The Gathering Storm/Capitolo Due è il secondo capitolo di The Gathering Storm.
Capitolo Due[]
I giardini decomposti dei Devkarin erano leggendari.
Qualunque sciocco avrebbe potuto creare un cumulo di marciume o far crescere dei funghi da dei resti di qualche creatura morta. Ma gli elfi oscuri si occupavano della flora generata dalla decomposizione con la stessa attenzione che un giardiniere del mondo in superficie avrebbe potuto dedicare alla cura di un cespuglio di rose o di orchidee. Era putrefazione elevata ad arte, praticata da maestri che avevano vissuto molto a lungo in un reame che non aveva mai visto la luce del sole.
Gli alloggi personali di Jarad, capogilda dello Sciame Golgari, ne erano un esempio particolarmente esemplare. Un largo cortile circolare era sovrastato da un soffitto a volta incrostato di lunghe stalattiti. Le uniche fonti di luce erano alcuni funghi bio-luminescenti, che crescevano attorno a delle sfere di legno appese ad intervalli irregolari. I vasi erano disposti in modo tale da dividere tutto quello spazio in molti piccoli punti d’incontro e corridoi; inoltre erano presenti diversi divani ricoperti di morbido muschio nel caso in cui qualche ospite avesse voluto mettersi comodo.
Ciascun vaso era un cadavere, o a volte più di un cadavere, attentamente intagliato, appoggiato e posizionato così da favorire la crescita di alcune particolari specie di funghi. La magia sciamanica dei giardinieri di decomposizione limitava l’azione dei più comuni agenti che causano la putrefazione, mantenendo i corpi relativamente intatti. In un punto particolare un uomo era seduto con le gambe incrociate, la testa inclinata all’indietro e dei grossi steli giallini che gli crescevano fuori dagli occhi; di fianco a lui una donna aveva la schiena inarcata, con il petto sezionato e la pelle rimossa così da far innalzare senza ostacoli delle larghe foglie blu che partivano dal suo cuore. Alcuni dei funghi erano talmente grandi e massicci da crescere attorno ai propri ospiti, lasciando sbucare solamente volti ed arti da quelle tremanti masse di carne grigiastra. Altri, invece, erano piccolissimi e delicati, che si sarebbero dissolti con un semplice respiro. Alcuni di questi, se ingeriti, avrebbero potuto uccidere un umano nel giro di pochi secondi. E molti altri potevano causare strani effetti al cervello di chi avesse deciso di mangiarli.
Jarad era seduto sul suo trono di funghi, con lunghi fili di morbido muschio orlato depositati attorno a lui. In sua presenza stavano attendendo i Cilia, i Devkarin più potenti ed influenti, con i loro smunti corpi elfici ricoperti di tela di ragno ed i volti dipinti con motivi che ricordavano svariati insetti.
Anche i silenziosi servitori che si muovevano tra loro erano eleganti. Trasportavano vassoi pieni di cibo e di diversi alcolici. Nonostante fossero morti, camminavano con una grazia nobile, ed i loro vestiti erano manufatti antichi ed intricati: paramenti funebri di secoli passati. Costoro erano gli Antecessori, risvegliati nella cripta di Umerilek da Mazirek, il necrosciamano dei kraul. Jarad li adorava. Molto più aggraziati degli zombie marci e traballanti che risvegliavano gli altri sciamani, con una compostezza ed un’intelligenza che i comuni non morti non sarebbero riusciti ad eguagliare. Erano diventati molto di moda presso la corte Golgari, ed ormai solamente gli elfi oscuri meno abbienti non potevano permettersi di essere serviti dai nobili di un’era antica.
Dall’ingresso della stanza si udì il rumore di legno spezzato. Jarad alzò lo sguardo e corrugò la fronte.
“Ho ordinato che fosse sigillata” disse.
“Sì, l’ha fatto.” Storrev era in piedi al fianco di Jarad. Lei era una lich degli Antecessori, e possedeva ancora tutta l’intelligenza che aveva avuto in vita. Era vestita completamente di nero, con un velo che le copriva il volto secco e rovinato. Rimase quasi completamente invisibile finché non parlò, con la voce altezzosa e l’accento di una corte ormai morta da molto tempo. “Suppongo che qualcuno stia cercando di entrare.”
