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The Gathering Storm/Capitolo Cinque è il quinto capitolo di The Gathering Storm.

Capitolo Cinque[]

Ral Zarek non era tipo da animaletti domestici.

Un tempo, durante la sua gioventù, lui ed Elias avevano avuto un cucciolo. Era stato poco dopo che Ral iniziasse a lavorare per Bolas, e la carriera poetica di Elias era iniziata a decollare grazie all’appoggio segreto del drago. Combinato agli introiti del lavoro di Ral, arrivarono ad avere abbastanza soldi per trasferirsi in un appartamento che non cadesse a pezzi, ed Elias aveva insistito per prendere un cane. Avere un cagnolino in quel periodo era all’ultimo grido nell’ambito letterario e, inoltre, Ral non era mai riuscito a dire di no ad Elias.

Ovviamente, lui finì col dover fare la maggior parte del lavoro, dandogli da mangiare, lavandolo e soprattutto facendogli fare le passeggiate, un compito per il quale il fragile Elias non era adatto a causa della sua costituzione. Da quei momenti era passato più tempo di quanto Ral non volesse ammettere, ma riusciva ancora a ricordare la sensazione di provare a camminare per le vie con un minimo di dignità mentre veniva strattonato a destra e a sinistra dagli scatti irrefrenabili di quell’animale impazzito.

Il punto era che andare in giro con Hekara fu un’esperienza molto simile. Nonostante non fosse effettivamente legata a un guinzaglio, Ral si sentiva in dovere di aspettarla ogniqualvolta si distraeva, ossia costantemente. Mentre camminavano verso Vitu-Ghazi, il grande albero del mondo che era il fulcro del potere dei Selesnya, passarono attraverso una rete di strade rialzate chiamata il Gran Raduno. Durante i giorni sacri quelle strade sarebbero state piene di adoratori della natura, ma quel giorno avevano la funzione di mercato improvvisato, dove gli appartenenti ai Selesnya e gli esterni potevano socializzare, mentre i membri di gilda potevano vendere i propri prodotti. Uomini e donne inginocchiati davanti a dei teli, dove mettevano in mostra i propri beni. Ogni tre metri Hekara si allontanava, attratta da un nuovo strano frutto od una spezia insolita che doveva esaminare a tutti i costi.

Forse dovrei metterle un guinzaglio. I cultisti di Rakdos indossavano cose ben più strane. E anche se il cucciolo alla fine era riuscito a sfuggire all’inaffidabile attenzione di Elias per scappare verso pascoli migliori, per sommo sollievo di Ral, attualmente non poteva permettere che Hekara facesse lo stesso.

“Vedi queste?” disse lei, mentre lui la raggiunse alle spalle. Lei indicò in basso, verso un assortimento di zucche dalle strane forme. “Puoi tagliarle a dadini con un po’ di pepe, aggiungi altra roba, e poi viene fuori qualcosa che mmmmmm.” Si voltò verso di lui con un sorriso smagliante. “E poi una volta c’ho perfino ammazzato un tizio con una. Il trucco sta nel spezzarla a livello del gambo, e poi entra perfettamente nel-”

“Hekara” disse Ral. “Mi stanno aspettando.”

“Giusto.” Hekara salutò con la mano la scioccata donna Selesnya dietro le zucche, che sembrava stesse esaminando la propria merce sotto una diversa luce. “Fico! Muoviamoci.”

Ricominciarono a camminare. In quel luogo Vitu-Ghazi incombeva su ogni cosa, un albero mastodontico alto quasi quanto il Nuovo Prahv. Degli edifici costruiti con il legno vivo si ammassavano nei suoi enormi rami ricurvi, connessi da un’intricata rete di ponti sospesi e scale. Ral sapeva che all’interno del tronco principale si trovava una cattedrale della natura, delle stesse dimensioni di quella in vetro e pietra degli Orzhov. Almeno le foglie sporgenti dell’albero tenevano a bada la pioggia, e l’acqua fluiva attraverso delle grondaie progettate magistralmente.

“Hekara e Ral” disse Hekara, quasi cantando, mentre camminavano. “Partner! Compagni! Compari-”

“Hekara.”

“Cosa?”

“Non siamo partner.” Ral lasciò uscire un respiro. “Io sto facendo il mio lavoro, e tu sei qui per osservare. Quando entriamo, ti prego di osservare, e non intervenire.”

“In che senso?”

“Voglio dire che devi stare zitta.”

Dopo qualche altro passo, lui provò a guardarsi un attimo alle spalle. Hekara lo stava ancora seguendo, con gli occhi tristi e spalancati. Si ricordò che anche il cucciolo lo aveva guardato in quel modo. Di solito lo faceva quando aveva fatto pipì in un posto dove non doveva e lui provava a strigliarlo.

Sapevo che sarebbe stata una pessima idea.

“Ehi” disse lei, dopo un altro minuto.

Che c’è?” ringhiò Ral.

“Non siamo ancora dentro, quindi posso intervenire dicendo una cosa?”

“Se proprio devi.”

“Qualcuno ci sta seguendo.”

Ral lanciò ancora uno sguardo dietro di sé.

“La donna col cappotto nero” disse Hekara. “Ora è là dietro, ma la vedo da quando siamo arrivati al Raduno.” Il suo volto si illuminò. “Vuoi che la ammazzi?”

“No.” Ral incrociò lo sguardo con la figura in nero, e lei fece un cenno con la testa. Lavinia. “Le vado a parlare. Rimani qui.”

“Dovrei-”

“Ho detto che rimani qui.”

