The Gathering Storm/Capitolo Quattro è il quarto capitolo di The Gathering Storm.
Capitolo Quattro[]
Ral si svegliò quando qualcuno bussò forte alla porta, con il cuore ancora scalpitante per l’ondata di brutti ricordi.
Tomik, dal sonno leggendario, disse qualcosa tipo “Whfzl” e si rigirò nel letto, prendendo per sé quasi tutta la coperta. Mancava ancora molto all’alba, e da fuori filtrava solamente una debolissima luce grigiastra, macchiata dalle ombre delle gocce di quell’infinita pioggia che batteva imperterrita sulla finestra. Per un po’ Ral fissò le figure cangianti che quella luce rifletteva sul soffitto, sforzandosi di calmarsi e ricordando a sé stesso che non aveva più diciassette anni e che Elias, il conte e Tovrna facevano parte di un passato lontano.
Ma non Bolas. Chiuse gli occhi e digrignò i denti. Dannazione, dannazione, dannazione.
Continuavano a bussare. Ral lanciò un’occhiata a Tomik ed uscì dal letto, indossando una camicia e procedendo silenziosamente a tentoni per l’appartamento fino a raggiungere l’ingresso. Aprì la porta e si ritrovò davanti una giovane donna vedalken con l’uniforme rossa dei messaggeri ed il volto stravolto dalla stanchezza.
“Ral Zarek?” chiese, sbadigliando.
Ral annuì cautamente, e lei gli passò una busta di carta piegata, sigillata con la cera.
“Dal Nido” disse lei. “Le auguro una buona giornata.”
Lui aspettò che i passi della vedalken sparissero mentre scendeva le scale, prima di chiudere la porta e spezzare il sigillo di cera con il pollice. Quando lo fece, percepì il debole crepitìo di scarica di un incantamento. Ral sospettava che se qualcun’altro avesse aperto la lettera, sarebbe stato avvolto istantaneamente dalle fiamme.
All’interno, scritto con elegantissima calligrafia, si trovava un messaggio da parte di Niv-Mizzet.
Ral -
Congratulazioni per il tuo successo all’incontro con Isperia. Questa mattina ti ho organizzato un altro appuntamento. Hellas Vitria è una luogotenente di Lazav, disponibile a discutere di un cambio di leadership all’interno dei Dimir. Incontratevi mezz’ora prima dell’alba dietro il Giocattolo Rotto. Ovviamente, potrebbe essere una trappola. Prendi tutte le precauzioni necessarie.
-N
Quando finì di leggerla, la lettera venne effettivamente avvolta dalle fiamme: un freddo fuoco blu che la ridusse rapidamente in cenere. Ral rimase a fissare per un attimo la propria mano, poi scosse la testa, cercando di liberarsi degli ultimi rimasugli del suo sogno.
Mezz’ora prima dell’alba. Gli rimaneva poco più di un’ora, ma fortunatamente il Giocattolo Rotto non era lontano. Almeno ho tempo per bermi una tazza di caffè.
All’interno di una cassa nell’armadio aveva un paio di guanti ed un accumulatore di riserva: il modello dell’anno precedente, ma comunque efficiente e completamente carico. Preparandosi il più silenziosamente possibile, salutò Tomik e sgusciò fuori dalla porta. Non aveva senso lasciargli un biglietto. Tomik sapeva che qualsiasi cosa avesse fatto uscire Ral in quel modo sarebbero stati, per definizione, affari di gilda.
Era quel bizzarro orario di passaggio dove i più mattinieri dei mattinieri incrociavano per strada i più festaioli dei festaioli. Ral strinse a sé il cappotto per combattere il freddo, mentre il suo incantesimo devia-pioggia lasciava ai suoi piedi un cerchio di ciottoli asciutti. I pochi altri che si trovavano lì fuori non avevano la fortuna della sua magia, quindi quelli che non si rassegnavano a bagnarsi in qualsiasi caso, cercavano di ripararsi con un ombrello. I fattorini per le consegne stavano compiendo le prime visite della mattina ai negozi e ai ristoranti, fornendoli del necessario per la giornata, mentre dei piccoli carretti a mano consegnavano latte e pane agli abbienti abitanti di Fuga del Cane. Ral comprò una tazza di caffè da un uomo con due pesanti caraffe della bevanda che penzolavano da una lunga tavola che trasportava sulle spalle. Era viscoso, nero come l’inchiostro e gli bruciò la gola, ma percepì quasi immediatamente l’energia che gli fornì.
Il Giocattolo Rotto era ad una decina di isolati di distanza, in un quartiere un po’ più squallido. Era una taverna ed un bordello discreto, e le voci sul suo conto affermavano che parte della proprietà facesse gli interessi dei Rakdos. Le dicerie facevano anche intendere che nelle suite del seminterrato succedessero cose strane, ma Ral non era mai stato interessato ad approfondire la questione.
Quel luogo non era mai veramente chiuso, ma di sicuro sembrava morto. Una sola lampada dalla luce rossa bruciava sopra l’ingresso, evidenziando l’insegna della taverna con la sua immagine di una marionetta collassata in mezzo ad un ammasso di fili aggrovigliati. Era un grosso edificio: tre piani sotto un tetto d’ardesia. Occupava uno strano lotto triangolare formato da due strade convergenti. Ral si diresse per la viuzza che formava il terzo lato, incastrata tra la taverna e la tipografia a fianco: uno spazio talmente stretto da far passare a malapena due persone affiancate.
