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The Gathering Storm/Capitolo Sette è il settimo capitolo di The Gathering Storm.

Capitolo Sette[]

Le vaste catacombe di Orzhova erano sigillate rispetto al resto della Città Sepolta, e ben isolate sia grazie alla magia che grazie alle solide pareti. Tuttavia, lo stesso non poteva essere detto per il resto dell’edificio. Dove c’era un impianto idraulico, c’erano delle fogne. E dove c’erano delle fogne, c’era sempre un punto di entrata per lo Sciame.

Camminavano in fila indiana lungo uno stretto corridoio di antichi mattoni crepati. Fortunatamente, i liquami erano confinati all’interno di una tubatura di metallo corroso che si snodava sul fondo del passaggio, quindi non c’era bisogno di immergersi in mezzo a dei rifiuti malsani. Quei tunnel erano stati costruiti per la manutenzione delle tubature, per poi venire chiusi dagli abitanti della superficie e rapidamente invasi dallo Sciame, ormai abituato a riutilizzare le cose scartate da altri.

“Da questa parte” disse Vraska. Guidava la strada a Ral e alla lanterna che sorreggeva. I suoi occhi gialli erano perfettamente a loro agio nella perfetta oscurità. “Un’ultima svolta.” Si fermò all’angolo, notando diversi corpi compattati dinanzi a loro. “Eccoci qui.”

“Ohh” disse Hekara. “Cos’è che puzza?”

“I nostri rinforzi” disse Vraska, con un rigido sorriso.

Lì si trovava una piccola stanza, collegata a diversi altri tunnel, dove si incontravano una serie di tubi aggrovigliati. Tutti quei tunnel erano pieni di cadaveri ambulanti, dei corpi in decomposizione che stavano già facendo sbocciare nuova vita sotto forma di fioriture fungine ed escrescenze dai molti colori. Anche stando fermi generavano una sorta di rumore, prodotto dai piccoli saprofagi annidati al loro interno che si nutrivano incessantemente dei loro ospiti. Ogni tanto un arto si staccava con un suono umido, per poi cadere a terra.

Vraska aveva promesso di aiutarli con quel piano, ma non aveva intenzione di sprecare delle vite Golgari se poteva evitarlo. I morti dei Golgari, d’altro canto, erano un altro discorso. Gli zombie marci erano comunque delle creature fugaci, costantemente consumate dalla decomposizione e rimpiazzate dal raccolto di cadaveri successivo. Al mondo sotterraneo non sarebbe importato se qualche centinaio fosse caduto in quel luogo, sporcando i bei pavimenti di marmo degli Orzhov.

In mezzo alla folla di zombie c’erano anche alcune bestie più grandi. I kraul avevano condotto lì alcuni dei loro fratelli insetti non senzienti per unirsi all’assalto: ragni e coleotteri grossi come cavalli. E avevano preso con loro anche qualche troll mentre si spostavano per le fogne: quelle creature dalla dubbia intelligenza li seguirono di propria volontà, sperando di mangiare qualcosa o di seminare un po’ di devastazione.

In tutta onestà, il piano sembrava promettere un viaggio di sola andata per tutti i presenti. Ral continuava a insistere di avere una via d’uscita, ma Vraska non si fidava istintivamente delle elaborate elucubrazioni sulle quali il mago Izzet contava così ciecamente. Come Planeswalker, ovviamente, lei aveva sempre una via d’uscita in caso di emergenza, e si chiese quanti altri dei suoi compagni potessero contare sulla stessa abilità. Kaya di sicuro: era palesemente fuori posto a Ravnica. Vraska aveva i suoi sospetti anche riguardo a Ral e Hekara, ma nulla di certo.

La fiducia deve essere reciproca. Ral le aveva chiesto di dimostrare la sua dedizione alla causa per fermare Bolas. Ora anche lui dovrà dimostrarmi di essere degno della mia fiducia.

I quattro avanzarono, oltrepassando gli zombie, finché non si trovarono davanti ad un muro di mattoni. Vraska lo colpì leggermente e parlò a bassa voce.

“Oltre questo muro si trova la lavanderia del seminterrato” disse. “Dovrebbe esserci una scalinata bella ampia che conduce all’ingresso del piano terra, chiusa da un cancello. Se riusciamo ad oltrepassarlo, cattureremo di certo la loro attenzione.”

“Perfetto” disse Ral. Diede un’occhiata a Kaya. “Dacci un po’ di tempo per iniziare a scalare la torre. Ci muoveremo verso l’alto il più velocemente possibile, quindi dovremmo riuscire a convincere le guardie che qualsiasi cosa stiamo cercando si trovi verso l’alto. Avrai strada libera per le catacombe.”

Kaya annuì. “Siete sicuri di riuscire ad uscire? Vi bloccheranno la strada per tornare indietro.”

“Non preoccuparti” disse Ral. “Ci ho pensato io.”

“Se lo dice lei.”

“Siete tutti pronti?” disse Ral.

“Fico!” disse Hekara. Vraska annuì, e Kaya fece spallucce.

Ral si voltò verso Vraska. “Volete avere l’onore?”

Vraska fischiò leggermente. Uno dei coleotteri si fece avanti: un’enorme creatura nera con un mostruoso corno diramato sulla fronte. Lei fischiò una diversa nota, e l’insetto si lanciò alla carica, accumulando inerzia fino a colpire il muro con una forza spaventosa.