Hekara sospirò rumorosamente, per poi gironzolare verso i teli al lato della strada. Ral si voltò e tornò indietro verso il punto dove si trovava Lavinia, con le braccia incrociate sotto il suo cappotto scuro. Lui notò un riflesso metallico al suo fianco.

“Pensavo che non volessi essere vista insieme a me” disse Ral.

“Non mi hai dato molta scelta” disse Lavinia. “Mi stavo assicurando che fossi io l’unica a seguirti.”

“E?”

“Per ora hai il via libera. I Selesnya hanno una sezione anti-spionaggio sorprendentemente buona.” Fece un cenno verso Hekara. “Chi è la tua amica?”

Ral fece una smorfia. “L’emissaria dei Rakdos. Il vecchio mostro ha insistito che mi accompagnasse così da essere sicuro che non stessimo complottando contro di lui.”

“È proprio una cosa da Rakdos.” Lavinia sorrise leggermente. “Stai avendo più successo di quanto avessi previsto.”

“Per ora.” Ral fece un cenno verso l’albero del mondo. “Staremo a vedere.”

“Volevo avvisarti. I servitori di Bolas hanno in serbo qualcosa per i Selesnya.”

“In che senso ‘qualcosa’?”

“Non lo so. Non riesco ad intercettare tutte le loro comunicazioni. Ma ci sono stati decisamente molti messaggi relativi a qualcosa che dovrà avvenire qui, e molto presto. Potrebbe coincidere con la tua visita.”

“Magnifico. Quindi dovrò prepararmi, ma non puoi dirmi in che modo o per cosa.”

“Benvenuto nel mio mondo” disse Lavinia. “Sono intelligenti, determinati ed estremamente ben finanziati. Sto facendo del mio meglio.”

La tensione era visibile sul suo pallido volto, con delle scure occhiaie che si stavano facendo strada sotto i suoi occhi, e Ral sentì un’inaspettata punta di compassione. Aveva sempre pensato che Lavinia fosse l’instancabile sovrintendente della giustizia, un pilastro indistruttibile degli Azorius, ma ora stava operando esternamente alla propria ex gilda, e contro un avversario molto più pericoloso.

“Molto bene” disse lui, più gentilmente. “Farò del mio meglio. E stai attenta anche tu.”

“Ovviamente.” Si strinse nel cappotto.

“In realtà” disse lui. “Volevo chiederti una cosa.”

“Che cosa?”

Vraska” disse lui. “La nuova regina dei Golgari. Cosa sai di lei?”

“Una volta provò ad uccidere Beleren. Non mi viene in mente altro così, su due piedi. Perché?”

“Vuole fissare un incontro” disse Ral. “Ho bisogno di sapere in che posizione si trova.”

“Vedrò cosa riesco a trovare” disse Lavinia. “Non c’è nulla di certo.”

“Ovviamente.” Ral inclinò la testa. “Grazie per l’avvertimento.”

Lavinia si voltò e se ne andò, sparendo nella folla. Più avanti, Hekara stava gridando contro una ragazza elfica per colpa di una delicata decorazione in vetro che l’emissaria Rakdos aveva apparentemente rotto per sbaglio. Ral alzò gli occhi al cielo e sospirò platealmente.

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Una donna centauro, ricoperta da una flessibile armatura di legno, accolse Ral e Hekara all’entrata per condurli lontano dalla cattedrale principale, verso gli edifici più piccoli attorno al grande albero. Si spostava con una camminata fluida, salendo una lunga scala incurvata che era stata chiaramente progettata pensando alla sua specie.

“Non chiedere” disse Ral, quando vide Hekara fissare la propria scorta.

“Perché no?”

“Perché chiedere ad un centauro di cavalcarlo è un ottimo modo di ottenere un calcio in faccia” disse Ral, a bassa voce. “Fidati.”

“Ah, sì? Fico, grazie del consiglio.” Hekara si guardava intorno con curiosità. “Ci sono un sacco di spade in bella mostra, non pensi anche tu?”

“Mmm” disse Ral, in modo evasivo.

Anche lui aveva notato quella pesante presenza militare. Ovunque si potevano vedere soldati in armatura verde e marrone, quasi tutti umani ed elfi, ma anche centauri e lossodonti dalla testa di elefante. Durante le sue precedenti visite all’albero del mondo, non ricordava una sicurezza così ferrea. Forse anche loro hanno avuto sentore di ciò che preoccupava Lavinia.

Emmara Tandris li stava aspettando fuori da un edificio a più piani avvolto a spirale attorno ad un enorme ramo. Lei era alta, magra e posata, con dei bellissimi capelli biondi, ed indossava un vestito verde scintillante che la faceva sembrare parte integrante dell’albero. Hekara alzò le sopracciglia in segno di apprezzamento.

“Ricordati” sibilò Ral. “Osserva.”

“Giusto.”

Emmara era affiancata da uno squadrone di soldati, capeggiata da un crucciato sergente, e tutti erano pronti ad estrarre le armi. Lei fece qualche passo in avanti per inchinarsi a Ral, e lui contraccambiò quel gesto mantenendo un’espressione formale. Non aveva più visto Emmara dal fiasco del Labirinto Implicito, e nonostante non fossero mai stati veri e propri nemici, lei era molto vicina a Beleren e Ral dubitava di aver fatto buona impressione su di lei.

“Mastro Zarek” disse lei, con una voce musicale. “Grazie per aver accettato di incontrarci. So che siete molto occupato.”

“Figuratevi” disse Ral. “Spero di riuscire ad accordarci per la presenza della vostra gilda al vertice.”

“Mi piacerebbe moltissimo” disse Emmara, ma Ral notò una nota di frustrazione nella sua voce. “Perché non venite dentro?”

