Magic: the Gathering Wiki
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Jace Beleren (Planeswalker)/Ixalan narra la storia del Blocco di Ixalan dal punto di vista di Jace.

Storia[]

Jace è solo[]

Senza memoria[]

Dopo essere stato sconfitto da Nicol Bolas su Amonkhet, Jace viaggiò senza meta nella cieca eternità per sopravvivere all'attacco mentale da parte del drago e finì su Ixalan. Si svegliò con un tremendo mal di testa, completamente privo di memoria. Qualcosa alla sua sinistra spezzò un ramoscello, girò la testa e rimase pietrificato nel vedere una specie di lucertola, ma molto più grande. La creatura stringeva un uovo tra gli artigli, lo guardò e proseguì per la sua strada. La lucertola gli era sconosciuta, ma ogni altro elemento nella situazione in cui si trovava gli trasmetteva una curiosa sensazione di déjà-vu. Si alzò e, barcollando, s’incamminò per il sentiero che aveva preso la creatura. Arrivò su una spiaggia sconfinata e vide che alcune strutture rocciose creavano un arco naturale tra la spiaggia e il mare, mentre la giungla rigogliosa formava un’aspra e fitta parete sull’orlo della sabbia. Jace gridò chiedendo se ci fosse qualcuno, ma non ottenne risposta e mentre escludeva tutte le spiegazioni logiche dalla sua lista mentale, entrò nel panico. Non sapeva come fosse arrivato in quel luogo, né come si chiamasse, dove si trovasse quella giungla, perché fosse finito su una spiaggia, né perché era coperto di lividi o gli facesse male la testa. Voleva andarsene da lì. L’immagine di un luogo sconosciuto balenò nella sua mente e istintivamente iniziò a viaggiare nella cieca eternità. Provò una sensazione familiare, piacevole e confortante. Capì che era qualcosa che aveva già fatto prima. Il suo corpo si stava dissolvendo e frantumando: avrebbe dovuto essere una sensazione terribile, invece lo faceva sentire davvero sé stesso. Cercò di intensificare quella sensazione, sperando che, se il suo corpo fosse svanito del tutto, avrebbe completamente recuperato la sua mente, ma poi si sentì come risucchiato, bruscamente riportato indietro da una potente forza che gli impedì di varcare la soglia di quella sorta di portale metafisico a cui era giunto. Si ritrovò sulla stessa spiaggia da cui aveva tentato di fuggire. Esausto e incredulo cadde al suolo mentre nell'aria apparve un triangolo luminoso, racchiuso in un cerchio. Tentò di ricostruire come fosse arrivato su quell'isola e cercò di rammentare il suo nome, ma non ottene risultati. Decise che avrebbe potuto capire come era arrivato lì in altri modi e si tolse i vestiti. Guardò i suoi effetti personali, poi si soffermò a osservare per la prima volta la sua mano destra senza guanto e vide che era attraversata da una cicatrice perfettamente lineare che scendeva lungo l’avambraccio destro: qualcuno l’aveva incisa intenzionalmente. Era coperto di lividi dovuti a una recente battaglia, ma sentiva molte altre cicatrici lungo la schiena. Si chiese chi l'avesse ridotto in quello stato. Si rimise un guanto sopra la ferita, poi posò lo sguardo sui suoi vestiti appoggiati sulla sabbia e cercò di immaginare chi avrebbe potuto indossarli. Chiunque fosse proveniva da un luogo molto più freddo: i tessuti erano pesanti, adatti alla pioggia e a un gelo pungente, il mantello era piuttosto appariscente non vistoso, ma il motivo sulla stoffa era tutt’altro che discreto. Si stupì notando che non aveva risorse di alcun tipo; chiunque egli fosse, non sembrava preoccuparsi di portare con sé delle armi. Il simbolo sul mantello attirò la sua attenzione, gli era familiare. La luna era ormai alta nel cielo e Jace decise di riposare, si sentiva indifeso, si coprì con il mantello e chiuse gli occhi, con il disperato desiderio di dormire per tutta la notte senza essere scoperto da qualsiasi altra creatura popolasse quell’isola. Si addormentò e, a sua insaputa, divenne completamente invisibile.