I mattoni consunti esplosero sotto il peso del coleottero, ed esso non rallentò, sfrecciando nello spazio poco illuminato oltre la parete. Appena la foschia polverosa si fu diradata, nel muro si poteva vedere un grosso buco. Vraska scalò le macerie, estrasse la sciabola e scattò in avanti. Riconoscendo quelle movenze, gli zombie iniziarono a muoversi, ciondolando verso il foro come una massa unica. Ral, Hekara e Kaya entrarono per primi, precedendo la barcollante orda di cadaveri.

Le grida si levarono quasi immediatamente. Vraska sbatté le palpebre, facendo adattare i suoi occhi ormai abituati all’oscurità, e vide un grande spazio pieno di mangani in legno e acciaio, delle macchine ad azione manuale che strizzavano i vestiti. Una folla di giovani donne dall’aspetto smunto li stavano utilizzando, ed ora stavano fuggendo verso una rampa di scale dal lato opposto della stanza.

Agli zombie era stato ordinato di attaccare solamente chi avesse opposto resistenza, anche se ovviamente le donne non potevano saperlo. A Vraska non erano mai piaciuti gli Orzhov, ma non vedeva come sarebbe potuto risultare utile massacrare delle povere lavandaie. Vraska fischiò al coleottero in modo che la seguisse, poi si diresse verso gli scalini correndo, con Ral e Hekara dietro di lei. Kaya era già sparita. Buona fortuna. Spero che funzioni.

La rampa conduceva al piano terra della cattedrale. Le lavandaie avevano seminato facilmente gli zombie, e avevano chiuso alle loro spalle un cancello d’acciaio, bloccando la soglia ad arco. Con un altro fischio, Vraska fece prendere la rincorsa al cervo volante, che si schiantò contro le sbarre di metallo. Con uno stridio simile a quello di un demone, l’acciaio si incurvò e cedette, poi il mostruoso insetto sfrecciò lungo un liscio pavimento in marmo sotto una pioggia di scintille.

L’entrata della cattedrale era tipicamente Orzhov, tutta lucida e pesantemente decorata. Una parete, dove dei piccoli passaggi conducevano all’interno della sala di culto, era ricoperta di icone dorate della chiesa Orzhov. Un’altra era piena di piccole finestre sbarrate, dove gli oratori ascoltavano a turni i supplicanti che imploravano di ricevere prestiti e pietà. Una larga rampa di scale in marmo portava al primo piano.

L’arrivo del coleottero fece gridare all’allarme. Gli zombie, qualche secondo più tardi, generarono un fuggi fuggi generale verso le uscite da parte dei parrocchiani e dei supplicanti. C’era uno squadrone di guardie alle porte principali, ed un secondo di fronte alle scale, oltre ad altre guardie sparse per la stanza. Vraska indicò Ral, poi uno degli squadroni, lui annuì velocemente e si diresse in quella direzione insieme a Hekara. Vraska andò verso gli altri, con gli zombie che iniziarono una corsa strascicata dietro di lei.

Doveva sicuramente dare loro credito per il coraggio. Ci voleva fegato a rimanere saldi nella propria armatura decorativa armati di una lancia d’oro per affrontare centinaia di zombie putrefatti in carica, anche se forse ciò che mancava loro era più il buonsenso che altro. Vraska lasciò che l’ondata di zombie colpisse per prima. Le guardie infilzarono con le loro lance, dilaniando i cadaveri putrefatti in un’esplosione di marciume dall’odore rivoltante, ma l’ondata non si placava. Le guardie dall’armatura dorata caddero, urlando, mentre dita e denti marcescenti strappavano ogni pezzo di carne fresca che capitava loro davanti.

Al centro della stanza, un cavaliere in armatura più pesante stava resistendo, lasciando davanti a sé uno spazio libero grazie a dei colpi a spazzata del suo spadone a due mani. Vraska si diresse immediatamente verso di lui, aspettando che terminasse uno dei suoi colpi orizzontali prima di avvicinarsi. La sua sciabola colpì i suoi guanti di maglia, senza penetrare l’armatura ma sbilanciandolo. Prima che potesse riassestarsi, lei afferrò con la sua mano libera la visiera dell’armatura per fargli abbassare la testa, così che potesse osservare la luce dorata che scaturiva dagli occhi della gorgone. Il cavaliere si irrigidì e la sua pelle iniziò a trasformarsi in pietra all’interno della sua armatura scura, dopodiché lei lo superò, proseguendo.

A sinistra, un’esplosione di luce attinica ed un potente tuono annunciarono la sconfitta del secondo squadrone di guardie. Vide Hekara saltare sopra una guardia, ridendo a crepapelle ed infilando uno dei suoi rasoi nella gola del soldato, di traverso. Altre guardie stavano cercando di fortificare le porte della sala principale, mentre gli zombie cercavano di lanciarsi nello spazio rimasto aperto. Erano arrivati anche tre grossi troll, che rimasero stupidamente incantati dal bagliore di migliaia di candele. Vraska fece loro un cenno, fischiando anche un ordine per gli insetti.

“Al piano di sopra!” Si riunì con Ral e Hekara sugli scalini, conducendo la sua orda al piano superiore. La mano di Ral brillava di elettricità iridescente, e lo strano cilindro sulla sua schiena emanava una forte luce mentre ronzava rumorosamente. Un’altra decina di guardie aveva formato una linea di difesa sul pianerottolo successivo, ed il mago Izzet fece un cenno pragmatico a Vraska. I rasoi di Hekara spuntarono dagli occhi di due delle guardie, poi Ral e Vraska le travolsero.

