Magic: the Gathering Wiki
Advertisement

The Gathering Storm/Capitolo Nove è il nono capitolo di The Gathering Storm.

Capitolo Nove[]

Ral si svegliò con i sudori freddi e le urla di quell’abitante dei bassifondi ancora riecheggianti nelle proprie orecchie. Si distese contro il cuscino con un gemito.

Era da un bel po’ di tempo che non facevo questo sogno. Girò la testa per guardare Tomik, rannicchiato al suo fianco con il volto rilassato dal sonno profondo. Non è certo un mistero ciò che ha rivangato certi demoni, purtroppo.

Dall’accensione della sua scintilla da Planeswalker e per tutto ciò che ne conseguì, Ral aveva mantenuto al minimo la propria vita amorosa, limitandosi a divertirsi con qualche sporadico incontro, ma nulla di più. Aveva deciso che nessuno sarebbe più stato nella posizione di poterlo ferire così duramente ancora una volta. Tomik era stato uno di quei sporadici incontri, o così pensava all’inizio. Ora le cose sono… diverse.

Riusciva a capire quanto coraggio ci volle a Tomik per rivolgersi a lui riguardo la richiesta di Teysa. E c’è una buona probabilità che abbia anche salvato Ravnica grazie a quello. Parte di lui, però, pensava ancora che la cosa poteva essere evitata. Attraversato il confine, non si può più tornare indietro. Erano riusciti a stare insieme come due persone anonime in un appartamento in affitto. Che una relazione tra Ral Zarek, secondo in comando degli Izzet, e Tomik, segretario privato dell’erede dei Karlov, potesse funzionare, non ne aveva la benché minima idea.

Funzionerà, si disse Ral. La farò funzionare. E poi, se tutto fosse andato secondo i piani, lui sarebbe stato il capogilda degli Izzet dopo il passaggio di ruolo del Mentefiamma. Chi potrà mai fermarmi?

Cercando di ignorare il palpito nel proprio petto, Ral si chinò e baciò dolcemente Tomik sulla fronte. Il suo amato mugugnò qualcosa e si rigirò nel sonno. Ral sapeva che era stato fuori fino a tardi per lavorare con Teysa sulla nuova guida degli Orzhov.

“Riposati” disse a Tomik, a bassa voce. “Abbiamo molte cose da fare.”

Barra

Quando Ral arrivò nel suo ufficio al Nivix, Hekara lo stava già aspettando. Non era una sorpresa: l’emissaria Rakdos aveva lasciato l’infermeria la sera precedente, e apparentemente era in buone condizioni e vivace come al solito, nonostante tutto. La cosa inusuale era la presenza di Lavinia, che stava ascoltando pazientemente la confusa spiegazione di Hekara su ciò che era accaduto alla cattedrale.

“...e poi Ral era tipo ‘Hekara, se non fai qualcosa, siamo tutti morti!’ E io ho detto ‘Ci penso io’, tranquillissima, e poi ho fatto zing e ho colpito l’idiota nel suo occhio da idiota. E il tizio era tipo ‘Aaargh, dannata Strega dei Rasoi Hekara, come hai fatto a sconfiggermi?!’ e io ho detto-”

“‘Ahia’, se ricordo correttamente” disse Ral, arrivando alla porta.

“Non è vero” disse Hekara. “Era qualcosa di molto più tosto.”

“Sembra che abbiate passato dei bei momenti” disse Lavinia, diplomaticamente. Era la prima volta che Ral la vedeva senza la tunica e il cappuccio. Indossava un’armatura a scaglie su misura, incisa con protezioni runiche, portava una spada lunga alla cintola, e sembrava sapesse bene come usarla. “Salve, Ral.”

“Buongiorno.” Ral si sedette alla scrivania, che era già stata invasa dai documenti del giorno. “Pensavo non volessi essere vista insieme a me.”

“Non volevo far capire agli scagnozzi di Bolas che stessi lavorando con te” lo corresse Lavinia. “Ora che il vertice delle gilde sta procedendo, è perfettamente normale che ci incontriamo per discuterne.”

“È molto comodo” disse Ral. “Quindi, di cosa vuoi discutere?”

