro. Da un lato del tavolo erano allineati dei funzionari Azorius di alto rango, in uniforme militare o nelle bianche tuniche dei senatori.

Dall’altra parte si trovavano altri soldati, ma di una risma completamente diversa. Se i militari degli Azorius si distinguevano per la loro fredda precisione e la loro lucente armatura di ceramica, la delegazione della Legione Boros indossava dell’acciaio usurato, ben lucidato, ma che presentava comunque le rientranze e i colpi che denotavano il suo utilizzo in una vera battaglia. La delegazione era composta da cinque persone, tra cui due giovani capitani ed un’anziana donna minotauro che vestiva l’emblema da luogotenente. Lei era seduta in silenzio con le braccia incrociate, mentre i suoi subordinati stavano facendo la voce grossa contro quello stormo di politici.

Appoggiata alla parete dietro, ad osservare, c’era un angelo.

Aurelia. Ral non riuscì a distogliere lo sguardo. Non sapeva molto della gerarchia angelica che dominava gli alti ranghi dei Boros, ma Aurelia era diventata capogilda dopo aver deposto Feather. Era molto più alta di lui, ma dava un’impressione di leggiadra grazia che tradiva le sue dimensioni. Il suo volto era stupendo, androgino e bellissimo, ed i suoi capelli rosso cremisi scendevano per la spalla come un fiume di sangue che scorreva sulla sua armatura consunta. Le sue grandi ali erano ripiegate dietro la schiena. Stava osservando la discussione in corso con un’espressione vagamente divertita, come una madre che guardava i propri figli litigare tra loro.

“Se noi siamo deboli” stava dicendo uno dei luogotenenti Boros, “è solo colpa vostra. La Legione e il Senato dovrebbero lavorare insieme, per il bene di Ravnica, ma voi vi siete fatti carico di tutto, negando la nostra funzione.”

“Solamente perché vi rifiutate di compierla” ribatté un panciuto senatore. “Se la Legione facesse rispettare le leggi-”

“E noi come dovremmo far rispettare le leggi, se cambiano ogni giorno?” disse un altro soldato. “Il Senato ha perso il controllo.”

“La Legione è diventata un pericoloso elemento fuori controllo” sbottò un vedalken Azorius.

“Pericoloso?” La donna minotauro si inclinò in avanti, zittendo tutti gli altri per un momento. Una delle sue lunghe corna brillò pericolosamente, mentre l’altra era spezzata ed era stata coperta con una decorazione d’argento. “I Boros sono pericolosi solamente per coloro che vogliono sfuggire alla giustizia. Fa forse parte di questa categoria, senatore?”

“Certo che no” ribatté il vedalken. “Noi siamo la legge. Come possiamo infrangerla?”

“La giustizia e la legge non sono la stessa cosa.” La voce di Aurelia fu sorprendentemente alta e musicale. “Gli Azorius farebbero meglio a ricordarlo.” Poi rivolse i suoi luminosi occhi verso Ral. “Saluti, Mastro Zarek. Stavamo aspettando ansiosamente il vostro arrivo.”

“Lamentatevi con il sergente al punto d’accesso” disse Ral. “O con chiunque abbia progettato questo edificio labirintico.” Si inchinò ad Aurelia, ed inclinò la testa al lato Azorius del tavolo. “Capogilda Aurelia. Maestri. Grazie per essere venuti.”

“Zarek” disse il senatore panciuto. “Bene. Io, per iniziare, avrei alcune domande per voi. Chi è esattamente questa minaccia che affermate essere così incombente su di noi?”

“E cosa ci potete dire delle sue capacità?” disse la minotaura. “Di quanti uomini può disporre, e con quale equipaggiamento?”

“Penso” disse Aurelia, “che sarebbe meglio aspettare che io e la Capogilda Isperia possiamo prima discutere della questione.”

“Concordo” disse Ral. Impantanarsi a cercare di convincere quei litigiosi subordinati della gravità del problema era l’ultima cosa che voleva. “Sarà pronta per riceverci a breve?”

“È già pronta” disse una fredda voce dall’altro lato della stanza. In quel punto si era aperta una porta ed un vedalken alto dagli arti sottili si trovava in piedi al suo fianco. “La capogilda richiede che Mastro Zarek e la Capogilda Aurelia parlino con lei in privato.”

“Potrebbe essere una trappola” disse immediatamente la donna minotauro. “Che ci riceva tutti insieme.”

“L’onore degli Azorius non permetterebbe mai una cosa del genere” disse il senatore. “Ma concordo che noi tutti dovremmo-”

“La capogilda ha reso ben chiara la sua decisione” disse il vedalken.

“Apprezzo la vostra preoccupazione” disse Aurelia. “Ma starò bene.” L’angelo fece un cenno col capo a Ral. “Andiamo?”

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La stanza accanto era molto più grande, più di quanto fosse necessario.

Isperia, Giudice Supremo del Senato Azorius, era una sfinge. Il suo lungo corpo leonino era più grosso di un carro, e reso ancora più imponente da ampie ali piumate. Le sue enormi zampe anteriori erano incrociate dinanzi a lei. Il suo volto e la sua testa erano più umani, incorniciati da lunghi capelli viola. La sua espressione era notoriamente imperscrutabile, come quella di tutte le sfingi.

C’era una sedia al suo fianco, ed altre due erano state posizionate di fronte a lei. Ral, percependo già un certo svantaggio in una conversazione con quella enorme creatura, decise di rimanere in piedi, così come Aurelia. Il vedalken prese posto nell’altra sedia, posizionandosi con movimenti precisi e congiungendo le mani di fronte a lui.

