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==[[L'arrivo di Emrakul]]==
 
==[[L'arrivo di Emrakul]]==
Nahiri aveva svolto un lavoro imponente, era rimasta fedele al suo giuramento pronunciato nella polvere di Bala Ged. Dopo che aveva lsciato Zendikar, si era impegnata, ogni ora di ogni giorno e anche a lungo nelle notti, spinta dalla rabbia. Con grande fatica era entrata nella cieca eternità, con la punta delle dita che bruciava nell'[[Etere|etere]], lavorando duramente la pietra, con magie più potenti di quanto avesse mai osato manipolare. Era stato un lavoro difficile, ma non si era mai lamentata ne fermata; e ora, finalmente avrebbe visto i frutti del suo lavoro, così come anche Sorin. Nahiri aveva capito che l'ultima guardiana di Innistrad era caduta quando aveva percepito la sparizione dell'ultimo brandello di protezione, il piano era diventato vulnerabile, ma la battaglia non era ancora terminata, al contrario era appena iniziata, Nahiri tratenne il respiro, il terreno sotto i suoi piedi si mosse, il piano iniziò a pulsare, scattando e tremando, come una serie di esplosioni a catena che si sviluppavano sordamente nel profondo sotto la superficie. Nahiri pensò con soddisfazione che anche Sorin le avrebbe sentite poi urlò a qualcosa di venire verso di lei e verso Innistrad. Percepì la presenza e la riconobbe, osservò l'acqua e il [[Relittopoli|tempio]] che aveva costruito per quella divinità e vide che non era più vuoto: Emrakul era finalmente arrivata.
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Nahiri aveva svolto un lavoro imponente, era rimasta fedele al suo giuramento pronunciato nella polvere di Bala Ged. Dopo che aveva lsciato Zendikar si era impegnata, ogni ora di ogni giorno e anche a lungo nelle notti, spinta dalla rabbia. Con grande fatica era entrata nella cieca eternità, con la punta delle dita che bruciava nell'[[Etere|etere]], lavorando duramente la pietra, con magie più potenti di quanto avesse mai osato manipolare. Era stato un lavoro difficile, ma non si era mai lamentata, fermata. Ora finalmente avrebbe visto i frutti del suo lavoro, così come anche Sorin. Nahiri aveva capito che l'ultima guardiana di Innistrad era caduta quando aveva percepito la sparizione dell'ultimo brandello di protezione, il piano era diventato vulnerabile, ma la battaglia non era ancora terminata. Al contrario era appena iniziata. Nahiri tratenne il respiro, il terreno sotto i suoi piedi si mosse, il piano iniziò a pulsare, scattando e tremando, come una serie di esplosioni a catena che si sviluppavano sordamente nel profondo sotto la superficie. Nahiri pensò con soddisfazione che anche Sorin le avrebbe sentite, poi urlò a qualcosa di venire verso di lei e verso Innistrad. Percepì la presenza e la riconobbe: osservò l'acqua e il [[Relittopoli|tempio]] che aveva costruito per quella divinità e vide che non era più vuoto: Emrakul era finalmente arrivato.
   
 
==Referenze==
 
==Referenze==

Versione delle 09:11, 21 giu 2016

Nahiri è una planeswalker che usa il mana bianco e rosso.

Ascesa della Kor

Nahiri accese la sua scintilla quand'era ancora molto giovane e poco tempo dopo che era diventata una planeswalker, incontrò Sorin Markov. All'inizio del loro rapporto, prima che lei comprendesse ciò che lui era, Sorin le chiese se avesse voluto imparare a combattere come lui, Nahiri rispose di si e lui l'attaccò. Inizialmente credette che volesse ucciderla, ma poi comprese che Sorin si era trattenuto: l'aveva attaccata fisicamente quando avrebbe potuto eliminarla con un solo pensiero. Nahiri resse brevemente l'attacco, finchè Sorin non la colpì a un braccio con il suo spadone a due mani, con un colpo di traverso che la fece finire a terra. Sorin si complimentò con lei dicendole che era riuscita a resistere per sei respiri e poi le chiese di alzarsi. Nahiri replicò che le aveva rotto un braccio e senza nemmeno guardarla Sorin le rispose di aggiustarlo. Vedendo la sua confusione, Sorin le spiegò che nel momento in cui era diventata una planeswalker lei non era più mortale e che il suo corpo era solo una proiezione della sua mente. Trattenendo lacrime di rabbia, Nahiri disse che avrebbe dovuto dirglielo subito.

I due iniziarono a viaggiare insieme nel multiverso forgiando una strana amicizia. Infatti, Nahiri considerava Sorin un amico, un mentore e lo vedeva quasi come un padre.

Il Litomante

Il piano sconosciuto

Un bastione di roccia si sollevò dal terreno, circondando il piccolo accampamento che una volta era stata una piana aperta e vulnerabile, un masso armoniosamente ricurvo con eleganti merlature. Nahiri analizzò la sua opera e aggrottò la fronte: era un lavoro ben fatto e in buone condizioni, sarebbe rimasto in piedi per secoli, ma pensò, che quelle non erano buone condizioni. C'erano forse un centinaio di profughi umani e il giorno dopo si sarebbero dovuti spostare di nuovo o avrebbero rischiato di essere sopraffatti da quegli abomini scaturiti da un incubo. Una voce alle sue spalle chiese se poteva avere la sua attenzione, Nahiri sussultò al pensiero della sua bocca così vicina alla sua gola, lui si muoveva come un felino ma si sarebbe comunque dovuta accorgere della sua presenza dato che stava camminando sulla nuda roccia, ma lui le aveva suggerito di non rivelare a nessuno i suoi segreti, neanche ai suoi amici, dei quali lei non era del tutto sicura che lui facesse parte. Si voltò verso Sorin Markov, un vampiro planeswalker, protettore di Innistrad e l'essere più vicino a un amico che lei avesse su quel piano così lontano dal suo mondo d'origine. Insieme erano una coppia impressionante e i profughi lasciavano loro grande libertà. Le chiome di entrambi erano bianche, la pelle di lui era di un grigio cenere, mentre quella di lei di color alabastro, ma ciò che contrassegnava Sorin da lei erano i suoi occhi: neri dove chiunque si sarebbe aspettato un colore bianco, con iridi inquietanti. Si fecero strada insieme tra i falò dei profughi al margine dell'accampamento, dove il muro di Nahiri comprendeva un affioramento basso e roccioso, si fermarono e osservarono oltre. Il sole stava tramontando e le orride forme nella valle scomparivano misericordiosamente nell'ombra. Sorin disse che lei aveva nuovamente creato l'accampamento per loro e che pensava che fosse ora che se la cavassero da soli. Nahiri replicò che loro erano lì per salvarli e Sorin rispose che lei era lì per salvarli, mentre lui era lì per fermare quelle creature su quel mondo prima che si diffondessero su altri piani, come Innistrad o Zendikar. Nahiri disse che non riusciva a sopportare la loro sofferenza e Sorin le rispose di non guardare e di considerare la situazione nel contesto. La litomante gettò lo sguardo sull'accampamento e vide che alcuni profughi stavano guardando nella loro direzione, chiese sommessamente quale fosse quel contesto e se alla fine avrebbero vinto. Sorin diresse lo sguardo all'oscurità crescente, immobile come una statua, rispose di no e spiegò che potevano farsi avanti e combattere, che insieme potevano cambiare il corso della storia, ma non potevano garantire la sicurezza di quelle persone allo stesso tempo. Nahiri disse che era contraria e che per ciò che ne sapevano erano gli ultimi sopravvissuti di quel mondo e che loro dovevano tentare di salvarli. A voce troppo alta Sorin replicò di sedersi accanto a loro e tenere le loro mani mentre cadevano nell'oblio e lasciare che quei mostri andassero a divorare altri mondi; terminò che sarebbe stato di conforto sapere che loro due ci avevano provato. Nahiri osservò nuovamente i profughi, non guardavano più verso di loro, tranne una ragazza di circa quindici anni, la litomante avrebbe voluto dirle parole di conforto ma non ci riuscì, non poteva promettere nulla tranne la sua volontà di provarci e dopo la reazione di Sorin, la sensazione era diventata vuota. Si voltò e si allontanò dal vampiro, scese dall'affioramento e si fermò davanti alla giovane e le chiese il suo nome, lei disse che era Lian e la planeswalker chiese se sapesse usare la spada, la ragazza annuì ma era disarmata. Nahiri raggiunse una roccia vicina e un'antica magia si risvegliò dentro di lei, una magia che aveva appreso quando era ancora giovane e mortale, nelle rocce era presente metallo e ciò valeva per ogni roccia, immerse la mano nella pietra viva, la quale si sciolse e ribollì intorno alla sua mano color bianco latte. Alcuni dei profughi sussultarono, Sorin aggrottò la fronte, mentre Lian rimase semplicemente a guardare. Nahiri chiamò a sè il metallo presente nella roccia e sentì la sua mano chiudersi sull'elsa di una spada, ritirò il braccio e un'elegante lama si liberò dalla pietra fusa, la soppesò per un momento, brillante alla luce del sole del tramonto attendendo che il calore della forgiatura si dissipasse, poi la offrì a Lian e le disse che quello era il suo mondo e che stava a lei combattere per quelle rocce e quella terra, se pensava di non poter fare affidamento su di lei e Sorin, allora non doveva farlo. Lian prese la spada e chiese se sarebbero morti tutti. Nahiri rispose che non lo sapeva ma se quello fosse stato il suo futuro sarebbe potuta morire combattendo. Lian annuì e la litomante tornò da Sorin, che a bassa voce disse che immaginava che la falsa speranza fosse meglio di niente e Nahiri replicò che qualsiasi speranza era meglio di niente, sempre. Prima che il vampiro potesse rispondere la terra tremò, durante tutta la giornata si erano verificati smottamenti, ma non come quello. In quel momento, un essere enorme si sollevò da dietro le colline all'estremità della valle, era imponente, bizzarro e terribile da osservare. La terra tremò nuovamente e quell'essere si girò e iniziò a dirigersi verso di loro, al suo movimento un'ondata di orrori si sollevò dalla valle per attaccare. Nahiri urlò di mettersi in posizione di combattimento ma inizialmente i profughi rimasero paralizzati, si attivarono solo quando sentirono la voce di Lian. La prima ondata di orrori raggiunse l'accampamento, i più piccoli avevano la dimensione dei cani, i più grandi erano alti come palazzi, Nahiri sguainò la sua spada, Sorin prese posizione di fianco a lei, con Lian dall'altro lato e affrontarono l'ondata di carne e follia. Sorin agitò la mano e una decina di mostruosità si trasformarono in polvere, Nahiri si concentrò e altre decine affondarono nel terreno, ma erano sempre di più e la più imponente era un vortice che attirava ogni cosa: i loro corpi, le loro menti e addirittura la loro magia. Nahiri poteva percepire il suo mana sfuggirle mentre cercava di trarre energia. Il terreno si mosse, una voragine si aprì spezzando il muro della litomante splendente di una luce ultraterrena, Nahiri cercò di chiuderla con i suoi poteri, ma senza risultato; non era una frattura del terreno era una frattura del mondo: il piano si stava lacerando. Col volto insaguinato ma ancora in piedi e con la spada tra le mani, Lian chiese cosa fosse e con voce stranamente calma Sorin rispose che quella era la fine. La luce crebbe e divenne insopportabile, impercettibilmente, come da una grande distanza, le persone che i due planeswalker avevano protetto per settimane vennero spazzate via in un istante, Nahiri sentì il suo corpo sollevarsi, mentre la terra stessa iniziava a sgretolarsi. Sorin la chiamò, le disse che era finita e svanì nel nulla, Nahiri cercò di afferare il braccio di Lian, ma la ragazza non era più vicino a lei, l'unica cosa rimasta era la spada che aveva creato. La litomante si maledisse in silenzio poi prese la spada e abbandonò quel mondo.