“Gli agenti che ho identificato si mandano ancora un sacco di messaggi tra loro” disse Lavinia. “Sono sicura che almeno uno dei rappresentanti stia lavorando per Bolas.”

Ral fece una smorfia. “Possiamo escludere qualcuno?”

“Eccetto te?” disse Lavinia, sorridendo debolmente. “Isperia è sicuramente sopra ogni sospetto. E, per quanto possano non piacermi i suoi metodi, non riesco a pensare che Aurelia possa collaborare con i nemici di Ravnica.”

“Il leader dei Gruul, Borborygmos, è in carica da decenni” disse Ral. “Dubito che stia lavorando per Bolas, anche se non sappiamo se possa essere persuaso a fare qualunque cosa.”

“Io non sono sicura di quell’emissaria Rakdos” disse Hekara dall’angolo. “Ho sentito che non ci si può fidare di lei” Ral e Lavinia si voltarono per guardarla, e lei fece spallucce. “Che c’è?”

“Ne mancano cinque” disse Lavinia. “Orzhov, Golgari, Dimir, Simic e Selesnya.”

“Io ho ucciso l’agente di Bolas infiltrato nei Selesnya” disse Ral.

“Dando per scontato che fosse l’unico.”

“Giusta osservazione.” Ral si accigliò. “Penso comunque che possiamo fidarci di Emmara.”

“I Simic sono una scatola chiusa” disse Lavinia. “Non ho informazioni da quando si sono messi sulla difensiva, quando tutto questo è iniziato.”

“E continuo a pensare che Lazav sia il problema più probabile” disse Ral. “È stata una delle sue maghe mentali ad attentare alla vita di Niv-Mizzet.”

“Non mi trovo in disaccordo” disse Lavinia, con un sospiro. “Ma mi sembra un po’ troppo… ovvio, non credi anche tu? Lazav di solito è più subdolo di così.”

“Forse si sta rammollendo.”

“Forse.” Lavinia scosse la testa. “Questo ci lascia con Vraska e Kaya.”

Kaya. Avevano ricevuto notizia che quella mattina la mercenaria Planeswalker aveva accettato il ruolo di capogilda degli Orzhov, al posto di Teysa. Ral non sapeva cosa stesse succedendo, e non voleva forzare Tomik a dargli delle risposte. Dovremo comunque averci a che fare, con gli Orzhov.

“Entrambe sono Planeswalker” disse Lavinia. “Entrambe sono appena entrate in controllo delle rispettive gilde.”

“Ed entrambe si sono offerte di aiutarci ad Orzhova per gettare le basi del vertice” fece notare Ral. “Se lavorassero per Bolas, non ci avrebbero dovuti già sabotare?”

“Non lo so” disse Lavinia. “Mi sto avvicinando ad alcuni degli agenti di Bolas, ma a meno che non riesca a catturarli e farli parlare, ancora non capisco quale sia il suo gioco.”

“Il tuo tempo sta per scadere.” Ral si appoggiò alla propria sedia. “Il vertice si aprirà domani. Se hai una prova schiacciante secondo la quale qualcuno sta lavorando per Bolas, possiamo mostrarla ai rappresentanti, e potremo gestircela tutti insieme con il traditore. Se presentassi qualsiasi cosa di meno evidente, daremo solamente inizio ad una rissa tra gilde.”

“Lo capisco.” Lavinia si passò una mano tra i capelli, frustrata, tirandosi i nodi. “Ci sto provando.”

“Lo so” disse Ral. “Ci siamo quasi. Un mese fa, non avrei ritenuto possibile arrivare fino a questo punto.”

“Nemmeno io.” Le sue labbra si inarcarono. “In un mese molte cose possono cambiare.”

“E può cambiare molto anche in un solo giorno.”

Domani. Abbassò lo sguardo verso i documenti sulla sua scrivania, senza darci troppa attenzione. Nel bene e nel male.

Barra

Kaya si chiese se quel sacerdote rimbambito smettesse mai di parlare.