La battaglia divenne presto frammentaria per Vraska. Le guardie Orzhov arrivavano tanto velocemente quanto venivano abbattute, e non c’era tempo per fare altro se non concentrarsi sull’avversario successivo e il prossimo, abbattendolo con una rapida serie di calci e fendenti, infilzando l’altra guardia e pietrificandola con uno sguardo. Attorno a lei, gli zombie lamentosi combattevano e morivano, delle guardie armate di lance provarono ad abbattere i mostruosi insetti, e i troll delle fogne infuriavano, distruggendo ogni cosa che era a loro portata.

C’era un brivido lì, nel bel mezzo della battaglia. Vraska poteva anche aver perso il gusto per la morte in sé e per sé, ma quello, lo scontro delle lame ed il crepitio della magia, le faceva ancora ribollire il sangue nelle vene. Era strano avere Ral e Hekara al suo fianco, erano compagni che erano abili quasi quanto lei. Riportò a galla alcuni ricordi della sua vita su Ixalan, a combattere vampiri e dinosauri al fianco della ciurma della Belligerante. Correre lungo il ponte inclinato con la sciabola in mano, invece che nascondersi nell’oscurità.

“Al piano successivo” disse Ral, indicando un’altra rampa di scale. “Dobbiamo continuare a salire.”

“Stiamo finendo gli zombie” disse Vraska. Quel piano ne era ancora invaso, ma il flusso lungo le scale stava rallentando vertiginosamente. “Dovrebbero essercene altri che entrano dalla breccia-”

Un basso gemito riecheggiò per la sala di marmo. Qualcosa bloccava gli scalini dal piano terra: una creatura contorta che correva su quattro zampe, ma che aveva un aspetto grottescamente umanoide. Dal suo dorso spuntavano un paio di braccia in più, le cui dita terminavano in lunghi artigli. Il suo volto era coperto da una maschera di monete legate tra loro. Dietro di essa ne arrivò un’altra al trotto su due gambe, incredibilmente grassa, e che sembrava essere la parodia di un neonato. Dopo di essa un’altra, e poi un’altra ancora-

“Thrull” disse Ral. “Dai laboratori dei maghi della carne.”

Vraska menò un fendente con la sciabola, e gli zombie si voltarono. Il primo thrull si schiantò contro l’orda, distruggendo diversi zombie marci prima che il loro assalto riuscisse ad abbatterlo, strappandogli la sua pallida carne. Gli zombie barcollarono in avanti e i thrull si scontrarono contro di essi. Due eserciti senza intelletto che si dilaniavano a vicenda con un mucchio di sangue e violenza.

“Non ci faranno guadagnare molto tempo” disse Vraska, notando con quale velocità si stava diradando l’orda di zombie. Un ragno gigante caricò i thrull, iniettando con un morso abbastanza veleno da abbatterne uno in una sibilante nuvola d’acido. Le creature mascherate si lanciarono contro l’aracnide senza alcuna paura, atterrandolo nonostante stessero bruciando e morendo.

“Dobbiamo continuare a muoverci” disse Ral. “Kaya ha avuto il suo diversivo. Ora noi dobbiamo uscire di qui, ed il mio biglietto per poterlo fare funzionerà soltanto se riusciamo ad andare ancora qualche piano più in alto.”

“Allora muoviamoci, compagni” disse Hekara. Stava sorridendo come una pazza, e aveva il volto sporco di sangue. “Cosa stiamo facendo qui? La battaglia è di là!”

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Kaya si fece da parte mentre gli zombie le passavano di fianco e le urla iniziavano a levarsi dall’ingresso, insieme al rumore dei colpi di spada. Quelle cose marce e barcollanti sembravano non finire mai. Si riversavano dai tunnel delle fogne attraverso la breccia in un flusso continuo, seguendo Ral e gli altri su per le scale o accumulandosi davanti alle porte barricate del santuario.

Come diversivo era piuttosto buono, dovette ammettere Kaya, anche se non aveva idea di come Ral avesse intenzione di scappare. Ci avrà pensato lui. Io devo pensare ai miei problemi. Attraversò spettralmente la folla di zombie, emergendo cautamente nell’ingresso, e trovò la porta chiusa che portava alle scale della catacomba. Com’era ovvio, le guardie lì fuori se n’erano andate. Per ora tutto bene.

Non ci fu anima viva che la vide camminare attraverso la porta. Oltre di essa si trovava una stretta scaletta, che conduceva sia ai piani superiori della torre che alle sue profondità. Lungo i muri bruciavano a intervalli regolari alcune luci magiche, che fornivano un’illuminazione fioca ma costante. Kaya scese, osservando le ombre. Un trambusto di stivali pesanti ed un tremolio della luce la allertò dell’avvicinamento di altre guardie, così lei prese un profondo respiro ed entrò quasi completamente dentro alla parete. Ce n’era un intero plotone. Stavano affrettandosi verso le scale con le loro armature tintinnanti e, quando finalmente passarono oltre, i polmoni di Kaya erano arrivati al limite. Quando uscì fuori boccheggiò per riprendere fiato, così da dare alle guardie il tempo di fare qualche altra svolta su per la spirale prima di ricominciare la propria discesa.

La scala continuava imperterrita, facendosi strada verso il basso, con qualche pianerottolo dopo un certo numero di svolte. Quelle erano le camere blindate dei grandi sacerdoti-banchieri, e le mani di Kaya le prudevano al pensiero di ciò che avrebbe potuto accoglierla oltre quelle porte. Oro, magia e segreti, senza dubbio. Le solite cose che i potenti vogliono sempre accumulare. Dei cancelli incatenati bloccavano le scale a ogni pianerottolo, avvolti da difese magiche che avrebbero incenerito chiunque non avesse la chiave corretta, ma quando Kaya attraversò le sbarre, queste non fecero una piega.