Lì non bruciava alcuna luce, e Ral rimase in piedi all’imbocco della via per qualche secondo, così da far abituare gli occhi a quella penombra. Se i Dimir sono stati abbastanza stupidi da attaccare direttamente Niv-Mizzet, di sicuro non avranno problemi a provarci anche con me. Appoggiò una mano sull’accumulatore e percepì il ronzio rassicurante della sua energia. Ral non aveva paura di molte cose, ma l’idea di avere un mago mentale a zonzo dentro la propria testa gli aveva sempre fatto accapponare la pelle, soprattutto dopo aver sperimentato con mano ciò di cui era capace Beleren. E dubito che Lazav chiederà gentilmente, come Jace faceva sempre.
L’entrata sul retro del Giocattolo era ben chiusa, ed al suo fianco erano impilati diversi barili vuoti. Dall’altro lato della strada c’erano alcune casse, e sopra di esse un mucchio di stracci appallottolati. Oltre i barili, avvolta dalle ombre, Ral pensò di riuscire a distinguere una figura appoggiata sotto la gronda dell’edificio.
Hellas Vitria? Ral si aggiustò le spalle. Lo scopriremo presto.
Camminò per la strada, tenendo le mani libere. Il mucchio di stracci si mosse leggermente, scoprendo un piccolo corpo al suo interno. Un bambino che si era coperto per proteggersi dalla pioggia, suppose Ral. Lo osservò con occhio vigile. Quando si allontanò di qualche passo, una bambina di sei o sette anni fece sbucare la testa e lo osservò strabuzzando i suoi occhi verde brillante, come quelli di un gufo.
“Chevvuoi?” disse lei.
“Devo solo parlare con una persona.” Ral fece un cenno col capo oltre i barili, dove poteva vedere qualcuno con un lungo cappotto in piedi contro il muro. “Non fare caso a me.”
Lei continuò ad osservarlo quando la sorpassò velocemente. La figura nell’ombra non si mosse, ed il suo cappotto svolazzava leggermente a causa del vento che soffiava nel vicolo. Ral si corrucciò, ed alzò una mano. L’elettricità divampò un attimo tra le sue dita, producendo un intenso bagliore bianco che illuminò la scena, dopodiché compì un istintivo passo indietro.
C’era una donna in quell’impermeabile, piccola e compatta, dai corti capelli grigi. Era appoggiata saldamente al muro perché vi era stata letteralmente inchiodata da dei grossi spuntoni di ferro conficcati nelle spalle, nei palmi delle mani e nelle cosce. La sua bocca era spalancata in un grido senza ormai più suono, ed altri spuntoni erano stati piantati nei suoi occhi. Sulle guance scorreva del sangue, ancora abbastanza fresco da gocciolare lentamente sui ciottoli.
“Tu puoi parlare” disse la ragazzina. “Ma non sono sicuro che lei possa sentirti.”
Ral fece una pausa, poi parlò senza voltarsi. “Salve, Lazav.”
“Salve, Zarek. È da un po’ di tempo che non ci vediamo. Dalla questione del Labirinto Implicito, se non erro.”
“Per i miei gusti, non è ancora abbastanza.”
Ral si voltò lentamente, distogliendo lo sguardo dal cadavere mutilato e posandolo sul cangiante capogilda. Lazav era seduto a gambe incrociate sulla cassa, con la tela di sacco disposta sulle spalle di “lei” come se fosse un mantello, e gli scuri capelli incollati al viso a causa della pioggia. Lei sorrise, un po’ troppo allegramente.
“Mi scuso per le condizioni della povera Hellas” disse la ragazzina. “Era una sottoposta leale, ma un po’ troppo intelligente per il suo stesso bene.” Sospirò. Il comportamento da adulto era molto strano su quel corpo infantile. “Così va la vita.”
“Se volete che i vostri servitori mostrino lealtà, non avreste dovuto ribellarvi contro Ravnica” disse Ral. Lui alzò le mani, ricoperte di potere crepitante.
“Vi prego.” Lazav inclinò la testa. “Non sono qui per combattervi, Zarek. Voglio solamente parlare.”
“Non credo ci sia molto da dire.” Ral si rilassò, ma solo leggermente. “Il Mentefiamma è… contrariato dal vostro tentativo di irruzione nel Nido.”
“Ne sono sicuro” disse Lazav. “E anche io, visto che non ho mai autorizzato tale operazione.”
Ral sbuffò. “Mi sembra improbabile.”
“Concordo.” Lazav mostrò le mani. “Millena, quella che ci ha provato, non mi sembrava il tipo. Comunque sia, è morta?”
“L’ultima volta che l’ho vista, Niv-Mizzet l’aveva messa in stasi per l’interrogatorio.”
“Se ne avrete la possibilità, accennate che mi piacerebbe riaverla indietro. Per… punirla.” La ragazzina si leccò le labbra. “In qualsiasi caso, vi assicuro che non posso avere altro se non buone intenzioni verso il vostro maestro.”
“Dovrei quindi credere che uno dei vostri maghi mentali si sia ribellato?”
