Magic: the Gathering Wiki
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Blood ArtistART1

Non c'è vera arte senza una vera sofferenza.

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L'inganno è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da R&D Narrative Team e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 14 febbraio 2018. Racconta parte della storia di diversi planeswalkers.

Racconto precedente: A chi spetta raccontare le storie?

Storia[]

HUATLI, SU KALADESH[]

Huatli non riusciva a smettere di sorridere.

Emerse in una città diversa da tutte quelle che aveva visto in passato. L’aria era tiepida, come a casa, ma nient’altro era familiare. La città vibrava di creatività e ingegno e Huatli si stupì per gli edifici e i dispositivi e quelle . . . cose . . . che le persone avevano realizzato. Sfere dentro cui muoversi! Piccole creature di metallo che consegnavano pacchetti! Si avventurò in un mercato che emanava odori di strane spezie sconosciute e osservò strane correnti azzurre che serpeggiavano come fiumi nel cielo. Le persone camminavano rapidamente e parlavano ancora più rapidamente e i banconi dei loro mercati erano colmi di splendide invenzioni che Huatli non aveva mai visto prima. Vi erano persone di diverse specie: piccoli umanoidi, alte persone dalla pelle blu (con sei dita su ogni mano!) ed esseri dal color carbone e un’intensa luce blu che fluiva sotto la pelle. Huatli era euforica per la possibilità di incontrarle tutte.

Nessuno dei suoi tamales era sopravvissuto al viaggio (si erano ridotti a una polvere non mangiabile, da qualche parte dello spazio metafisico tra Ixalan e quel luogo) e lei scambiò un pezzo di ambra del suo mondo per una sacca piena di monete dallo strano aspetto. Mentre camminava, tintinnavano nelle sue tasche e lei si chiese se sarebbe riuscita a trovare una taverna dove trascorrere la notte in un luogo denso e frastornante come quello.

Mentre esplorava la città, era oggetto di sguardi strani, ma ogni volta erano seguiti da un complimento per le decorazioni della sua armatura.

"Che arte! Chi è il tuo artefice?", chiedevano. Huatli sorrideva felicemente e rispondeva "Non ho idea di cosa sia!"

Chiese a un gestore di un negozio di consigliarle un luogo emozionante per un visitatore e venne invitata ad andare verso una grande piazza al centro della città. Giunse rapidamente dove si trovava una fiera colma di persone che sporgevano la testa per scorgere un palcoscenico che si ergeva al di sopra della piazza e aveva su un lato una grande tenda.

Huatli notò un gruppetto che osservava quel palcoscenico e aveva in mano fogli di carta e strumenti per scrivere. Comprese di aver incontrato qualcuno come lei e andò a sedersi di fianco a loro, con il suo foglio di carta in mano.

Una figura salì su quel palcoscenico, con la pelle nera come carbone e profonde fessure che rivelavano un blu turbinante al di sotto. Quella figura era vestita di sete opulente che scendevano elegantemente lungo uno strano corpo che si stava dissipando. Fece un cenno con la mano e la folla esultò; le persone con le penne scrissero qualcosa e fecero delle domande; Huatli fu lieta di essere al centro dell’azione. La figura invitò al silenzio la folla e fece un gesto teatrale verso un oggetto ricoperto da un tessuto, all’altra estremità del palcoscenico.

"Benvenuti, distinti ospiti!"

La sua voce era leggera e gioiosa e attirava l’attenzione della folla intorno a Huatli.

"Come molti di voi, ho incentrato la mia vita sul miglioramento di quella degli altri. La cultura degli eteridi si basa sull’ottenere il massimo nel tempo che ci è dato, festeggiando la gloriosa estasi della vita. Ogni cosa giunge a un termine. E se quel termine fosse più semplice per coloro tra noi che sono destinati ad andargli incontro prima?"

Il pubblico mormorò nel momento in cui quella persona (l’eteride?) rimosse il tessuto dall’oggetto nascosto, rivelando una decorata scatola dorata.