Le illusioni[]

Si svegliò al mattino con i primi raggi del sole e iniziò a esplorare l'isola. Dopo aver scoperto le dimensioni dal momento che una giornata a piedi era sufficiente a percorrerne la circonferenza, Jace costruì un rifugio nel punto in cui gli alberi incontravano la spiaggia. La fatica nel sollevare i pali di legno recuperati in giro e nel fissarli con strisce di corteccia gli fece capire che prima di perdere la memoria non era abituato all’esercizio fisico. I suoi muscoli erano deboli per lo scarso utilizzo e si chiese come il suo precedente io pensasse di poter sopravvivere senza armi o strumenti. Il lavoro, tuttavia, lo rese più forte e, nonostante le vesciche e le scottature dovute al sole, riuscì a costruire una piattaforma coperta su cui dormire. Riuscì a procurarsi con difficoltà del cibo e ad accendere il fuoco, ma la gioia si trasformò in panico quando si rese conto che le fiamme non erano reali. Pensò di essere impazzito, ma si disse che la sua salute mentale era irrilevante, se la sola verità che poteva conoscere era la sua realtà attuale. Giungere a quella consapevolezza era stata una liberazione per Jace, che decise di creare un nuovo strumento ogni giorno e si sentì molto orgoglioso di ognuna delle sue invenzioni. Mentre esplorava e scopriva, ebbe delle visioni che gli si manifestavano lungo il cammino, ma si abituò a esse; alcune erano più nitide di altre, ciascuna con una voce e un viso caratteristici. Alcuni giorni dopo, Jace accese un falò sulla spiaggia e poi s’immerse nel mare: avvertì la forza della marea contro le gambe, sentì il sapore del sale sulle labbra e dalla spiaggia gli giunse l'odore del fuoco; tutto sembrava reale. Jace esaminò le sue percezioni e si chiese se le sue allucinazioni fossero in realtà manifestazioni magiche. Chiuse gli occhi e si costrinse a trovare quella scossa di energia dentro di lui, esplorò la sua mente e ordinò a sé stesso di creare. Aprì gli occhi e si ritrovò di fronte un riflesso di sé in piedi sull’acqua. Corse a riva sorridendo, si disse che era un mago e che stavo dando vita a frammenti di ricordi; le sue creazioni non erano allucinazioni, ma illusioni. Mise alla prova il suo talento facendo apparire prima un cavallo, poi un elefante, subito dopo un mostro marino e infine trasformò il giorno in notte, riempiendo la spiaggia di un reticolo infinito di stelle evanescenti. Tuttavia, quando la gioia della scoperta della sua magia svanì, Jace si sentì estremamente solo, fece svanire l’illusione e si ritrovò su una spiaggia altrettanto vuota.

Reagire[]

Tornò al boschetto dove si era svegliato la prima volta su quell'isola. Cercò di ordinare ai suoi poteri di portarlo via, ma non successe nulla. Chiuse gli occhi e cercò di ricordare che aspetto avessero i suoi amici, o la sua casa, ma non vide nulla. Subito dopo apparve l'illusione di una donna, lui decise di ignorare il fatto che non fosse reale e le disse che non sapeva chi fosse e l'altra rispose che non sapeva chi era lei quando si erano conosciuti e non poteva certo saperlo in quel momento e continuò che era difficile costruire un legame di fiducia quando entrambi dubitavano l’uno dell’altro. Jace chiese chi era lui prima di arrivare lì e la donna rispose che non era chi credeva di essere, nessun altro riusciva a vedere oltre la facciata, ma lei si: non era mai stato un condottiero, né un investigatore, né uno studioso; era solo un bambino spaventato che giocava a fare il grande. Poteva ingannare chiunque altro con le sue magie e illusioni, ma non era mai riuscito a illudere lei. Jace allungò di scatto la mano per spingerla via e l’immagine della donna svanì. La disperazione cominciò ad addensarsi, tramutandosi in furia, si alzò in piedi, serrò i pugni e sferrò un colpo a un tronco di bambù. La forza dell’impatto gli fece sanguinare le nocche, ma non se ne preoccupò e iniziò a camminare avanti e indietro. Sentì che qualcosa in fondo alla sua mente espresse magicamente la volontà di non creare illusioni involontarie: era lui ad avere il controllo sulla sua mente e a dominare le sue capacità. Si chiese se l’illusione che aveva visto fosse la manifestazione di una parte di se stesso o il ricordo spezzato di una persona a lui vicina. Si domandò se avesse mai avuto amici e come poteva meritarne, se si circondava di persone come quella donna. Alla fine Jace si disse che non aveva importanza chi fosse stato, perché aveva l’opportunità di scoprire chi era adesso, ciò che era prima era irrilevante perchè sarebbe diventato la persona che voleva essere. Capì cosa doveva fare: dimostrare a sé stesso che meritava di sopravvivere. Si mise al lavoro, faticò senza sosta per cinque giorni e costruì un zattera piccola ma resistente. Era consapevole che salpando poteva andare incontro alla propira morte, ma desiderava disperatamente sapere cosa si trovasse oltre il mare. Si mise in viaggio inizialmente senza problemi ma dopo qualche giorno venne colpito da una tempesta che distrusse la sua zattera, ma riuscì ugualmente a raggiungere una nuova isola.