Incontro con Ugin

I due viaggiarono su Zendikar, era il loro luogo di incontro prestabilito, un luogo sicuro in cui gli altri planeswalker non avrebbero interferito poichè era sotto la protezione di Nahiri. La litomante pensò che Sorin non avesse offerto Innistrad come luogo d'incontro probabilmente per la preoccupazione che quelle mostruosità li seguissero, era troppo cauto, ma forse era una normale conseguenza dell'età, lui aveva oltre mille anni e lei si chiese come sarebbe stato incontrarlo da giovane. Rimasero a riposarsi seduti in silenzio sul bordo di un insediamento temporaneo dei kor, negli altopiani occidentali di Akoum, ripristinando i legami che fornivano loro il mana. Nahiri pensò che se Sorin provasse rimorso per l'evolversi degli eventi, sul suo volto non ne mostrava alcuna traccia. Afferrò la spada, l'ultimo ricordo di un mondo scomparso. Sorin disse che avevano compagnia, anche lei la sentì, una specie di pressione nell'aria che faceva capire che qualcosa stava emergendo dall'etere. Si alzò con il cuore che le batteva e chiese se li avessero seguiti, Sorin rispose di no che non era così grande ma comunque grande. Davanti a loro si presentò un'imponente ed etereo drago, splendente nella luce bianca e blu, la foschia svanì e rivelò due corna ricurve dietro il capo e con lunghe ali ripiegate elegantemente dietro il corpo slanciato. Era immenso, oltre dodici metri, era apparso lontano da loro e ogni aspetto della sua postura indicava intenzioni pacifiche. Nonostante ciò, Nahiri sguainò la spada. Il drago disse che sicuramente si erano accorti che avevano un problema, Sorin si alzò e rispose che non capiva cosa intendeva col plurale aggiungendo che Zendikar era sotto la protezione della kor. Il drago gli porse i suoi saluti chiamandolo per nome e rispose che quando si trattava di quel problema, il plurale era riferito a tutti i planeswalker in ogni mondo. Si girò verso Nahiri e la planeswalker si presentò cercando di non apparire spaventata e affermò che la sua presenza su quel mondo era possibile solo col suo permesso. Il drago si inchinò, la salutò per nome e la ringraziò per la sua ospitalità, poi si voltò nuovamente verso Sorin che disse a Nahiri che aveva di fronte a sé Ugin, noto anche come lo spirito drago, vecchio come il tempo e altrettanto litigioso. La litomante pensò che assomigliava a Sorin e ad alta voce disse che loro due già si conoscevano, Ugin spiegò che avevano collaborato in passato e Sorin chiese cosa volesse da loro. Il drago rispose che voleva il loro aiuto, sollevò una mano ed evocò una piccola immagine spettrale degli esseri enormi che avevano intravisto all'orizzonte del mondo condannato, Nahiri comprese e disse che lui li aveva osservati e non era venuto in loro aiuto. Ugin rispose che esisteva un intero multiverso pieno di persone da aiutare, così come una moltitudine di modi per aiutarli; mentre loro inscenavano una grande battaglia, lui stava osservando e imparando, per riuscire a fermare quelle creature in maniera definitiva, un obiettivo che avevano tutti loro. Nahiri rispose che quello era il suo obiettivo e che metteva in dubbio il giudizio morale di chiunque considerasse la distruzione di un mondo come parte di un progetto di ricerca. Ignorando le parole della litomante, Sorin chiese cosa avesse imparato e Nahiri si irritò pensando che i grandi stavano parlando tra loro, Sorin si era già comportato così nei suoi confronti quando avevano incontrato altri planeswalker, ma lei si fidava quasi sempre del suo giudizio e così decise di ascoltare. Ugin disse che si chiamavano Eldrazi e divoravano interi mondi, non erano dei veri planeswalker ma erano in grado di muoversi liberamente tra i piani, degli organismi viventi, apparentemente provenienti dalla cieca eternità e uniche creature conosciute di quel tipo, terminò che se non venivano fermati sarebbero stati una minaccia per ogni mondo. Sorin disse che non potevano minacciare ogni mondo perchè il multiverso era infinito e Ugin rispose che non ci credeva davvero, altrimenti se il numero dei mondi fosse infinito perchè perdere tempo a salvarne alcuni e non spostarsi semplicemente lontano dagli Eldrazi? Spiegò che il multiverso non aveva confini, ma i mondi al suo interno non erano infiniti e che credere diversamente significava che nulla aveva realmente importanza. Concluse che quando sarebbero stati vecchi come lui avrebbero compreso che il nichilismo era una soddisfazione che non potevano permettersi. Sorin aggrottò la fronte ma non disse nulla e Nahiri pensò che forse credeva veramente a tutti quei discorsi sulla saggezza che si raggiunge con l'età, ad alta voce chiese come potevano fermare gli Eldrazi e Ugin rispose che quello era il dilemma dal momento, che si trattava di creature della cieca eternità e spiegò che ciò che aveva distrutto quel mondo era una proiezione, un'ombra di etere vivente in uno spazio tridimensionale. Nahiri cercò di immaginarsi l'etere vivente ma non ci riuscì, la sua mente vedeva solo l'essere che aveva offuscato il sole. Ugin continuò e disse che se li avessero affrontati nella cieca eternità gli Eldrazi avrebbero avuto il loro pieno potere in un ambiente in cui loro riuscivano a mala pena a sopravvivere mentre se fossero riusciti a sconfiggere solo le loro estensioni fisiche, un'impresa non semplice, non avrebbero ottenuto nulla perchè la loro vera forma risiedeva nell'etere. Sorin replicò che dovevano trovare un modo per sconfiggerli e Ugin disse che poteva non essere possibile e sicuramente poco saggio. Nahiri appoggiò la mano sull'elsa della spada e disse che i mondi stavano morendo. Il drago abbassò il suo enorme capo per fissarla negli occhi e chiese se sapesse cosa fossero realmente, se sapesse se facevano parte di un'ecologia sconosciuta o ciò che accadrebbe se venissero distrutti, se meritavano di morire, se il suo giudizio morale si estendeva solo agli esseri che era in grado di comprendere e se fosse in grado di rispondere a una di quelle domande. Non aspettò una risposta, osservò Sorin e disse che tra tutti era lui quello a poter comprendere la necessità di equilibrio. L'osservazione del drago colpì Nahiri ma non conosceva abbastanza il passato di Sorin per essere sicura. Il vampiro disse che stava facendo solo delle ipotesi e che non riusciva a immaginarlo così ipocritamente cauto nel caso in cui fosse stato il suo mondo a essere in pericolo. Nahiri chiese al drago cosa suggeriva dal momento che voleva fermarli senza distruggerli e se avesse un piano, Ugin rispose che potevano imprigionarli ed evocò un'altra illusione, un tracciato di una rete incredibilmente complessa e spiegò che potevano legarli a un piano utilizzando la loro forma fisica come ancora e che a differenza dal tentare di ucciderli quel metodo poteva funzionare e gli avrebbe dato il tempo di studiarli senza che altri mondi finissero distrutti. Nahiri chiese se pensava di poter intrappolarli tutti e il drago rispose che