“Benvenuti” disse Isperia. La sua profonda voce aveva un’eco di ruggito leonino nei suoi registri più bassi. “Aurelia. Da quanto tempo.”

“Hai ragione” disse l’angelo. “Mi rammarico della recente… tensione tra le nostre gilde.”

“Invece, penso che non ci siamo mai incontrati, Mastro Zarek” continuò la sfinge. “Ovviamente conosco piuttosto bene il vostro maestro.”

“Il Mentefiamma porge i suoi saluti” disse Ral. Lanciò un’occhiata curiosa al vedalken.

“Ah, sì.” Isperia fece un cenno con il capo verso di lui. “Lui è il Gran Giudice Dovin Baan. È il mio vice, e potrebbe avere competenza per la questione che andremo a discutere.”

“Saluti” disse Baan, con il suo impassibile volto blu.

“Il vostro maestro ha convocato questo incontro, Zarek” disse Aurelia. “Devo dire che quando ricevetti il suo messaggio, mi sembrò piuttosto inverosimile. Un drago di un altro mondo? Ho sempre ignorato simili leggende.” Sorrise.

“Spiegherebbe molte cose riguardo ad Azor. E l’opinione del Mentefiamma deve sempre essere tenuta in considerazione” disse Isperia. “Allo stesso tempo, però, ci siamo abituati ad ignorare i suoi… voli di fantasia. Tuttavia…” Lei lanciò uno sguardo a Dovin, che si schiarì la gola.

Nicol Bolas è piuttosto reale” disse il vedalken. “Ho già incrociato il suo cammino, e quello dei suoi agenti, su Kaladesh, il mio piano nativo. Le mie indagini successive mi hanno condotto qui, dove credo compirà la sua prossima mossa.”

“Quindi affermi di provenire da un altro mondo?” disse Aurelia.

“Sì” disse Baan. “Io sono un Planeswalker.”

Ral si schiarì la gola. “Capisco che l’idea possa sembrare assurda inizialmente” disse lui. “Ma posso assicurarvi personalmente che tali persone esistono.”

Sembrò strano dirlo così apertamente. Fino a non molto tempo prima, Ral aveva tramato disperatamente per far sì che il segreto dei Planeswalker e degli altri mondi non fosse di pubblico dominio. Aveva presunto che se coloro che non possedevano la Scintilla fossero diventati consci della presenza di estranei tra le loro fila, la reazione paranoica sarebbe potuta essere pericolosa per tutti loro. Tutti i Planeswalker che aveva incontrato negli anni avevano la stessa politica, una regola non scritta di tenere segreta la loro peculiare abilità al resto del Multiverso.

Ed ora lui stava violando quel tabù, nei confronti di due tra le creature più potenti ed influenti di Ravnica. Ma non ci si scappa. Non avrebbe mai convinto nessuno della gravità della minaccia di Nicol Bolas senza spiegare la provenienza del drago.

“Ho ricevuto della documentazione da Niv-Mizzet sull’argomento” disse Aurelia. “Suppongo che anche voi l’abbiate.”

Isperia annuì. “Sono volenterosa di dare per buone le sue parole, per il momento.”

“Procediamo con questo presupposto.” Aurelia si rivolse a Ral. “Allora, questo Nicol Bolas è diretto a Ravnica da un luogo sconosciuto. È potente?”

“Notevolmente più potente del mio maestro” disse Ral. “Attualmente.”

“Eppure non è un ostacolo così insormontabile” disse Aurelia. “Perdonate la mia schiettezza, ma se dovessi fare un confronto, punterei sicuramente sulla forza combinata dell’intera Legione rispetto a quella del solo Niv-Mizzet. Non capisco perché questo Bolas sia così diverso.”

“Concordo” disse Isperia. “I draghi sono tutti simili.”

“Bolas non sarà solo” disse Ral. “Ha degli alleati.”

“Chi?” disse Aurelia. “Quanti sono? In quali forze?”

“Sicuramente alcuni residenti di Ravnica” disse Ral. “Sappiamo che Lazav e i Dimir stanno agendo per suo conto.”

“C’era da aspettarselo” disse Isperia. “Non avete altre informazioni?”

“Ho la mia esperienza personale” disse Ral. “Bolas non è una semplice minaccia. Ciò che vuole, solitamente lo ottiene.”

“Concordo” disse Baan, con la sua solita inflessione neutrale. “Se si sta dirigendo a Ravnica, è perché si crede abbastanza potente da dominarla.”

“Per il momento” disse Isperia, “continuiamo. Qual è la proposta di Niv-Mizzet?”

“Vuole modificare il Patto delle Gilde” disse Ral. “In questo modo lui potrebbe ottenere abbastanza forza da sconfiggere Nicol Bolas. Promette di abbandonare gli Izzet e di non prendere più parte al conflitto tra le gilde.”

“Una nobile richiesta” disse Aurelia. “Ma non una nella quale ripongo una grande fiducia.”

“Chi guiderà gli Izzet successivamente?” disse Isperia.

Ral si inchinò leggermente. “Prenderei io l’incarico.”

La sfinge lo squadrò con curiosità. “E voi credete che il Mentefiamma rimarrà neutrale come dice?”

“Sì.” Ral non aggiunse che già ora era difficile che si preoccupasse della gilda, se non aveva a che fare direttamente con i suoi studi. “Penso che sia la nostra migliore opzione.”