Al settimo pianerottolo non c’erano luci ed una figura blu luminescente incombeva di fronte a lei: le sue fattezze umanoidi erano contorte e distorte come fossero di cera fusa. Indubbiamente sarebbe stata una vista terrificante per chiunque non cacciasse fantasmi di professione, ma Kaya si limitò ad estrarre le sue lame e conficcarle nell’entità, dilaniando la sua sostanza ectoplasmatica con un terribile stridio. Lei continuò a scendere, notando ogni tanto altri spiriti che spuntavano fuori dalle pareti al suo passaggio. I fantasmi sono spaventati. Ridacchiò tra sé e sé. Mi sembra appropriato.

Il decimo pianerottolo era il fondo. Una sola porta rinforzata in ferro conduceva oltre, avvolta da terribili rune. A qualsiasi creatura vivente che avesse oltrepassato la soglia sarebbe stata devastata l’anima da un incantesimo di morte, se non protetta da un incantamento adeguato.

Kaya alzò gli occhi al cielo. Questi Orzhov non hanno molta immaginazione. Camminò dritta dentro al muro a fianco della porta, trattenendo il respiro, fece un paio di passi alla cieca in avanti, poi si mosse di lato per ritrovarsi nel corridoio oltre la porta. Nessuuuuun problema. Ridacchiò, si scrocchiò le nocche, poi proseguì.

Qualcosa scattò sotto il suo piede. Un secondo dopo, una sega circolare larga come il corridoio cadde senza alcun preavviso nello spazio dove si trovava lei, scivolando in una fessura del terreno praticamente invisibile. Kaya si materializzò di nuovo, con il cuore che le stava esplodendo in petto. Un ciuffo di capelli tagliati fluttuò verso il pavimento, segnando il punto in cui era diventata incorporea appena in tempo.

“Va bene” mormorò. “Forse hanno un po’ di immaginazione.” La trappola con la lama era appena dopo la porta, proprio dove un’astuta ladra avrebbe potuto fermarsi per congratularsi con sé stessa. Rimani concentrata, Kaya.

Evitò altre quattro piastrelle a pressione prima di raggiungere la porta successiva, altrettanto resistente ma senza protezioni magiche. Sospettosa, Kaya smosse la maniglia, e scoprì che non era nemmeno chiusa a chiave. Non la aprì completamente, e lo fece lentamente, per poi entrare in una stanza debolmente illuminata. Sul lato opposto, una porta più elaborata prometteva l’ingresso a qualcosa di importante. Doveva essere lì.

Delle ombre si mossero vicino alla porta. Kaya estrasse le lame, poi allungò il collo quando una figura emerse, andando in alto, in alto e in alto, con la pelle lattiginosa e dei lunghi arti allampanati. La testa era racchiusa dentro una maschera nera e oro, astratta e senza volto. Dall’altro lato della porta, si rivelò un secondo gigante. Le sue mani erano ricoperte da dei pesanti guanti d’acciaio ricoperti di spuntoni che, sinceramente, potevano sembrare un po’ eccessivi.

“Oh, salve” disse Kaya, facendo roteare le sue lame. “Suppongo di non potervi convincere del fatto che sono venuta a fare le pulizie?”

Il primo gigante cercò di colpirla con una mano enorme. Kaya si abbassò e indietreggiò di un passo.

“Già, lo immaginavo” disse lei. “Bè, facciamola finita, allora.”

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Ral, Hekara e Vraska avanzavano su per la torre, con le guardie Orzhov a bloccare loro la strada ed un branco di zombie che si stava rapidamente disintegrando dietro. Le truppe contro di loro erano più di semplice carne da macello, ora. Chiunque stesse sovrintendendo le difese aveva iniziato a prenderli sul serio, cosa che per Ral era almeno leggermente gratificante. Sfortunatamente, ciò aumentava anche le probabilità di venire uccisi.

L’ultimo dei troll caricò, lanciando un cavaliere Orzhov in armatura per il corridoio verso delle guardie armate di lancia. Ral e gli altri seguirono la sua scia fino all’incrocio successivo, dove altre guardie li assalirono da ogni lato. Ral e Vraska si ritrovarono a combattere con una tecnica oramai familiare, schiena contro schiena per i primi secondi che gli servivano per gestire i soldati più vicini, mentre Hekara lanciava i suoi rasoi ai bersagli più distanti.

Il troll lanciò un muggito disperato, quindi Ral alzò lo sguardo e vide che una freccia nera aveva perforato la spalla della creatura. Normalmente il danno veniva rigenerato quasi immediatamente, ma quella ferita invece sembrava espandersi, una decomposizione avvizzente che iniziò ad invadere il corpo del troll. Quando provò ad afferrare la freccia con l’altra mano, le sue dita si sciolsero, e l’intero braccio si decompose rapidamente fino a lasciarne solamente l’osso. La creatura collassò, sussultando, e presto si sciolse in una pozza di melma viscosa.

“Giù!” gridò Ral quando identificò l’arciera: una donna con una cotta di maglia ed un arco corto. Era inclinata dietro una porta aperta lungo il corridoio, e scoccò una freccia. Ral si lanciò di lato e la freccia si schiantò contro il muro dietro di lui, frantumandosi in un’ondata di magia di morte. Hekara e Vraska si accucciarono dietro all’angolo opposto, appena prima che un’altra freccia scivolasse sul pavimento ai loro piedi.