"Questo è un regolatore di etere, uno strumento non per la regolazione dell’energia dei dispositivi che utilizzano l’etere, bensì per le persone composte di etere. Si tratta di un dispositivo medico in grado di ridurre i sintomi fastidiosi della dissipazione, per permettere agli eteridi una transizione più dignitosa e indolore nel ciclo dell’etere!"

Il pubblico applaudì con entusiasmo e le persone a entrambi i lati di Huatli scrissero a lungo.

Huatli era meravigliata. Il suo cervello cercò di comprendere ciò che quell’inventore stesse trattando, sbalordita dall’insieme di scienza ed empatia. Avrebbe voluto porre alcune domande: Come funziona? Che cos’è il ciclo dell’etere? Che effetto ha questo dispositivo per quel gruppo di persone che lei non sapeva esistessero fino a pochi minuti prima? Huatli sentì uno strattone a una manica, si voltò e vide una donna approssimativamente della sua età che la osservava.

Con un’espressione preoccupata sul volto, la donna si avvicinò a Huatli e sussurrò "Tu sei originaria di questo posto?"

Huatli scosse la testa. "No! Io vengo da . . . fuori città."

Gli occhi della donna scattarono a destra e a sinistra. Si avvicinò ancor di più. "Fuori dal piano-città?"

Huatli sorrise. "Anche tu sei un Planeswalker!", rispose con entusiasmo.

"Non qui!", rispose la donna, agitando le mani in modo allarmato e chiedendo a Huatli di allontanarsi dal palcoscenico.

Si mossero insieme attraverso la folla con qualche difficoltà... la donna veniva fermata continuamente da stranieri che le chiedevano un autografo... e giunsero infine in un parco. Imponenti statue delimitavano i lati del sentiero principale e Huatli immaginò che le posizioni audaci corrispondessero alle importanti imprese dei soggetti.

"Chiedo scusa per l’interruzione", disse la donna. "Il mio nome è Saheeli. Il tuo abbigliamento è incredibile... ho avuto il presentimento che anche tu fossi un Planeswalker."

"È un piacere conoscerti, Saheeli. Il mio nome è Huatli. È la prima volta che vado su un altro mondo", rispose Huatli. "Come si chiama questo?"

"Questo piano è Kaladesh e questa città è Ghirapur. Hai scelto un ottimo momento per venire qui. Da dove vieni?"

Huatli rifletté per un istante e si sedette su una panchina. Continuava a farsi distrarre dai pennacchi azzurri che solcavano il cielo. "Il continente da cui provengo si chiama Ixalan, quindi immagino che sia anche il nome del mio piano."

"Ixalan. Non ne ho mai sentito parlare!" Saheeli sorrise. "Com’è?"

Huatli rimase in silenzio. Come avrebbe potuto descrivere il suo mondo a qualcuno che non l’aveva mai visto?

Nell’unico modo che conosceva.

"È una terra splendente come il sole. L’aria è spessa come la luce, il terreno è colmo di vita. Innumerevoli alberi ricoprono sconfinati paesaggi e i dinosauri rispondono ai canti del mio popolo."

Saheeli aveva gli occhi spalancati per la curiosità. "Che cos’è un dinosauro?"

Huatli aggrottò la fronte. "Sai cosa sono le scaglie? E le piume?"

Saheeli la osservò con uno sguardo vuoto.

"Alcuni sono piccoli e arrivano solo alle ginocchia, mentre altri sono alti come edifici? Non li avete qui?"

"No, ma mi piacerebbe realizzarne uno!" Saheeli sorrise e fece rialzare Huatli dalla panchina. "Torniamo subito al mio laboratorio, così me li potrai descrivere. Avevo proprio bisogno di un nuovo progetto!"

Huatli si lasciò trascinare, sorridendo. "Ti posso aiutare?"

"Certo che mi puoi aiutare! Tu sei l’esperta. Devo sapere tutto sui dinosauri!"