Era l’Alto Qualcosa del Qualcos’altro, ed era piuttosto importante a giudicare dall’enorme cappello nero e oro che indossava. (Kaya aveva scoperto che la dimensione dei cappelli solitamente era un buon fattore per capire l’importanza di un membro all’interno di un’organizzazione… o, perlomeno, l’importanza che pensava di avere.) Portava dei lunghi baffi sottili che ondeggiavano mentre parlava, facendolo assomigliare ad un tricheco. Alto Tricheco della Noia, forse?

Il suo discorso, da quanto poteva capire, riguardava l’importanza del pagamento da parte dei debitori per il mantenimento di una società civile. Cosa che, tutto sommato, Kaya poteva anche accettare, ma della quale non vedeva la necessità di dedicarci una solfa di più di mezz’ora, mentre tutti i presenti all’interno del santuario della cattedrale erano seduti immersi nel caldo stordente dei bracieri, con la pioggia all’esterno che batteva sulle finestre di vetro colorato.

E non era nemmeno il primo discorso della giornata che si doveva sorbire. Lei era seduta in fondo al santuario, su un trono veramente imponente ma non particolarmente comodo, e fece del suo meglio per sorridere forzatamente ad ogni ufficiale di gilda che prendeva posto al leggio per intrattenere il pubblico con una predica riguardo al senso del dovere e della rettitudine. Teysa era seduta di fianco a lei, impassibile. Era ovvio che lei avesse resistito a quel genere di cerimonia da quando era una ragazzina, ma faceva comunque venire voglia a Kaya si scivolare dentro al pavimento e scappare via.

Quando Sua Trichecosità abbassò il tono di voce, Kaya si inclinò verso Teysa. “Ho assoluto bisogno di una pausa.”

“Stiamo arrivando alla parte più importante” disse Teysa. “Gli alti ufficiali giureranno la loro fedeltà a te.”

“Magnifico. Ma se non vuole che si chiedano perché il trono puzzi di piscio, mi servirebbero cinque minuti per correre in bagno.”

Teysa sospirò, ma fece un breve cenno ad un funzionario, che si affrettò a sussurrare qualcosa nell’orecchio del sacerdote tricheco. Dopo aver finito con le sue osservazioni, alzò entrambe le mani per mettere a tacere i deboli applausi, e disse: “Onorevoli membri della gilda, faremo una breve pausa prima della Promessa Giurata.”

La folla parlottò per qualche secondo. Kaya scattò in piedi prima che qualcuno potesse provare ad intercettarla, o che Teysa le suggerisse di andare con una scorta adeguata o altre sciocchezze del genere. Si fece strada fino al retro del palco, dove una porticina conduceva all’interno di un corridoio che circondava tutto il santuario. Da lì, una scalinata portava alle gallerie, che erano libere, visto il servizio relativamente piccolo.

Kaya non era sicura che ci fossero dei bagni lassù. In tutta onestà, ciò che le sarebbe veramente servito era una boccata d’aria fresca, ma visto che ciò non era possibile a meno che non avesse fatto sbucare la testa dalla parte opposta del muro, si rilassò per qualche minuto senza che nessuno la fissasse.

Come mi sono ficcata in questo macello? Analizzò ogni singola decisione che aveva preso, una per una, ma in qualche modo non sembravano poter raggiungere la gravità della situazione attuale. Bolas mi ha incastrata. Digrignò i denti. E forse è anche l’unico che può farmene uscire.

Arrivando alla galleria, raggiunse la balaustra e si sporse fuori, ad osservare i dignitari che gironzolavano di sotto. Per un attimo, Kaya resistette al fortissimo impulso di riuscire a sputare dentro uno di quei pomposi cappelli.

“Capogilda?”

Oh, per l’amor di-

Si voltò, e si ritrovò di fronte un piccolo uomo rugoso dagli occhi tristi e dalle mani macchiate di scuro. Era sorretto da una scopa, usata a mò di bastone, e respirava affannosamente. La rabbia di lei sparì, e scosse la testa.

“Sono io” disse lei. “Capogilda. Assolutamente. Cosa posso fare per te?”

“Vi imploro per un dono.” L’uomo si inginocchiò, molto lentamente e con evidente sforzo. “Vi prego.”

“Che tipo di dono?”

“Chiedo il perdono.”