Il pozzo della mente[]

Rimase in bilico tra il sonno e la veglia. Non aveva le forze di alzarsi ed esplorare i dintorni, ma era evidente che aveva lasciato un’isola perfettamente abitabile per ritrovarsi su una orribile. Una piccola parte di lui, però, era in qualche modo certa che potesse semplicemente andarsene. Si appoggiò agli scogli, chiuse gli occhi e lasciò che il rumore delle onde e il sole bruciante svanissero dalla sua coscienza e, nella sua mente, immaginò un pozzo. I lati erano di liscia pietra grigia, ma passando la mano sul bordo percepì che un tempo era stato pieno di un’intera vita di ricordi, ora scomparsi. Si arrampicò oltre il bordo del pozzo e si lanciò verso le profondità della sua mente. La caduta fu lenta e controllata e vide ricordi di quando si era svegliato sull'isola privo di memoria. Continuò a cadere e le visioni familiari svanirono e sentì che si stava avvicinando a un tipo di conoscenze differenti che si erano accumulate lì durante la sua vita passata, cose che non ricordava di aver imparato, ma che era felice di non aver dimenticato. Cadde ancora più in basso e la pietra del pozzo lasciò il posto a fitti banchi di nebbia, capì che qualunque cosa si trovasse lì in passato, ora era scomparsa. Una parte, però, era rimasta; sospesa come un gioiello d’argento, una luce sfavillante incastonata nel pozzo della sua mente. Quella parte che lo rendeva la persona che era e che gli avrebbe permesso di fuggire. Ignorava cosa fosse, ma l’aveva avvertita una volta e sapeva che era la sua ultima speranza. Jace aprì gli occhi, respirò a fondo, poi attinse al potere di quella parte lucente di sé che aveva scoperto nelle profondità della sua mente e provò nuovamente a viaggiare nella cieca eternità. Di nuovo, si sentì tirare indietro con forza e l'ormai familiare sigillo con il triangolo nel cerchio apparve sulla sua testa. Restò disteso sugli scogli, chiuse gli occhi e discese di nuovo nella sua mente in cerca di una risposta.

La gorgone[]

Fu risvegliato da grida in lontananza e vide una nave che si ergeva vicino all’affioramento roccioso. Chiuse gli occhi vinto dalla spossatezza, udì i remi di una scialuppa che infrangevano l’acqua e poco dopo sentì una voce femminile dirgli che nello stato in cui si trovava, ordinargli di stare fermo era inutile e che cercare di viaggiare verso un altro piano da quel mondo era come sbattere contro una finestra. Lo chiamò e gli intimò di rivelarle per chi lavorasse in cambio di una morte indolore. Jace non rispose, ma socchiuse gli occhi e la vide: era una gorgone e capì che doveva essere la capitana della nave, ma cosa ancora più importante per lui, si rese conto che lei lo conosceva. L'altra lo chiamò "Jace" e gli chiese cosa gli fosse successo.

L'abile Capitana Vraska[]

Salito a bordo della Belligerante, Jace si rifocillò. Rimase da solo con Vraska, che gli disse di spiegarle come era riuscito a trovarla prima che lo trasformasse in pietra. Jace rispose che non la stava cercando e che non sapeva nemmeno chi fosse. I due parlarono, l'altra si presentò come Vraska e alla fine credette alla perdita di memoria. Con curiosità Jace chiese come si erano conosciuti. Vraska rispose con una mezza verità dicendogli che gli aveva chiesto di lavorare con lei e lui aveva rifiutato. Lui chiese di che tipo di lavoro si trattasse e lei disse che aveva sperato che avrebbero potuto collaborare per sbarazzarsi di persone ignobili che si trovavano in posizioni molto importanti. Jace chiese cosa avevano fatto quegli individui. Vraska serrò le labbra, gli voltò le spalle e pensò che l'avevano arrestata, picchiata e rinchiusa, anche se non aveva commesso alcun crimine. Non rendendosi conto che le aveva letto la mente, Jace chiese se parlava seriamente. Vraska girò la testa nuovamente verso di lui e il telepate commentò che non le sarebbe mai dovuto accadere. Lei rispose che il suo passato faceva parte di lei, ma non era chi era diventata ora. Lui sorrise e disse che conosceva bene quella sensazione e lei chiese quale fosse la prima cosa che ricordasse. Usando le sue illusioni, Jace le riassunse i suoi ultimi quaranta giorni. Vraska chiese se non ricordasse proprio nient’altro, Jace le rivolse uno sguardo malinconico e ripeté le parole che aveva usato lei sul suo passato. Alla fine lei gli disse che quando sarebbero arrivati al prossimo porto sarebbe stato libero di decidere il suo destino e lui annuì.