Il sergente fece un passo avanti e si schiarì la gola. “Signore, dovrete consegnare le vostre armi.”

Ral lanciò un’occhiata a Emmara, poi scrollò le spalle. Slacciò le cinghie dei suoi bracciali e dell’accumulatore, e li passò ad uno dei soldati.

“È l’ultimo modello” disse Ral. “Stateci attenti.”

“Riotterrete i vostri apparecchi sani e salvi” disse sbrigativamente il sergente.

“Lo spero” disse Ral. “È risaputo che sono a rischio di esplosione se vengono sballottati in giro.”

Il sergente ed i suoi uomini si scambiarono uno sguardo preoccupato, e Ral mantenne un’espressione seria. Quello che aveva detto non era vero, ma gli Izzet avevano quella reputazione. Un altro soldato si avvicinò nervosamente a Hekara, e lei aprì le braccia e girò in cerchio, facendo tintinnare le campanelle tra i suoi capelli.

“Non c’è nulla, se non me!” Lei lo guardò con un ghigno. “Sono abbastanza pericolosa di mio.”

I soldati sembrarono soddisfatti. Si fecero da parte per far sì che Ral e Hekara potessero unirsi a Emmara, ed insieme oltrepassarono la soglia per entrare nell’edificio. Come tutte le strutture dei Selesnya, aveva un aspetto curvo ed organico. Le pareti e i tramezzi crescevano senza ostacoli dal pavimento al soffitto. Invece di finestre in vetro, la flebile luce veniva lasciata filtrare all’interno da una densa barriera di rametti e foglie. All’incrocio tra due corridoi, una fontana organica gorgogliava placidamente.

“Mi dispiace per il trattamento” disse Emmara. “Garo, il Maestro della Radura, ha insistito che venisse aumentata la sicurezza.”

“Per qualche ragione particolare?” disse Ral.

“È... complicato.” Si zittì quando passò un gruppo di soldati. “Vi spiegherò in privato.” Diede un’occhiata a Hekara. “Chi è la vostra accompagnatrice?”

“Oh.” Ral prese un profondo respiro. “Lei è Hekara, un’emissaria dei Rakdos. Hekara, ti presento Emmara Tandris.”

“Fico!” Hekara annuì con entusiasmo, producendo un grazioso tintinnio. “Quindi tu sei, tipo, l’elfa capa da queste parti?”

“Non esattamente” disse Emmara, con un cauto sorriso. “Non abbiamo una gerarchia formale nei Selesnya. Io ho un po’ di influenza, ma…” Si fermò nuovamente quando un lossodonte con una tunica camminò pesantemente vicino a loro, poi indicò una porta chiusa. “Qui dentro.”

Ral suppose che avessero dovuto salire per almeno due piani di rampa per raggiungere quella stanza. Era un semplice salotto, con delle sedie intrecciate di rami secchi ed un paio di tavolini. Una ragazza di servizio stava pulendo quando loro arrivarono, ma si inchinò frettolosamente alla presenza di Emmara e si affrettò ad uscire, lasciandoli da soli.

“Mi dispiace” disse Emmara, quando furono da soli. “Come ho già detto, le cose sono… complicate.”

“Mi pare evidente” mormorò Ral. “Non ho mai sentito notizie di dissensi all’interno dei Selesnya.”

“La situazione attuale è senza precedenti.” Emmara li intimò a sedersi con un gesto. Ral lo fece, mentre Hekara iniziò a girovagare verso la finestra per cercare di smontare l’intreccio di rami. Dopo un momento, Emmara fece spallucce e prese posto di fianco a Ral. “Solitamente, le driadi interpretano il volere di Mat'Selesnya, l’Anima del Mondo, e guidano le politiche della gilda, con le Trostani a guidarle.”

“È un triumvirato, giusto?” disse Ral. “Un concilio di tre driadi che guidano i Selesnya.”

“Non esattamente.” Emmara sospirò. “È difficile da spiegare a chi viene da fuori. Le Trostani non sono tre esseri separati, ma tre aspetti dello stesso essere, una singola entità che si muove secondo il volere dello spirito del mondo. I tre loro aspetti rappresentano la Vita, l’Ordine e l’Armonia. A volte, i bisogni di un aspetto vanno in contrasto con quelli di un altro, ma non passa mai molto prima che ottengano nuovamente il consenso.”

“Fino ad ora?” disse Ral.

“Fino ad ora” disse Emmara, tristemente. “L’Armonia si è ritirata completamente, e la Vita e l’Ordine hanno scopi contrastanti. Le driadi sono paralizzate, e noi non abbiamo modo di conoscere il volere di Mat’Selesnya. Tutto questo ha gettato la gilda nel caos.”

“Oh!” disse Hekara dalla finestra. “Avete provato ad ammazzarne due? Quello potrebbe aiutare.”

“Io…” Emmara lanciò un’occhiata a Ral, poi scosse la testa. “Non penso che risulterebbe utile.”

“Davvero? Di solito i miei problemi li risolvo così.” Hekara fece spallucce.

“Mentre c’è questo stallo in corso” disse Ral, “chi governa i Selesnya?”

“Come ho già detto, nessuno governa.” Emmara contrasse le labbra. “Io ho… un po’ di influenza. Molti che concordano sul fatto che la gilda debba essere più coinvolta negli affari di Ravnica sono d’accordo con le mie idee. Ma anche il Maestro della Radura Garo ha i suoi seguaci, e lui pensa che la cosa più prudente da fare sia ritirarci nei nostri enclavi e difendere i nostri confini finché non passa la tempesta.”