“Oh, no. È ancora peggio.” Gli occhi di Lazav si spalancarono. “C’è stata un’infiltrazione. Qualcuno ha piazzato degli agenti tra i miei preziosi Dimir. Qualcun’altro ha toccato i loro pensieri.” Alzò la voce. “Non posso permetterlo. Non durerà. Vedrete. Regolerò i conti.”
Ral sbatté le palpebre, turbato. Lazav si fermò, e sembrò riottenere controllo di sé stesso.
“In qualsiasi caso” continuò, “abbiamo ricevuto l’invito di Isperia al vostro piccolo raduno. È con sommo piacere che vi confermo la presenza dei Dimir, e della mia persona come rappresentante.”
“Perché mai dovremmo fidarci di voi?”
“Non dovreste, infatti.” Lazav ghignò. “Ma vi raccomando di non fidarvi di nessuno, così da metterci tutti allo stesso livello.” Lentamente si alzò in piedi, lanciando da parte gli stracci ed allargando le braccia sotto la pioggia. “Nel frattempo, lavorerò duramente. Mi sembra chiaro che la mia disciplina si sia ammorbidita. Serve una… purificazione. I Dimir devono tornare ad essere magri e affamati.”
“Se state dicendo la verità” disse Ral, “cosa che dubito, allora spero che siate incline a condividere qualsiasi informazione che trovate nel corso dei vostri sforzi.”
“Certamente.” Lazav sorrise. “Come avete detto, è in pericolo la sicurezza di Ravnica. La mia gilda non si tirerà indietro.” La ragazzina si inchinò. “Buona fortuna, Zarek.”
“Lady Vraska” disse Storrev, scivolando nella sala del trono nel suo solito modo silenzioso. Il suo velo si increspava mentre si muoveva, come una cortina d’inchiostro. “Abbiamo catturato un altro assassino.”
“Finalmente.”
Vraska lanciò un’occhiata al trono. Era sembrata una così bella idea quando aveva iniziato, imperiale e terrificante al punto giusto, ma non aveva previsto che completarla sarebbe stato così fastidioso.
Aveva spostato la corte nuovamente a Svogthos, la vecchia sala di gilda dei Golgari: un’enorme cattedrale di pietra talmente antica che nemmeno gli Antecessori ricordavano le sue origini. Jarad ed i suoi Devkarin avevano preferito le delizie psicotrope dei giardini decomposti, ma a Vraska piaceva Svogthos, con il suo enorme anfiteatro e le colonne torreggianti. Aveva eliminato il disastro in decomposizione che era il vecchio trono per costruirne uno tutto suo. Uno per uno, i prigionieri urlanti, il peggio della corte di Jarad e coloro che avevano deciso di resistere al nuovo ordine, erano stati costretti ad assumere una posizione, dopodiché Vraska li aveva inondati della luce dorata dei propri occhi. Ed ora si ritrovava seduta sulla schiena piegata di un elfo oscuro, all’interno di un mostruoso seggio creato intrecciando elfi, umani e anche alcuni traditori kraul. Tutti pietrificati.
Il problema era rendere simmetrica quella dannata cosa. Non era ideale che un trono che avrebbe dovuto incutere timore fosse storto, e dopo i primi giorni erano molto pochi quelli che avevano provato a sfidare la nuova leader dei Golgari, anche tra gli elfi oscuri. Per la maggior parte dei membri di gilda, dei putrificatori e dei raccoglitori di rifiuti sparsi per il vasto mondo sotterraneo di Ravnica, assassini e colpi di stato erano solo normali affari di gilda. Tra i Golgari, la vita e la morte facevano parte del grande ciclo in egual misura.
Due Antecessori portarono dentro il sedicente assassino, un miserabile allampanato avvolto in un mantello nero. Uno degli zombie trasportava un pugnale annerito, che fece sfuggire alla gorgone un sospiro irritato. La sala del trono era circondata da kraul e Antecessori, e Jarga, il suo troll del marciume, dormiva in un angolo sopra un letto di ossa. Ho tutte queste difese, e mandano un moccioso con un coltello?
Gli zombie lo costrinsero a mettersi in ginocchio di fronte a lei. Vraska prese il coltello, lo derise e lo lanciò dietro di sé.
“Bè?” disse lei. “Hai intenzione di dirmi chi ti ha mandato?”
“Non ci spezzerai mai” rantolò l’elfo. Gli gocciolò del sangue da un labbro rotto. “Questa è la nostra gilda, gorgone.”
“Non più” disse Vraska. “Molti dei tuoi cugini sembrano averlo capito. Ma ora andiamo al sodo. È stata Izoni?”
Izoni era probabilmente la più potente tra i Devkarin rimasti: un’alta sacerdotessa che raramente lasciava l’isolamento del proprio tempio. Gli agenti di Vraska avevano segnalato molto viavai di elfi oscuri da quel luogo, fattore che poteva ragionevolmente rappresentare un qualche tipo di tentativo di resistenza. Per il momento, Vraska era contenta di lasciarli cospirare. Meglio lasciare che tutto il pus si concentri nella pustola, prima di inciderla. Si diede un’occhiata alle spalle. Anche se effettivamente renderebbe più veloce la costruzione di questo maledetto trono.
L’elfo la guardò con aria di sfida. Stava tremando leggermente, aspettandosi una tortura. Vraska sospirò.