“Non vorrei allarmarvi” disse Vraska, con il suo tono perennemente calmo, “ma non abbiamo più tempo.”

Ral lanciò uno sguardo dietro di sé. C’erano ancora degli zombie, ma riusciva a sentire sempre più vicini i colpi dei thrull che si stavano facendo strada attraverso di essi. Un’altra freccia nera colpì l’unico coleottero gigante rimasto, che si decompose in un esoscheletro vuoto nel giro di pochi secondi. Ral si inclinò verso l’angolo e sparò un fulmine lungo il corridoio, ma venne assorbito dai bracieri di ferro lungo le pareti.

Dannazione. “Hekara? La prossima volta che la maga fa sbucare la testa, riesci a colpirla?”

“Certo che sì!”

Hekara era raggiante ed evocò un paio di rasoi tra i suoi indici, inclinandosi ed aspettando il momento giusto. Quando l’arciera apparì nuovamente, mosse la mano, velocemente quanto il trucchetto di evocazione. Ral vide la donna dalla parte opposta del corridoio cadere, seguito da un grugnito. Hekara abbassò lo sguardo, disorientata, verso la freccia nera conficcata nella sua coscia. Dei tentacoli di magia oscura stavano già espandendosi dalla ferita.

“Non toccarla!” disse Ral, correndo verso l’incrocio. I thrull si stavano avvicinando dalle loro spalle, ma per il momento li ignorò.

“Non sono mica stupida” disse Hekara. Sembrava elettrizzata. Dei rasoi le apparvero in mano, dopodiché iniziò a tagliare abilmente la propria carne, infliggendosi una disgustosa ferita delle dimensioni di un pugno per rimuovere la punta della freccia. Il sangue sgorgava copioso, ricoprendo il suo vestito di cuoio ricucito. “Oooh, questo fa male.”

“Non riuscirà a camminare” disse Vraska.

“Sto bene” sospirò Hekara, chiudendo gli occhi. “O magari sanguinerò a morte. Facciamo un cinquanta e cinquanta.”

“Questo farà male” disse Ral. Mise le sue mani sulla gamba di lei e fece scorrere il suo potere sulla carne, cauterizzando la ferita. Hekara produsse un gridolino a metà via tra l’agonia ed il piacere. “Ecco. Ti aiuto ad alzarti.”

“Zarek-” disse Vraska.

“Non la lasceremo indietro.” Ral mise il braccio di Hekara attorno alle proprie spalle. Lei si alzò immediatamente, provò a spostare il peso sulla gamba ferita, ma sussultò.

“No” disse Vraska, come se fosse sorpresa della propria risposta. “Non lo faremo. Quanto manca ancora?”

“Il prossimo piano” disse Ral. “Ci siamo quasi.”

“Libererò la strada.” La gorgone corse avanti, con il sangue che gocciolava dalla sua sciabola.

Ral capì cosa c’era di diverso in quella battaglia, mentre aiutava Hekara a zoppicare verso la fine della sala. Aveva combattuto al fianco di alleati molte volte, al fianco di servitori, al fianco di subordinati e soldati. Ma era da molto tempo, quasi tutta la sua vita, che non sentiva di avere un suo pari al proprio fianco. Quella sensazione era contemporaneamente eccitante e preoccupante. Non posso fidarmi veramente di nessuna di loro, ricordò a sé stesso. Una gorgone Golgari ed una strega dei rasoi Rakdos. Non siamo amici, soltanto alleati di convenienza.

“Compagni” disse Hekara, con un debole sorriso. “Giusto?”

“Se muori dopo che ho fatto tutta questa fatica” ringhiò Ral, “sarò molto deluso.”

“Non lo permetterò” disse lei. “Aspetta. Sposta la testa.”

Lui si abbassò, e lei lanciò un rasoio in un passaggio laterale, colpendo una guardia che era in attesa di fare un’imboscata. Alla fine del corridoio, il cadavere della maga della morte giaceva distesa con i due coltelli di Hekara conficcati negli occhi. Dietro di esso si trovava un’altra rampa di scale che portava verso l’alto.

“Ral!” Vraska, a metà delle scale, indietreggiò di uno scalino a causa della pressione esercitata da due guardie pesantemente corazzate.

Ral alzò la mano, ed un fulmine si lanciò verso i due uomini, connettendo per un momento tutti e tre con degli archi luminescenti. Loro caddero fumanti, e la gorgone gli concesse un soddisfatto cenno con la testa, prima di tornare nella mischia. Ral portò di peso Hekara su per le scale, poi la appoggiò a terra, contro la parete. Dietro di loro il suono dei thrull in avvicinamento stava diventando sempre più forte.

“Qui dovrebbe andare!” gridò a Vraska, che stava duellando contro un sacerdote vestito di nero dalla velocità sovrannaturale che brandiva un paio di pugnali gemelli.

“Lo spero, dannazione!” disse la gorgone. Le tirò un fendente, ed il sacerdote indietreggiò. Gli occhi di lei erano illuminati di un letale bagliore dorato. “Qualsiasi cosa tu voglia fare, ora è il momento di farla!”

“Dammi altri sessanta secondi” disse Ral.

“Più facile a dirsi che a farsi” disse Vraska, ma si inclinò in seguito al suo attacco. Un altro cavaliere arrivò per attaccarla, e lei gli colpì l’elmo con una terribile testata, poi lo guardò negli occhi con un’esplosione di potere. Mentre lui si solidificava in pietra, lei tornò a fronteggiare il sacerdote, parando disperatamente i suoi colpi.