tutti e tre sarebbero stati imprigionati. Sorin disse che doveva aggiornare le sue osservazioni e che loro ne avevano affrontati a migliaia, Ugin spiegò che avevano combattuto contro le loro estensioni, ma che in realtà esistevano solo tre veri Eldrazi che vagavano nel multiverso e che potevano attirarli su un piano e intrappolarli. Sorin chiese quale mondo doveva essere sacrificato e Ugin lo corresse dicendo che sarebbe stato sottoposto a rischio e che se avessero avuto successo sarebbe stato danneggiato ma non distrutto, continuò dicendo che se avessero fallito sarebbe stato sicuramente distrutto ma in quel caso sarebbe stato ugualmente condannato come tutti gli altri mondi. Nahiri chiese quale piano voleva rischiare e Il drago rispose che doveva essere di grandi dimensioni, con molto mana a disposizione, scarsamente popolato, preferibilmente un luogo dove fosse stato possibile costruire una base per le operazioni, un mondo che non fosse sotto la protezione di un altro planeswalker e in cui uno di loro poteva sorvegliare il riposo degli Eldrazi. Nahiri si sentì gelare e pensò che dopo tutte quelle parole altruistiche quella era la terribile verità. Sorin disse che Innistrad non corrispondeva a quella descrizione e chiese del mondo di Ugin ovunque fosse, ma il drago rispose che nemmeno il suo corrispondeva e che potevano andare alla ricerca di un mondo ideale, ma avrebbero avuto bisogno di tempo durante il quale altri mondi sarebbero stati distrutti e che era meglio iniziare subito. Entrambi si voltarono verso Nahiri che afferrò la spada forgiata dalla pietra, estratta dalla terra di un mondo distrutto e disse di no. Sorin pronunciò il suo nome con un tono di voce che a lei sembrava da genitore afflitto e le disse che aveva visto con i suoi occhi ciò che era successo a quel mondo, che aveva la possibilità di evitare che succedesse di nuovo e che se avessero avuto succeso, Zendikar sarebbe sopravvissuta. La litomante replicò che c'era un rischio e che non aveva il diritto di mettere in pericolo tutti i popoli del suo mondo. Ugin le disse che se preferiva non mettere a rischio il suo piano ne avrebbero cercato un altro e se fosse stato difeso da un planeswalker lo avrebbero convinto a collaborare anche con la forza. Nahiri replicò che non avevano il diritto di scegliere quale mondo sacrificare e Sorin rispose che non avevano altre alternative. Ugin spiegò che aveva scelto Zendikar perchè aveva già un protettore che aveva deciso di prenderne il destino tra le sue mani e che era sicuro che avrebbe fatto la scelta giusta. Nahiri chiese cosa avrebbero fatto se si fosse rifiutata rispondendosi da sola che avrebbero cercato di convincerla con la forza, ma Ugin le rispose di no, perchè aveva bisogno anche del suo aiuto e spiegò che entrambi possedevano delle capacità che lui non possedeva, che il compito era troppo grande per un solo planeswalker, gli Eldrazi erano tre proprio come loro e insieme potevano salvare ogni mondo. Nahiri si inginocchiò appoggiò la mano sul terreno e percepì tutta Zendikar, pensò al mondo distrutto, se gli Eldrazi non fossero stati fermati alla fine sarebbero arrivati anche sul suo mondo e lei non sarebbe stata in grado di proteggerlo; Zendikar era forte, avrebbe potuto sopportare gli Eldrazi abbastanza a lungo per permettere loro di imprigionarli, sarebbe stata la loro prigione e lei il loro carceriere: un mondo e un planeswalker a protezione di tutti gli altri. Osservò la bellezza di Akoum e chiese quale fosse il piano.

Scontro con gli Eldrazi

Ugin aveva escogitato un modo per intrappolare gli Eldrazi utilizzando una rete di linee e nodi magici plasmati con cura, ma aveva bisogno di qualcuno che la costruisse e Nahiri era eccezionale nella costruzione degli oggetti. Furono necessari quaranta anni di lavoro incessante, la litomante mise insieme forme di roccia plasmate dalla terra a cui Ugin diede il nome di edri e riempirono il cielo di Zendikar. Ugin li incise con rune draconiche che li avrebbero sorretti in aria e avrebbero legato gli Eldrazi a Zendikar, infatti, gli Edri erano allo stesso tempo un'esca e una trappola che emetteva impulsi di energia magica che avrebbe attirato gli Eldrazi. Sorin sorvegliava i tre titani e informò, evitando di accennare ai mondi che si trovavano lungo il loro cammino, che stavano per arrivare. Nahiri informò tutti i popoli del piano su ciò che stava per arrivare e tutte le razze si preparano alla guerra, quando gli Eldrazi arrivarono, Zendikar fu più pronta ad accoglierli di qualsiasi altro mondo. Quello che Nahiri e Sorin avevano visto e che Ugin aveva chiamato Ulamog era il più piccolo dei tre, Kozilek si fece strada tra i campi di Edri mentre Emrakul volava sulla terra frantumata. Ugin soffiò il suo fuoco spettrale per sterminare la progenia eldrazi con la sua fiamma invisibile mentre Sorin contrastò le loro capacità di risucchiare la vita con le proprie, assorbendo le loro forze prima che potessero attingere alla vitalità di Zendikar. I popoli del piano lottavano al loro fianco ma appariva evidente che, se l'offensiva fosse continuata, sarebbero stati sopraffatti. Nahiri stava aspettando nella camera sotterranea che lei e Sorin avevano chiamato l'Occhio di Ugin, per il vampiro era una presa in giro, per Ugin era un segno di orgoglio, per lei era un messaggio per ricordare al drago che si trattava di una sua idea. Ci fu un'ondata di mana e Sorin e Ugin furono al suo fianco, la terra tremò e le mura dell'Occhio vibrarono in sintonia, il drago urlò che erano in posizione e i tre planeswalker concentrarono il loro straordinario potere in un punto nell'edro principale, una pietra dentro la stanza connessa a tutti gli altri Edri. La trappola scattò e la camera venne sigillata da un chiavistello mistico, apribile solo da tre planeswalker. Il trio tornò insieme alla superficie parzialmente distrutta; con il loro profilo minaccioso sugli altopiani di Akoum, i tre Eldrazi giacevano pietrificati circondati dagli Edri galleggianti. Nahiri conosceva la terra di quel luogo, stava già reagendo, ricrescendo intorno ai tre titani come una crosta su una ferita, le fauci di Akoum li avrebbero ingoiati e gli abitanti di Zendikar avrebbero ripulito il piano dalla loro nidiata. Zendikar era sopravvissuta, devastata ma ancora intera e i suoi popoli avrebbero imparato a vivere all'ombra degli Edri. Sorin si congratulò con lei affermando che quella era la sua opera e il suo sacrificio, la litomante sperò che i suoi due alleati l'avebbrero aiutata a liberare la sua terra dalla progenia degli Eldrazi prima che partissero per le loro nuove destinazioni, osservò le forme silenziose e pietrificate sopra di lei e pensò che forse in migliaia di anni sarebbero stati dimenticati e la distruzione che avevano portato sarebbe diventata leggenda: lei non li avrebbe dimenticati e nemmeno la terra stessa. Rispose a Sorin e disse che quella era stata la loro opera e che la sua era solo all'inizio.