“Sai una cosa? Onestamente non mi interessa.” Fece un cenno agli Antecessori. “Mettetelo in posizione.”
Lui iniziò a gridare mentre gli zombie lo trascinavano verso il trono. Con la loro forza non morta, lo infilarono nell’apertura sul lato sinistro, tra una sacerdotessa con gambe e braccia divaricate che aveva tentato di avvelenare Vraska al suo banchetto trionfale e la figura incurvata di un vecchio putrificatore che aveva tentato di rianimare i propri vicini per attaccare i kraul. Gli Antecessori infilarono le gambe dell’assassino mancato nell’apertura, poi gli bloccarono le mani contro la pietra. Vraska decise che ci stava abbastanza bene, quindi si inclinò in avanti. I suoi occhi si illuminarono.
Ovviamente il ragazzo rovinò tutto all’ultimo secondo, riuscendo a liberare una delle braccia poco prima che l’ondata di pietrificazione lo inondasse completamente. Si pietrificò in una posizione veramente poco dignitosa, come se stesse salutando con la mano. Vraska strinse fortissimo i denti e ringhiò.
“Peccato” disse Storrev. “Convoco uno scultore?”
Vraska diede un calcio all’arto incriminato, spezzandolo all’altezza della spalla e facendolo scivolare per tutta la stanza.
“Così non è male” borbottò lei, lasciandosi cadere sul trono. Si sistemò scomodamente, percependo la sporgenza delle vertebre dell’elfo sotto di lei. “Vammi a prendere uno stramaledetto cuscino, ti dispiace?”
“Immediatamente.”
Vraska era certa di aver udito un accenno di sorriso nella voce monotonale e fredda della lich. I due zombie la seguirono mentre scivolava via, lasciando sola la propria capogilda nell’enorme e riecheggiante sala del trono. Vraska si mise la testa tra le mani, percependo il movimento agitato dei suoi capelli tentacolari tra le dita.
Che problemi ho?
Per anni era stata una leale servitrice dei Golgari, una spietata assassina. Si ricordava il piacere dell’omicidio, la soddisfazione di essere più astuta dei bersagli, la gioia di veder sparire la speranza dai loro occhi nell’attimo prima che la pietrificazione li inondasse. Aveva collezionato trofei, come tutte quelle della sua specie. Il suo vanto era stata la sua collezione di soldati Azorius, raccolti in un centinaio di incursioni clandestine, e ciascuno di loro era una piccola parte della vendetta per ciò che le avevano fatto. Buttata in un campo di prigionia, solo perché io ero una gorgone e loro avevano paura.
E poi…
Aveva avuto delle ambizioni. Aveva visto ciò che Jarad e i Devkarin stavano facendo alla gilda, rifiutandosi di difenderla e lasciando sguarniti i suoi territori. Le pattuglie dei Boros avevano fatto arretrare i Golgari da diversi avamposti, e avevano subìto saccheggi da parte degli sperimentatori Simic e dai ladri Rakdos. Aveva conosciuto i kraul, che gli elfi consideravano appena migliori delle bestie da soma, ed aveva imparato ad apprezzare la nascosta intelligenza degli enormi insetti. In quel momento aveva deciso che sarebbe stata lei a capo di tutto, per il bene dei Golgari. Ma sapeva che avrebbe avuto bisogno di alleati.
E riuscii a trovarli. Trovai Bolas. Il drago le aveva promesso la leadership sui Golgari in cambio del suo aiuto. Ed eccomi qua. Ha tenuto fede alla sua parte dell’accordo. E io?
Ed in quel punto si spezzava tutto quanto. Si ricordava di aver accettato di lavorare per Bolas, della sua promessa che l’avrebbe posta sul trono dei Golgari. Poi lei se n’era andata, e-
Andata dove? Lontana da Ravnica? Si ricordava di aver combattuto al servizio di Bolas, ma se ci pensava troppo la sua testa iniziava a far male. I suoi ricordi erano molto vaghi, sconnessi tra loro.
Ho ottenuto tutto ciò che volevo. Guardò il suo trono di cadaveri, poi la colossale sala di gilda. Perché mi sento così… vuota? Non aveva percepito alcun piacere nello spegnere la vita di quel patetico assassino. Perfino con Jarad le era sembrato di schiacciare uno scarafaggio fastidioso piuttosto che il culmine di tutti i propri piani. Cosa mi è successo?
Amica-Vraska? L’esitante tocco mentale era quello di Xeddick. Vraska alzò lo sguardo e trovò il kraul albino in attesa davanti ad una delle entrate laterali, che stava sfregando le zampe frontali tra loro in modo nervoso.
“Ciao, Xeddick.” Vraska era migliorata nel pensare distintamente per il kraul telepatico, ma continuava a trovare più semplice parlare ad alta voce. “Qualcosa non va?”
Affronto una scelta difficile, e non so cosa fare. Xeddick barcollò più vicino. Non riesco a vedere la strada giusta.
“Una scelta?” Vraska si accigliò. “Cosa intendi per scelta? Qual è il problema?”
Non posso spiegare, disse Xeddick. Eppure devo farlo. Oh, amica-Vraska, se ci fosse un altro modo…
“Xeddick.” La voce mentale del kraul era angosciata, ma lei mantenne il suo tono rassicurante. “Va tutto bene. Vieni qui.”