“Cosa?” Jarad si alzò in piedi. “Chi oserebbe mai?”
Oltre i cadaveri-vaso, attraverso i loro funghi delicati, vide la porta d’ingresso piegarsi verso l’interno. Era veramente massiccia, costruita in legno di radice supportato da bande di gelido ferro, ma le sue travi cigolavano e scricchiolavano. Dopo un istante si frantumò, rovinando con le sue schegge le preziose sculture di decomposizione. Le fioriture fungine che avevano impiegato decenni per crescere si disgregarono in pozze di melma.
Sulla soglia si trovava una figura mastodontica, un troll più grande di qualsiasi altro Jarad avesse mai visto. C’erano altre creature dietro di esso, ma i suoi occhi si posarono sulla figura umanoide che iniziò a camminare in avanti. Una donna, con una tenuta da combattimento in cuoio ed una sciabola alla cintola. Umanoide, ma non umana, e certamente non elfica. Dove avrebbero dovuto trovarsi i suoi capelli c’erano invece dei neri tentacoli ritorti che si dimenavano come una cesta piena di serpenti.
Diverse gorgoni erano al servizio dello Sciame Golgari, ma solamente una avrebbe osato provocare un tale insulto. Le labbra di Jarad si incurvarono.
“Vraska.”
Vraska avanzò nel giardino decomposto. Aveva sempre detestato quel luogo. L’aria era pesante a causa dell’odore orribilmente dolciastro della putrefazione, e le centinaia di piccoli angoli sembravano fatti appositamente per le vigliacche e meschine cospirazioni che erano sempre prosperate all’interno della corte dei Devkarin.
Tutto questo, pensò lei, termina stanotte.
Jarga si stava ancora togliendo dei pezzetti di porta dal pugno, ma i due kraul la seguirono: degli insetti a sei zampe coperti da una corazza di chitina. Mazirek, alla sua sinistra, era alto quasi quanto Vraska, col carapace imbrattato di vernice nera con motivi a spirale. Per i kraul, lui era quello che più si avvicinava ad una figura di leadership, ed era stato il primo alleato di Vraska all’interno degli alveari.
Alla destra di lei camminava un kraul molto più piccolo: un esemplare dall’aspetto malaticcio e mortalmente pallido con delle ali penzolanti inutilizzabili. Xeddick era stato emarginato dal proprio popolo per la sua colorazione e le sue strane abilità, finché Vraska non divenne sua amica. Da allora, lui la seguiva come un cucciolo.
Jarad, nella sua tunica di tela di ragno e con la sua tintura facciale blu e rossa, si alzò dal proprio trono e la indicò.
“Vraska” ringhiò. “Non ricordo di averti convocata. Né di averti chiesto di sfondare la mia porta.”
“Eppure, nonostante tutto, eccomi qui” disse Vraska. “Che cosa buffa.”
Lei iniziò a dirigersi verso di lui, calciando via un vaso-cadavere in una spruzzata di spore rosa. I due kraul la seguirono, con la loro armatura ticchettante. Con la coda dell’occhio, lei riuscì a vedere gli elfi oscuri che si allontanavano barcollando, mentre i loro servitori Antecessori rimasero immobili.
“Tutta questa decadenza” ponderò la gorgone. “Gli anni non sono stati clementi con te, Jarad.”
“Esattamente, cosa pensi di stare facendo?” Jarad, almeno, non temeva di affrontarla. Alcuni membri della corte erano in piedi al suo fianco, e lei vide le loro mani dirigersi verso le armi. “Tu sei preziosa per questa corte, ma non sopravvalutare la tua importanza. Potrei richiedere la tua testa per questo affronto.”
“Potresti?” mormorò Vraska. Calciò via un altro vaso, che si infranse a qualche metro dal capogilda. “Vediamo come provi a prendertela, allora.”
Gli occhi di Jarad si socchiusero. “Quindi le cose stanno così.”
“Le cose stanno così.” Vraska appoggiò la mano sulla sua sciabola. “Ebbene? Sto aspettando.”
“Che qualcuno la uccida” disse Jarad, molto lentamente.
Due dei suoi cortigiani si fecero avanti: un giovane uomo con i tatuaggi da mantide di un maestro di spada di quarto grado ed una donna contraddistinta dalla fluente tunica tipica degli sciamani. Con un cenno, Vraska direzionò Mazirek verso la donna, mentre lei estrasse la sciabola dalla cintola.