Ci fu una lunga pausa.

“Non sono convinta” disse lentamente Aurelia, “che questo Bolas sia una minaccia tanto terribile quanto voi la descriviate, tuttavia…”

Guardò Isperia, e la sfinge annuì lentamente.

“C’è una malattia nelle gilde” disse l’angelo. “Il Patto delle Gilde Vivente avrebbe dovuto tenerle sotto controllo, ma Jace Beleren è scomparso. Suppongo che anche lui sia uno di questi Planeswalker?”

“Sì” disse Ral. “Niv-Mizzet ha ragione di credere che sia morto.”

“È stato a Kaladesh” disse placidamente Baan. “Non so dove si sia diretto dopo la sua visita lì.”

Conosce Beleren? Ral lanciò una profonda occhiata al vedalken, e decise di fargli alcune domande in un secondo momento.

“Comunque sia” continuò Isperia, “il Patto delle Gilde Vivente non sta compiendo il suo incarico. Potrebbero essere richieste ulteriori modifiche.” L’immenso corpo della sfinge si mosse con una piccola scossa. “Dovremmo almeno convocare un vertice delle gilde.”

“Ottenere un accordo non sarà facile” disse Aurelia. “I Gruul ci contesteranno per principio, e gli Orzhov terranno in considerazione solo il loro vantaggio personale. E per quanto riguarda i Dimir, chi lo sa?”

“Niv-Mizzet ha già avviato anche i suoi piani” disse Ral, dimostrando più sicurezza di quella che veramente provava. Se riuscirà a portare i Gruul al tavolo, ha veramente tutto il diritto di farsi chiamare il Mentefiamma. “Ma voi siete d’accordo, in linea di massima?”

L’angelo annuì. “Sì. La situazione attuale non può andare avanti, e dobbiamo rispondere a questa minaccia. La Legione Boros negozierà in buona fede.”

“Noi ci occuperemo dei particolari” disse Isperia. “Ma convincere le altre gilde a partecipare sarà comunque vostra responsabilità, Mastro Zarek. Spero che sarete all’altezza.”

“Lasciate fare a me” disse Ral, forzando un sorriso beffardo.

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Nonostante i suoi dubbi prima di arrivare al Nuovo Prahv, Ral dovette ammettere che la situazione non era, se non del tutto rosea, almeno non completamente disperata. Per quanto le altre gilde protestassero contro l’autorità degli Azorius, al Senato veniva comunque riconosciuto un minimo di rispetto. Il sostegno di Isperia servì molto per non far apparire il tutto come un tentativo degli Izzet di ottenere il potere, soprattutto anche grazie all’appoggio di Aurelia e dei Boros.

I Gruul saranno comunque un problema, però. Non solo erano delle caotiche tribù costituzionalmente opposte a qualsiasi tipo di collaborazione con le altre gilde, ma la loro rivalità con i Boros era molto profonda. E i Dimir si sono già messi contro di noi. Spero che Niv-Mizzet abbia davvero un asso nella manica.

Attraversò a piedi la piazza del mercato che fronteggiava il Nuovo Prahv, lontano dalle postazioni di controllo degli Azorius ma ancora all’interno della loro giurisdizione. Grazie alla pausa che la pioggia aveva concesso, era gremita di gente: dozzine di diverse razze di creature senzienti e centinaia di varietà di bestie da soma. Sopra le teste degli umanoidi, gli spiritelli guizzavano avanti e indietro su scie di magia colorata, ed il loro rumore si mescolava al ronzìo degli insetti e dei piccoli costrutti. Le bancarelle sui lati della piazza vendevano cibo e bevande: patate a spicchi, fantastiche varietà di funghi fritti provenienti dalle profondità della città sepolta, carne arrosto dalla dubbia origine e vino che potrebbe essere anche stato originato da della vera uva… o magari no.

“Mastro Zarek?” disse una vocina, mentre Ral stava contemplando la coscia di qualcosa di verde e a scaglie. Si guardò intorno, sconcertato, per poi abbassare lo sguardo e trovare una ragazzina elfica aggrappata alla sua manica.

“Non voglio comprare niente” brontolò lui.

“Qualcuno vuole parlarvi” disse la ragazza, guardando timidamente il ciottolato. “Dice che è importante.”

“Non-”

“Dice che si tratta di boll-has. Non so cosa vuol dire.”

Ral si bloccò. I suoi occhi scandagliarono il mercato.

“E il signore che vuole parlare con me dove ti ha detto che devo andare?” disse lui.

“Era una signora” disse la ragazzina. “Siediti su una panchina e aspetta, ha detto.”

Prima che potesse fermarla, l’elfa sgusciò via, correndo agilmente tra la folla. Al centro della piazza c’erano alcune panchine in pietra attorno ad una fontana centrale, sulla quale una statua di Azor era circondata da ninfe che producevano acqua. Molte panchine erano occupate, ma Ral non riuscì a vedere nessuno di apparentemente minaccioso.

Anche Tezzeret esiterebbe prima di provare a fare qualcosa così, in pubblico. Non solo la piazza era piena di venditori e mercanti, ma anche le guardie Azorius erano in forze, e pattugliavano in piccoli gruppi od erano posizionate ad intervalli regolari con le loro lucenti armature bianche. Se è una trappola, è particolarmente subdola.