Otto giorni dopo Jace trovava difficile comportarsi da ospite sulla Belligerante. Il medico di bordo gli aveva ordinato di riposare sotto coperta, ma tutti avevano scoperto che era incapace di restare in un unico luogo troppo a lungo. Durante una giornata di calma piatta Jace smontò e rimontò un cannocchiale mentre intorno a lui si era riunito un gruppetto di marinai che lo guardavano affascinati. Quando finì consegnò il cannocchiale riassemblato a Vraska e si ritirò, ma lei lo richiamò e chiese se poteva riparare anche il suo. Jace sorrise e le diede una pacca amichevole sulla schiena, ma l'altra reagì indietreggiando bruscamente e urlandogli di non farlo. Lui si scusò e con voce tesa Vraska lo rassicurò, ma gli chiese di non farlo nuovamente. Successivamente, una nave della Legione del Vespro venne avvistata. Mentre Vraska urlava ordini, Jace arrivò sul ponte. Lei lo chiamò, gli spiegò che volevano abbordare la nave nemica e chiese se poteva mimetizzare la Belligerante mentre si avvicinavano. Lui lo fece e Vraska usò un antico incantesimo di silenzio. Si avvicinarono al galeone fino a una distanza pari alla lunghezza di una nave e quando furono pronti, l'incantesimo del silenzio svanì, la nave tornò nuovamente visibile e un terzo della ciurma innalzò un grido di guerra mentre abbordava con funi uncinate il ponte della nave nemica. L’equipaggio del veliero vampiro sobbalzò, sorpreso per l’assalto: quasi tutti vennero facilmente sottomessi. Alcuni ebbero la prontezza di riflessi di estrarre le armi e si sforzarono di mantenere una certa compostezza mentre la ciurma di Vraska infuriava. La gorgona corse lungo il fianco del cassero di poppa e si lanciò attraverso la plancia, facendosi largo tra umani e vampiri a suon di fendenti con la sua sciabola. Jace la seguì in battaglia, evocando varie copie di se stesso che corsero incontrollate attraverso la folla, confondendo i vampiri e attirando l’attenzione, distraendo i nemici quanto bastava affinché i pirati avessero la meglio. Quando Vraska iniziò a combattere contro il capitano vampiro, Jace apparve prima alla sua sinistra, e poi alla sua destra: le due illusioni ingannarono il vampiro per un tempo sufficiente permettendo a Vraska di assestargli un colpo. Il vampiro riuscì comunque ad afferrare Jace al collo, tuttavia col suo intervento aveva fatto guadagnare a Vraska abbastanza tempo; lei fissò il vampiro negli occhi e scatenò l’energia magica che aveva accumulato, trasformandolo in pietra.

Jace si liberò dalle grinfie del vampiro pietrificato e fissò Vraska con aria sorpresa, con uno sguardo di ammirazione: era strabiliato. I vampiri sopravvissuti si inginocchiarono in segno di sottomissione, Vraska diede degli ordini, poi percorse la plancia sospesa tra le due navi e Jace la seguì. Una volta giunti sulla loro nave, lui la ringraziò per averlo salvato. Lei lo guardò confusa e chiese se non l'avesse spaventato, ma l'altro scosse la testa e rispose che credeva che lei avesse un grande talento. Dopo essere rimasta in sielenzio per un po', Vraska gli disse che un tempo aveva pensato che sarebbero potuti essere una squadra vincente e gli chiese se voleva restare nella sua ciurma e aiutarla nella sua missione. Jace accettò felice e curioso di continuare a esplorare.