Il risveglio dal torpore

Nahiri non aveva lasciato Zendikar dal giorno in cui era giunta con Sorin e Ugin per dare inizio alla loro fatidica opera per imprigionare gli Eldrazi. All'inizio era rimasta in quel luogo come sorvegliante, sembrava che il loro piano avesse funzionato: la prigione aveva retto e gli Eldrazi erano tutt'altro che dimenticati, ma Zendikar non gradiva la loro presenza; Akoum tremava e sussultava ancora nelle vicinanze della loro prigione come se stesse cercando di sputarli fuori. Nahiri pensò che se lei se ne fosse andata, come avrebbe potuto essere sicura che il suo mondo sarebbe rimasto al sicuro? E così scelse di restare. Nei primi secoli che trascorsero per lei, Nahiri visse davvero insieme al suo popolo kor: aveva coccolato i bambini, pianto ai funerali, riso durante le cene suntuose e si era innamorata due volte. Insegnò la litomanzia a una lunga serie di discepoli, mostrò loro come utilizzare la roccia e il metallo in essa contenuto per plasmare oggetti e armi, addestrò i kor a sorvegliare la prigione degli Eldrazi e guidò molti di loro nei lunghi pellegrinaggi su tutto il piano dove mostrò loro il punto chiave della forza della rete di edri e insegnò ai forgiatori di pietra come verificare la resistenza delle pareti della prigione per fare in modo che coloro che lei chiamò divinità per aiutare i kor a comprendere, non emergessero per distruggere il mondo. I suoi discepoli impararono e andarono avanti nelle loro vite, le persone che amava invecchiavano e morivano, mentre altre persone continuavano a nascere e a morire con i funerali che si susseguivano, finchè Nahiri non poté più ricordare perché contassero. La litomante decise di tornare nell'Occhio di Ugin e una volta lì, prese in considerazione l'idea di contattare Sorin, l'unica persona che lei conoscesse ad aver vissuto più a lungo di lei e che quindi era in grado di comprendere lo scoramento che stava provando. Non vedeva il vampiro da decenni, ma convenivano sul fatto che il potere dell'Occhio doveva essere utilizzato solo nel caso in cui gli Eldrazi fossero fuggiti dalla loro prigione. Nahiri si sedette e chiuse gli occhi, sentì il mondo in movimento, tutte le persone che si agitavano disperatamente come se le loro brevi vite contassero qualcosa. In quel momento scelse di restare su Zendikar perchè non aveva alcun motivo di andare altrove.

Nahiri era in armonia con il mondo. Riposava a occhi chiusi in un bozzolo di pietra e ogni centimetro della sua pelle era connesso con il letto di roccia, fondamenta di Zendikar. L'esistenza della roccia era la sua esistenza, un'incessante marcia composta da insignificanti spostamenti. Si chiese per quanto tempo fosse rimasta in quel luogo e quante generazioni di persone e animali erano nate e avevano abbandonato il mondo dal momento in cui si era ritirata nelle sue camere e si era chiusa in un bozzolo di pietra. Si rispose che non era importante: era immortale, senza età, come il mondo stesso. Si chiese se fosse ancora viva e quanto tempo fosse trascorso e si rispose che non era importante e poi pensò perchè avrebbe dovuto essere importante; quando il mondo si frantumò, le interiora della litomante si torsero come trafitte da una lama, Akoum si stava dimenando e sopportando le ondate di intensa nausea, Nahiri cercò di individuare la fonte del dolore che aveva causato quella reazione. Zendikar si scosse intorno a lei e la sua mente vagò verso la prigione degli Eldrazi e vide che era aperta: si trattava ovviamente di una metafora: gli Eldrazi non erano rinchiusi, dato che non erano esseri materiali e le loro manifestazioni su Zendikar erano delle semplici proiezioni come ombre su una parete. La potente magia che lei e i suoi due compagni avevano tessuto non era una semplice gabbia, era in grado di legare gli Eldrazi a Zendikar trattenendo le loro ombre, in modo che non riuscissero nè a muoversi sul piano nè a sfuggirvi. Qualcosa era però mutato, anche se minimamente, Nahiri percepì un movimento irrequieto dei titani, come se stessero mettendo alla prova la forza del legame che li tratteneva attraverso il ribollente moto delle loro stirpi che prendevano vita. Ugin aveva spiegato che quegli eldrazi minori erano estensioni dei tre titani collegati agli stessi esseri ultraplanari; Nahiri ricordò che quando gli Eldrazi erano stati imprigionati la prima volta le loro stirpi avevano continuato a infestare il mondo ma senza i titani erano facili da sterminare per i popoli di Zendikar e finchè la prigione avesse retto non ne sarebbero stati creati altri. Ora stavano emergendo dal terreno e ogni loro movimento era come una pugnalata nelle carni della planeswalker, una sensazione che non provava da tantissimo tempo. Esaminò la sensazione in modo curioso, notando il fastidio che causava nella sua mente, valutò la possibilità di ignorare quelle sensazioni e di permettere che gli Eldrazi tornassero liberi, che annientassero Zendikar, i suoi popoli e anche lei con loro, aiutandola a porre fine all'immutevole eternità della sua esistenza e all'insignificante scorrere del tempo, ma provava dolore e fastidio e desiderò che terminassero. La litomante disperse la roccia che aveva posto intorno a sé e si sollevò lentamente, era giunto il momento di evocare Sorin: lo Spirito Drago aveva creato una qualche magia che andava oltre la sua comprensione, forgiando una connessione speciale tra ognuno di loro e quel luogo, una connessione che attraversava la cieca eternità, da lì lei avrebbe potuto mandare un messaggio agli altri e in qualsiasi piano essi si fossero trovati lo avrebbero percepito come uno stimolo a tornare su Zendikar. Dopo aver inviato il richiamo, Nahiri si sedette sul pavimento e ricostruì il suo bozzolo di roccia, sussultando alla sensazione del movimento della progenie eldrazi che sentiva sulla pelle e gli veniva trasferita dalla pietra, bloccò il dolore, attese l'arrivo degli altri e tenne sott'occhio l'avanzata degli invasori striscianti da Akoum: battè gli occhi e percepì il forte rumore degli abitanti di Zendikar in fuga e poi la marcia ordinata degli eserciti che avrebbero affrontato quei parassiti, battè di nuovo gli occhi e sentì Zendikar contorcersi dal dolore causato dagli esseri più grandi che annientavano la vita e il mana sul loro cammino, assorbendo le energie del mondo della natura, battè gli occhi per la terza volta e si chiese per quanto tempo era rimasta in quel luogo e il pensiero improvviso la scosse, per un attimo credette che si fosse trattato solo di una specie di sogno ma il dolore le confermò che era tutto vero; le stirpi degli Eldrazi stavano ancora invadendo il piano e la loro presenza si era espansa notevolmente mentre lei aspettava l'arrivo dei suoi due compagni, ma loro non erano giunti, pensò che Sorin non era giunto e che era rimasta sola. Nahiri voleva solo che il dolore terminasse, voleva vedere Sorin di nuovo e fu sorpresa nel comprendere di voler preservare Zendikar, il piano e il suo popolo perduto, insignificante e disperato. Dal momento in cui aveva iniziato la sua attesa, la situazione era solo peggiorata, ricreò il bozzolo di roccia su di sé, scomparve di nuovo e poi emerse in cima a una montagna vicina.