“Dai tuoi peccati?” È una cosa che posso fare?

“Dal mio debito, Capogilda.”

“Oh.” Kaya indicò dietro di sé. “Pagare i debiti è importante. Non hai sentito l’Alto Quel-che-è?”

“Lo so, Capogilda. Ma…”

“Se non volevi avere un debito, non avresti dovuto chiedere in prestito dei soldi.”

“Mia moglie era malata” disse l’anziano. “Il dottore voleva molto più di quanto potevamo permetterci, quindi mi rivolsi alla Banca. Il mio sacerdote mi assicurò che i termini sarebbero stati ragionevoli.”

“E quando accadde?”

“Quarant’anni fa” disse l’uomo, chinando la testa. “Mia moglie morì, nonostante gli sforzi del dottore. Io sono un uomo onesto, e ho lavorato per la Banca da allora. Ma manca ancora così tanto, e io…” Le sue mani si strinsero attorno al manico della sua scopa. “Non vivrò ancora a lungo, Capogilda. Me lo sento nelle ossa. Il mio solo desiderio è che questo fardello che ha schiacciato la mia vita non venga passato ai miei figli.”

“I tuoi figli erediterebbero il debito?” disse Kaya.

“Sì, Capogilda. Così dice la legge.”

“Io…” Kaya scosse la testa. Dovrei discuterne con Teysa.

D’altro canto, cosa c’era da discutere? Questo povero bastardo ha già passato la sua vita in catene. Non si merita che anche i suoi figli abbiano lo stesso destino. Non che la somma incriminata fosse una cifra da far preoccupare gli Orzhov, tra l’altro. Perché no? Io sono la Capogilda o, perlomeno, dovrei esserlo.

“Va bene” disse lei. “Il tuo debito è perdonato. Ora vai.”

“Io…” Rimase in ginocchio. “Il legame è rimasto. Me lo sento-”

“-nelle ossa. Va bene. Capito.”

Kaya chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, guardando dentro sé stessa. Riusciva a percepire il peso dei contratti e delle obbligazioni che aveva ereditato dal Nonno Karlov, come fossero migliaia di catene appese attorno al collo. Distinguerne una dall’altra era difficile, ma fu facile trovare il filo che conduceva all’uomo che le stava di fronte: una corda nera che connetteva la sua anima con la propria. Come aveva sospettato, in relazione ad alcune altre, era veramente minuscola. Con la forza di volontà, Kaya spezzò il legame.

Lei sentì l’impatto come un momento di stordimento, ma passò velocemente. Contemporaneamente, sentì sospirare l’uomo, e quando lei alzò lo sguardo notò che delle lacrime gli bagnavano gli occhi.

“Grazie, Capogilda” disse lui, con la voce spezzata. “Grazie. I miei figli…”

“Va tutto bene” disse Kaya, vedendo che Teysa si stava avvicinando. “Solo che, ecco, non farlo più. E continua a pregare il… giorno nel quale dovresti pregare.”

“Sì, Capogilda. Certamente.”

“Kaya” sibilò Teysa. “Stanno aspettando.”

“Mi dispiace” disse Kaya, osservando l’anziano barcollare via. “Ho dovuto… sistemare una cosa.”

“Forza.” Teysa le diede una pacca sulla spalla. “So che è difficile. Ti giuro che stiamo trovando il modo per liberarti da questo peso.”

“Bene” disse Kaya, scuotendo la testa. “Molto… bene.”

Barra

“Sei sicura che non ti serva più protezione?” disse Mazirek, con la sua parlata strascicata e ticchettante. “Possiamo organizzare una scorta maggiore.”

“Andrà bene” disse Vraska, con più certezza di quanta ne avesse in realtà. “Se risulterà essere davvero un’imboscata, avere più guerrieri con me non mi aiuterà ad uscirne. E servirà solamente ad innervosire quegli altri se mi presento con un esercito.”

“Come preferisci”, ticchettò il kraul. “Dirò al gruppo di prepararsi per il viaggio in superficie.”

“Bene.”

Vraska lo osservò andarsene, seduta sul suo trono con il mento tra le mani. I suoi tentacoli ondeggiavano nervosi. Dopo un po’, si alzò in piedi.