“La tempesta non si limiterà a passare” disse Ral. “Non questa volta. Qui stiamo parlando di Nicol Bolas. So che è difficile comprendere cosa voglia dire, da dove arriva, ma-”

“Che lui sia un Planeswalker?” Emmara sembrava pensierosa. “L’idea non mi disturba quanto avrei pensato. Mi sembra… familiare.” Lei si mosse sul posto, a disagio. “Ma Garo non vede il motivo di rischiare a lavorare insieme alle altre gilde quando la minaccia potrebbe non essere concreta.”

“Allora devo parlare a Garo” disse Ral. “Lo convincerò del contrario.”

“Gli chiesi di partecipare a questo incontro” disse Emmara, tristemente. “Ma ha rifiutato.”

Ral si corrucciò. “I soldati sono i suoi?”

“Sono al servizio del Conclave” disse Emmara. “Ma sì, molti dei nostri membri delle forze marziali si definiscono suoi sostenitori.”

“Allora sembra che abbia lui il coltello dalla parte del manico.”

“Cosa?” La fronte di Emmara si corrugò, e poi rise. “Oh, no. Garo non tenterebbe mai di risolvere la situazione con la forza. Non è una cattiva persona, Mastro Zarek, vi prego di credermi. È solo… un po’ più cauto di quanto mi piacerebbe, e saldo nelle sue convinzioni.”

Ral lasciò uscire un sospiro, combattendo la sua frustrazione. “Molto bene. Quindi che cosa facciamo?”

“Spero che voi possiate parlare ad alcune persone influenti mentre siete qui. Potrebbe riequilibrare-”

La porta si aprì silenziosamente, e la ragazza di servizio entrò nuovamente, trasportando un vassoio con una teiera fumante. Emmara alzò lo sguardo.

“Non è necessario” disse lei. “Ti prego di lasciarci soli.”

“Mi dispiace, Madama Emmara.” La ragazza si avvicinò e appoggiò il vassoio su uno dei tavoli. “Non volevo interrompere.”

Emmara fece un cenno con la mano per far andare via la ragazza, che si voltò per andarsene. Si voltò-

E prese qualcosa dietro la schiena-

Ral si mosse velocemente, saltando dalla propria sedia e lanciandosi verso Emmara. La mano della ragazza riapparve impugnando un pugnale lungo e sottile, che lanciò davanti a sé in una traiettoria che sarebbe terminata nel petto di Emmara. Emmara lo stava fissando sbigottita mentre la stava raggiungendo.

Il braccio di lui la prese attorno alla vita, spingendola giù e lanciando da un lato la leggera sedia. Il pugnale dell’assassina mancò il suo bersaglio, segnando una linea rossa solamente sulla parte superiore del braccio di Emmara. Emmara colpì il pavimento, ancora con gli occhi spalancati per la sorpresa, e Ral si allontanò da lei per raggiungere la ragazza che stava estraendo la sua lama per un altro colpo. Lui alzò in alto la mano, con l’elettricità che crepitava tra le sue dita, e maledì l’invadente sergente che aveva requisito il suo accumulatore-

E poi Hekara apparve in piedi dietro l’assassina, in modo talmente naturale che non sembrò nemmeno essersi mossa. L’emissaria dei Rakdos alzò una mano, e tra le sue dita si poteva vedere lo scintillìo del metallo. Abbassò la lama verso il basso e in orizzontale con un singolo movimento fluido. Un secondo più tardi, attorno alla gola della ragazza Selesnya, apparve una singola linea cremisi. L’assassina si afferrò il collo, ma il sangue riusciva comunque a passare attraverso le sue dita. Cadde in ginocchio, poi si accasciò tremante.

“Fico!” disse Hekara. Lanciò il suo coltello insanguinato in aria, che scomparve prima di poter cadere.

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“Emmara!” disse Ral.

“Sto bene” disse Emmara, digrignando i denti. Mi mise seduta, premendo contro l’avambraccio ferito. “Non è profondo.”

“Era una dei seguaci di Garo?”

Emmara diede un’occhiata alla servitrice morta e scosse la testa. “Ve l’ho detto, Garo non farebbe mai nulla del genere. È un onorevole difensore del Conclave da molti anni.”

“Hekara?” disse Ral. “Puoi sporgere fuori la testa e vedere cosa sta succedendo?”

“Sissignore!” disse Hekara, facendo un esagerato saluto militare. Corse verso la porta e sbirciò fuori, nel corridoio. “Ci sono un sacco di soldati in giro. Non vanno da nessuna parte, sono lì ad aspettare. Nessun’altro.”

“Questo è un golpe” disse Ral, scuotendo la testa quando Emmara iniziò ad obiettare. “Forse Garo non è onorevole quanto pensiate che sia, o forse è qualcun’altro a tirare i fili. Non ha importanza. Dobbiamo uscire di qui-”

Hekara danzò all’indietro quando la porta iniziò ad aprirsi. Entrò un soldato elfico in armatura lignea, che spalancò gli occhi alla vista della sanguinosa confusione sul pavimento. Altri due suoi colleghi erano appena dietro di lui, ma Hekara si lanciò sulla porta, sbattendogliela in faccia prima che potessero entrare. Ral scattò verso l’uomo che era riuscito a entrare. L’elfo fece per estrarre la propria spada, ma il fulmine di Ral fu più veloce, e produsse un arco che illuminò brevemente l’intero corpo dell’uomo. Fu una scarica leggera, che lo fece accasciare a terra lasciandolo cosciente.

Emmara, che nel frattempo si era alzata in piedi, aveva strappato una striscia dal suo abito etereo e l’aveva annodata a mo’ di benda attorno alla sua ferita. Raggiunse il punto in cui giaceva il soldato paralizzato e fece un gesto con la mano, emanando una luce verde brillante. Dei tentacoli di legno spuntarono dal pavimento, avvolgendo i polsi e le caviglie dell’elfo così che non potesse muoversi.