Lui andò più vicino, e lei appoggiò la propria mano sul suo bianco carapace chiazzato. Era ruvido al tatto, come legno non levigato.
Prima di te, non avevo nessuno, disse Xeddick. Mi hai salvato dai nemici-kraul e dai nemici-elfi. Mi hai mostrato che valgo qualcosa, per quanto debole e strano possa essere. Sai che preferirei morire piuttosto che permettere a qualcuno di farti del male.
“Lo so” mormorò Vraska. “Ma non facciamo troppo i drammatici. Dimmi cosa ti turba.”
Ho percepito i tuoi pensieri. Riesco a sentirli per tutta la sala di gilda. Sono… disturbati.
“Tutto qui?” Lei scosse la testa. “Non è nulla, te lo prometto. Solo… preoccupazioni. Questi sono tempi duri-”
Non è vero che non è nulla, la interruppe Xeddick. Amica-Vraska, ho visto la forma della tua mente.
“Ti avevo avvertito riguardo al curiosare nella mia testa” disse Vraska, irrigidendosi.
Lo so. È il motivo per cui esito. Giuro di non aver scavato nei tuoi pensieri. Ne ho soltanto toccato i lembi. È la stessa differenza di vedere un libro sul tavolo piuttosto che leggerlo.
Vraska si rilassò. “Va bene. Quindi, cos’ha la mia mente?”
Ha un buco.
Vraska si bloccò, e le dita artigliate si strinsero attorno ai braccioli del trono. Per un attimo, credette di non riuscire più a respirare.
“Cosa?”
Nella tua mente c’è un buco, disse tristemente Xeddick. Ecco perché i tuoi pensieri sono disturbati. Riesci a sentire che lì c’è un buco, ma non riesci a raggiungerlo, e quindi giri in tondo all’infinito. Non avrei dovuto parlare, ma…
“Qualcuno ha preso qualcosa dalla mia mente?” Vraska percepì i suoi capelli-tentacoli rizzarsi, cosa che facevano solo in caso di estrema agitazione. Il suo istinto da gorgone iniziò ad accumulare luce dorata agli angoli degli occhi come riflesso meccanico, ma lei si sbrigò a cancellarla con un battito di palpebre. “Quando? Chi?”
Per la precisione, non è stato preso nulla, disse Xeddick, facendosi piccolo a causa della rabbia di lei. È stato… sigillato. Nascosto. È stato fatto prima che io e te ci incontrassimo, anche se recentemente si è spostato verso la superficie della tua mente. Non ho idea di chi sia l’autore, ma dev’essere stato sicuramente un telepate estremamente abile. Molto più di me.
Vraska strabuzzò gli occhi. “Prima che noi ci incontrassimo?” Quindi prima che io tornassi a Ravnica da… “Dannazione. Hai ragione. Lo posso sentire.” Iniziò a premere i pollici contro la fronte, con gli artigli appoggiati sulla pelle, come se fosse pronta a scavare per tirare fuori i segreti dal suo cervello. Poi alzò lo sguardo. “Riusciresti a sistemarlo? A infrangere il sigillo?”
Penso di sì. Xeddick esitò. Ma…
“Cosa?”
Amica-Vraska, il sigillo presenta tutti i segni del fatto che sia stato fatto con intenzioni… benigne. Quando un telepate altera la mente di qualcun’altro contro la sua volontà, la mente porterebbe le cicatrici dello scontro. Nella tua non ci sono cicatrici. Penso che tu fossi consenziente rispetto a questa operazione.
“Io consenziente? A qualcuno che strappa via un pezzo di… di me?” Vraska scosse la testa. “Mai. Non avrei mai acconsentito a nulla del genere.”
Mi dispiace, disse Xeddick, indietreggiando. Ma certo. Mi sarò sbagliato-
“Aspetta.” Prese un bel respiro. “In che modo questo complica le cose?”
Ci fu una lunga pausa.
Perché se davvero volevi che quella parte della tua mente venisse sigillata, avresti dovuto avere delle buone ragioni, disse Xeddick. Se rilascio il sigillo, non ho le capacità per ripetere il procedimento. Ciò che si trova lì dentro potrebbe cambiarti, amica-Vraska. E io… non voglio che cambi. Le sue zampe anteriori si grattavano a vicenda. Ma non voglio nemmeno che tu sia triste.
Vraska si lasciò andare sul suo trono, cercando di calmarsi. Percepì che i suoi capelli tentacolari stavano assestandosi, uno alla volta. Alzò lo sguardo verso il soffitto, sul quale incombevano diverse stalattiti, tra le antiche colonne di pietra.
Mi sono fatta fare questa cosa, pensò. Perché? Per quale motivo ho accettato di farlo? E dove ho trovato qualcuno che lo facesse per me?
“Capisco il tuo dilemma” disse lei, lentamente. “E sono contenta che ti preoccupi per me così tanto.”
Grazie, amica-Vraska.
“Ma ho bisogno di sapere cosa c’è nella mia testa.” Vraska lasciò uscire un lungo respiro. “Sta veramente disturbando i miei pensieri.”
Ma-
“Se l’ho fatto di mia volontà, avrei dovuto sapere che un giorno sarei riuscita a trovarlo.” Provò a sorridere. “Andrà tutto bene, Xeddick.”
Il kraul rimase in silenzio per un po’.