La mente di Ral era altrove. Il suo accumulatore si stava esaurendo, ma c’era energia tutt’intorno alla cattedrale: una tempesta che stava infuriando da diverse ore. Riusciva a percepire le scariche dei fulmini che passavano da una nuvola all’altra, o che si lanciavano a terra sugli edifici del panorama del Decimo Distretto. La sua mente si espanse, attirandoli verso l’interno e cucendoli insieme.

“Ral?” chiese Hekara. “Come va? Tutto ok? È che questi thrull ci mangeranno, mi sa.”

“Forse è meglio se… stai indietro.”

Il fulmine era un mostro: mezza dozzina di scariche unite in una unica che si schiantarono dalle nuvole come il martello di una divinità infuriata. Il muro di pietra della cattedrale si frantumò sotto il suo potere, spezzandosi in pezzi di pietra rossa incandescente che caddero sul terreno sottostante. L’elettricità fluiva attraverso Ral, un flusso di energia che lo pervadeva come se avesse bevuto litri e litri di metallo fuso. Delle scintille scaturivano dal suo corpo, scoppiettando nei suoi capelli e creando degli archi verso le pareti ad ogni suo movimento.

Alzò una mano, ed una scarica di plasma ad altissima temperatura colpì l’agile sacerdote, lanciandolo contro la parete opposta con un crac. Voltandosi nell’altra direzione, Ral fece un movimento con la mano, e la mandria di thrull in carica collassò in una vibrante massa urlante con un crepitio di elettricità e un odore di carne arrosto. L’ondata di energia li attraversò, passando da un corpo all’altro, lungo tutto il corridoio fino a sparire dalla vista.

“Notevole” disse Vraska. “Ma ce ne saranno altri.”

“Lo so.” Il potere che stava permeando il corpo di Ral dava alla sua voce una specie di vibrazione. “Ma ora ce ne andiamo.”

“Come?”

Lui indicò il buco che il fulmine aveva creato nel muro. Vraska lo guardò dubbiosa.

“È un bel salto.”

Ci fu un ronzio di ventole, come se cento milioni di mosche si stessero muovendo all’unisono. Qualcosa di grande e scuro si spostò lungo le nuvole agitate all’esterno.

Ral sorrise, facendo scaturire alcune scintille tra i denti.

“E chi ha detto che avremmo dovuto saltare?”

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I due giganti Orzhov avanzarono. Quello più tozzo stava davanti, mentre quello più magro rimase un po’ più indietro. Per un attimo Kaya contemplò la possibilità di oltrepassarli correndo e attraversare l’ultima porta, ma le rune scritte attorno ad essa non l’avrebbero resa una scelta saggia. Non aveva dubbi di poter infrangere le difese, ma le sarebbe servito qualche minuto, che quei due sicuramente non le avrebbero concesso.

Decise quindi di indietreggiare di un passo, estrarre i suoi pugnali e mettersi in guardia, sentendosi ridicola contro quei due metri e mezzo di muscoli. Il gigante mosse una sua grossa mano verso di lei, sempre in inquietante silenzio. Kaya divenne incorporea in un lampo di energia viola, facendo passare il guanto di metallo attraverso di lei, infliggendo un taglio al braccio della creatura una volta sferrato quel colpo. Era praticamente un taglietto, data la sua dimensione, ma il gigante sembrò infuriarsi. Anche il suo altro braccio arrivò con potenza, e ancora una volta Kaya lasciò che la attraversasse in modo innocuo. Furioso, il gigante caricò in avanti, allargando le braccia per catturarla in una stretta presa.

Kaya scattò in avanti a sua volta, piantando entrambi i pugnali nel petto del gigante. Non erano abbastanza lunghi per provocare dei seri danni, sfortunatamente, e la creatura riuscì ad avvolgere Kaya con le sue braccia, intrappolandola contro di essa con un uff di aria espulsa dai polmoni. Kaya digrignava i denti mentre il gigante la sollevava fino all’altezza della sua maschera ciclopica, rigirandola come per esaminare la sua strana preda.

“Avvicinati ancora un po’, bruttone” mormorò lei a bassa voce. “Dai una bella occhiata.”

Il gigante la soddisfò. Le braccia di Kaya erano bloccate sui suoi fianchi, ma le fece diventare incorporee per un secondo, scivolando dalle dita corazzate del gigante. Conficcò i pugnali ai lati del suo collo, tirandoli con fatica verso di sé per aprire dei lunghi tagli nelle grosse arterie che si trovavano in quella posizione. Mentre il sangue zampillava sulle sue mani, divenne completamente incorporea, sfuggendo alla stretta del gigante e saltellando via mentre la creatura cadeva a terra, portandosi al collo entrambe le mani.

E uno. Si voltò, cercando l’altro gigante. Dove sei andato, grosso bastardo?

Qualcosa le si schiantò nello stomaco, molto forte. Kaya sentì qualcosa cedere nel suo petto con uno stoc, ed ebbe per un attimo le vertigini, sperando che non fosse stato nulla di importante. Poi colpì la parete opposta della camera, abbastanza forte da oscurarle la vista ed iniziare a vedere dei puntini ovunque. Sbuffò, spingendosi in piedi dal pavimento, mentre il gigante si rialzava dalla sua posizione accucciata.

Hai aspettato a colpirmi mentre ero intenta a tagliare la gola del tuo amico? Kaya sorrise, con i denti insanguinati. “Sei più astuto di quanto sembri.” Si raddrizzò, ma un dolore la colpì al petto. Ahi.