Huatli era entusiasta.

Si trovava esattamente dove avrebbe dovuto essere.

Le due Planeswalker tornarono allegramente al laboratorio di Saheeli.

Huatli raccontò a Saheeli del suo mondo.

ANGRATH[]

Aveva proprio l’aspetto che ricordava.

La strada era ampia e polverosa, contornata occasionalmente da negozi che erano stati aperti fin da quando era bambino. Era una specie di luogo sonnolento e Angrath fu lieto di vedere che non era cambiato quasi nulla.

Un piccolo pennacchio di fumo si sollevava dalla sua fonderia. Una finestra dipinta a mano dall’esterno indicava "APERTO" a caratteri dalle linee squadrate. L’edificio era poco più di una capanna alla periferia della città, ma era stato la sua capanna alla periferia della città. Mucchi di ferro e metalli erano accatastati all’esterno e alcuni oggetti e armi pendevano da una rastrelliera, ognuno etichettato per indicare a quali ordini corrispondessero.

Un orecchio di Angrath fece un piccolo movimento al battito del metallo e allo sfrigolio dell’acqua all'interno.

Si avvicinò, con le catene che sferragliavano a ogni passo.

Angrath si abbassò leggermente per evitare di sbattere con la testa contro lo stipite della porta (poteva ancora riconoscere i punti in cui aveva battuto la testa ogni volta che si era dimenticato) e si fermò a osservare i fabbri al lavoro.

Due minotaure lo osservarono, da dietro le loro incudini. Erano alte come le loro madri. Indossavano ampi grembiuli di pelle e le loro corna erano ornate con i gioielli indossati dalle donne nubili della loro età.

Spalancarono gli occhi. Quella sulla destra sbuffò dallo stupore. Le orecchie dell’altra si sollevarono dalla sorpresa.

Quella sulla destra fiutò l’aria e tremò dall’emozione. "Padre?"

Il vapore sibilò dolcemente al contatto delle lacrime di Angrath con la sua pelle. Sorrise.

"Rumi. Jamira. Sono tornato a casa."

VRASKA[]

Sembrò leggermente inconsueto attraversare la Cieca Eternità, dopo non averlo fatto per così tanto tempo. Si era trasportata immediatamente dopo la chiusura del portale planare e, appena aveva lasciato Ixalan, si era ritrovata di nuovo nella sua camera su Ravnica.

L’aroma era quello familiare di casa. Vraska era enormemente fiera di sé.

Andò immediatamente verso la sua sedia preferita e raccolse il libro di storia che stava leggendo prima di partire. Al suo interno, vi era una nuova lettera.

Erano scritte solo tre parole, "PIANO DI MEDITAZIONE", in una calligrafia familiare ed elegante.

Vraska sorrise. Si tolse allegramente il giubbotto e iniziò a cambiarsi i vestiti sporchi di sudore (dopo tutto, non aveva alcuna fretta). Raccolse il libro e lo ripose in uno scaffale. Mentre lo sistemava nel posto giusto, i suoi occhi vagarono su un titolo che non aveva rivisto da tempo. Contemplò il libro, lo prese in mano e lo mise distrattamente sul tavolo vicino alla propria sedia.

Avrebbe ovviamente dovuto attendere di incontrare il drago.

Pronta a partire, scomparve in un angolo oscuro nell’aria, per dirigersi verso il piano di meditazione.

Nicol Bolas la stava aspettando.

Giunse nelle acque ora familiari, circondata da una gabbia magica. Vraska eseguì perfettamente la magia per liberarsi che aveva imparato durante la sua prima visita e la gabbia svanì.

Osservò il drago, che le restituì lo sguardo.

"Ho eseguito ciò che avete chiesto", disse Vraska. "Potete verificare voi stesso."

Lui lo fece.

Nicol Bolas scrutò in ogni angolo della mente di lei, con un’attenzione che lei poté percepire. Sfogliò ogni angolo dei suoi ricordi di Ixalan e li fece scorrere di nuovo in un batter d’occhio. Vraska sussultò per quella sensazione. Era come se le sue interiora venissero ripulite.