“Che cosa sta succedendo, in nome dell’Anima del Mondo?” chiese lei. “Sei qui secondo quale autorità? Cosa sai di tutto questo?”

“Io-” L’elfo scosse la testa freneticamente. “Lei sarebbe- Ci era stato detto-”

“Cosa vi era stato detto?” disse Ral, con l’elettricità che scorreva in modo minaccioso tra le sue dita. “E da chi?”

“Il Maestro della Radura Garo aveva riferito che Madama Emmara era stata assassinata!” disse l’elfo. I suoi occhi si posarono su Ral. “Da… ehm… voi, Mastro Zarek.”

“Mi sembra chiaro che non sono stata assassinata” disse Emmara, sfregandosi il braccio, “anche se ci sono andata molto vicina. Dov’è Garo adesso?”

“Di sopra, nella sala del concilio.”

Emmara si alzò. “Andrò ad incontrarlo.”

“Non siate sciocca” disse Ral. Afferrò il braccio illeso di lei e la allontanò dal soldato imprigionato. “Ha già provato ad uccidervi una volta. Se entrerete là dentro, vi garantisco che non riuscirete a uscirne.”

“E se fuggissi?” disse Emmara. “Cosa accadrebbe? Una guerra civile? Non se ne parla.” Lei scosse la testa, e Ral riuscì a notare delle lacrime agli angoli degli occhi. “Lo affronterò adesso, quando ancora possiamo porre fine allo scontro.”

“Ah, Ral?” disse Hekara.

“Un attimo” ringhiò Ral.

“So che dovrei solo osservare” disse lei, “ma questi tizi sono veramente interessati ad entrare per questa porta. Quindi, se non volete che entrino qui dentro, sarebbe fico se mi deste una mano.”

Ral si voltò. Hekara si stava appoggiando alla porta con tutto il suo peso, e veniva scossa e fatta sobbalzare dai ripetuti colpi provenienti dalla parte opposta. I suoi stivali raschiavano delle schegge dal pavimento man mano che veniva lentamente fatta indietreggiare.

“Almeno” sibilò Ral, “fatemi recuperare il mio equipaggiamento prima di affrontarlo. In questo modo potrò difendervi.”

“So badare a me stessa.” Emmara tracciò un semicerchio in aria, ed il legno delle pareti fluì verso il basso, attorno alla porta, bloccandola. Hekara indietreggiò con un sospiro di sollievo e fece una linguaccia rivolta ai soldati fuori. “Ma il vostro aiuto potrebbe fare comodo. L’ufficio di sicurezza è al primo piano.”

“Come ci arriviamo?” disse Ral.

“Fuori dalla finestra?!” disse Hekara, saltellando di gioia. “Giusto?! Fico!”

Emmara annuì. Un altro gesto fece piegare i rami che bloccavano la finestra, lasciando un punto d’uscita. L’emissaria Rakdos corse felicemente, eseguendo una ruota improvvisata prima di lanciarsi fuori, in un concerto di campanelle tintinnanti.

“Io… stavo per chiedere se dovessi far crescere anche dei corrimano” disse Emmara, cercandola con lo sguardo.

“Starà bene.” Ral osservò il salto, che era notevole: tre piani di edificio, e svariate decine di metri attraverso i rami dell’albero per arrivare fino in città. “Ma accetterò la vostra proposta.”

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Fortunatamente, nelle mani di Emmara, il legno dell’albero del mondo era facile da modellare come la creta, e quindi la discesa all’esterno dell’edificio non fu particolarmente difficoltosa. Hekara riuscì a scendere creando delle piccole lame e conficcandole nel legno durante il tragitto, gesto che faceva sussultare Emmara ogni singola volta. Oltrepassarono le finestre del secondo piano, facendosi strada verso il lato opposto dell’edificio a spirale rispetto all’entrata principale. Ral riusciva a vedere il brulicare dei soldati al livello del terreno.

Arrivati al primo piano, Emmara trovò una finestra che conduceva ad un corridoio vuoto, e fece entrare tutti. Hekara stava ancora saltellando di gioia.

“Dov’è l’ufficio della sicurezza?” disse Ral.

“Dietro l’angolo” disse Emmara. “Ma ci saranno le guardie.”

Ral guardò le proprie mani, percependo il potere spiraleggiante al loro interno. “Posso occuparmi di un paio. Hekara?”

“Hmmmmm?” Lo guardò sogghignando. “Posso aiutare in qualche modo?”

“Quanti te ne sono rimasti di quei coltellini?” Si accigliò. “E, comunque, dove li nascondevi?”

Hekara strabuzzò gli occhi. “Sono una strega dei rasoi. Non te l’avevo detto?”

Lei alzò una mano vuota, la mosse con un gesto appariscente, ed improvvisamente si ritrovò tra le dita una lama a doppio taglio a forma di rombo. Un altro gesto, e ne comparve una seconda di fianco, poi una terza, e una quarta. Poi rilassò la mano, e l’acciaio svanì prima di toccare terra.

“Comodo” mormorò Ral. Notò che le lame erano affilate da entrambi i lati e, più da vicino, riuscì a vedere le dita di lei pesantemente segnate da piccoli tagli a croce. Tutti i Rakdos sono pazzi. “Benissimo. Cerca di non uccidere nessuno, se non sei costretta. Non sappiamo chi stia effettivamente lavorando con Garo e chi stia semplicemente facendo il proprio lavoro.”

“Uff” disse Hekara, ad alta voce. “Guastafeste.”