Qualcosa di inaspettato[]

La ricerca di Orazca[]

Jace trascorse i giorni successivi in uno stato di permanente euforia. Cercava di mantenersi attivo e occupato in qualche modo, ma era costantemente distratto dal continuo trambusto. La Belligerante scricchiolava e gemeva mentre solcava le onde, la ciurma cantava, rideva e riferiva ordini, ma sopra, attorno e dentro ogni suono sembrava scorrere una corrente segreta di conversazioni e anche quando le sue orecchie non udivano nulla, sentiva comunque un chiacchiericcio continuo. Era irritante, ma Jace era giunto alla conclusione che la soluzione migliore fosse quella di soffocare quel rumore dandosi da fare, così decise di ricavarsi un ruolo nella ciurma e iniziò con piacere a imparare nuove tecniche e accettare le diverse mansioni dagli altri membri dell'equipaggio e dedicava un’ora al giorno a far pratica con le sue illusioni. Cinque giorni dopo l’arrembaggio andato a buon fine contro la nave della Legione del Vespro, la ciurma approdò alla Secca senza necessità di procurarsi costosi rifornimenti. Dietro ordine di Vraska, sbarcarono per riposarsi, rilassarsi e divertirsi. Jace venne invitato da Amelia a giocare a carte, ma Vraska disse che lei e Malcolm dovevano parlare in privato con lui. I tre entrarono alla taverna della Ritirata del Nostromo e si sedettero a un tavolo. Malcolm portò da bere, brindarono al loro lavoro di squadra e, quando i bicchieri erano ormai a metà, Vraska estrasse una bussola dalla giacca e la posò sul tavolo. Disse che lui sapeva già che loro stavano svolgendo una missione speciale e spiegò i dettagli: lei era stata contatatta dal signor Nicolas che l'aveva ingaggiata per recuperare un oggetto che conferiva un grande potere, nascosto a Orazca e la bussola conteneva in sè un incantesimo che puntava verso la città dorata. Malcolm intervenne e disse che loro stavano cercando il Sole Immortale, gli raccontò di come venne rubato dal monastero della Legione a Torrezon e dell'essere alato che discese dal cielo e prese il manufatto, trasportandolo dall’altro lato del mare, a ovest. Nessun essere vivente sapeva quale fosse l'esatta ubicazione di Orazca, ma la bussola era in grado di aiutarli nella ricerca. Vraska aggiunse che la bussola cambiava spesso direzione ed era così che l'avevano trovato; forse lui poteva cercare di capire come funzionasse, così avrebbero evitato di deviare di nuovo dalla rotta per una distrazione.

Leggere le menti[]

I due camminarono insieme verso la nave. Jace le chiese se sapeva se lui era in grado di leggere la mente. Vraska si fermò di scatto e il "si" risuonò chiaramente nella mente di Jace. Lui chiese perchè non glielo avesse detto prima. Rispose che non voleva che la leggesse senza il suo permesso. Jace osservò le decine di sconosciuti che animavano le strade della Secca. Era come se un ingranaggio allentato nella sua mente fosse stato improvvisamente serrato, i suoni e le voci erano così nitidi, ora appariva tutto come strutture splendide, ognuno aveva una mente fragile e preziosa come il cristallo e sapeva che, se avesse voluto, avrebbe potuto rivoltarle ed esplorarne l’interno come statue di vetro soffiato. Disse che le menti erano delicate, una struttura fatta di forma, ma anche di suono; come un’orchestra in una sfera di cristallo. Vraska chiese cosa provasse a sentirle e lui rispose che era rumoroso come un mare di bicchieri di cristallo, ognuno dei quali emetteva una nota diversa. Ora che sapeva cos’erano tutti quei frammenti di voci e conversazioni, Jace ebbe la sensazione di poter spegnere il rumore. Si concentrò e le voci nella sua mente tacquero. Poteva ancora avvertire la struttura diafana, elaborata e fragile delle menti che incrociava, ma adesso queste non emettevano suono. Vraska disse che gli proibiva di leggere la sua mente e quelle dell'equipaggio, ma con chiunque altro aveva carta bianca tranne il loro datore di lavoro, anche se lei credeva che fosse un telepate più potente di lui. Jace chiese se lo conoscesse e lei rispose di no, ma lui avvertì i suoi pensieri in lontananza e capì che in realtà non lo sapeva. Chiese come si chiamava la loro città e lei rispose sorridendo che si chiamava Ravnica. Jace avvertì un’immagine che prendeva forma sulla superficie della mente di Vraska e la manifestò usando le sue illusioni. Il telepate chiese se quella fosse Ravnica, lei confermò, poi si mise sulle difensive e l'altro si scusò. Vraska disse che l'importate era che lui non lo facesse una seconda volta e Jace dovette far appello a tutto il suo autocontrollo per evitare di sfiorarle la mente e scoprire cosa sentisse. Jace fece svanire l'illusione e chiese se avrebbero parlato ancora di Ravnica. Vraska rispose che era probabile e lui sorrise pensando che non gli importava attendere. Trovarono la nave deserta e sedettero in coperta, nessuno dei due aveva voglia di andare alla festa, così rimasero a bordo. Jace aveva imparato a non cercare di ottenere risposte a ogni costo, ma era un desiderio che non lo abbandonava mai. C’erano tante cose che non sapeva e anelava a conoscere qualsiasi dettaglio che gli fornisse indizi sul suo passato. Parlarono ancora un po' della telepatia e Jace vide il frammento di un ricordo: un essere con un viso d’uomo e gli occhi pieni di terrore che rantolava mentre le sue ali sbattevano inerti al suolo. Incerto se fosse frutto della sua immaginazione, decise di tenerselo per sé. Ad alta voce si chiese quante menti avesse spezzato fino a quel momento. Vraska domandò se fosse stato in grado di perdonarsi, se avesse fatto una cosa del genere. Jace disse che credeva che annientare una mente significasse infliggere un destino peggiore della morte e in pratica lei gli stava chiedendo se esisteva redenzione per chi uccideva. L'altra confermò e lui rispose che esistere significava adattarsi a circostanze mutevoli, l’identità era l’insieme di nozioni che una persona aveva appreso in tali circostanze e le loro azioni fornivano i mezzi per alterare il loro cammino: ognuno era chi decideva di essere e chi sarebbe diventato sarebbe dipeso solo da come decideva di adattarsi. Vraska chiese se il suo passato fosse davvero così insignificante per lui. Jace rispose che doveva esserlo perchè se era in grado di fare ciò che pensava, allora aveva fatto del male a molte persone, ma era il futuro che lo avrebbe reso quello che era perchè le sue scelte avrebbero influenzato chi sarebbe diventato.