Le stirpi degli Eldrazi brulicavano nelle valli sottostanti e trasformavano il terreno dietro di loro in pallida polvere. Nahiri sussultò, battè il piede sulla roccia della montagna e travolse quegli abomini con una valanga, poi svanì nuovamente nella roccia ed emerse a Ondu, vicino a una delle città dei kor in cui si era recata molte volte nei precedenti anni di custodia. I suoi nemici si trovavano in quel luogo, ma la città era ridotta in macerie, rovine di polvere abbandonate da tempo, sicuramente molto prima dell'arrivo delle covate eldrazi. Con un gesto della mano Nahiri chiuse il canyon per ingoiare gli invasori ed entrò nella città, sussurrò parlando ad alta voce, roca per via del lungo silenzio. Aveva già visto quella strada e si ricordò quando al mercato aveva comprato una sciarpa. In un istante tutti i piaceri e le sofferenze passarono davanti ai suoi occhi, i ricordi invasero la sua mente: la vista, i rumori e le fragranze del trafficato mercato, la gioia nel suo cuore, il gusto del bacio del suo amato, l'amaro pungere delle lacrime; un tempo quel luogo era stato vivo, un posto in cui lei aveva vissuto e non era stata partecipe della sua caduta. Osservò i mutamenti che erano stati fatti e notò una struttura di pietra dentro un edificio e spinta dalla curiosità si avvicinò e vide sé stessa scolpita nella roccia con le braccia aperte in segno di benvenuto, si fermò a osservare la statua che la rappresentava fedelmente e capì che probabilmente doveva essere stata fatta da una delle sue discepole, poi il suo sguardo cadde sulla parete su cui si trovava il rilievo e vide incisa la figura di Kozilek. Sorpresa, la litomante notò che non era esattamente il titano ma la figura di un kor maschio che sembrava lui e sopra la testa del kor c'era uno stendardo che proclamava il soggetto dell'illustrazione: la Profetessa Nahiri, Voce di Talib. La planeswalker si voltò e uscì velocemente dall'edificio e una volta all'esterno sollevò le mani, chiuse i pugni e una nuvola di polvere si sollevò intorno a lei mentre l'edificio implodeva. Nahiri pensò che era colpa sua, era stata lei a definire i tre titani come divinità ed evidentemente i kor avevano ricordato quella parola più di quanto avessero ricordato il tragico avvertimento sulla capacità di quelle divinità di distruggere il mondo; ne fu nauseata.

Uno dopo l'altro, Nahiri si recò nei luoghi nei quali aveva istruito i suoi primi discepoli, nei punti cruciali della rete di edri e ovunque emergesse dalla roccia trovava progenie eldrazi e ogni volta apriva il terreno per ingoiarli o scatenava cascate di roccia per seppellirli. Uccidere le stirpi degli Eldrazi era semplice e qualsiasi mortale avrebbe potuto farlo ma solo lei, Sorin e Ugin sarebbero stati in grado di impedire che nascessero, ma in quel momento era sola e lo avrebbe fatto da sola: era il suo compito. Nahiri pensò che avrebbe potuto non curarsi dei punti ad Akoum cosi vicini al suo luogo di riposo, si sarebbe accorta di eventuali danni alla rete lì, ma decise di andare per gustarsi i ricordi che ogni luogo le riportava alla mente e si recò tra le montagne vicino all'Occhio, nel punto esatto in cui avveva insegnato ai kor a verificare la solidità della rete di edri. Mentre si avvicinava percepì che era proprio quello il punto in cui la rete era stata perturbata, proprio sotto il suo naso mentre lei rimaneva seduta da sola dentro l'Occhio e sentì la rabbia avvampare dentro di lei, sia nei confronti di sé stessa che verso chiunque avesse osato compiere quel gesto. La litomante pensò che la rabbia era un'altra sensazione che aveva dimenticato e che fosse piacevole, si avvicinò all'edificio e tre figure oscure uscirono dall'altro lato e appena la videro si accovacciarono in posizione di combattimento. Nahiri bloccò la sua avanzata, si abbassò su un ginocchio e appoggiò una mano a terra, le figure che stavano avanzando verso di lei rallentarono e procedettero con più cautela; con un urlo la litomante estrasse la sua spada lucente dal terreno e si lanciò all'attacco. Le figure sembravano umane ma Nahiri non riuscì a riconoscere nessuna cultura nelle loro vesti e quando essi ringhiarono mentre si avvicinavano, notò quelle che sembravano delle zanne e pensò che erano vampiri e successivamente che quella specie non esisteva su Zendikar. Li affrontò e la sua spada lucente ne lacerò le fredde carni facendo sgorgare il sangue color rubino, subito dopo passò oltre i loro corpi e si aprì una via d'ingresso nella ruvida parete di pietra. Trovò altre creature simili a vampiri che si allontanarono rapidamente da lei, colti di sorpresa e si sdraiarono immobili dietro di lei. Nahiri giunse in una grande sala al cui centro si trovava il punto in cui le matrici di edri si incrociavano, lì si trovava un grande altare di pietra e notò che la lastra usurata in cima era macchiata di sangue rappreso. La litomante osservò la sala e vide altri vampiri che si precipitavano dall'esterno e una statua scolpita con fattezze simili a quelle di Ulamog. Urlò loro che qualsiasi cosa pensassero fosse una divinità, i titani Eldrazi non lo erano affatto; pensò che qualsiasi fossero stati i riti sacrificali eseguiti su quell'altare, avevano avuto effetto e anche se Ulamog non aveva sentito le loro preghiere, i rituali dei vampiri avevano danneggiato la rete di edri a sufficienza da permettere alle stirpi Eldrazi di fuoriuscire. Appoggiò entrambe le mani sull'altare di pietra e si concentrò sui suoi sensi per stimare il danno: percepì un mutamento quasi impercettibile, una minima alterazione ma sufficiente ai titani Eldrazi per muoversi ed estendere la loro presenza su Zendikar. L'altare poteva essere riparato ma sarebbe stato necessario del tempo e sarebbe stato molto più facile se avesse potuto contare su un aiuto; a voce alta Nahiri disse che nessuno poteva aiutarla ed era meglio che si desse da fare, si guardò intorno alla ricerca di una pietra delle giuste dimensioni e i suoi occhi si posarono sulla statua grottesca di quello strano Ulamog, sorrise e si avvicinò sollevando entrambe le mani sopra la testa e le appoggiò sulla statua. L'intera struttura si modificò. Nahiri pensò che erano stati necessari quaranta anni per realizzare la rete di edri e le erano sembrati una vita intera a quel tempo, quando la sua vita era ancora connessa a quella dei normali mortali; realizzare un singolo edro non avrebbe richiesto tanto tempo, la parte difficile era plasmare la superficie senza la guida di Ugin. Nahiri lavorò sulla statua, chiuse gli occhi e inspirò profondamente cercando di concentrarsi sulle linee che avrebbe dovuto trascrivere sulla superficie per poter indirizzare correttamente il flusso del mana. Il battere forte dei passi sul terreno ruppe la sua concentrazione e lei sospirò vedendo altri vampiri con lunghe spade ricurve che si avvicinavano lentamente per circondarla, uno di loro disse qualcosa ma lei non lo lasciò finire, fece cadere una parete su di loro e poi tornò al suo lavoro. Mentre seguiva con precisione le linee che lo Spirito Drago le aveva insegnato, uno sciame di stirpi eldrazi arrivò rapidamente e la litomante costruì una cupola per proteggersi ma l'aura di corruzione dei parassiti indebolì la pietra e questa iniziò a sgretolarsi; Nahiri la fece crollare su di loro e ne costruì una seconda. Quell'attività le richiese con sua sorpresa molto tempo, pensò che aveva lasciato alle spalle la sua vita e si era rinchiusa in un bozzolo di pietra ma ora con la progenie eldrazi che brulicava nuovamente sul suo mondo, si ritrovò ad avere fretta: una parte di lei desiderava sigillare la prigione prima che troppe persone perdessero la vita nel tentativo di combattere le stirpi eldrazi e in parte, comprese di voler terminare quella attività per poter tornare alla sua vita. Nahiri pensò che forse era stata rinchiusa nel bozzolo abbastanza a lungo ed era pronta a vivere una nuova vita, forse il sapore di un amaro ricordo, un malinconico desiderio e soprattutto un passionale furore l'aveva risvegliata da un torpore secolare e l'aveva portata a un nuovo stato di veglia, in ogni caso voleva giungere alla fine per poter passare alla fase successiva della sua vita, qualsiasi fosse. La litomante terminò la creazione dell'edro, spalancò le braccia, frantumò la cupola di pietra e si gustò l'aria fresca; con un semplice pensiero fece ruotare l'edro e lo collegò alle linee spezzate della rete di edri ripistinando la prigione degli Eldrazi. Si piegò su un ginocchio e appoggiò i palmi delle mani sul terreno: sentì il movimento dei titani rallentare grazie alla prigione restaurata che li stava facendo tornare al loro torpore, le loro stirpi erano ancora libere su tutta la terra, ma pensò che quello era un problema dei semplici mortali, ciò che più la preoccupava era che Zendikar stesse reagendo, non solo in Akoum ma ovunque. Terremoti scuotevano il terreno e plasmavano il panorama, onde impetuose ridisegnavano le coste e possenti venti battevano i canyon; Zendikar stava tremando trafitta dagli Eldrazi e lei temeva che sarebbe dovuto passare molto tempo prima che ritornasse la quiete.