“Vado fuori” disse a Storrev, che attendeva di fianco al trono nel suo abituale silenzio. La lich annuì, compiendo un piccolo gesto, e quattro Antecessori nei loro lunghi abiti mezzi putrefatti si accodarono a lei. Vraska li ignorò. Come guardie del corpo, gli zombie erano tra i più discreti, e non parlavano mai.

Una porta dietro al trono conduceva in un corridoio con più strade. Una strada portava alle sue camere private, ma lei imboccò l’altro sentiero, raggiungendo la grande balconata che si estendeva per tutto il retro del palazzo. A volte le sue guardie utilizzavano quello spazio per gli esercizi militari, ma quel giorno era vuoto. Il terreno dietro al palazzo discendeva bruscamente, quindi dalla balconata si poteva ammirare un bel panorama, con l’oscurità del regno sotterraneo macchiata dalle luci brillanti degli insediamenti Golgari o dalla debole aura fosforescente dei mortifici.

Gli abitanti della superficie non comprenderanno mai questo posto, rifletté lei. Quando pensavano ai Golgari, in generale, li credevano dei mostri che abitavano dei luridi tunnel. Laggiù, nelle ossa di Ravnica, c’era più spazio di quanto potesse essercene in tutti i grandi edifici del Decimo Distretto. Senza gli sforzi di bonifica dei Golgari, ed il cibo fornito da quegli sforzi, la città sarebbe morta di fame nel giro di qualche giorno, sempre che prima non sprofondasse nella sua stessa sporcizia. Per loro, però, saremo sempre dei mostri.

Gli elfi oscuri non gradivano che lei partecipasse al vertice delle gilde. Quando era di quell’umore, Vraska capiva perché. Perché dovremmo patteggiare con delle persone che ci odiano? Ma lei conosceva Bolas, e loro no. Lei aveva visto nella mente di Jace ciò che il drago aveva fatto al popolo e alle divinità di Amonkhet. Se ha intenzione di fare lo stesso con Ravnica…

“Regina” disse una voce di uomo. “Non siete una persona facile da trovare.”

Vraska si voltò. Un elfo oscuro era appoggiato alla ringhiera della balconata, vestito con i vestiti di cuoio consunto dei putrificatori. Lei posò una mano sulla sua sciabola.

“Pensavo avessimo finito con questa farsa dell’assassinio” disse lei. “Ma suppongo di essere stata troppo ottimista. Fatti avanti, dunque.”

“Non sono qui per uccidervi” disse l’uomo, avvicinandosi. Mentre lo faceva, l’Antecessore dietro Vraska si mosse per proteggerla, finché tutti non furono appena dietro le sue spalle. L’uomo non gli prestò attenzione. “Sono qui solamente per esprimere la mia… preoccupazione.”

“La tua preoccupazione? E cosa vorrebbe dire?”

“Non stai svolgendo il ruolo che ti è stato assegnato, mia cara.” L’elfo ghignò, ma Vraska vide l’ombra di un altro sorriso, un sorriso fatto di denti appuntiti.

“Sei coraggioso a venire fin qui” disse Vraska, mostrando le proprie zanne. “Sarai una bella aggiunta al mio giardino di sculture.”

“Oh, questo è solamente un contenitore. Fallo a pezzi, tramutalo in pietra… per me non fa differenza” disse l’elfo. La voce era definitivamente quella di Bolas. “Non cambierà il fatto che avevamo un accordo, e che tu non l’hai portato a termine.”

“Ho trovato ciò che volevi su Ixalan.”

“Sì, hai ragione.” Bolas inclinò la testa. “Ma chi ha detto che quello sarebbe stato il termine dell’incarico? Ti ho portata a capo dei Golgari, come io ti avevo promesso. Eppure ti ritrovo ad agire contro di me.”

“Ho cambiato idea” ringhiò Vraska.

“Lo vedo. Opera del mio vecchio amico Beleren, sospetto.”