Il maestro di spada era veloce e armato di un sottile fioretto, popolare tra i Devkarin per i suoi colpi letali e precisi. Lei schivò a malapena il suo primo attacco, e lui indietreggiò danzando, portandosi fuori portata dal contrattacco di lei, ritrovatasi comunque con una linea rossa lasciata dalla spada di lui sull’avambraccio. Vraska grugnì irritata, deviò il colpo successivo dell’elfo grazie al peso superiore della propria arma, e poi caricò in avanti finché non si trovarono faccia a faccia. Un’energia dorata iniziò ad illuminare i suoi occhi.
L’elfo comprese troppo tardi il proprio errore. Prima che potesse distogliere lo sguardo, una scarica di potere divampò tra i due. Un’ondata grigia iniziò ad avanzare partendo dagli occhi di lui, facendo diventare la sua pelle fredda, dura e morta. Delle dita di pietra tenevano ancora salde l’elsa della sua spada. Non essendo in equilibrio, la statua rimase in piedi solamente per un attimo prima di cadere, frantumandosi in pezzi con un tonfo.
Anche l’altro duello stava terminando. Il carapace di Mazirek era ricoperto di strati fungini, ma al kraul sembrava non importare. Le sue zampe frontali si mossero ad una velocità sorprendente per l’evocazione di un incantesimo, e l’elfa barcollò all’indietro afferrandosi la gola. Per un momento si bloccò, fissando il vuoto con gli occhi sporgenti, mentre delle linee nere simili a vene necrotiche si stavano espandendo sulla sua pelle. Poi cadde, rannicchiandosi su un lato e tremando a causa della putrefazione interna della sua carne, partita dalle ossa. In pochi secondi rimase solamente uno scheletro immerso in una pozza di melma.
Amica-Vraska. Il tocco mentale era quello di Xeddick. Il kraul era un telepate, una rarità quasi sconosciuta all’interno della sua razza. Vraska si chiedeva in parte se non fosse il risultato di un qualche esperimento Simic clandestino. I morti si riuniscono.
Lei si guardò alle spalle. Gli Antecessori si stavano accalcando alla porta: dame in vestiti di corte consumati e uomini in cappotti marci ed ali di ragnatela. Quattro di essi fecero un passo avanti dal retro del trono di Jarad, con indosso l’armatura di un’antica guardia reale e armati di spade. Storrev rimase in piedi di fianco a Jarad con il volto coperto dal suo velo.
Li vedo, pensò lei, rivolta a Xeddick. Lei riusciva a percepire il nervosismo di lui, ed inviò una sensazione rassicurante. È tutto sotto controllo.
“Come ti aspetti che finisca tutto questo?” disse il capogilda, apparentemente indifferente dinanzi alla sconfitta dei suoi campioni. Il resto della sua corte si era ritirata a distanza di sicurezza.
“Con te in ginocchio ad implorare pietà.” Vraska rinfoderò la propria sciabola e si sfregò la ferita sul braccio. “Possiamo passare direttamente a questa parte, se preferisci.”
“Supponiamo che tu mi uccida” disse Jarad. “Sai che cos’accadrà? I Devkarin-”
“I Devkarin sono rimasti al potere troppo a lungo” disse Vraska. “Hai trattato i Golgari come uno strumento per il tuo piacere personale, e hai rovinato la nostra forza degradandola a semplice decadenza. Tutto questo finirà oggi.”
“Non ne hai la forza” sogghignò Jarad. “Un paio di insetti non sono sufficienti. Se qui ora darai inizio ad una guerra civile, gorgone, l’unica conclusione possibile sarà la tua testa infilata in una picca. Ed il tuo popolo, Mazirek, soffrirà per cento generazioni.”
“Abbiamo sopportato la tua tirannia troppo a lungo” disse Mazirek. La sua parlata era biascicata e ticchettante, provenendo da organi non designati per la lingua comune. “Vraska ai kraul offre il rispetto.”