Si fece strada verso la panchina, trovò un posto libero e si sedette. Gli diede una buona visuale di una metà della piazza, ma gli prudeva comunque la nuca, conscio di ciò che avrebbe potuto nascondersi fuori dal suo campo visivo. Si sentiva mezzo nudo senza il suo accumulatore e i suoi bracciali di mizzium, che non aveva indossato per rispetto dei suoi ospiti Azorius. Quando provò ad attingere al suo potere, riuscì a raggiungere soltanto qualche scarica di fulmine all’interno delle minacciose nuvole che si trovavano sopra la sua testa.

Dall’altra parte della strada, un gruppo di marionettisti Rakdos stava inscenando uno spettacolo, per la felicità di una folla di bambini. Sotto il vigile occhio delle guardie Azorius, si limitarono ad una spiccata satira, piuttosto che ad appiccare incendi, con molta delusione da parte del pubblico. Una delle marionette aveva una chioma di capelli selvaggi con una striscia bianca nel centro. Mi chiedo che cosa staranno dicendo ora sul mio conto.

“Zarek” disse una voce femminile dietro di lui. “Non guardarti intorno.”

Ral si mise il mento tra le mani, facendo finta di essere preso dallo spettacolo di marionette. “E tu saresti?” mormorò lui.

Lavinia” disse la donna. “Facevo parte degli Azorius.”

Lavinia. La conosceva per fama. Era stata una delle investigatrici più famose del Senato, tenace nell’inseguimento di tutto ciò che poteva rappresentare una malefatta o corruzione, prima di lavorare insieme a Beleren come Ausiliare del Patto delle Gilde. Le sue dimissioni dalla gilda avevano scatenato un piccolo scandalo, anche se era stato di lì a poco inglobato da tutte le strane notizie che si sentivano ultimamente.

“Ho un mio ufficio, sai” disse Ral. “Se prendi appuntamento, sarai la benvenuta.”

“Ti osservano.”

“Molte persone mi osservano. Nel mio ambito è normale.”

“Non fare il finto tonto. Sai di chi sto parlando.”

“Bolas.” Ral fece una smorfia. “Ti dispiace dirmi come fai a conoscere questo nome?”

“Ho sempre le mie fonti all’interno del Senato” disse Lavinia. “Quel luogo perde come un colabrodo. Entro domani mattina, tutti nel distretto sapranno cosa state organizzando te e la sfinge.”

Ral fece spallucce. “Avevamo comunque intenzione di annunciarlo. E quindi, quali sono i tuoi motivi? Pensavo che avessi abbandonato la gilda.”

“Ho abbandonato la gilda” disse Lavinia a denti stretti, “perché ho iniziato a tirare un filo, e a loro non è piaciuto quello che sono riuscita a trovare.”

“E che filo sarebbe?”

“Nel Decimo Distretto sono presenti agenti di un potere esterno” disse Lavinia. “È da mesi che li sto rintracciando, che intercetto le loro comunicazioni, che cerco di capire il loro scopo e per chi lavorano. Ora ho la risposta ad almeno una di queste domande.”

“Credi che lavorino per Bolas.”

“È l’unica risposta che ha un senso.”

“Quindi, perché stai dicendo a me tutto questo?”

“Perché sei estremamente degno di fiducia.”

Ral rise. “Mi piace pensare di essere opportunamente paranoico.”

“Ascolta” disse Lavinia, abbassando la voce. “Si tratta di una rete organizzata, estesa a tutte le gilde. Non so quale sia il loro obiettivo, non ancora, ma se stai lavorando per contrastare Bolas, cercheranno di fermarti. E non so quanti altri agenti ci sono che ancora non sono riuscita ad identificare. Non puoi fidarti di nessuno.”

“Tranne che di te, suppongo.”

“Saresti uno sciocco se lo facessi.”

“Che cosa vuoi, Lavinia?”

“Voglio aiutarti. Qualsiasi cosa abbia pianificato Bolas, non sarà un bene per Ravnica. Ma devi stare attento.”

“Sono il secondo in comando di una gilda di geniali scienziati pazzi” disse Ral. “Non sono arrivato dove sono ora senza essere attento.”

“Anche se riuscissi a riunire tutte le gilde, è probabile che Bolas abbia già affondato i suoi artigli all’interno di esse.” Lavinia sospirò. “Spero che tu sappia cosa stai facendo. Lo spero davvero.”

“Sarebbe bello sapere chi è già dalla sua parte, se veramente vuoi renderti utile.”

“Farò ciò che posso” disse Lavinia. “Non voglio spaventarli. Non ancora. Ti contatterò di nuovo quando avrò qualcosa.”

“Grazie.” Ral attese una risposta, e quando non arrivò si guardò alle spalle. La panchina dietro di lui era vuota.

Bè, è stato… bizzarro.

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Lavinia non ha tutti i torti, pensò Ral mentre camminava per il Decimo Distretto. È un po’ paranoica, forse, ma non ha torto. Bolas era un cospirazionista nato ed era troppo esperto per scommettere tutto quanto su un solo tiro di dado. Se ha degli agenti tra le gilde, ne avrà sicuramente un buon numero. In qualche modo, avrebbero dovuto scoprire chi fosse stato sul libro paga del drago prima di convocare il vertice delle gilde.

Fece del suo meglio per non pensarci, almeno per il momento. Come sempre, andare nel luogo in cui era diretto gli provocava sempre una sorta di senso di colpa… non che stesse facendo qualcosa di sbagliato, ma gli sembrava di non sfruttare del tempo che avrebbe potuto impiegare a Nivix, studiando rapporti o controllando i propri progetti. Come sempre, Ral si era assicurato che tutto fosse in regola. Isperia impiegherà un po’ di tempo per inviare i messaggi ed aspettare di ricevere le risposte. Non avremo nuove informazioni fino a domattina, come minimo. La breve tregua dalle piogge autunnali era finita, e Ral innalzò il suo incantesimo di deviazione, tenendo la testa bassa mentre i canali di scolo ripresero a gorgogliare e sciabordare.