Nahiri tornò nell'Occhio e si assicurò che la rete fosse stata ripristinata, valutò la possibilità di chiamare di nuovo Sorin e lo Spirito Drago ma non lo fece, era riuscita a gestire la situazione da sola e Zendikar era nuovamente al sicuro grazie alla sua opera, non aveva bisogno degli altri. Ciò non cambiava però il fatto che loro non erano accorsi, avevano promesso di fare ritorno su Zendikar se fossero stati chiamati per aiutarla a preservare la prigione che lei aveva sorvegliato per innumerevoli secoli, pensò che Sorin l'aveva abbandonata e gli Eldrazi avevano portato devastazione sul suo mondo un'altra volta. Nahiri provò preoccupazione e ansietà, altre sensazioni che aveva dimenticato, si chiese cosa avesse fatto Sorin in tutti quegli anni mentre lei era rinchiusa in un bozzolo nell'Occhio di Ugin, se fosse ancora vivo, se si fosse dimenticato di lei e della sua sorveglianza di Zendikar e se fosse stato vittima della stessa apatia che si era impossessata di lei per tanto tempo. Nahiri decise che sarebbe andato a cercarlo per destarlo se fosse stato necessario, per ricordargli di lei, di Zendikar e dell'amicizia che li aveva legati, per fargli provare di nuovo cosa significasse vivere e provare emozioni; lei aveva salvato Zendikar e ora era pronta a salvare anche lui. Poi sarebbe tornata sul suo mondo e avrebbe vissuto di nuovo con il suo popolo, avrebbe insegnato, riso e amato di nuovo, avrebbe vissuto di nuovo. Nahiri appoggiò delicatamente una mano sulla parete della sala che si aprì a formare un passaggio per la cieca eternità, le pareti della stanza diventarono tetri dirupi di una catena montuosa disabitata, la litomante ispirò profondamente quell'aria sconosciuta e si avventurò sull'altro piano alla ricerca del suo amico.

Scontro con Ob Nixilis

Quando ancora viveva insieme alla sua gente, dopo l'imprigionamento degli eldrazi, Nahiri trovò Ob Nixilis su Zendikar poco dopo l'arrivo del demone. Senza mostrare alcuna emozione, neanche il minimo accenno di pietà, usò la sua magia vincolante su di lui e senza dargli il tempo di fare nulla, sigillò un'Edro sulla sua fronte. Poi, quando il demone perse conoscenza se ne andò.

Vecchie e nuove promesse e Pietra e sangue

Scontro con Sorin

Arrivata su Innistrad, Nahiri osservò la Tomba Infernale, non accorgendosi della presenza di Sorin alle sue spalle. Sorin si scusò per il suo rudimentale tentativo litomantico, riferendosi alla grezza struttura tombale; Nahiri si voltò di scatto, sorrise e si rasserenò vedendolo vivo. Sorin chiese perchè sarebbe dovuto essere diversamente e Nahiri spiegò che lui non era mai venuto su Zendikar, né risposto in nessun modo quando lei aveva attivato il segnale dell'Occhio di Ugin e quindi aveva temuto il peggio. Sorin chiese se gli eldrazi si fossero liberati dai loro vincoli e dove fosse Ugin e Nahiri rispose che nemmeno lo Spirito Drago era venuto e che si era occupata degli eldrazi da sola, con tutta la forza che era riuscita a raccogliere, riuscendo a chiudere nuovamente la prigione. Poi aveva deciso di cercarlo per scoprire se fosse ancora vivo e ora l'aveva trovato, il suo sorriso svanì lentamente e chiese perchè non avesse risposto al suo segnale. Sorin rispose che non l'aveva mai ricevuto e disse che quando lei aveva deciso di dedicare la sua esistenza a sorvegliare gli eldrazi imprigionati sul suo mondo, per lui era diventato evidente che il suo piano avesse bisogno di protezione, in particolare durante la sua assenza; spiegò che la Tomba Infernale era metà di ciò che aveva creato per tale protezione e che probabilmente il segnale dell'Occhio non era stato in grado di attraversare la magia che proteggeva Innistrad. Nahiri scosse la testa e con un tono accusatorio chiese se quando lo avesse creato era consapevole che avrebbe avuto quell'effetto e Sorin rispose che comprendeva solo ora la possibilità di quella conseguenza. Con dolore Nahiri disse che lui aveva messo a rischio il suo mondo e molto di più, abbandonandola. Sorin replicò che stava prendendo le giuste precauzioni per proteggere il suo piano, ma con voce glaciale, priva di ogni calore di solo pochi istanti prima, Nahiri lo interruppe e disse che loro due avevano un accordo: lei aveva messo in pericolo Zendikar attirando gli eldrazi, aveva promesso di rimanere sul suo mondo per sorvegliarli e aveva trascorso cinquemila anni con quei mostri. Pensò che aveva gestito la crisi da sola, con un elevato costo per il suo mondo, molto più elevato di quello che avrebbe pagato se i suoi alleati avessero onorato il loro accordo. Non aveva ancora esaminato il danno che quei mostri avevano causato sul suo piano e sui suoi popoli prima che lei fosse riuscita a sedare il loro assalto, aveva cercato il suo maestro e amico temendo per la sua vita e ora, aveva scoperto che lui aveva fatto di peggio rispetto a ignorare la sua richiesta di aiuto; l'aveva esclusa, per proteggere il suo stesso mondo dalle influenze esterne: le aveva voltato le spalle. Nahiri disse che tutto ciò che avrebbe dovuto fare lui era rispondere alla sua chiamata. Il terreno iniziò a tremare. Sorin le rispose di non avere la presunzione di poter guidare le sue azioni, che non aveva nessun vincolo e non le doveva nulla, che quando era diventata una planeswalker lui era stato colui che l'aveva scoperta e avrebbe potuto ucciderla subito, ma invece l'aveva risparmiata. Si avvicinò e con un sussurro continuò che l'aveva presa sotto la sua ala protettrice e aveva plasmato ciò che era diventata ora. Concluse che se voleva importunare qualcuno, doveva rivolgersi a Ugin, lui non aveva pazienza per quelle cose. Le sue ultime parole furono l'ultima goccia per Nahiri, Il dolore lasciò il posto alla rabbia, la litomante decise di far capire al vampiro che lei non era più la sua apprendista. Il terreno sobbalzò violentemente e, per un istante, Sorin faticò a rimanere in piedi mentre sotto Nahiri una colonna di roccia emerse, innalzandola. Disse che non sarebbe andata da nessuna parte. Sorin sguainò la sua spada la chiamò ragazzina e disse che non l'aveva mai minacciata e che se sarebbero dovuti diventare nemici, sarebbe stato solo perchè lei lo aveva voluto. Nahiri replicò che non era una ragazzina e che qualsiasi fosse stato il loro rapporto prima, poteva notare che ora erano pari. Sorin rispose che ciò che vedeva era un capriccio; se era giunta lì per parlare alla pari allora doveva essere disposta a un dialogo pacifico, come seguivano i protocolli nel parlare con un altro planeswalker. Nahiri rispose che lei era arrivata lì per incontrare un amico e Sorin replicò che in tal caso non aveva motivo di prendersela e che a volte gli amici presentavo verità dure da accettare. Nahiri ripensò a quando aveva considerato Sorin suo amico per la prima volta e dopo che l'ultimo vestigio della nostalgia svanì, l'attaccò. Dopo che si scambiarono diversi attacchi, Nahiri disse che non desiderava la sua inimicizia, tutto ciò che voleva era il suo aiuto, lui le aveva fatto una promessa e gli chiese di andare con lei. Sorin rispose con calma che ora non poteva, che forse sarebbe andato dopo e spiegò che quello era un momento delicato. Nahiri scattò che gli eldrazi erano quasi riusciti a fuggire, che lui stava pensando al suo futuro, ma se i titani si fossero liberati tutto ciò per cui si erano impegnati sarebbe stato perso e anche Innistrad sarebbe stato in pericolo. Nahiri venne colpita dal pensiero che forse grazie alle contromisure di Sorin, il mondo del vampiro sarebbe stato al sicuro e che lei, Zendikar e gli edri avevano svolto il loro scopo nella mente del suo ex maestro. L'attaccò nuovamente e riuscì a colpirlo con tre proiettili di pietra, ma lui la respinse usando un fascio di luce della luna, poi rimosse i proiettili dal suo corpo e le sue ferite si richiusero senza nemmeno sanguinare. Nahiri si accorse che era indebolito ma la sua magia era ugualmente potente. Sorin le disse di tornare da dove era venuta e in risposta lei affondò nel terreno e pensò che sarebbe potuta tornare su Zendikar e al suo isolamento, non aveva realmente bisogno dell'aiuto di Sorin, mai più; ma se avesse lasciato quella questione irrisolta, sarebbe stato estremamente pericoloso e avrebbe incitato alla vendetta: si sarebbe davvero creata un nemico. Decise di non andarsene finchè esisteva una possibilità di evitarlo. Lei si sollevò e tutto intorno a loro e tra di loro, un campo di pietre fluttuava a mezz'aria e a Sorin sembrò che l'intero piano stesse trattenendo il respiro. Il potere di Nahiri era cresciuto: la pietra non obbediva semplicemente ai suoi ordini, era parte di lei e, attraverso essa, sarebbe stata in grado di entrare in contatto con ogni parte di Innistrad e ridurre l'intero piano in rovina. L'unica roccia che non era sotto la sua influenza era la Tomba Infernale e Sorin si appoggiò ad essa per evitare di essere attaccato da ogni lato. Nahiri pensò che non intendeva ucciderlo ne ferirlo davvero, ciò che desiderava era semplicemente sistemare le ose tra loro e riportarle a come erano prima e per riuscirsi avrebbe dovuto prima guadagnarsi il suo ripetto e per ottenerlo avrebbe dovuto sconfiggerlo. Notando quanto sembrava debole si chiese quanto di lui fosse presente nella Tomba Infernale. Il pilastro di Nahiri si mise in movimento trasportandola lentamente verso Sorin, le pietre fluttuanti si fecero da parte e da una di esse la litomante estrasse una spada la cui lama incandescente puntò verso il vampiro.