Osservò internamente mentre lui analizzava tutta la sua mente come se fosse un dipinto. Vraska non si sentì turbata. Era orgogliosa di ogni suo gesto.

Si ricordò di aver risalito il fiume da sola . . .

di essersi tuffata con coraggio nel fiume che risaliva fino alla città . . .

di aver osservato una sfinge scatenare la propria furia su Orazca . . .

e di essersi posta sul Sole Immortale per trasformare quella sfinge e decine di altri nemici in oro.

Vraska ricordava tutto molto chiaramente e fu lieta di aprire la propria mente in modo che Nicol Bolas potesse analizzarla.

Poi, all'improvviso, la sensazione svanì. Il drago uscì dalla sua mente e lei poté vedere quanto lui fosse evidentemente felice per il successo della sua missione.

Nicol Bolas era raggiante dalla gioia. .

I suoi artigli si incurvarono dal piacere.

"Ben fatto, Vraska", le disse. "Sarai ricompensata per la tua lealtà."

Vraska si inchinò, di nuovo in possesso della propria mente, e sentì il peso di un oggetto manifestarsi in una delle sue tasche.

"Un dono per una fedele servitrice. Ti sei meritata un regno tutto per te."

"Vi ringrazio per la vostra fiducia."

"Sono io a doverti ringraziare. Sarò lieto di usufruire di nuovo dei tuoi servizi in futuro."

"Sapete come contattarmi", rispose Vraska con un sorriso professionale.

Nicol Bolas fece un gesto con una mano per indicare che il loro dialogo era terminato e Vraska se ne andò.

L’incontro era durato solo alcuni minuti. Vraska ritornò nei suoi appartamenti di Ravnica . . . confusa.

Bolas era soddisfatto, ma lei si ritrovò con il pensiero che a lui fosse sfuggito qualcosa di importante . . . o forse era lei a non aver colto qualcosa? Si sentì inquieta, sebbene non riuscisse a ricordare nulla di mancante . . . o il perché.

Vraska rimosse dalla mente quella sensazione. Il drago aveva ottenuto ciò che desiderava, così come anche lei! Si infilò una mano in tasca ed estrasse un piccolo pezzo di carta.

"LUI È SOLO ED È IMPRIGIONATO QUI", vi era scritto con la stessa calligrafia dei precedenti messaggi di Nicol Bolas. "CONGRATULAZIONI, CONDOTTIERA DI GILDA VRASKA." Il luogo indicato nel messaggio si trovava in un angolo poco popolato della città. Un luogo perfetto per gestire la feccia in un modo correttamente sinistro.

Vraska sorrise e andò verso il lavandino. Dopo tutto, quella sarebbe stata una notte divertente e Vraska ritenne di dover sistemare il proprio aspetto e le proprie sensazioni prima di uscire. Il suo compito avrebbe potuto aspettare ancora alcune ore.

Si ripulì il volto con uno straccio, mise il bollitore sulla stufa, osservò gli appunti che aveva preso da uno scaffale e rimase in contemplazione di ciò che avrebbe detto a Jarad prima di pietrificarlo.

JACE[]

Jace si era nascosto con un velo di invisibilità nel momento in cui il Sole Immortale era svanito e aveva osservato Vraska andarsene. Una serie di volti familiari era precipitata attraverso il soffitto nel momento in cui il Sole Immortale non li aveva più retti. Sempre perfettamente nascosto, li aveva osservati bisticciare e andarsene indignati.

Malcolm e Braghe si trovavano ancora nella sala superiore. Jace contattò Malcolm (sicuramente il più affidabile dei due) e gli inviò un semplice messaggio. Percepì Malcolm arrestarsi, sopra di lui.

La capitana è al sicuro, ma è molto lontana da qui, pensò Jace, scegliendo con attenzione le parole. Dovrò assentarmi per un po’ e ho bisogno che tu dica all'equipaggio quanto siete importanti per me.