L’appartamento si trovava nel quartiere di Fuga del Cane, un raffinato rettangolo di vie lontano dalle arterie principali. Per comodità, era abbastanza vicino a Nivix, ma non abbastanza da essere in territorio Izzet. Affittarlo era stata una strana esperienza: era da molto che Ral non aveva avuto occasione di spendere del denaro, ed era rimasto sorpreso di scoprire che fosse, se non ricco, almeno decisamente benestante. Per decenni aveva vissuto nei laboratori Izzet, ed i contabili della gilda gli avevano sempre accreditato diligentemente gli stipendi con regolarità. A quanto pare, Niv-Mizzet era molto generoso con i suoi sottoposti di successo. Non mi meraviglio che la Ciambellana Mareey sia così attaccata alla sua posizione.

Rendendosi conto in ritardo che fosse ora di cena, si fermò in una gastronomia viashino che si trovava sulla strada per arrivare all’appartamento. La vecchia donna lucertola dietro il bancone sorrise alla sua vista, mostrando i suoi denti appuntiti, e si fece scappare una fragorosa risata alla sua solita richiesta di “colpirlo con il meglio che aveva”. Con due curry avvolti in carta cerata, si fece strada per le vie di Fuga del Cane, passando oltre i suoi condomini con la facciata di mattoni, i vasi di piante sospesi alle finestre ed i recinti in ferro battuto. La sua chiave lo fece entrare in uno di questi ultimi a metà della strada, convenientemente anonimo, e salì per tre piani di scale.

Stava facendo tardi. Non appena si tolse il cappotto e mise il cibo sulla tavola, si udì il suono di un’altra chiave nella serratura. Ral aprì la porta e sollevò un sopracciglio alla vista di Tomik Vrona, con i capelli fradici e gli occhiali macchiati dalle gocce di pioggia.

“Sembri un topo bagnato” disse Ral.

“Mi sento un topo bagnato” disse Tomik. “Ho dimenticato il cappotto alla cattedrale. Pensavo di farcela ad arrivare qui prima che il tempo si guastasse di nuovo.” Si tolse gli occhiali e li pulì con la sua camicia, anche se non servì a molto. “Anche questa è colpa tua?”

“Causi una tempesta, e continuano a rinfacciartelo” disse Ral. “Ho preso del curry.”

“Hmm. Allora penso di poterti perdonare.”

Tomik fece un passo in avanti, e Ral si abbassò per baciarlo con passione. Alla fine, Tomik si staccò, sfrecciò oltre Ral facendo finta di non sentire le sue lamentele e si diresse verso la tavola.

“Ora capisco le tue priorità” disse Ral.

“Hai dannatamente ragione” disse Tomik, sedendosi. “Non ho pranzato.”

“Penso che il tuo sia quello marrone.”

“L’ho capito dal fatto che respirandoci vicino non mi sono otturato le vie nasali” disse Tomik. “Veramente, io non capisco come tu riesca a mangiare quella roba.”

“Passa sei mesi in missione con una manciata di incendiari ed imparerai.” I viashino avevano l’abitudine di stagionare il proprio cibo con qualsiasi spezia, verdura o fungo che fossero il più piccante possibile. Il curry di Ral era di un cremisi carico, pieno di pezzetti di carne scottata, simili ad iceberg insanguinati. Ne infilzò uno, assaporandone la piccantezza.

Tomik, che osservò la scena, alzò gli occhi al cielo ed iniziò a consumare il suo curry considerevolmente più delicato. Per un po’ mangiarono in pacifico silenzio, ma ben presto si trasformò in un silenzio imbarazzante. Ral spazzolò il proprio cibo, ma Tomik era ancora a metà della sua porzione, fissando in modo assente le profondità del suo curry, come se contenesse un qualche pericoloso segreto.

“Qualcosa non va?” disse Ral, dopo un attimo di esitazione.

“Oh.” Tomik appoggiò la forchetta e alzò lo sguardo. “Sai com’è. Affari di gilda.”

“Affari di gilda.” Lo pronunciarono quasi in contemporanea, e Tomik sorrise un pochino.

Era una specie di battuta. Lui e Tomik si erano incontrati quando il giovane segretario stava dedicandosi all’obiettivo di Teysa Karlov di sviluppare maggiormente i legami tra gli Orzhov e le altre gilde. La mente acuta di Tomik (ed il modo in cui giochicchiava con i suoi occhiali quando era agitato) avevano intrigato Ral, e si era stranamente esposto ad un incontro in privato una volta concluse le negoziazioni. Dopodiché, in qualche modo, una cosa tirò l’altra.

Ma era chiaro ad entrambi che quella cosa (qualsiasi cosa fosse, e francamente Ral non voleva pensarci troppo) avrebbe funzionato soltanto se entrambi avessero lasciato da parte le loro posizioni sociali. Ral aveva affittato l’appartamento per avere un luogo privato dove incontrarsi mantenendo un basso profilo. Non che gli ufficiali Izzet non avessero amanti o compagni, ovviamente. Se fosse divenuto di dominio pubblico che il secondo in comando degli Izzet stesse passando del tempo insieme al segretario personale dell’erede dei Karlov, avrebbero sicuramente posto delle domande a Ral, e presupponeva che la stessa cosa si sarebbe potuta applicare anche a Tomik.