“Andiamo.” Richiamò Emmara, e i tre girarono l’angolo.

Una sola porta conduceva all’interno dell’ufficio della sicurezza, e due soldati in armatura erano di guardia all’entrata. Ral camminò con passo sicuro verso il primo, e prima che il soldato potesse gridare un avvertimento Ral sbatté un palmo contro il suo petto, inviandogli una potente scarica di elettricità che lo fece sguazzare come un pesce fuor d’acqua. Emmara gesticolò con fermezza verso l’altro, ed il legno del muro uscì fuori e si avvolse attorno alle sue mani prima che potesse raggiungere la spada. Ral ignorò le sue grida di allarme e diede un calcio alla porta.

Altri due uomini erano seduti ai lati opposti di una scrivania nell’ufficio, con le armi già in pugno. Ral alzò la mano ma, invece di un fulmine, tra le sue dita crepitò solo una debole scintilla. Imprecò e si scansò di lato mentre il soldato lo stava assalendo. Ci fu un veloce tunk-tunk-tunk: il suono di coltelli che si conficcavano nel legno. Emmara afferrò l’uomo che aveva attaccato per il polso e utilizzò la sua stessa inerzia contro di lui, lanciandolo sopra la sua spalla per farlo atterrare in un angolo rumorosamente. Con un suo gesto, del legno si animò attorno a lui, bloccandolo sul posto. Quando Ral si alzò, vide che l’altro soldato era stato bloccato contro la parete opposta da un coltello conficcato nel palmo della sua mano, ed altri due erano fissati ai lati della sua testa. I suoi occhi erano allucinati.

“Non fare caso a noi” disse Hekara, con allegria.

Ral individuò i suoi bracciali e l’accumulatore in un angolo e li raccolse velocemente. Mettersi quell’apparecchio dietro la schiena fu come bere dell’acqua fresca dopo una lunga e concitata corsa. Percepì i suoi capelli drizzarsi nel loro consueto taglio, e l’energia iniziò a crepitare sui bulloni di mizzium dei bracciali quando li indossò, legandoseli al braccio. Emmara alzò un sopracciglio con aria interrogativa.

“Benissimo” disse Ral. “Ora possiamo andare a trovare Garo.”

C’erano altri soldati nel corridoio all’esterno, ma Emmara alzò le mani prima che potessero attaccare. Il loro capo, il sergente che Ral aveva visto poco prima, esitò.

“Non so cosa vi sia stato riferito” disse Emmara, “ma c’è stato un terribile malinteso. In questo momento sto andando ai piani superiori per conferire con il Maestro della Radura Garo.”

“E loro?” disse il sergente. “Ho l’ordine di arrestarli.”

“Per il mio omicidio?” disse Emmara.

“Io…” Il sergente si accigliò.

“Verranno con me. Voialtri, vi prego di rimanere ai vostri posti.”

Lei imboccò la rampa, con il vestito che strisciava teatralmente dietro di lei. Ral si ritrovò a sorridere mentre correva per raggiungerla. Apprezzo sempre un pizzico di teatralità. Due piani più in alto, si presentò una scena simile, e ancora una volta i soldati si ritirarono sotto ordine di Emmara. Forse ha ragione. Forse solo quella ragazza era stata corrotta, e questo non è un golpe su larga scala.

All’ultimo piano, un portone conduceva all’interno di una vasta camera circolare. Al suo centro si trovava un grande tavolo fatto crescere direttamente dal pavimento. Su un lato del tavolo c’era un mucchio disordinato di mappe, ed un uomo e una donna erano in piedi a fissarle con lo sguardo rivolto verso il basso. L’uomo indossava un’armatura di legno vivo, più elaborata di quella degli altri soldati Selesnya. Ral suppose che quello sarebbe dovuto essere Garo, il Maestro della Radura. La donna al suo fianco era un’umana avvolta in una tunica verde, con i suoi riccioli rossi che penzolavano dalla testa inclinata sul tavolo. Dietro di loro si trovavano due soldati pesantemente armati, in attesa.

“Garo!” disse Emmara.

Garo alzò lo sguardo. Era difficile capire l’età, con gli elfi, ma il suo viso era molto più segnato rispetto a quasi tutti gli altri elfi che Ral aveva conosciuto, ed i suoi lunghi capelli bianchi erano riuniti dietro la sua testa in una coda elegante. Per un attimo, i loro sguardi si incrociarono, e Ral percepì qualcosa di profondamente sbagliato negli occhi dell’uomo. C’era qualcosa di morto lì dentro, come se il suo teschio fosse stato svuotato e riempito nuovamente con qualcosa di ripugnante.

“Emmara” disse lui. “Avevo sperato con tutto il cuore che i miei rapporti fossero sbagliati. Grazie al cielo state bene.”

“Cosa sta succedendo?” disse Emmara. “Qualcuno ha tentato di uccidermi!”

“Lo so” disse Garo. “Ral Zarek. Fortunatamente, ce l’abbiamo a portata di mano.”

“Cosa?” Gli occhi di Emmara si strinsero. “Voi…”

La donna dai capelli rossi eseguì un gesto, e le porte si chiusero dietro di loro, grazie al legno che le avvolgeva. Garo fece un cenno con la testa nella loro direzione.

“Visto che siete stati così gentili da venire alla mia porta con le vostre gambe” disse lui, “possiamo fare a meno delle formalità. Vi prego di ucciderli tutti. Anche se vorrei che il corpo di Zarek rimanga ragionevolmente intatto, per poterlo esporre.”