Il passato di Vraska[]

Vraska gli parlò di Ravnica e delle sue gilde, gli raccontò che quando era più giovane gli Azorius emisero un mandato di arresto per tutti i membri Golgari sebbene quest'ultimi non avessero fatto niente di male; dal momento che era una gorgone diedero per scontato che facesse parte della gilda e arrestarono anche lei. Insieme ad altri venne rinchiusa in una prigione dove la violenza era l'unico metodo di negoziazione. La portarono via e la rinchiusero da sola in una stanza dove la picchiarono e le sue ferite restavano infette per settimane. Quando alla fine le tolsero la benda che le avevano messo sugli occhi fece ricorso a un tipo di magia di cui ignorava l'esistenza e riuscì a fuggire, ma anche il posto in cui si rifugiò era una prigione e lei rimase intrappolata lì, sola, per un bel po’ di tempo con l’unica compagnia dei terribili ricordi di tutta quella crudeltà. Continuò che "tutti dovrebbero avere la morte che si meritano" e spiegò che quelle parole erano diventate il suo motto e le avevano dato conforto, tuttavia, non aveva ancora deciso se meritavano davvero tutti di morire; la sua magia era incentrata sulla morte, ma lei non provava piacere a uccidere. In passato l'aveva fatto perché non aveva avuto altra scelta, ma ora doveva fare quello che era giusto per gli altri come lei: se fosse riuscita nella sua missione il loro datore di lavoro l'avrebbe resa capogilda dei Golgari. Jace disse che aveva già dato prova di essere la persona giusta per quell’incarico e che i migliori condottieri comprendevano le persone che dovevano proteggere. Notanto il suo disagio, lui chiese spiegazioni e Vraska disse che non sapeva che idea avrebbero avuto di lei i Golgari quando sarebbe tornata a casa. Jace replicò che sarebbe stata lei a decidere come l'avrebbe vista la sua gente e, a renderla ciò che era non erano le circostanze o il passato, ma le scelte che avrebbe fatto nel futuro; la sua abilità di imparare e adattarsi l'aveva resa chi era oggi e avrebbe determinato chi sarebbe diventeta: la sua miglior vendetta contro chi le aveva fatto del male era la persona molto più forte che era diventata, più di quanto i suoi aguzzini avessero potuto immaginare. La ringraziò per avergli raccontato la sua storia e concluse che era onorato di conoscerla. Vide i confini della mente di Vraska, ma lei non non aveva idea di quanto fosse fragile, così come Jace non sapeva quanto sarebbe stato facile per lei trasformarlo in pietra. In quel preciso istante entrambi si resero conto che nessuno dei due voleva ferire l’altro. Vraska sorrise e disse che anche lei era onorata di conoscerlo.