Data la quantità di tempo ed impegno che entrambi dedicavano alle rispettive gilde, era una via difficile da percorrere. A volte, Ral si chiedeva se non si stesse illudendo di pensare che fosse più di un breve interludio, come decine di altri che erano andati e venuti nel corso degli anni. Ma Tomik…

Scosse la testa. Non è il momento. Preoccuparsi non avrebbe di certo aiutato.

“Affari di gilda” disse nuovamente, e sospirò. “So di cosa parli, credimi.”

Tomik lo guardò come se volesse dire qualcosa, ma si limitò a mordersi il labbro e scuotere la testa. Ral sbadigliò ostentatamente e si alzò da tavola.

“Io, però, oggi ne ho avuto abbastanza degli affari di gilda.” Rivolse a Tomik un sorrisetto malizioso. “E tu?”

Tomik rispose con un suo sorrisetto.

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Nel grande letto soffice, con Tomik rannicchiato contro la sua schiena come un placido gatto, Ral Zarek iniziò a sognare. O a ricordare.

Nel suo sogno, aveva nuovamente diciassette anni.

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Il Decimo Distretto, con le sue sale di gilda ed i suoi grandi mercati, era il centro di Ravnica, se si può dire che una città estesa all’infinito possa avere un centro. Allo stesso modo, Tovrna ne era la periferia: una zona isolata in quell’infinita città. In passato quell’area fu un centro di potere, ma nei secoli era scivolata in una sorta di letargo, governata da una manciata di meschine famiglie di oligarchi che possedevano le sfilze di fabbriche dove lavorava il resto della popolazione. Il centro di Tovrna era composto da alcuni quartieri di ville e appartamenti eleganti, circondati da un sottile anello di edifici fatiscenti destinati ai servitori, agli scribi e ad altri scalatori sociali.

Oltre di essi si trovavano i palazzi diroccati dei poveri, ed i lunghi e bassi capannoni delle fabbriche, alimentate dal gas surriscaldato che risaliva dalle caverne sotterranee. I macchinari all’interno ronzavano notte e giorno, trasformando i fili in vestiario, la ghisa in sbarre perfette, o creando uno tra i centinaia di altri prodotti che Tovrna esportava verso i distretti più ricchi. Sarebbe stato più facile e sicuro utilizzare la magia, ovviamente, ma i maghi costavano. Le persone che abitavano in quei palazzi non avevano niente da perdere, costavano poco ed erano facilmente rimpiazzabili.

La madre di Ral era una di quelle persone. Lavorò in una fabbrica tessile finché non divenne storpia a causa di un incidente, quando Ral aveva undici anni. Visse menomata per altri due anni, mai guarendo del tutto, e Ral fece tutto ciò che era in suo potere per aiutarla. Alla sua morte, infine, ci vollero pochi mesi perché il ragazzino di tredici anni abbandonasse quel delinquente ubriacone di suo padre e si desse da fare per conto proprio.

Quattro anni più tardi, riuscì a stabilire una propria esistenza precaria. Aveva un posto dove vivere, e una specie di lavoro. E, con sua grande sorpresa, trovò l’amore.

“Hai finito?” disse Elias, che stava spiando Ral mentre si stava cambiando attraverso la porta semichiusa della camera da letto.

Ral annuì, indossando una camicia che era un po’ meno logora delle altre e guardandosi allo specchio rotto, appoggiato contro la butterata parete intonacata. Andrà bene, decise, se tengo addosso anche il cappotto. Non che il conte presti molta attenzione a me, comunque. Il suo cliente aveva un bisnonno Orzhov e delle pretese di nobiltà.

Il loro appartamento si trovava nell’anello precario, troppo lontano dal centro del distretto per essere rispettabile, ma comunque non facente parte dei bassifondi. In passato doveva essere stato sicuramente elegante, con gli alti soffitti e quella sbiadita carta da parati dorata nell’atrio, ma non era rimasto nessun mobile. Ral e Elias li avevano sostituiti con la loro eclettica collezione, quasi completamente ricavata dagli scarti degli oligarchi. Qualche mensola traballante sosteneva piccoli dipinti e sculture, gentili concessioni degli amici bohémien di Elias, che si regalavano sempre a vicenda i loro ultimi sforzi artistici. Dentro di sé, Ral pensava che quelle opere assomigliassero più a sgraziati troll o macchie di vernice rovesciata, ma il suo amato sembrava adorarli, quindi non diceva mai una parola.

Lo stesso Elias stava lavorando nella sala principale, disteso a pancia in giù di fronte al loro vecchio divano sgangherato, con la matita in mano. Una pila di carta bianca pulita, uno dei pochi vezzi che i miseri guadagni di Ral potevano permettersi, si trovava di fronte a lui e sul primo foglio era scritta una singola parola barrata ripetutamente.

“Mattinata difficile?” disse Ral.

Elias si girò ed alzò un braccio contro la fronte con un sospiro teatrale. Ral rise, ed Elias tirò fuori la lingua. Aveva un anno in più di Ral, ma era più minuto e più magro, con la pelle marrone scuro ed i lunghi capelli tinti di un verde scuro, a imitazione della moda elfica, un look apparentemente in voga in quel periodo.