Come desideri, amica-Vraska. Posso procedere?
Adesso? pensò Vraska. Fu tentata di dire al kraul di aspettare, per recuperare le forze. No. Doveva farlo in quel momento. Qualsiasi cosa ci sia lì dentro, non ne ho paura.
“Sì” disse lei. “Fallo.”
Percepì il tocco di Xeddick nella sua mente, un punto freddo all’interno del proprio cranio, che si insinuava come una melma. Ci fu un attimo di resistenza, di pressione. Poi qualcosa cedette. Lei sospirò quando i ricordi esplosero, un geyser di pensieri perduti, momenti e-
...lei stava stringendo la mano di Jace…
"Sabotiamo quel bastardo."
Avrebbero salvato Ravnica.
“...ti riconoscerò quando ti vedrò la prossima volta... ma cercherò sicuramente di ucciderti."
“Lo so.”
Ixalan. La Belligerante. La sua ciurma, e la missione di Bolas. L’inseguimento, e la sua fine. Ricordo dopo ricordo, al contrario, in disordine, ma ognuno si stava inserendo al proprio posto.
La propria voce. “La mia magia sarà anche incentrata sulla morte, ma non provo piacere a uccidere. In passato l’ho fatto perché non avevo altra scelta. Ora devo fare quel che è giusto per gli altri come me.”
“Credo che tu sia destinata a essere una grande condottiera.” Jace. Il suo cuore batteva più forte nel proprio petto. “La tua miglior vendetta è che non solo sei ancora viva, ma hai trasformato te stessa in una persona molto più forte di quanto i tuoi aguzzini potessero immaginare. Ti rendi conto che è incredibile?”
Quante cose ho nascosto? Vraska si sentì assalita da una tempesta di pensieri. Jace, perché mi hai fatto questo?
E poi-
Interminabili file di soldati in armatura blu, non morti, con gli occhi infuocati.
"Ha realizzato un esercito in grado di essere trasportato in ogni parte del Multiverso. E il Sole Immortale garantisce che nessuno riesca a lasciare un piano."
Ravnica era considerata molto importante per la mente ambiziosa di Nicol Bolas.
Vraska non aveva più aria nei polmoni.
Bolas sta venendo qui. Non da solo, ma con un esercito invincibile. Non per complottare, ma per conquistare. Vuole prendersi Ravnica.
Amica-Vraska! Il tocco mentale preoccupato di Xeddick finalmente riuscì a fare breccia. Amica-Vraska, stai bene?
“Tutto bene.” Le parole erano un rantolo. “Sto… bene.” Riprese aria. “Xeddick… grazie. Ora non posso spiegarti tutto, ma grazie.”
Il kraul inviò una sensazione soddisfatta, nonostante la mente di lui fosse ancora confusa. Vraska si alzò di scatto dal trono ed iniziò a urlare.
“Storrev! Vieni qui!”
Quando la lich velata di nero scivolò all’interno della sala, Vraska si girò verso di lei.
“Cosa ne abbiamo fatto dell’emissario degli Azorius?”
Storrev si inchinò. “Mi pare ci aveste ordinato di metterlo nel vostro giardino delle statue.”
“Recuperatelo.”
“Tra… ehm… le rocce.” La lich inclinò nuovamente la testa. “L’avete calciato giù dal ponte.”
“Giusto.” I suoi ricordi erano ancora mescolati. Percepì perfino una debole fitta di colpa per aver riservato quel trattamento al messaggero, colpa che si limitò a scansare rabbiosamente. Era comunque un Azorius. Qualsiasi cambiamento avesse subìto su Ixalan (che si stava ancora espandendo nella sua mente), non aveva cambiato il sentimento di vendetta che provava verso i servitori del Senato. Vero? I suoi denti affilati grattarono all’interno della sua bocca, ed i suoi capelli tentacolari si contorsero.
Con un po’ di sforzo, Vraska riuscì a controllarsi.
“Voglio che un messaggero sia inviato in superficie. A”-non agli Azorius, mai e poi mai, chi altri stava lavorando con loro?-”a Ral Zarek. Immediatamente.”
“Certamente, Lady Vraska.” Storrev si inchinò. “E cosa volete che comunichi il messaggio?”
Vraska prese un profondo respiro.
Ral aveva il suo ufficio al quarto piano di Nivix. Normalmente non lo utilizzava molto, visto che preferiva passare il proprio tempo nel suo laboratorio personale al piano inferiore, a gestire i suoi assistenti come fossero un gregge. A causa di ciò, il suo ufficio divenne una sorta di spazio d’archivio per le scartoffie che preferiva evitare, consegnate costantemente dagli spiritelli locali attraverso tubature speciali incorporate nelle pareti. Per provare ad uscirne in qualche modo, aveva installato il Tritabrevetti/Inceneritore 5.0 del Chimimago Spinascura (l’ex Sistema di Archiviazione Automatica 4.0 del Chimimago Spinascura), la cui fauce d’acciaio incombeva in ciò che un tempo era il caminetto.
Per il momento, però, aveva buttato le sue scartoffie quotidiane sul pavimento, e la sua spoglia scrivania dai bordi in acciaio era ricoperta di corrispondenza relativa al vertice delle gilde. Erano iniziate ad arrivare le risposte agli inviti di Isperia, e Ral era in piedi con le mani sul tavolo a fare il punto della situazione.