“Il rispetto vi servirà a ben poco quando starete marcendo nei miei giardini.” Jarad ghignò con un sorriso impavido e squilibrato. “Ma facciamola finita! Metti da parte i tuoi reclami, e ti renderò-”
Vraska scattò in avanti con un rapido pugno che colpì Jarad sul naso, producendo un corposo crack. Lui barcollò all’indietro. Il sangue gli colava sul labbro superiore.
“Storrev!” strillò lui. “Fermala.”
Ed ora, pensò Vraska, scopriremo se Bolas aveva ragione.
Gli Antecessori radunati rimasero in piedi, in attesa. Le quattro guardie attorno al trono, i servitori assemblati in ranghi per tutta la stanza. Erano in piedi-
-e non fecero nulla.
“Storrev!” Jarad fece scorrere una spruzzata di sangue. “Cosa significa tutto questo?”
“Tu sei il passato” disse la lich, senza alcuna inflessione. “Vraska è il futuro.”
Ahhhh. Jarad si voltò verso Vraska, ed in quel momento poteva leggere il panico nei suoi occhi. Lei lo bevve come se fosse stato nettare. Lui riprese a parlare, stringendo la propria tunica con le mani.
“Non riuscirai comunque a farla franca” mormorò. “Goditi la tua piccola vittoria. Gli altri elfi-”
“Hanno servitori Antecessori” disse Vraska. “Non è così?”
Gli occhi di Jarad si spalancarono. “No...”
“Risparmieremo chi non opporrà resistenza.” Lei fece un altro passo in avanti, e lui cadde in ginocchio. “Ma i Golgari ora sono miei.” Vraska lanciò un’occhiata a Mazirek, che compì un gesto rispettoso con le sue zampe anteriori, e a Storrev, che inclinò la testa. “Il regno degli elfi oscuri è terminato.”
“Io… io posso aiutarti” borbottò Jarad. “Ci sono delle cose di cui sono a conoscenza… dei segreti. Tu hai bisogno di me.”
“Sai che hai proprio ragione?” Fece un gesto a Xeddick, ed il piccolo kraul si fece avanti fino a raggiungere il fianco del capogilda. Sai cosa fare, pensò lei, rivolta al kraul.
Sì, amica-Vraska. Il tocco mentale di Xeddick era infelice. Non gli piaceva usare i suoi poteri in quel modo. Non fare resistenza, nemico-Jarad. Non farà altro che peggiorare il dolore.
A giudicare dal modo in cui gridò, Jarad fece resistenza. Quando fu tutto finito, si accasciò ansimante alla base del suo trono.
Hai ottenuto ciò che ci serve? Pensò Vraska a Xeddick.
Credo di sì, amica-Vraska. Liste di agenti nel mondo in superficie, parole d’ordine, luoghi d’incontro. Xeddick inviò un’ondata di disgusto. La sua mente sa di sporcizia.
Posso immaginare.
Vraska si abbassò e afferrò il capogilda per il colletto, trascinandolo verso l’alto così che potesse vederla negli occhi. Dell’energia dorata si accumulò, e Jarad gridò di nuovo.
La pioggia sferzava contro le pareti di Orzhova, la Sontuosa Cattedrale, la grande fortezza dei sacerdoti-banchieri degli Orzhov. Kaya si rendeva conto che fosse un bellissimo edificio, con tutti quegli archi rampanti, i bassorilievi, le grosse finestre di vetro colorato e gli intarsi dorati. Sperava solo che non fosse una rottura doverlo scalare, soprattutto di notte e sotto la pioggia.
Qui dovrei essere abbastanza in alto. I suoi capelli erano ammucchiati sulla nuca, completamente inzuppati, e lei era fradicia fino alla biancheria, nonostante il suo giubbotto di pelle. Era entrata nell’edificio al piano terra, per poi farsi strada verso i piani superiori fin dove fu possibile senza allertare nessuno, prima di passare all’esterno per arrampicarsi sulla torre. Fino a quel momento, quella mossa le aveva permesso di oltrepassare quasi tutta la sicurezza degli Orzhov, anche se aveva dei dubbi che la sua fortuna su quel frangente sarebbe potuta continuare ancora a lungo. Non si diventa ricchi al punto da poter costruire una propria cattedrale senza diventare un po’ paranoici.