Scontro con Avacyn

Disse a Sorin che lui avrebbe onorato la sua promessa, sarebbe tornato con lei su Zendikar e l'avrebbe aiutata a verificare i loro sistemi di contenimento per garantire che gli eldrazi non fuggissero nuovamente e solo dopo sarebbe potuto andare via. Appena finì di parlare, un angelo si scagliò contro di lei ed entrambe caddero a terra. La creatura alata si alzò per prima e affondò la lancia, ma Nahiri evitò il colpo immergendosi nella terra per poi riemergere e attaccare a sua volta con la spada rovente, che l'altra deviò con la lancia. L'arcangelo fu costretta ad arretrare e cercò di alzarsi in volo, ma Nahiri si sollevò ancora più in alto su una colonna di pietra e la costrinse a terra. Era a un passo dalla vittoria e avrebbe sicuramente distrutto l'angelo, ma Sorin, che era rimasto a guardare lo scontro, intervenne.  Per un attimo i due planeswalkers rimasero l'uno di fronte all'altra, premendo le loro lame tra loro. Nahiri osservò con confusione l'angelo e chiese a Sorin chi fosse e come avesse fatto a ridurla alla sua mercè. Il vampiro rispose semplicemente che si trattava dell'altra metà, poi scattò con la mano libera le afferrò la lama e, mentre Nahiri lottava per liberarla, Sorin portò la punta di ferro alla gola della litomante. Nahiri lasciò la presa sull'elsa e Sorin scagliò via la lama, l'angelo iniziò ad avvicinarsi a loro, ma il vampiro sollevò una mano e fermò la sua lancia, poi si rivolse a Nahiri e disse che per quanto poteva valere, non sarebbe mai voluto giungere a quel punto.

Imprigionata nella Tomba Infernale

Sorin sollevò la sua spada e sferrò un colpo con un fascio di luce oscura che colpì e spinse Nahiri che andò a sbattere contro la superficie argentea della Tomba Infernale; fili di avido argento si chiusero intorno al suo corpo e la catturarono. Nahiri maledì Sorin e urlò che lei si era fidata di lui. Il vampiro fu minacciosamente su di lei e, prima che l'argento fuso invadesse le orecchie della kor, Sorin la chiamò nuovamente ragazzina e rispose con un tono di voce quasi sconsolato che non le aveva mai chiesto di fidarsi di lui, ma solo che lei obbedisse. Subito dopo Nahiri venne inglobata dalla Tomba Infernale e svanì nella totale oscurità. Cadde attraverso essa e non provò altre sensazioni, in quel luogo non c'era nulla: nessun suono, nessuna luce, neanche un soffio di vento; solo la sconfinata sensazione di una caduta senza fine. Espanse i sensi e provò a usare i suoi poteri da litomante, ma intorno a lei vi era solo il nulla; provò a viaggiare su un altro mondo, ma non riuscì neanche ad afferrare la cieca eternità. Sorin avrebbe pagato per il suo tradimento, lei sarebbe riuscia a fuggire da lì. Aveva sempre creduto che loro due fossero alleati e amici, ma ora riusciva a vederlo per ciò che era davvero: un mostro. Valutò che però non era uno stupido, sapeva cosa c'era in gioco e non avrebbe permesso semplicemente agli eldrazi di fuggire; lei era convinta che l'avrebbe liberata dopo che lui avesse recuperato le forze per affrontarla: le avrebbe teso un'imboscata e l'avrebbe sconfitta permettendole poi di tornare su Zendikar. Ebbe molto tempo per pensare e alla fine a voce alta Nahiri disse che qualsiasi lezione lui stesse cercando di darle, l'aveva imparata e chiese di essere liberata in modo da lasciare Innistrad e non tornarvi mai più dal momento che era evidente che non avevano più nulla da dirsi. Non ci fu alcuna risposta da parte di Sorin e la litomante pensò che non era disposta a scusarsi e nemmeno a implorare. L'isolamento iniziò a consumare la sua sanità mentale, anche un planeswalker poteva impazzire; ricordò quando aveva incontrato un membro della sua razza folle e decise con forza che lei non sarebbe impazzita. All'inizio il suo appiglio fu la vendetta, ma non c'erano infiniti modi di uccidere Sorin e il pensiero le stava portando stanchezza e sofferenza maggiori delle soddisfazioni; il suo odio non vacillò mai e divenne più grande. Nahiri si concentrò sui suoi ricordi di Zendikar, che divennero come una lanterna nell'oscurità e iniziò a costruire nella sua mente i continenti del suo mondo.