Il gigante si stava avvicinando, muovendosi con cautela. Colpì senza troppa forza, aspettandosi che lei diventasse spettrale. Invece Kaya aggirò il colpo, abbassandosi all’interno della portata del gigante e lanciandosi in una capriola. In un’esplosione di luce viola, passò attraverso le gambe del gigante e scivolò fino a trovarsi accucciata dal lato opposto, con un pugnale estratto per tagliare il retro del piede della creatura. Un taglio netto recise il tendine, ed il gigante si schiantò verso il basso su un ginocchio.

Cercò di voltarsi, provando a colpire Kaya con una spazzata, ma lei si abbassò nuovamente per avvicinarsi alla sua testa abbassata. Il gigante diresse verso Kaya la sua fronte con una testata, lei schivò lateralmente e allungò una mano armata di pugnale. Ci volle una bella dose di tempismo: lasciare la mano e l’arma incorporee fino all’esatto momento, appena dopo aver oltrepassato la maschera-

Non ci riuscì perfettamente, e ritrasse rapidamente la mano, scrollandosi di dosso la pungente sensazione di materializzarsi parzialmente all’interno di un oggetto solido. Ma era stata comunque abbastanza brava. Il gigante barcollò, poi cadde di lato, con un flusso di sangue che fuoriusciva da dietro la sua maschera nera e oro. Kaya ne tagliò le cinghie con il suo altro pugnale, e ritrovò l’arma mancante conficcata nell’occhio dell’orribile creatura, sotto l’anonima maschera di metallo.

Lo recuperò, pulendolo contro un fianco del gigante, e respirò profondamente. Faceva male, ma non così tanto. Forse mi si è incrinata una costola, decise, ma nulla di grave. Eppure la sua testa girava mentre attraversava la stanza per raggiungere la porta. Come si aspettava, era bloccata pesantemente sia fisicamente che magicamente, con protezioni che si estendevano alla stanza oltre. Non posso passare attraverso a questa.

Nonostante il suo potere, era fermamente convinta che bisognasse sempre avere un piano di riserva. Tirò fuori una serie di grimaldelli, alcuni normali e altri che brillavano di energia magica di tutti i colori dell’arcobaleno, e si mise al lavoro.

Barra

“Hai preso un’aeronave!” rantolò Hekara, mentre Ral la caricava a bordo. La infilò contro una paratia, poi allungò la mano verso Vraska. Dopo un attimo di esitazione, la gorgone la afferrò, e Ral la issò a bordo.

I lati della nave erano aperti al vento e alla pioggia torrenziale, e per un po’ c’era troppo rumore per poter parlare, mentre il drone aumentava la potenza dei motori e la torre si allontanava sempre più dietro di loro. Ral poteva vedere i gargoyle che si erano raggruppati attorno al buco nel muro che aveva provocato. Alcuni sembravano decisi ad inseguirli, ma un assaggio del suo fulmine li convinse del contrario.

“Non è esattamente un’aeronave” disse Ral, quando la cattedrale sparì dietro la cortina di pioggia. “È il Solleva-Nuvole brevettato di Golbet Frezzle.”

Hekara sbatté le palpebre. “E qual è la differenza?”

“Non ha vele!” disse la squittente voce di un goblin dalla cabina sulla parte anteriore del vascello. “È alimentato da quattro eliche ascendenti azionate da turbine di mizzium.”

“Golbet aveva brevettato le eliche per macinare il bestiame” confidò Ral. “Ma dopo che continuavano ad uscire dalle posizioni designate e partire a tutta velocità verso l’alto, lo convinsi ad utilizzarle per uno scopo migliore. E soprattutto, questa nave ha bisogno solamente di Golbet per essere guidata, e mi fido di lui. Non c’era alcuna possibilità che il piano trapelasse agli Orzhov.”

“Molto astuto” disse Vraska. “Avresti potuto avvertirci.”

“Perdonate la mia teatralità” disse Ral, sorridendo leggermente.

“Capo? Dove andiamo?” chiese il goblin.

“Torniamo a Nivix, il più vicino possibile all’infermeria.” Ral abbassò lo sguardo su Hekara, che aveva chiuso gli occhi. “Alla mia compagna serve un curatore.”

“Subito!” Il drone cambiò frequenza di rumore, e la nave scattò in avanti.

“Mi piacerebbe sapere se ha veramente funzionato” disse Vraska, guardando fuori dall’apertura dietro di lei.

“Quello sta a Kaya” disse Ral. “Noi abbiamo fatto la nostra parte”. Poi, dopo un secondo di esitazione, aggiunse “E tu hai fatto la tua. Sono… contento che la mia decisione di fidarmi di te sia stata quella corretta.”

“Grazie.” Vraska sorrise con un ghigno, mostrando i suoi denti affilati. “Anche te non sei male da avere intorno.”

Barra

La serratura scattò con un secco click. Kaya trattenne il respiro per un momento, ma non accadde nulla di catastrofico, quindi voleva dire che era riuscita anche a disarmare gli incantamenti. Si raddrizzò, sussultando dal dolore, e mise via i suoi grimaldelli. In cosa mi sono cacciata.

La porta si aprì senza problemi sui suoi cardini ben oliati. All’interno si trovava una sola sala esagonale, illuminata da alcune fioche luci magiche. Il bagliore veniva riflesso dal burroso luccichio dell’oro.