“Ci terrei a farti sapere che sono nel bel mezzo di una lotta contro la mia musa, e la sto mettendo al tappeto” disse Elias. Si stese e mise attentamente in equilibrio la matita sulla punta del suo naso, osservando il soffitto. “Manca veeeeeeeramente poco. Scriverò pagine come un macchinario in serie.”

“Bè.” Ral avrebbe voluto saltargli addosso, buttargli via la matita e baciare quel sorrisetto che si ritrovava sul viso. Ma non posso fare tardi, non dopo l’ultima volta. “Allora non ti distraggo.”

“No? Nemmeno per un pochettino?”

Ral rise, salutò ed uscì dalla porta.

Era piena estate, ed il sole cuoceva il fango tra i ciottoli fino a farlo diventare una fine polvere che ricopriva ogni cosa. Ral costeggiò il centro del distretto, rimanendo nelle strade secondarie senza troppo traffico, finché non arrivò alla villa del conte. Era enorme, alta almeno quattro piani, e tempo prima aveva inglobato gli edifici dietro di essa per estenderla ulteriormente oltre la strada. Lì si trovavano i giardini terrazzati, quattro livelli di selvaggio verde che producevano frutta ed erbe per la tavola del conte.

Ral evitò il portone frontale e si diresse verso l’entrata laterale dei negozianti: aveva già compiuto una volta quell’ errore. Quando bussò alla porta, un maggiordomo dall’aria insoddisfatta lo accolse. La sua espressione mentre osservava il cappotto usurato di Ral ed i suoi pantaloni rattoppati avrebbe potuto far inacidire il latte.

“Ah” disse lui. “Il mago della pioggia.”

Mago della pioggia, mago della pioggia. La voce dell’uomo riecheggiò nella testa di Ral, deridendolo. Lui deglutì con forza e annuì.

“Dovrai aspettare” disse il maggiordomo. “Il padrone si sta intrattenendo nel giardino ora.”

“Stamattina mi aveva detto che sarebbe stato tutto pronto” disse Ral. “Ho altri appuntamenti-”

“Il conte ha cambiato i suoi impegni” disse il maggiordomo, lentamente e con attenzione, come se stesse parlando a un idiota. “Dovrai aspettare.”

E quindi Ral dovette starsene ad aspettare quasi un’ora in cucina, mentre i servitori gli lanciavano curiose occhiate e la vita della grande casa proseguiva dinanzi a lui. Quando una domestica finalmente lo convocò nei giardini, intravide brevemente il conte ed i suoi ospiti che uscivano dalla porta principale. Sembravano una mandria di brillanti pavoni, a confronto con lo scialbo vestiario degli inservienti.

Avevano lasciato il giardino completamente in disordine, con piante ribaltate, piatti mezzi pieni e posate ovunque. Quello, almeno, non sarebbe stato un problema di Ral. Si mise seduto a gambe incrociate sul livello più alto del giardino e si concentrò.

Mago della pioggia. Per le strade gli avevano affibbiato quel nome quando era solo un ragazzo, glielo urlavano contro per prenderlo in giro. Lui scoprì di possedere il talento delle arti magiche, ma non quelle del fuoco, della mente, della cura o di qualcosa di veramente eclatante. Soltanto… la pioggia. Cosa potresti fare con la pioggia?

In alto si udì un piccolo rombo di tuono, dopodiché delle pesanti gocce iniziarono a cadere sulle foglie del giardino. La secca terra assetata bevve l’acqua, che si incurvava attorno alla figura di Ral.

Ecco cosa si potrebbe fare con la pioggia. Il trucco non era richiamare la pioggia, cosa che Ral riusciva a fare da quando aveva dieci anni. Il trucco era riuscire a far piovere in un certo punto e non altrove. Il conte ed i suoi vicini non sarebbero stati contenti se avesse bagnato gli ospiti della festa. Ci vollero anni a Ral per ottenere un tale controllo, ma di certo non gli aveva fatto guadagnare molto rispetto.

Doveva essere innaffiato ogni livello, quindi terminò a mezzogiorno inoltrato. Accettò il pranzo che il maggiordomo gli offrì controvoglia, pane bianco ed avanzi di stufato, oltre alla piccola borsa di zini. Era abbastanza per pagare l’affitto e far mangiare lui ed Elias per qualche altro giorno, in attesa di un’altra commissione. Finché Elias non avesse trovato finalmente un pubblico per la sua poesia e avesse rispettato tutte le sue promesse. Ancora un po’ di tempo.

Era appena uscito dalla villa quando lo chiamarono, mentre si stava sistemando il cappotto.

“Ehi, mago della pioggia!”

Ral alzò lo sguardo ed imprecò a bassissima voce.

Gunther era il figlio più grande del conte, dell’età di Ral, anche se era difficile capirlo sotto tutti quegli strati di seta e cosmetici. Ral pensava che in quel modo assomigliasse ad un artista da circo, ma Gunther chiaramente si credeva il massimo esponente della moda, e anche il suo entourage sembrava concordare con quella visione, scimmiottando lo stile esagerato del ragazzo. Erano in una mezza dozzina di giovani uomini di famiglie rispettabili ed un tizio leggermente più grande e dall’aspetto un po’ più trasandato che aveva l’aria di uno scagnozzo. Bloccarono il passaggio nella strada.

Ral tenne la testa bassa mentre camminava verso di loro.

“Mago della pioggia!” disse Gunther. “Sto parlando con te.”

Non poteva far altro che rispondere, per evitare di dover letteralmente camminare sopra quel ragazzo. Ral sospirò e alzò lo sguardo.

“Sì?”