Eppure, aveva avuto incarichi peggiori, ed in posti peggiori. Il piano-città di Ravnica era piuttosto piacevole se confrontato con alcune delle paludi e catacombe nelle quali fu inviata in passato per cacciare la sua preda incorporea. Il cibo è buono, se non pensi troppo a dove se lo procurano. E quando richiedi un bagno caldo i locandieri non ti guardano come se fossi pazza. Anche se sarebbe carino che questa pioggia prima o poi smettesse.
Trovò un appiglio su un cornicione sporgente di fianco ad un gargoyle scolpito, dalle cui fauci sgorgava un fiotto di acqua piovana. Kaya guardò a lungo e in modo molto sospettoso il gargoyle, ma esso non sembrò incline ad animarsi improvvisamente. Appoggiandosi contro di esso, lei respirò profondamente ed attinse al proprio potere. Attorno a lei aleggiò dell’energia viola, portando il suo corpo dallo stato solido ad una incorporeità spettrale, dopodiché si immerse nella dura pietra. Era un trucco più complesso di quanto potesse sembrare: la parte difficile era mantenere solida la presa fuori dal muro finché non avesse avuto un appoggio sufficiente all’interno. Ma Kaya aveva trascorso tutta la sua vita a passare attraverso ostacoli con strane angolazioni.
Come aveva sperato, la sua arrampicata sulla torre principale di Orzhova le aveva fatto superare le prime linee di difesa. Si ritrovò in un corridoio dai tappeti sontuosi, illuminato da delle candele che bruciavano placidamente all’interno di bracieri dorati. Su delle porte poste ad intervalli regolari erano affisse delle targhe di bronzo, ed il legno era inciso con gli elaborati stemmi dei cavalieri e degli amministratori che lavoravano in quel luogo, e che facevano girare la ruota del commercio degli Orzhov. A giudicare dall’altezza del soffitto, c’erano almeno altri tre piani che la separavano dal suo bersaglio.
Presumendo, ovviamente, che le informazioni fornite dal drago siano corrette. La prima regola degli incarichi da mercenario era “Non fidarti mai del cliente”, e questa regola valeva il doppio nel caso di Nicol Bolas. Ma la ricompensa era abbastanza sostanziosa da farle pensare che ne sarebbe valsa la pena. Se qualcuno ha il potere di riparare il cielo spezzato, quello è sicuramente Bolas. Ed i contatti di lei avevano insistito sul fatto che lui fosse ragionevolmente degno di fiducia. Per essere un drago, almeno.
Camminò silenziosamente per il corridoio, con l’acqua che gocciolava senza far rumore sui tappeti di seta. In fondo si trovava una scalinata che portava al piano superiore, bloccata da una grata di ferro che occupava l’intera apertura. Kaya esaminò le piccole rune dorate incastonate attorno alla serratura che la teneva chiusa, e vi trovò un incantamento che avrebbe attivato un allarme nel caso venisse scassinata. Lei sorrise. Vi passò attraverso con un lampo di luce viola e corse su per le strette scale.
Sul piano successivo si trovava una specie di archivio che sembrava non finire mai. Non mi stupisco. Ai sacerdoti piace mettere le cose per iscritto, e anche ai banchieri, quindi suppongo che dei sacerdoti-banchieri siano anche peggio. Le porte che conducevano ai depositi erano inscritte con terribili trappole magiche, ma nel corridoio c’era soltanto qualche trabocchetto, così facili da disattivare da risultare quasi un insulto. Se continua così, mi toccherà scrivere una lettera di reclamo.
Un’altra grata bloccava le scale, e questa era adornata da un paio di guardie con l’armatura a piastre ed un elmo conico. Avevano il solito sguardo impassibile ed annoiato di qualunque guardia. Osservandole da dietro l’angolo, Kaya capì che avrebbe potuto annientarle entrambe, se fosse stata costretta: un lancio di coltello alla gola scoperta di quella sulla sinistra, poi si sarebbe avvicinata per far fuori le gambe dell’altra prima che potesse avere il tempo di estrarre quell’ingombrante spada. Però, non è molto elegante. Inoltre, non voleva uccidere nessuno se non fosse stata costretta a farlo.