Sarai sempre uno di noi, Jace, rispose una voce gentile nella mente di Jace. Sei stato un pirata eccellente.

Chi dice che io non lo sia più? , pensò Jace con un sorriso. In bocca al lupo, Malcolm.

Anche a te, Jace.

Jace interruppe la connessione e percepì Malcolm andarsene, con la mente che vagava sempre più lontana.

Osservò ognuno degli altri andarsene dalla stanza di Azor e poi rimosse il velo di invisibilità.

Jace sapeva di dover andare su Dominaria, ma rimase immobile.

L’aria della sera di Ixalan stava penetrando in quel luogo sacro. Al calar del sole, il suono degli uccelli notturni e dei dinosauri riecheggiava sul ronzio degli insetti.

La sua mente vagò fino alla promessa di un caffè e di un libro. Quel pensiero gli fece turbinare le viscere come foglie mosse dal vento. Gli tornò in mente la voce sicura della sua capitana e il suo saldo amore per se stessa, nonostante gli spaventosi doni con cui era nata (finalmente qualcuno che potesse comprendere quel fardello). Lei avrebbe compiuto qualsiasi azione per i suoi compagni e aveva sacrificato parte di sé per garantire la sopravvivenza di Ravnica.

Era speciale.

E anche lei pensava che lui lo fosse.

Jace sorrise a se stesso e osservò il luogo intorno. Era una splendida stanza, nonostante quell’enorme foro nel soffitto. Ixalan era un mondo strano, ridicolo e meraviglioso. Jace sperò di potervi tornare, un giorno, con Vraska. Incontrare l’equipaggio della Belligerante. Dedicarsi a qualche altra razzia, per il gusto di farlo. Ma non era quello il momento; non avrebbe voluto essere come Azor.

Jace si guardò.

L’abbronzatura era reale. I graffi, le mani callose, i muscoli (i muscoli!) erano davvero suoi. Per la prima volta nella sua vita, Jace si sentì fiero del proprio corpo. Ora non avrebbe dovuto lasciarsi andare. Gideon sarebbe potuto essere utile, dato che aveva cercato per un anno di imporgli un programma di allenamento.

Un pensiero si infilò nella mente di Jace. Che cosa dirò quando incontrerò di nuovo i Guardiani?

Jace venne preso dal panico. Qualcuno di loro conosce Vraska? E se fossero impegnati in qualche impresa? E se fossero partiti per qualche altro piano e io non riuscissi a trovarli per riferire loro di Ravnica? E se fossero tornati su Innistrad, Kaladesh o Zendikar? E se fossero insieme a Ugin?! Che diavolo potrò dire a Ugin?! "Ciao, riguardo al tuo amico, sai, quello con cui non hai parlato da mille anni; ora si trova su un’isola, perché ha creato dei danni. Inoltre, stavi cercando di utilizzarmi per attirare Bolas su Ixalan per imprigionarlo, vero? Che cosa ti ha bloccato su Tarkir? Tutto ciò che hai fatto aveva in realtà lo scopo di sconfiggere Nicol Bolas? In questo caso, è meglio che ti impegni di più."

Jace si sentì incredibilmente piccolo. Nessuna di queste domande lo avrebbe aiutato. Nessuna di queste chiacchiere avrebbe protetto il suo mondo. Scelse di mettere da parte quelle domande. Ravnica era più importante. Lui era il Patto delle Gilde Vivente, ma era anche molto di più. Sulle labbra di Jace apparve un mezzo sorriso. Io sono quello che elabora un piano che prevede una capitana pirata che sabota gli intrighi di un drago. Questo è ciò che sono.

La sala di Azor era ora avvolta dall’oscurità. Piccole luci danzavano nella giungla all’esterno e la cima delle fronde era illuminata dalla luce della luna.

Non poteva aspettare più a lungo.