Per tutti gli dei…

La piccola sala era piena zeppa di ricchezze. C’erano enormi cumuli di monete, oro e argento impilati o sparsi senza criterio sul pavimento. Completi di armature dorate, armi intarsiate di gioielli, anelli, collane e monili, uno più prezioso dell’altro. Stendardi di guerra strappati e pergamene dimenticate raggruppati sulle pile: trofei di antiche battaglie.

Era un patrimonio maturato in millenni, raccolto dai capi degli Orzhov e portato in quel luogo, nel santuario interno, per essere protetto perfino dai loro più fidati servitori. Abbastanza oro per costruire un regno dal nulla, sigillato in una camera blindata per il dileggio di un gruppetto di vecchi fantasmi.

Quei fantasmi erano seduti attorno ad un tavolo di legno piano: degli uomini anziani vestiti con le versioni traslucide degli eleganti abiti che avevano indossato in vita. Quasi non alzarono nemmeno lo sguardo quando Kaya entrò. Ciascuno era immerso a compiere un qualche tipo di lavoro: scribacchiare su un libro mastro spettrale, contare e ricontare qualcosa su un abaco intangibile o semplicemente mormorare una sfilza infinita di cifre al nulla.

Solo ad un capo del tavolo, dove era posizionata una sedia alta simile ad un trono, uno dei fantasmi sembrò notarla. In vita, doveva essere stato un uomo schifosamente in sovrappeso, vestito con un mantello di pelo pesante. Kaya pensò di aver colto una somiglianza familiare con Teysa, qualcosa nel suo portamento e nello sguardo indomito.

“Tu chi sei?” disse il fantasma, con la voce morbida e aspirata. “Non abbiamo convocato nessuno.”

“Non sono uno dei vostri servitori” disse Kaya, zoppicando verso il tavolo.

“Allora vattene” mormorò uno dei fantasmi, con le sferette del suo abaco che ticchettavano. “Non abbiamo bisogno di te.”

Kaya riuscì a fare un giro completo del tavolo, facendo scivolare e scrocchiare le monete sotto i suoi piedi. Estrasse i suoi pugnali, trasportò le sue mani nel mondo spettrale e conficcò le armi nelle schiene di due degli antichi spiriti. Si accasciarono in avanti senza una parola, svanendo in un mulinello di fumo ectoplasmico. Mentre sparivano, un leggero fastidio iniziò a insinuarsi nella nuca di Kaya, ed il respiro le si fermò in gola. Quel dannato gigante deve avermi colpita più forte di quanto pensassi.

Ora il concilio aveva notato la sua presenza, almeno. Alzarono lo sguardo dai loro ossessivi compiti, ed una confusa paura iniziò a serpeggiare tra i loro volti scarni e rugosi. Il più vicino, un uomo grasso con una barba ispida, inciampò mentre cercava di allontanarsi da lei, balbettando senza coerenza. Lei gli tagliò la gola, in una spruzzata di ectoplasma. Dietro di lui, un uomo alto e austero raspava disperatamente per raccogliere delle monete dal tavolo, ma le sue dita incorporee non potevano toccare il metallo. Kaya lo tagliò e continuò.

“Ti prego, aspetta!” gridò un altro fantasma. “Cosa vuoi?”

“Possiamo pagarti!” strillò un uomo ricoperto di pelliccia bianchiccia. “Dicci il tuo prezzo!”

Lei non gli prestò attenzione. A Kaya non piacevano i fantasmi, ovviamente. E, come regola, non le andavano molto a genio nemmeno i sacerdoti, e decisamente nemmeno i banchieri. Una stanza piena di antichi ghoul che erano tutte e tre le cose era da acquolina in bocca, soprattutto con la prova tangibile delle vite spezzate e sacrificate per la loro infinita avarizia attorno a lei.

Un altro paio di spiriti morirono. Il fastidio nella testa di Kaya divenne più forte, e l’aria nella stanza iniziò a farsi pesante, come se non riuscisse a respirare bene. C’è qualcosa che non va. Sbatté le palpebre, cercando di rischiarare la vista. Rimanevano solo pochi fantasmi. Ci siamo quasi.

Kaya stava respirando a fatica. Percepiva come se qualcosa si stesse stringendo dentro di lei, sempre più ad ogni antico spirito che massacrava. Rimaneva solamente quello sul trono, Nonno Karlov in persona, che la stava osservando con una pressante cattiveria.

“Te l’ha fatto fare mia nipote, non è vero?” disse lui, mentre lei si avvicinava.

Kaya annuì debolmente, appoggiando il braccio sul lato del trono. Karlov scosse la sua testa senza capelli.

“Non devi fidarti di lei. Spero che tu lo sappia.”

“Non ne ho bisogno” disse Kaya. “Una volta che te ne sarai andato, io me la squaglio.”

Karlov alzò un sopracciglio, ma non disse nulla. Con uno sforzo, Kaya alzò il coltello, e lo conficcò nel suo cuore.

Qualcosa fuoriuscì da lui, qualcosa di nero e pesante. Si incanalò lungo la lama, fino al braccio di Kaya e dentro al suo petto, spiraleggiando dentro di lei. Quando Karlov sparì, lei cadde in ginocchio, facendo cadere la lama dalle sue dita stanche.

Cosa… le mani di Kaya si arricciarono fino a formare degli artigli, afferrandole forte il petto. Cosa mi stanno facendo?

Inciampò contro una pila d’oro, facendo cadere monete tutt’intorno a lei. Poco per volta, il mondo divenne oscuro, ed una sensazione di catene di ferro le stava stringendo l’anima.

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