“Portate questa cosa nelle segrete” gridò agli zombie Vraska. “Dite a Mazirek di vedere quanto a lungo può tenerlo in vita.” Quando l’elfo alzò un sopracciglio, Vraska aggiunse “La prossima volta che verrai a farmi la predica, magari sarai abbastanza coraggioso da venire di persona.”

“Se dovrò farti la predica un’altra volta, Vraska, sarà l’ultima volta che ci vedremo” disse il burattino di Bolas.

“Che parole audaci.”

L’elfo blaterò velocemente qualcosa in una lingua che Vraska non riuscì a capire. I quattro zombie, che erano avanzati per catturarlo, si fermarono di colpo.

“Io penso che tu possa ancora fare la tua parte” disse Bolas.

“Vi ho detto di prenderlo” disse Vraska, rimettendo la mano sulla sciabola.

Bolas borbottò un’altra parola, e gli zombie si voltarono, avanzando verso Vraska questa volta. Lei imprecò ed estrasse la spada, indietreggiando fino ad avere le mura del palazzo dietro di sé.

“Gli Antecessori” disse Bolas, camminando dietro di loro. “Veramente utili. Così volenterosi di aiutarti a spodestare Jarad ed i suoi lacchè. E pensa, non chiedono nulla in cambio.” Lui sorrise. “Straordinario.”

“Posso riuscire a gestire un paio di zombie” disse Vraska. “Se questa è una minaccia-”

“Oh, ma io non sto minacciando te” disse Bolas. “Le minacce fisiche fanno poca leva ad un Planeswalker, giusto? Ma al tuo prezioso popolo… quella è tutta un’altra cosa.”

Pronunciò velocemente un altro ordine e gli zombie si bloccarono. Vraska non abbassò la spada.

“Immagina ogni Antecessore che si ribella al suo padrone, proprio come hanno fatto con Jarad e i suoi elfi” disse Bolas. “Ma questa volta sarebbe molto peggio. Tu hai pianificato molto attentamente il golpe. Questa volta, sarebbe puro e semplice caos. Sicuramente i Devkarin rimasti sfrutterebbero l’occasione per riprendere il potere. E i kraul contrattaccheranno certamente. Sarebbe una guerra civile, e tu finiresti nel bel mezzo di essa. Tutto ciò che ami verrebbe fatto a pezzi.”

“Tu…” La gola di Vraska era secca.

“Io ti ho posta sul trono dei Golgari” disse Bolas. “Pensavi veramente che l’avrei fatto senza avere un modo per detronizzarti, nel caso avessi voluto?” Si avvicinò di qualche passo, sporgendosi tra i due zombie immobili. “Vivi tanto quanto me, e conoscerai più di un paio di nozioni sul tradimento. Pensi davvero che io non abbia previsto il tuo nei miei confronti?”

“Cosa…” Vraska percepì i propri tentacoli sferzare in agitazione, e cercò di controllarsi. “Cosa vuoi da me?”

“Solo che tu faccia la scelta giusta. I Golgari potranno prosperare sotto la tua guida e reclamare il loro legittimo posto nel mio nuovo ordine. Oppure verranno spazzati via, qui e ora, e quando arriverò su questo piano sarà mio sommo piacere schiacciare ciò che ne sarà rimasto sotto i miei artigli. E solamente dopo che gli ultimi rimasugli delle tue patetiche tribù saranno polvere verrò a cercare te, Vraska. E allora conoscerai un’eternità di dolore.”

Lei percepì l’energia dorata che si stava accumulando nei propri occhi, la sua istintiva risposta alle minacce, ma sbatté gli occhi per dissiparla. Trasformare in pietra questo messaggero non avrebbe aiutato. Nulla lo avrebbe fatto.

Jace…

Gli aveva affidato i propri ricordi, la propria identità, seconda solamente alla propria anima. Disse che sarebbe arrivato. Che, insieme, avrebbero sconfitto Bolas.

Ma lui non è qui. E questa cosa invece lo era: un volto di drago che ghignava dal corpo di un burattino, in piedi dietro ai suoi zombie ammaestrati. Jace, cosa dovrei fare?

“Allora?” Il sorriso di Bolas sparì. “Qual è la tua scelta?”

Vraska deglutì.

Collegamenti esterni[]

Advertisement