Viaggiare da un piano all'altro era complicato; non era un processo perfetto e le destinazioni potevano di solito essere raggiunte solo se non erano nuove. La maggior parte delle volte, viaggiare verso un piano nuovo era possibile concentrando l’attenzione su un Planeswalker conosciuto. Il primo istinto di Jace fu contattare i suoi amici su Dominaria concentrandosi su Liliana, ma il pensiero di lei lo spinse a fermarsi. Ciò che provava ora per lei non era più simile ad affetto. Era una sensazione più nauseante. Un legame anemico, vecchio e angosciante, che sembrava più terrore che dolcezza. L’intera idea di lei era inquietante per lui, quindi si concentrò sugli altri.

L’intensa e brillante bontà di Gideon splendeva attraverso la Cieca Eternità come un faro, quindi Jace decise di utilizzarlo come riferimento.

Jace sentì la propria forma fisica scintillare e svanire e si inoltrò nell’etere, in quell’insieme di suoni e luci che era solito accoglierlo.

Qualcosa non andò per il verso giusto.

La posizione di Gideon su Dominaria era in movimento, non alla normale velocità di una camminata o di una cavalcata, bensì più velocemente del ragionevole.

Come poteva muoversi in quel modo?!

Il suo cuore iniziò a battere più forte al pensiero di aver bisogno di aiuto.

Jace regolò il proprio spostamento attraverso l’etere, mantenendo la posizione di Gideon come destinazione e rapidamente prendendo in considerazione la sua velocità. Strinse le braccia ai fianchi, modificò la sua direzione in base alla velocità di qualsiasi cosa stesse per raggiungere e sentì il velo di Dominaria avvicinarsi.

Non poteva ovviamente scorgere la propria destinazione, ma ebbe l’idea delle dimensioni e della forma di ciò che stava prendendo come riferimento. Ciò che fece temere Jace fu il fatto che Gideon sembrasse viaggiare a una velocità molto elevata. Imprecò e regolò un’altra volta la propria direzione. SU CHE COSA SI STA MUOVENDO?

Jace sapeva molto bene che, se non fosse riuscito a regolare lo spostamento in maniera corretta, sarebbe andato a finire dentro un oggetto solido oppure proprio di fronte all’oggetto appena prima di essere colpito dal suo movimento.

Le parti del suo cervello che non erano concentrate sulla traiettoria dello spostamento erano uno sconfinato coro di imprecazioni. Pensò distrattamente a quanto Vraska sarebbe stata fiera di quanto il suo vocabolario si fosse espanso.

Poté percepire Gideon attraverso l’etere e puntò su di lui mentre rallentava quanto bastava per non materializzarsi in un corpo solido.

Jace attraversò l’etere e si ritrovò su un muro. Emise un lungo sospiro e poi inspirò l’aria di un nuovo piano.

Il primo rumore che udì fu il cigolio del legno e il rassicurante ronzio di una macchina.

Comprese di essere atterrato su qualcosa di leggermente appiccicoso e alzò lo sguardo per scoprire chi si trovasse nelle vicinanze.

La stanza era piena di persone che lo stavano osservando.

Jace riprese fiato e fece un cenno sgraziato con una mano.

"Buongiorno. Salve. Scusate. Non mi aspettavo di arrivare proprio qui", disse con tono ansimante. "Ho dovuto modificare la mia traiettoria in base alla vostra velocità." Jace rimosse la tensione dalle proprie membra e si mise a ridere. "Accidenti! Non mi sono mai spostato su un oggetto in movimento... su cosa ci troviamo esattamente? Come viene alimentato? Quanto rapidamente si muove?" Indicò vagamente la struttura intorno mentre pronunciava senza fiato le sue domande.

Spostò lo sguardo da un volto all’altro e non trovò alcuna risposta. Udì rapidi passi su metallo e vide Gideon sbucare da una porta vicina, con occhi spalancati e corpo congelato dallo stupore. La sua espressione era sopraffatta dalle emozioni. Era un’espressione di una persona sul punto di piangere dalla felicità per il fatto che fosse vivo. Era un amico.