La bussola taumaturgica[]

Nelle settimane successive Jace si dedicò a cercare di decifrare il mistero della Bussola Taumaturgica il più in fretta possibile. Consultò dozzine di libri sulla navigazione e parlò con Malcolm per ottenere informazioni. Giunse alla conclusione che se la bussola aveva cambiato direzione il giorno in cui era stato tratto in salvo, doveva aver reagito a qualche tipo di stimolo nelle sue vicinanze e lui sapeva che aveva compiuto un solo fatto degno di nota. Un pomeriggio, ore prima che la nave raggiungesse la terraferma, Jace prese in mano la bussola e scese da solo nella guardina della nave. Quell'oggetto si stava rivelando più ostico del previsto, era un meccanismo davvero complicato, con vari aghi di luce che puntavano in direzioni diverse, lo scosse lievemente e notò che una delle luci tremolava. Era un vero rompicapo e, affascinato, decise di intraprendere un’azione imprudente: smontarlo. Fu facile come lo era stato con il cannocchiale diverse settimane prima. Adagiò i pezzi uno a uno, disponendoli ordinatamente mentre proseguiva con il suo lavoro. Al centro della bussola notò un piccolo ingranaggio allentato, lo serrò, quindi rimontò la bussola e vide che ora emanava una sola luce laterale, brillante e definita, che puntava in un’unica direzione. Decise di provare la sua teoria e appoggiò la bussola su una cassa, chiuse gli occhi, si concentrò e provò a viaggiare tra i piani. Venne bloccato come le volte precedenti, ma osservando l'oggetto vide che l'ago stava puntando verso di lui. La bussula puntava verso un determinato tipo di fenomeno magico, quindi la città dorata doveva essere un enorme fulcro di energia magica e la bussola doveva puntare direttamente alla fonte che l'alimentava.

La tempesta[]

Jace raccolse la bussola e andò a cercare Vraska per dirle che aveva capito il suo funzionamento. Quando lei si accorse di lui gli disse di andare sottocoperta perchè si stava avvicinando una nave della Legione del Vespro e stavano anche navigando verso una tempesta. Jace chiese se avessero dovuto approdare e Vraska confermò, ma disse che erano vicini a tutte e tre le cose e doveva assicurarsi che non succedessero tutte nello stesso momento. I lampi squarciarono il cielo e la nave sbandò violentemente di lato. Jace infilò la bussola in tasca per tenerla al sicuro mentre Vraska impartiva gli ordini e, vedendo che la riva non era molto lontana, ordinò di abbandonare la nave. In quel momento un muro d'acqua si abbatté su Jace e Vraska, che cercarono di afferrarsi a vicenda mentre l’acqua li spazzava via dal ponte. Subito dopo la Belligerante si infranse sulle rocce.

La corsa all'oro[]

Nel continente di Ixalan[]

Nel caos della tempesta, Jace cadde in mare insieme a Vraska. Afferrò un pezzo di legno e iniziò a spingersi a riva. Vide Vraska riemergere dall'acqua e raggiungerlo. Jace disse che la tempesta era stata provocata e Vraska rispose che prima aveva visto un'elementalista sulle rocce. Gli indicò una barca e disse che potevano risalire il fiume fino all’interno del continente con quella, ma prima voleva andare a controllare come stava la sua ciurma. Jace annuì e si incamminò verso il relitto. La Belligerante era a pezzi accanto alla nave della Legione del Vespro. Jace avvertì nella sua testa un sussurro che si faceva sempre più intenso, guardò alla sua destra e vide un vampiro lanciato verso di lui. Entrò nella sua mente, gli ordinò di dormire e l'altro crollò a terra. Subito dopo sentì mentalmente la voce di Vraska che gli disse di chiudere gli occhi, lo fece e sentì un tonfo. Si voltò e vide che ai suoi piedi giaceva un vampiro pietrificato. I due andarono verso la nave dove i sopravvissuti della Belligerante si stavano riprendendo dalla tragedia e preparando per la battaglia: diversi vampiri stavano nuotando a riva senza il minimo accenno di fatica, nonostante il peso delle loro armature. Braghe corse verso di loro e disse che l'equipaggio avrebbe combattuto contro la Legione mentre loro due avrebbero cercato il Sole Immortale. Jace e Vraska corsero a fatica nella sabbia per raggiungere la barca nei pressi del delta del fiume. Vedendo una scia di orme insanguinate dirette nel fitto della giungla, Vraska disse a Jace che doveva mimetizzarli. Lui chiuse gli occhi e proiettò immediatamente un velo di invisibilità su di loro, nascose i loro movimenti e plasmò un’illusione per camuffare le loro impronte. Saliti sulla barca, Vraska issò le vele e vennero spinti su per il fiume, verso la giungla. L’imbarcazione fu circondata da ombre e vegetazione e il fiume si tramutò in un canale profondo mentre sopra le loro teste si intrecciava un groviglio di rami attraverso i quali non filtrava neppure un raggio di sole.