“Cos’hai intenzione di fare” disse Gunther, “per quanto riguarda il mio cappello?”

Il suo cappello era largo, verde e bordato di seta. Quando lo inclinò verso Ral, era ben visibile una striscia bagnata su un lato.

“Ora è irrimediabilmente rovinato” disse Gunther.

“Mi dispiace sentirvelo dire” disse Ral. “Ma stavo soltanto eseguendo le istruzioni di vostro padre.”

E sono sicuro che il giardino fosse vuoto. Gunther doveva aver notato la pioggia e ci era andato sotto di proposito.

“Mio padre non ti ha dato istruzione di distruggere il mio guardaroba!” disse Gunther. “Vorresti venire con me e chiedergli spiegazioni?”

“No” disse velocemente Ral. “Mi dispiace.”

“Allora dovrai semplicemente pagare il danno.” Gunther avanzò verso di lui. “Vediamo cos’hai in borsa.”

L’entourage iniziò a ridacchiare, tranne lo scagnozzo. Ral strinse i pugni.

“No” disse lui, con calma. “Non vi darò la mia borsa.”

“Perdonami?” Gunther si inclinò in avanti. “Lo farai. Altrimenti verrai punito.”

“Non lo farò” disse Ral.

Il pugno di Gunther lo colpì allo stomaco, potente e veloce. Visto come si vestiva, non sembrava corretto che Gunther potesse tirare un pugno del genere, ma suo padre apparentemente non si era risparmiato sull’allenamento fisico del figlio, e c’erano dei muscoli sotto tutti quei fronzoli. Ral si piegò in due, poi si raddrizzò lentamente.

Questo sì che è uno sguardo pericoloso” disse Gunther. “Cos’hai intenzione di fare, mago della pioggia? Inumidirmi?”

“No” rantolò Ral. “Signore. Vorrei solo passare.”

Varo” disse Gunther, con disinvoltura. “Mostra a questo tipo cosa sa fare un vero mago.”

Lo scagnozzo si fece avanti. Incrociò lo sguardo di Ral e scrollò le spalle.

“Scusa, ragazzino.”

Ral ebbe il tempo di alzare le mani prima che Varo iniziasse a gesticolare in modo complicato, ed un’ondata di pura forza sbattesse Ral contro il bordo della strada. L’aria gli uscì tutta d’un colpo dai polmoni, e sentì il suo naso spezzarsi con un crack ed una fitta di dolore. Il secondo successivo si trovò disteso con la schiena a terra a sputare sangue, mentre Gunther ed i suoi amici ridevano.

Molto bene, Varo” disse Gunther.

“Sissignore.”

“Penso di essermi vendicato per il mio cappello” annunciò il ragazzo. “Chi ha voglia di una partita a freccette?”

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Passò una quantità di tempo indefinita. Ral doveva concentrarsi anche solo per respirare, ed il suo naso iniziò a gonfiarsi. Socchiuse gli occhi, guardando il sole.

Una figura entrò nella sua visuale. Un uomo, che porse la mano.

“Hai bisogno di aiuto, ragazzo?” La voce sembrava amichevole, divertita.

Ral esitò solo un attimo prima di afferrare la mano. Una forte presa lo fece rimettere in piedi. Sbatté le palpebre, con gli occhi umidi, poi sussultò quando l’estraneo iniziò a premergli le dita sul volto.

“È una brutta frattura” disse l’uomo. “Posso sistemartela, se vuoi.”

“Quanto mi costerà?” disse Ral, con la voce strozzata e nasale.

“Diciamo… un attimo del tuo tempo. Mi piacerebbe che ti unissi a me per una tazza di caffè.”

Ral annuì cautamente. L’uomo premette attentamente due dita contro il suo naso rotto, e Ral percepì la strana sensazione del rafforzamento della carne che si attorcigliava su sé stessa. La magia curativa pizzicò leggermente, poi svanì.

“Ecco fatto.” L’uomo gli porse un fazzoletto. “Penso tu voglia ripulirti un attimo. Sembri stato in guerra.”

“Grazie” disse Ral, rincuorato di essere tornato a respirare normalmente. Si pulì il sangue sul viso. “Non sono sicuro che una tazza di caffè sia abbastanza per ripagarla.”

“Bè.” Ora che Ral poteva vederlo chiaramente, l’estraneo era un uomo maturo, alto e affascinante, con i capelli ingrigiti raccolti in una coda. Era vestito in modo impeccabile, anche se con uno stile che Ral trovava vagamente straniero. “Forse potresti essermi grato ulteriormente considerando un’offerta. Penso che tu abbia del potenziale.”

“Per cosa? Per farmi pestare a sangue?”

“Ammetto che è da un po’ che ti osservo.” L’estraneo inclinò la testa. “Penso tu sia propenso ad un’ulteriore occupazione, dico bene?”

Ral annuì.

“E non ti dispiacerebbe compiere incarichi che vadano contro gli interessi degli alti ranghi della società, giusto? Come, ad esempio, il conte ed il suo incantevole figlio.”

Ral, dopo aver seguito i giri di parole dell’uomo, si ritrovò a ridere.

“No” disse lui. “Non mi dispiacerebbe affatto.”

“Eccellente” disse l’estraneo. “Allora abbiamo molto di cui discutere.”

Lui porse una mano, e Ral la strinse.

“Ral Zarek” disse Ral.

“Bolas” disse l’estraneo. Sorrise, mostrando dei bianchissimi denti leggermente appuntiti. “Nicol Bolas.”

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