Quindi, ripercorse il corridoio dal quale era arrivata fino a raggiungere la parete che dava sull’esterno e la oltrepassò per tornare fuori, sulla torre. Era ancora più difficile passare all’esterno, ma trovò un buon appiglio sul busto scolpito di un qualche aristocratico morto da tempo, e lanciò fuori le gambe con una scia viola , prima di riuscire a piantare i piedi contro un’altra arcata. Da lì iniziò l’arrampicata, salendo fino ad un punto ben oltre le guardie. Però è meglio che stia all’interno quanto più tempo possibile. Avranno sicuramente delle difese contro i ladri volanti.
Si appoggiò nuovamente contro un altro gargoyle convenientemente posizionato. Ma solamente quando aveva già una mano immersa nella pietra si accorse che quel gargoyle non aveva un condotto per l’acqua piovana nella bocca e sembrava incredibilmente meno usurato. In quel momento, aveva già iniziato a muoversi.
Oh, diavolo.
Subito dopo ci fu un momento molto complicato. Kaya aveva una mano incorporea all’interno di un muro di pietra, ed il suo altro braccio ed un piede erano sostenuti dal gargoyle. Esso si spostò lontano da lei, e lei si ritrovò a cadere dalla parete. Contemporaneamente, il gargoyle aprì il becco per gridare un avvertimento, che avrebbe indubbiamente fatto accorrere tutte le guardie della cattedrale.
Pensa velocemente.
Fece tornare corporea la sua mano sinistra, all’interno della torre, e cercò disperatamente un appiglio alla cieca. Fortunatamente, le sue dita trovarono la base di un braciere e lei la afferrò, spostando il suo peso contro il muro. Ci volle molta della sua concentrazione per mantenere incorporea una piccola porzione attorno al polso, ma gliene era rimasta abbastanza per allungare la sua altra mano ed inserirla nella gola del gargoyle, afferrando la sua lingua e stringendola in un pugno. Gli occhi della creatura di pietra iniziarono a sporgere, ma rimase in silenzio. Per un attimo, Kaya rimase sospesa, aggrappata ai suoi appigli di fortuna.
E adesso?
Il gargoyle iniziò a chiudere il becco. Non riusciva a fare molta leva, ma gli angoli erano affilatissimi, e le due punte scavavano nel braccio di Kaya, tagliando il cuoio del suo vestito e facendo uscire un po’ di sangue. Lei digrignò i denti e spinse nuovamente le gambe contro la torre.
“Sai” disse lei al gargoyle, “io qui vorrei vivere e lasciar vivere. Sei interessato?”
La creatura le lanciò un’occhiata malevola ed aumentò la pressione. Ancora un po’ e si sarebbe spezzato il braccio.
“Capisco” borbottò Kaya.
Lasciò andare il braciere ed estrasse il braccio dalla pietra, lasciandosi appesa al gargoyle. Questa mossa la fece lanciare di lato contro di esso, e lei si diede una spinta con i piedi per trasformare quel movimento in un arco, come un’acrobata del circo che roteava attorno a un trapezio, ma infinitamente più doloroso. Mentre si avvicinava alla fine dello slancio, estrasse uno dei suoi lunghi coltelli dal proprio fianco con la mano libera, e sfruttò l’inerzia per affondarlo nel collo del gargoyle, utilizzando un po’ del suo potere per assicurarsi che scorresse facilmente attraverso la pelle di pietra della creatura. Il gargoyle produsse uno stridìo strozzato e cadde in avanti, perdendo la sua presa sul muro. Kaya lasciò che la sua mano lo attraversasse, poi si spinse in alto grazie ad un salto che le fece attraversare completamente il muro esterno e la fece tornare all’interno della torre.
Dopotutto, sentì di essersi guadagnata qualche secondo a contorcersi sul tappeto, maledicendo in silenzio tutti i gargoyle mentre si stringeva la pelle lacerata del suo avambraccio e cercava con tutte le sue forze di non urlare. Quando il dolore iniziò a passare, agitò le proprie dita per essere sicura di riuscire ancora a compiere quel gesto, estrasse una benda dal proprio zaino ed avvolse la ferita.
Spero che quel dannato coso non sia atterrato su nessuno. Non aveva bisogno di un povero passante spiaccicato sulla coscienza.
Quel piano, fortunatamente, era vuoto come il precedente. Un’altra scala a tornanti portava ai piani superiori, senza protezioni visibili. Kaya la imboccò cautamente e la condusse ad una porta dall’aspetto indubbiamente massiccio. Sui bordi erano inscritti altri incantamenti runici con una fine calligrafia dorata. Si avvicinò per leggerli.