Emmara si lasciò sfuggire un grido di rabbia ed alzò una mano, portando in vita dei cerchi di energia verde attorno a lei. Il tavolo di legno cigolò e iniziò a contorcersi, con lunghi tentacoli che si avvolgevano tra loro, costruendo infine un grezzo simulacro di forma umana. La maga dai capelli rossi compì un gesto simile, ed un altro elementale iniziò a prendere forma dinanzi a lei. Le due immense figure stavano sorgendo contemporaneamente.

I due soldati in armatura si divisero, girando attorno al tavolo in direzioni opposte. Ral fece un cenno verso destra a Hekara, e scelse di affrontare l’altro uomo. L’elfo si avvicinò, estraendo la spada, e Ral inviò una scarica di fulmine da uno dei suoi bracciali. Esso creò una connessione di elettricità scintillante tra i due, ma i viticci blu-bianchi ruotarono e si spostarono verso una sfera al centro del soldato, non riuscendolo a colpire.

Una difesa. Ral si concesse un teso sorriso. Ma non si erano preparati per me. Ral riversò più potere nel flusso, facendo sibilare e fremere la scarica come un serpente impazzito, finché non sentì che le protezioni dell’elfo stavano iniziando a cedere. Con un bang potentissimo, lo scudo si spezzò e l’onda d’urto scaraventò il soldato dall’altro lato della stanza. Colpì la parete di fianco a Garo e si accasciò immobile sul pavimento, con dei fili di fumo che si levavano dalle giunture scoperte della sua armatura.

Dall’altra parte della stanza, Hekara stava danzando intorno al secondo soldato Selesnya, evitando la sua lunga spada e tagliuzzando agilmente tutte le giunture all’interno dell’armatura con i suoi coltelli. Sotto il soldato, il pavimento era già sporco di sangue. Al centro della stanza, i due elementali si scontrarono, strappandosi a vicenda gli arti lignei. Emmara e la maga dai capelli rossi erano in piedi ai lati opposti, sporgendosi come se si stessero battendo fisicamente, con un’energia verde che divampava.

Era rimasto solo Garo. Il maestro della radura si imbronciò ed estrasse la spada, una lama di legno sottile come un rasoio e incisa con rune luminose. Ral lanciò un fulmine mirando alla testa, ma lui lo intercettò con la spada; l’energia crepitò inerme sull’arma prima di dissiparsi.

“Ral Zarek.” Garo si avvicinò, e i bracciali di Ral ronzarono di potere. “Avrei dovuto sapere che avresti creato dei problemi.”

“Scusami” disse Ral. “Ci conosciamo?”

“Oh, sì.” Garo sorrise. “Non ricordi?”

L’elfo attaccò, con velocità e fluidità. Ral indietreggiò al primo fendente e parò il secondo con un bracciale, che scaricò un fulmine verso il braccio dell’elfo che impugnava la spada. Ral poi spazzò con una mano, e Garo dovette abbassarsi e fare un passo indietro per evitare l’ondata di fulmini. L’elfo iniziò a camminare in cerchio.

“Penso che mi ricorderei” disse Ral. “Arrenditi. Non hai scampo.”

“Assolutamente no. Ho appena iniziato.”

Garo si lanciò nuovamente su di lui: un assalto aggressivo e violento che costrinse Ral ad indietreggiare, bloccandolo con i suoi bracciali e contrattaccando con dei fendenti al plasma. Gli attacchi dell’elfo divennero man mano sempre più selvaggi, finché non lasciò una vistosa apertura con un ampio movimento di spada che permise a Ral di colpirlo con una spallata e fargli perdere l’equilibrio. Prima che Garo potesse rialzarsi, Ral colpì con il suo potere incandescente, che riuscì a penetrare l’armatura lignea. Garo lasciò cadere a terra la lama, accasciandosi in direzione di Ral. Lui tossì, e poi sorrise, con i denti macchiati di rosso cremisi.

“Sei ancora in debito con me, Ral Zarek. Oh, sì.” L’elfo morente tossì nuovamente. “E salderai il tuo debito. In un modo… o nell’altro…”

La voce era diversa. Ma il tono, la cadenza, erano sempre quelle. Ral si bloccò.

“Bolas” sospirò.

“Non proprio” disse Garo. “Ma… una buona alternativa.” Del sangue colò dalla sua bocca, macchiando la spalla di Ral, poi cadde in ginocchio. “Ci vediamo… presto.”

Garo collassò. Ral alzò la testa, tremante, e vide che il combattimento era terminato. Uno degli elementali era stato ridotto a brandelli, ed Emmara e la sua creatura tenevano sott’occhio la maga dai capelli rossi, che era caduta in ginocchio con il respiro affannoso. Anche il secondo soldato in armatura era stato abbattuto, in una pozza di sangue. Hekara lo stava punzecchiando, come un gatto che gioca con un topo morto.

“Questa…” Emmara guardò Ral, poi abbassò lo sguardo verso Garo. “Questa è una tragedia.”

“Sarebbe stata ancora più una tragedia se fosse riuscito nel suo intento” disse Ral. Uccidere Emmara e darmi la colpa avrebbe fatto saltare l’intero vertice. Esattamente ciò che vorrebbe Bolas.

Ci vediamo presto…

“Sono d’accordo” disse Emmara. Stava respirando rumorosamente, ma aveva uno sguardo duro e selvaggio. “Mi pare chiaro che abbiamo un po’ di… pulizie da fare. Ma vi assicuro, Mastro Zarek, che i Selesnya saranno presenti al vostro vertice.”

“Bene.” Ral si appoggiò ad una parete e fece passare una mano tra i capelli con un crepitìo statico, raddrizzandoli nuovamente. “Ora sì che ci siamo.”

Barra

“Tutto questo è ridicolo” disse Kaya. “Io sono ridicola.”