Jace sorrise con gioia. "Gideon! Non sono morto!"

Vide Gideon sporgersi in avanti per abbracciarlo, ma una delle altre persone nella stanza si mise improvvisamente tra loro. Sembrava essere sulla settantina. Indossava spesse vesti rosse e la chioma argentea era legata in una treccia accennata e in qualche modo annodata su un lato. Squadrò Jace con un sorriso distante e divertito visibile agli angoli della bocca. La donna osservò Gideon dietro di sé e sollevò un sopracciglio.

"Chi è il topo di biblioteca?"

Barra

Apatzec osservava la superficie del suo xocolātl nella tazza e sorrise. Ogni pesante passo del sauropode al di sotto della sua carovana rischiava di far strabordare il liquido da una parte o dall’altra e spingeva la superficie a barcollare sull’orlo della tazza, finché la gravità non lo spingeva verso l’altro lato al passo successivo. I passi del dinosauro procedevano a un ritmo lento ma costante, che riecheggiava nel cuore dell’imperatore Apatzec III.

Una parte della sua mente si chiese se gli Araldi del Fiume avrebbero puntato a conquistare Orazca per prima, ma poi gli tornò in mente quanto fossero codardi. Sarebbe stato facile.

La piattaforma dell’imperatore era stata fissata con cura all’altisauro più resiliente per quel viaggio verso Orazca, che Apatzec stava apprezzando molto. Essendo un personaggio reale, non aveva mai avuto motivo per allontanarsi dal palazzo. La piattaforma per le processioni reali si era ricoperta di polvere per il disuso. Il ritorno di Huatli... e il dinosauro che aveva portato con sé... gli diedero un motivo sufficiente per ordinare che la piattaforma venisse pulita e preparata per quel viaggio.

Nonostante Huatli avesse insistito per un accordo pacifico, Apatzec sapeva che apparteneva a lui. Aveva immediatamente inviato un battaglione dei suoi cavalieri più forti a liberare la città e ora si era messo in viaggio per rivendicarla in nome dell’Impero del Sole.

La missione era proceduta senza intoppi. La città era deserta. Gli Araldi del Fiume non avevano neanche cercato di opporsi.

Sopra le cime degli alberi di fronte, poté scorgere le guglie dorate di Orazca. Perforavano il cielo come spilli e scintillavano nel sole del pomeriggio come dei gioielli. Apatzec fu affascinato dalla loro vista e si chiese come quella scena sarebbe stata descritta dai poeti del futuro. L’imperatore non era noto per il suo linguaggio elevato. Tutto ciò che sapeva era di essere soddisfatto per essere riuscito dove la madre aveva fallito.

Orazca era ora visibile su entrambi i lati. All’entrata nella città, gli alberi lasciavano posto a pilastri dorati. Gli edifici si ergevano alti verso il cielo, sufficientemente alti da sorprendere Apatzec per l’opera che i suoi progenitori avevano portato a termine. L’altisauro di Apatzec riusciva addirittura a passare al di sotto dell’arcata principale.

Con un aiuto, Apatzec scese a terra dalla piattaforma. La processione si era fermata alla base di un tempio centrale e centinaia di cavalieri erano disposti in formazione, in attesa del suo arrivo. Un sacerdote gli fece scivolare sulle spalle un mantello di piume e posizionò un bastone di ambra nella sua mano.

Apatzec sentì in quel mantello il peso dei suoi progenitori. Percepì la presenza di una linea ininterrotta di imperatori prima di lui e si sentì enormemente fiero di essere riuscito a rivendicare ciò che era stato perduto. Si voltò verso il suo popolo e sorrise.

"Orazca è di nuovo in nostro possesso", disse. "I tre aspetti del sole splendono intensi e segnano l’inizio di una nuova era di conquiste per l’Impero del Sole. Ixalan è nostra . . . e il Torrezon lo sarà presto."

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