Oltrepassa questa porta, verrà evocato un terribile spirito vendicativo, bla bla bla. Piegò nuovamente la sua mano ferita, controllò i propri coltelli e prese un bel respiro. Andiamo.
Mentre oltrepassava la porta, una luce viola la illuminò completamente. Ebbe un rapido sguardo ad una stanza da salotto ben arredata, ma la sua vista venne quasi immediatamente oscurata da un mulinello di energia spettrale che si radunò di fronte a lei. Una figura umanoide, simile ad un cadavere traslucido ed emaciato, comparve dal nulla. Delle rosse scintille d’odio divampavano nelle sue vuote cavità oculari. L’entità cercò di attaccarla alla gola, e Kaya percepì il gelo della tomba che l’avrebbe inondata.
L’essere sembrò molto sorpreso quando i pugnali di Kaya, lucenti del viola della sua incorporeità, affondarono nel suo petto. Fantasmi e spiriti rimanevano sempre scioccati quando capivano che il talento che faceva passare Kaya attraverso il mondo fisico la rendeva assolutamente solida per quelli come loro. Di solito, però, essi non vivevano-o continuavano a esistere, o quel che è-abbastanza a lungo da divulgare la notizia, dato che solitamente avevano ben poche difese contro trenta centimetri di freddo acciaio conficcati nei loro cuori spettrali.
Quell’ultima entità gridò, si assottigliò e svanì nel nulla, da dov’era venuta. Kaya rinfonderò le proprie lame con un ghigno soddisfatto. Guardandosi intorno, nella stanza, vide una donna dai capelli scuri in piedi dietro ad un lungo tavolo di legno che si appoggiava ad un bastone. Al suo fianco si trovava un giovane uomo occhialuto con l’aria da impiegato.
“Teysa Karlov?” disse Kaya. Come risposta ottenne un cauto cenno del capo. “Sono qui per salvarla.”
Qualche minuto dopo, Kaya era seduta al grande tavolo lucidato a risistemarsi più attentamente il bendaggio sul braccio. Teysa e il giovane uomo, il cui nome si rivelò essere Tomik, erano seduti di fronte a lei.
“Fammi capire se ho compreso bene” disse Teysa, congiungendo le proprie dita. Anche con i capelli in disordine e con indosso solamente una camicia da notte di seta nera, il suo portamento era impeccabile. “Tu sei sotto contratto per conto del”-diede un’eloquente occhiata a Tomik-“nostro amico in comune.”
“Mmm mmm” disse Kaya, sussultando mentre rimuoveva il tessuto incrostato di sangue.
“Il tuo contratto dice…”
“Di aiutarla a prendere il controllo degli Orzhov.” Kaya alzò lo sguardo. “Pensavo che tirarla fuori da una cella sarebbe stato un buon inizio.”
“Quanto conosci gli Orzhov?”
“Non posso dire di conoscerli” disse Kaya allegramente. “Il nostro amico ha detto che eravate stata rinchiusa da un gruppo di fantasmi, condizione che suppongo l’abbia costretto a rivolgersi a me in particolare.”
“Hai un piano per la fase successiva?”
“Non proprio. Credevo che quello fosse la sua specialità, nonostante comunque mi occuperò del problema di fantasmi per suo conto.”
Tomik scosse la testa, come se fosse ancora mezzo addormentato. Teysa assunse un’espressione rigida, incrociando le proprie dita.
“Non è un semplice ‘problema di fantasmi’” disse lei. “L’Obzedat sono gli spiriti degli Orzhov più potenti, che hanno guidato la nostra gilda per millenni.”
“E lei se ne vuole liberare.”
“Sì” ammise Teysa. “Ma non sarà così facile.”
“No?” Kaya strinse la benda e sorrise. “Ha visto come lavoro.”
“Non sto mettendo in dubbio le tue abilità, ma il resto del piano.” Teysa sospirò. “Se mi fai evadere da qui prima di assassinare il Concilio Fantasma, chiunque darà per scontato il mio coinvolgimento. I poteri della gilda si trasferiranno ai nemici dei Karlov. Avremmo tra le mani una costosa guerra civile e nessuna garanzia di vittoria.”