“Vuoi stare zitta?” disse Tomik, aggiustandosi gli occhiali. “Le sorelle grigie non parlano.”

“Le sorelle grigie sono dei cadaveri avvizziti” disse Kaya. “Qualcuno noterà sicuramente che sono, sai no? Paffutella.”

“Basta che tieni la testa bassa. La prossima volta, se vuoi, puoi scalare ancora l’esterno della torre.”

Kaya sbuffò, ma rimase in silenzio. Erano tornati a Orzhova, e stavano salendo verso la cella-attico dov’era imprigionata Teysa. Portare Kaya con un travestimento era stata un’idea di Tomik. Le sorelle grigie erano delle suore vestite con una tunica che gestivano tutte le faccende domestiche della cattedrale, e quindi potevano entrare e uscire a loro piacimento. Sfortunatamente, i loro ranghi erano formati solamente da devote decedute. Kaya era sicura che la tunica che avevano rubato non era stata pulita dal suo ultimo utilizzo. L’odore sembrava peggiorare di minuto in minuto.

“Ultima guardia” mormorò Tomik.

Kaya tenne la testa bassa senza dire nulla, mentre Tomik scambiò un saluto con il soldato in armatura. L’uomo li lasciò passare con un semplice grugnito. Come segretario personale di Teysa, Tomik era l’unico che aveva il permesso di vederla. “Soprattutto” aveva detto a Kaya al piano terra, “perché sono troppo irrilevante per poter causare problemi a chiunque.”

Teysa stava aspettando quando entrarono, e stava tamburellando le dita impazientemente sul tavolo. Si alzò di scatto quando Tomik chiuse la porta. Kaya si concentrò per un momento e camminò fuori dalla tunica, lasciando cadere quella lurida cosa sul pavimento.

“Siete in ritardo” disse Teysa.

“Mi dispiace” disse Tomik. “Hanno aumentato la sicurezza, dall’ultima volta.”

“Allora, cosa c’è di così importante da rischiare un incontro di persona?” disse Kaya. “Pensavo che non mi voleste qui dentro finché non fosse pronta.”

“Piacerebbe saperlo anche a me” disse Teysa, guardando Tomik. “Sei tu quello che ha suggerito questa mossa.”

“Tu?” Kaya guardò il segretario, che scrollò le spalle con disagio.

“Io ho… un’idea. Forse addirittura un piano. Non mi entusiasma, ma non ho pensato a nulla di meglio.” Prese un profondo respiro. “Potrei riuscire a procurarci il diversivo di cui abbiamo bisogno per dare una possibilità a Kaya di colpire il Concilio Fantasma.”

“E tenermi viva nel processo?” disse Teysa. “Sto ascoltando.”

“Anch’io preferirei rimanere viva” disse Kaya. “Se è importante per il tuo piano. Quale sarebbe questo diversivo?”

Un’espressione addolorata passò per un attimo sul volto di Tomik. “Ral Zarek.”

Teysa corrugò la fronte. “Il mago della gilda Izzet?”

“Sì.” Le guance di Tomik si arrossirono. “Io e lui siamo… intimi.”

“Intimi?” disse Teysa.

“Vuol dire che vanno a letto insieme” le suggerì Kaya, con un sussurro plateale.

Tomik arrossì ancora di più, ma annuì. “Ral ha una posizione di considerevole autorità all’interno degli Izzet. Se riuscisse ad organizzare un attacco alla cattedrale, ci darebbe sicuramente l’apertura di cui abbiamo bisogno.”

“E farebbe potenzialmente partire una guerra tra gilde” disse Teysa.

“Non se successivamente diventerete capogilda” disse Tomik.

“Domanda” disse Kaya, alzando la mano. “Questo Zarek è così follemente innamorato di te da riservare delle forze della sua gilda per questa operazione solamente perché gli chiederai di farlo?”

“Io… ne dubito.” Tomik scosse la testa. “Dobbiamo offrirgli qualcosa in cambio.”

“Oro?” disse Teysa.

“Non gli interessa l’oro. Ma sta organizzando un vertice delle gilde, e ha bisogno che partecipino tutte e dieci le gilde. So che l’Obzedat ha rifiutato immediatamente il suo invito. Se voi prometteste di accettarlo…”

“Allora avrà un incentivo per aiutarci.” Kaya finì la frase. “Mi piace. Così vincono tutti.”

“Tranne il Nonno.” Teysa sorrise. “Quale sarà l’ordine del giorno del vertice?”

“Ral crede che Ravnica presto verrà attaccata da un antico drago chiamato Nicol Bolas” disse Tomik. “Vuole organizzare una difesa unificata di qualche tipo.” Fece spallucce nervosamente. “Queste sono le voci che girano per le strade, almeno.”

Kaya sentì come se qualcuno le avesse tolto una parete sulla quale si stava appoggiando, facendola inciampare in avanti. Un attacco da parte di Bolas? Sta venendo qui? Scambiò uno sguardo con Teysa, ma l’erede Orzhov era molto più allenata a nascondere le proprie emozioni. Il suo volto era imperscrutabile.

“Sono certa che sarà un argomento degno di… discussione” disse lei. “Fintanto che Kaya sarà disponibile, dico bene?”

“Sì. Certo.” Kaya scosse la testa. Ho bisogno di pensarci. “Mi sta bene.”

“Benissimo.” Tomik si aggiustò nervosamente gli occhiali. “Allora glielo chiederò.”

“Preferisci che lo faccia io?” disse Kaya. Capiva che non era facile per il segretario. È più coraggioso di quanto sembra.

“No” disse Tomik, un po’ tristemente. “Ral si fida di me.”

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