Gli Izzet ci sarebbero stati, ovviamente. Gli Azorius e i Boros avevano accettato di partecipare, e gli Azorius si erano inoltre offerti di ospitare il vertice vicino al Nuovo Prahv, cosa francamente molto rassicurante. Avevano offerto a tutti un passaggio sicuro, e non si può dire che il Senato non fosse puntiglioso con le proprie regole.
Mancavano ancora sette gilde. I bio-maghi dei Simic avevano inviato una risposta cautamente positiva, ed Isperia sembrava ben sperare nella loro partecipazione. Emmara dei Selesnya aveva richiesto un incontro di persona con Ral, che lui aveva pianificato per il giorno successivo. Le era sembrata incline ad accettare, ma lei non era la capogilda dei Selesnya, quindi non li dava ancora per certi. E Lazav dei Dimir, ovviamente, aveva promesso di partecipare, anche se nessuno potrà mai intuire quanto valga la sua parola.
E ne mancano quattro. Isperia non aveva nemmeno provato ad inviare un messaggero verso i caotici clan dei Gruul. Niv-Mizzet in persona si era preso la responsabilità di convincerli, apparentemente grazie ad alcuni vecchi favori che Borborygmos avrebbe dovuto ripagare. Quell’enorme ciclope era la cosa più vicina a un leader che avessero. Ral non aveva idea se avrebbe funzionato, ma non era suo compito.
Dalla cattedrale degli Orzhov avevano ricevuto un secco rifiuto: e c’era poco da sorprendersi, visto che gli Orzhov detestavano la portata del potere degli Azorius. Ral considerò di rivolgersi a Tomik più di una volta, ma tutte le volte si rifiutò di accennargli la questione. Non riuscirebbe a convincerli di una cosa piuttosto che dell’altra, e non vale la pena per le conseguenze che potrebbe avere su… di noi. Gli affari di gilda e gli affari personali dovevano rimanere separati.
All’appello mancavano le profondità dei Golgari, dalle quali il messaggero di Isperia non fece nemmeno ritorno, e-
“Mastro Zarek?” Un nervoso giovane si inclinò sulla soglia dell’ufficio. “C’è… ehm… qualcuno qui per vederla. Dice che è un’emissaria.”
“Un’emissaria?” Ral alzò lo sguardo e corrugò la fronte. “Di chi?”
“È da questa parte?” Una voce di donna riecheggiò nel corridoio. “Ah, ma certo, c’è il nome sulla porta. Permesso!”
“Lei è… oh… dei-” L’assistente spinse via qualcuno, cercando di tenerla lontana senza riuscirci. “Dei Rakdos, credo.”
“E pensa velocemente, sbirro!”
L’assistente gridò e barcollò all’indietro, dopo aver ricevuto una ginocchiata nei genitali. La sua assalitrice balzò nell’ufficio con un gesto plateale, come se stesse presentandosi su un palco. Era una donna piuttosto giovane, vestita con uno stretto body formato da diverse varietà di cuoio colorato cucite insieme, con le due metà del vestito di colori differenti. A Ral venne in mente un giullare variopinto, e a lei evidentemente piaceva quell’idea, perché aveva decine di piccole campanelle d’argento appese sulle punte dei capelli, che erano corti e formavano dei piccoli spuntoni grazie a quella che sembrava essere della colla.
Non c’era alcun dubbio che fosse una Rakdos, pensò Ral, perché nessun’altro indosserebbe qualcosa del genere fuori da un circo. Lui si alzò in piedi, e la donna gli sorrise, per poi passeggiare verso di lui e accasciarsi fluidamente in una delle sedie di fronte alla scrivania. Lei piazzò i suoi stivali, delle enormi calzature nere che sembrava fossero parzialmente bruciate, sul tavolo, spargendo in giro diverse lettere importanti.
Si fissarono l’un l’altra per alcuni istanti. La donna sembrava felice di aspettare, quindi toccò a Ral schiarirsi la gola per rompere il silenzio.
“Posso chiedere” disse lui, cercando di essere il più calmo possibile, “chi dovresti essere?”
“Oh!” disse la donna, come se non fosse pronta per quella domanda. Si alzò in piedi di scatto, per poi eseguire un inchino formale, facendo tintinnare le campanelle nei suoi capelli. “Ho l’onore estremamente discutibile di essere l’emissaria, la bocca e la plenipotenziaria ufficiale di Sua Magnifica Fiammosità, grazie alla mia intelligenza, al mio gusto nel vestire e anche perché ho tagliato via le dita di tutti gli altri che hanno tentato di fermarmi.”
“Capisco” disse Ral. “Hai un nome?”
“Puoi chiamarmi Hekara. Lo fanno tutti. Perché è il mio nome!” Lei lo scrutò. “Tu sei Ral Zarek, giusto?”
“Esatto.” Ral stava già facendo fatica a seguire quella conversazione. I modi di dire dei Rakdos (dialetti e accenti copiati da decine di culture, spesso con l’intenzione di umiliarle) erano l’unica cosa che cambiava più velocemente della moda Rakdos, e lui non era molto ferrato sulle novità. “Hai un messaggio, o…”
“Per così dire” Lei inclinò la testa. “Sua Inceneritezza vuole che dica che lui è gasatissimo per questo vertice delle gilde. Come ho già detto, sono la sua rappresentante. Tutto firmato e timbrato in via quasi ufficiale.”