Lentamente, nel corso di tantissimi anni, demoni e orrori comparvero all'interno della Tomba Infernale e Nahiri comprese lo scopo della sua prigione: Sorin non avrebbe tollerato minacce al suo prezioso mondo e aveva creato la Tomba per contenerle. Calcolò il tempo in base a quelle distrazioni, quando veniva sfiorata casualmente non provava alcun amore per i demoni. Ne aveva abbattuto più di uno per impedire che infestassero il suo mondo, ma non li odiava, provava pietà per loro: erano prigionieri come lei di Sorin e del suo angelico servitore. Nahiri si era abituata al suo isolamento e la sua mente era sana e oltre alla sua sanità mentale aveva ancora la sua rabbia, i suoi ricordi di Zendikar e molto tempo a disposizione. Poi, dopo un numero incalcolabile di anni, qualcosa cambiò, una luce accecante comparve nell'oscurità e Nahiri vide e riconobbe l'angelo di Sorin, i loro occhi si incrociarono e la litomante vide la furia in quelli della creatura alata e capì che ricordava il loro scontro avvenuto anni prima. Passò altro tempo e, a causa delle azioni di Liliana Vess, ci fu una vera luce e la Tomba Infernale venne distrutta.

Ritorno su Zendikar 

Nahiri sbattè contro una superficie, finalmente la sua caduta senza fine era terminata. Sollevò il capo e vide le persone che urlavano e correvano in tutte le direzioni, fiamme che ardevano alte, non-morti che si trascinavano e l'angelo di Sorin fluttuare in un fascio di luce bianca. Tutto intorno a lei stavano piovendo frammenti argentei, Nahiri provò una strana sensazione alle mani e vide che erano coperte di sangue. Cercò di chiudere le ferite con i suoi poteri, ma non successe nulla e capì che il suo corpo non era più un'estensione della sua mente, ma semplicemete un corpo: era nuovamente mortale. Decise di andarsene prima che Sorin potesse trovarla, viaggiò nella cieca eternità e capì che sebbene fosse ancora una planeswalker, il suo potere si era indebolito di molto. Tornò su Zendikar e arrivò vicino all'Occhio di Ugin, trovandolo in rovina collassato su se stesso e i tre titani eldrazi erano svaniti. Si chiese se quei mostri avessero lasciato Zendikar e se il suo mondo fosse finalmente libero, espanse i suoi sensi e percepì dei kor. Si arrampicò su una cresta per raggiungerli. Quando la videro, la donna alla guida del gruppo notò le sue ferite e la curò con una magia di guarigione e poi disse di chiamarsi Tenri. Temendo che la conoscessero per via delle false storie che aveva scoperto su di lei come profetessa dei titani, Nahiri non disse il suo nome e si presentò come un'eremita e chiese informazioni su cosa stesse accadendo al loro mondo. Una delle sentinelle, Erem, rispose che gli eldrazi e le loro opere erano ovunque e Tenri spiegò che un anno prima tre enormi mostruosità si erano sollevate ai Denti di Akoum, le loro progenie si erano diffuse ovunque, ma erano i tre titani la cosa peggiore: dove passavano loro non rimaneva più nulla. Nahiri chiese cosa avessero perso e Eren rispose che Bala Ged era andato distrutto, aspettò che lui aggiungesse altro, ma quando rimase in silenzio capì che si riferiva all'intero continente e disse che doveva vederlo coni suoi occhi e si separò da loro. Nahiri affondò nella pietra e percepì l'entità del danno. Arrivò a destinazione, emerse e vide una sconfinata distesa di polvere di gesso. Il terreno tremò, la litomante si voltò e lontano all'orizzonte vide Ulamog. Nahiri cadde in ginocchio e premette i palmi su quella polvere senza vita, valutò le sue scoperte e giunse alla conclusione che lo Zendikar che conosceva era morto e non c'era più alcuna possibilità di salvarlo; sarebbe stato più facile cercare di fermare il movimento del sole nel cielo. Chiuse gli occhi e rivide il suo mondo com'era un tempo, prima che lei permettesse a Sorin Markov di distruggerlo. Lacrime calde di rabbia scesero sul suo volto, aprì gli occhi e vide prima le sua mani ricoperte di polvere e poi alzò lo sguardo verso Ulamog. Nahiri fece una promessa a se stessa: "come Zendikar, anche Innistrad si dissanguerà. Come me, anche Sorin piangerà. Lo giuro sulle ceneri del mio mondo.".

Ombre su Innistrad

Tornata su Innistrad, Nahiri iniziò il suo piano per vendicarsi di Sorin. Distrusse il Maniero Markov e creò i Criptoliti per uno scopo oscuro.

Giochi

A Nephalia, Nahiri incontrò Gisa insieme a una zombie e chiese se fosse stata lei a risvegliarla dalla morte. L'altra rispose di si e sorridendo chiese se fosse in grado di ripetere il processo facillmente. Gisa rispose alla sua domanda convocando cinque ghoul. Appena emersero dal terreno, Nahiri sguainò la spada e li distrusse tutti in un attimo, poi si presentò, fece domande a Gisa sulle sua capacità necromantiche e la convinse ad aiutarla per costruire un monumento alla Relittopoli.

L'arrivo di Emrakul

Nahiri aveva svolto un lavoro imponente, era rimasta fedele al suo giuramento pronunciato nella polvere di Bala Ged. Dopo che aveva lsciato Zendikar si era impegnata, ogni ora di ogni giorno e anche a lungo nelle notti, spinta dalla rabbia. Con grande fatica era entrata nella cieca eternità, con la punta delle dita che bruciava nell'etere, lavorando duramente la pietra, con magie più potenti di quanto avesse mai osato manipolare. Era stato un lavoro difficile, ma non si era mai lamentata, né fermata. Ora finalmente avrebbe visto i frutti del suo lavoro, così come anche Sorin. Nahiri aveva capito che l'ultima guardiana di Innistrad era caduta quando aveva percepito la sparizione dell'ultimo brandello di protezione, il piano era diventato vulnerabile, ma la battaglia non era ancora terminata. Al contrario era appena iniziata. Nahiri tratenne il respiro, il terreno sotto i suoi piedi si mosse, il piano iniziò a pulsare, scattando e tremando, come una serie di esplosioni a catena che si sviluppavano sordamente nel profondo sotto la superficie. Nahiri pensò con soddisfazione che anche Sorin le avrebbe sentite, poi urlò a qualcosa di venire verso di lei e verso Innistrad. Percepì la presenza e la riconobbe: osservò l'acqua e il tempio che aveva costruito per quella divinità e vide che non era più vuoto: Emrakul era finalmente arrivato.

Referenze

Rappresentata in

  • Distorsione Strutturale
  • Macchinazioni di Nahiri
  • Nahiri, l'Araldo
  • Nahiri, la Litomante

Testi di colore

  • Costrutto di Ugin
  • Determinazione Spietata
  • Dichiarazione nella Pietra
  • Avversario Alaroccia

Galleria

Curiosità

  • Le forgiapietra sono una tipologia di maghe Kor di Zendikar capaci di creare armi dal metallo presente nelle rocce. La capostipite di questa classe è Nahiri e tutte le forgiapietra successive si sono ispirate inconsapevolmente alla figura della planeswalker per modellare il proprio aspetto.
  • L'aspetto di Nahiri è stato ispirato dall'immagine della Mistica Forgiapietra, che nonostante la grande somiglianza, non rappresenta la planeswalker.
  • Nella storia web La restaurazione di Sorin, quando Sorin sentì che Ugin aveva avuto uno scontro con un altro planeswalker inizialmente aveva sospettato che si trattasse di Nahiri per poi scoprire che in realtà si trattava di Nicol Bolas.
  • Il breve scontro tra Nahiri e Sorin in Vecchie e nuove promesse viene mostrato dal punto di vista di Sorin e avviene circa mille anni prima della Riparazione. La parte finale dello scontro tra i due viene poi mostrato nella storia web Pietra e sangue, dal punto di vista di Nahiri, e rivela la parte finale della storia dopo lo scontro tra i due lasciata in sospeso in Vecchie e nuove promesse. 
Attuali Ajani Criniera d'OroAngrathAminatouArlinn KordAshiokBasri KetChandra NalaarDarettiDavriel CaneElspeth TirelEstridGarrukGeyadrone DihadaGristJace BelerenJared CarthalionJiang YangguKaito ShizukiKasminaKayaLiliana VessMu YanlingNiko ArisOkoQuintorius KandRal ZarekSorin MarkovTacenda VerlasenTeyo VeradaTezzeretUginVivien ReidIl Più Sfortunato
Scintilla persa Azor ICalixHuatliKarnKioraKothLa ViandanteNarsetNahiriNicol BolasNissa RevaneOb NixilisRaviRowan KenrithSaheeli RaiSamutSarkhan VolSlobadTeferi AkosaTyvar KellVenserVerdimanicheVraskaWill Kenrith
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