“Assumendo” aggiunse Tomik, “che le altre gilde non traggano vantaggio dalla nostra debolezza.”
Kaya osservò l’impiegato ed alzò un sopracciglio. Teysa contrasse le labbra.
“Tomik è il mio segretario personale” disse lei. “Mi fido ciecamente di lui.”
Tranne per il fatto che non vuoi fargli sapere che stai lavorando con Bolas, pensò Kaya. Interessante. Tornò a sedersi sulla sua sedia, con le mani dietro la testa.
“Va bene” disse Kaya. “Quindi non vuole che la faccia uscire di qui?”
“Non raggiungeremmo il nostro scopo in quel modo” disse Teysa. “Il Nonno mi ha fatta rinchiudere-”
“Chi?”
“Mio Nonno” ripeté Teysa, irritata. “Ora è a capo del Concilio Fantasma.”
Kaya, considerato che descrivere “complicate” le sue relazioni familiari era un eufemismo, cercò di immaginarsi come sarebbe stata la sua situazione se gli anziani del clan sarebbero potuti persistere per sempre nella non morte. La mia mente si rifiuta. “Benissimo. Vada avanti.”
“Mi ha fatta rinchiudere perché volevo portare gli Orzhov in una diversa direzione.” Teysa lanciò un’occhiata a Tomik. “Meno isolamento, e più collaborazioni con le altre gilde. Nella gerarchia ci sono alcuni che mi sostengono, ed ecco perché ebbe paura ad ammettermi all’interno del concilio. Ma se mi alleassi con forze esterne, quegli alleati prima o poi mi abbandonerebbero.”
“E quindi che si fa?”
“Dovrai distruggere l’Obzedat come se io non ti stessi aiutando. Senza più il Nonno, i gerarchi non avranno altra scelta se non rivolgersi a me.”
“Lady Karlov” disse Tomik. “Sa quant’è pericoloso. Se lei fallisse e confessasse il piano a suo nonno-”
“Abbi un po’ di fiducia in me” disse Kaya.
“È un’obiezione valida” disse Teysa. “Se venissi catturata, il Nonno ti strapperebbe lo spirito vivente dal corpo, e poi i suoi necromanti otterrebbero tutte le risposte che vuole prima di condannarti all’oblio assoluto.”
“Non smorzatemi la missione ancora prima di iniziarla.” Kaya si grattò il naso, pensierosa. “I fantasmi si incontrano nei sotterranei, giusto?”
Tomik annuì. “Nella Catacomba, diversi piani al di sotto delle fondamenta della cattedrale. Nessun vivente mette piede in quel luogo da secoli.”
“E sono sicura che ci sarà pieno di trappole mortali e spiriti vincolati. Di solito quei posti lo sono.” Fece una smorfia. “Devo ammetterlo, non mi piace la prospettiva di provare ad oltrepassare tutto quello con le guardie della torre alle calcagna. Ho dato un’occhiata agli incantamenti quando sono entrata, e non riuscirò ad entrare lì dentro senza far scattare l’allarme.”
“Abbiamo bisogno di alleati” disse Teysa. Diede un’occhiata loquace a Tomik, ma prima che potesse aggiungere altro si udì rumore di stivali e di metallo in movimento lungo il corridoio.
“Oh, diavolo” disse Kaya, alzandosi di scatto. “Qualcuno deve aver notato ciò che è successo al suo portinaio.”
“Vai” disse Teysa, allarmata. “Dirò loro che è stato un tentativo di assassinio. Ci crederanno. Trova la Locanda del Gambo Aggrovigliato. Tomik ti farà avere un messaggio.”
“Questo lavoro diventa più complicato ogni minuto che passa” borbottò Kaya. Ma dovette ammettere che al momento sembrava essere l’opzione migliore. Sicuramente meglio di combattere contro una torre piena di guardie. Annuì bruscamente ad entrambi e corse verso la finestra.
“Non puoi uscire di lì!” disse Teysa. “Le finestre sono-”
Kaya vi passò attraverso con un lampo di luce viola, e sparì.
“-sigillate.” Teysa finì la frase, pensierosa. La porta si spalancò, e si voltò per fronteggiare le guardie, sfoggiando il suo sorriso migliore.