“Magnifico.” Ral guardò in basso, verso i fogli sparsi per la stanza. “Al vertice manca ancora un po’ di tempo, quindi-”
“Maaaaaaa” disse Hekara, “nel frattempo, lui vuole che ti stia appiccicata. Tipo, girare insieme.”
“Cosa?” Ral la guardò dubbioso. “Perché?”
“Bè, ecco come stanno le cose. A Sua Infinita Bruciosità non piace l’idea che un qualche drago straniero arrivi qui per tirarci dei gran calci nei gioielli di famiglia. Voglio dire, chi è che lo vorrebbe? Ma dall’altra parte, non è sicuro che voialtri non stiate organizzando tutta questa roba come scusa per allearvi e buttarlo giù dal suo trono. È un po’ il chiodo fisso di Sua Caposità.” Allargò le braccia. “Quindi io girerò insieme a te, osserverò, e mi mi assicurerò che tutto vada bene bene. Fico? Fico.”
“Vuole che tu mi osservi?” A Ral stava già venendo mal di testa.
“Esatto!”
Benissimo. Pensa. Sorvolando la strana personalità di Hekara, non era una richiesta così irragionevole. Il demone Rakdos era sempre stato paranoico, ed era uno dei pochi capogilda antico quanto Niv-Mizzet, risalendo a prima della fondazione del Patto delle Gilde. È indubbio che abbia subìto la sua dose di tradimenti.
Ral lanciò un’occhiata a Hekara. Non può essere così male averla intorno. Più gilde partecipavano al vertice in modo visibile, più autorità avrebbero avuto con le rimanenti. E visto che non stiamo complottando una trappola per Rakdos, averla come osservatrice non sarà un problema.
“Non è necessario” disse lui, lentamente, “ma se la tua presenza rassicurerebbe Lord Rakdos…”
Hekara si inclinò in avanti, sogghignando.
Me ne pentirò, vero?
“...allora sei libera di osservarmi, ovviamente” Ral continuò. “Fintanto che sto svolgendo il mio ruolo pubblico, almeno.”
“Fico!” Hekara gli prese la mano e la strinse con entusiasmo. “Bene! Ora siamo compagni.”
Ral alzò un sopracciglio. “Compagni?”
“Ma sì! Amiconi. Fratelli d’arme. Amici stretti. Compagni.” Hekara si portò l’altra mano alla bocca e riuscì ad arrossire. “Oh, diamine. Pensavi che fosse un’avance?”
“Io non-”
“Voglio dire, non dico di no.” Lo squadrò dall’alto in basso. “Non sei un figaccione, però mi piace la striscia bianca. Fammi bere qualche drink e vediamo cosa succede, che dici?”
“Madama Hekara…”
“Solo ‘Hekara’ sarebbe il top.” Si lanciò nuovamente sulla sedia. “Non ho bisogno di un titolo così lungo.”
“Come preferisci.” Ral prese un bel respiro ed iniziò a riorganizzare i suoi documenti.
“Mastro Zarek!” L’assistente, zoppicante, apparve nuovamente alla soglia. “Un altro emissario!”
“Puoi, per piacere” sbottò Ral, “impedirgli di entrare nel mio ufficio come se nulla fosse?”
“Io… ehm…”
L’assistente indietreggiò, allontanandosi dalla soglia. Un rimprovero si spense sulle labbra di Ral quando una cosa corrotta si fece vedere. Un tempo doveva essere stato umano, ma era chiaramente morto da tempo, con della pelle a chiazze che ancora penzolava liberamente da uno scheletro ingiallito parzialmente visibile. Su di esso cresceva un’enorme quantità di funghi. La vescia sulle sue braccia sparse spore ovunque quando urtò lo stipite della porta. Una protuberanza di funghi blu-verdi gli cresceva direttamente ai lati della testa. Un’orbita era piena di crescita fungina, mentre l’altra era un foro oscuro e vuoto, con una piccola scintilla verde che bruciava all’interno.
“Ral. Zarek.” La cosa parlava con una voce che sembrava gas buttato fuori da un cadavere in putrefazione.
Ral chiuse la propria mano in un pugno e percepì l’elettricità crepitare attraverso di essa. Hekara fissava lo zombie a bocca aperta.
“Sì?” disse Ral.
“Un messaggio. Dalla Regina Vraska. Dello Sciame Golgari.” Un pezzo di carne marcia cadde dalla mano dello zombie con un suono umido. “Vuole incontrarvi. Di persona. Per discutere. Del vertice imminente.”
“Vraska?” La Planeswalker gorgone era sparita da Ravnica dopo il suo scontro con Beleren. Ed ora si fa chiamare regina? Interessante. “Molto bene.”
“Verrete informati. Dei dettagli” gorgogliò lo zombie. “La Regina. Vi augura. Di stare bene.”
Poi si accasciò improvvisamente, come una marionetta senza più i fili. Ossa, carne e funghi collassarono sul pavimento, liquefacendosi rapidamente in una pozza malsana. Dal corridoio Ral riusciva a sentire che l’assistente si stava sentendo male.
“Bè” disse Hekara. “Quella roba non la togli facilmente dal tappeto, io te lo dico.”