Notando che Vraska lo stava osservando in modo strano, Jace chiese se ci fosse qualche problema. L'altra esitò poi gli disse che loro due non erano originari di quel mondo, entrambi erano planeswalker e quelli come loro potevano viaggiare tra i piani. Gli diede una dimostrazione e scomparve per poi riapparire. Jace iniziò a fare delle domande, ma Vraska lo fermò e continuò che su quel mondo quando cercavano di viaggiare tra i piani, qualcosa li frenava, impedendo loro di andarsene: lei credeva che Orazca non racchiudesse solo il Sole Immortale, ma celava anche un incantesimo che li confinava lì. Concluse che le era stato detto di lanciare una magia per contattare un altro piano dopo aver trovato il manufatto, poi credeva che sarebbero potuti andare via. Jace aveva qualche dubbio, ma Vraska gli disse che era stato un drago a insegnarle a navigare e chiese quale fosse il confine tra il possibile e l’impossibile. Eletrizzato all’idea di rimettere insieme tutti i pezzi, Jace la informò che aveva capito come funzionasse la bussola e spiegò che oltre alla città dorata puntava anche a fonti di potente magia, non indicava il nord magnetico, bensì il nord eterico e loro potevano usarla per pianificare accuratamente la loro rotta, calcolando l’angolo tra il nord eterico e Orazca o potevano semplicemente seguire la direzione che puntava a potenti concentrazioni di magia, come aveva fatto lei. Vraska era convinta che chi l'aveva inviata lì l'avrebbe uccisa se lei non avesse scoperto a cosa puntava la bussola. Jace aveva un sacco di domande, ma qualcosa nei meandri della sua mente catturò la sua attenzione. Osservò attentamente le rive del fiume. Rimase seduto in silenzio per diversi secondi, ricorrendo al suo potere per cercare di capire se qualcuno li seguisse. La barca era ancora invisibile. Non si scorgeva nulla nel raggio di un miglio, ma c’erano alcune impronte sul bordo esterno. Si concentrò con tutte le forze per ampliare il suo campo di percezione. Vraska lo fissò preoccupata e chiese se avvertisse qualcuno e lui annuì e rispose che si trattava di un'umana, una vampira, una tritona e un minotauro.

Verso la città dorata[]

Jace aveva rinunciato a mantenere il velo di invisibilità che li occultava per via della stanchezza. Quando scese la notte, Vraska disse che avrebbero dormito nella barca. Lui non le rispose, lanciò una magia e un grande cavallo illusorio si materializzò sopra di loro, diffondendo un tenue riflesso azzurro nel cielo notturno prima di svanire: il segnale che avrebbe permesso a Malcolm di guidare gli altri verso di loro. Subito dopo si addormentò profondamente, la calma e l’aria aperta rappresentavano per lui una piacevole novità dopo i mesi trascorsi a dormire su un’amaca circondato dagli altri membri della ciurma. La mattina seguente, i due remarono verso la riva, abbandonarono l’imbarcazione e proseguirono nella giungla. Una fitta coltre di fumo scuro si innalzò intorno a loro. Jace gridò sorpreso, poi fece appello alla sua magia mentale per tentare di avvertire qualcosa: Vraska era nel bel mezzo del sentiero e stava lottando con un nemico appena visibile. La nebbia era troppo densa per riuscire a distinguere qualcosa così si fece strada nella mente del nemico, individuò l’incantesimo che stava proiettando l’oscurità e lo neutralizzò. Il fumo nero svanì, rivelando una vampira della Legione del Vespro. Dedusse che si trattava di una dei superstiti dell’altra nave; sollevò una mano e plasmò l’illusione di una terribile e frastornante tempesta. Vraska non fu per niente turbata, ma la vampira sussultò mentre si difendeva schivando la spada della gorgona. Jace tentò di penetrare nella mente della nemica, ma la confusione dello scontro non glielo permetteva e proprio in quel momento ricevette un violento colpo sulla fronte. Barcollò, cadde a terra perdendo la concentrazione e l'illusione svanì. Ancora stordito vide la vampira rubare la bussola per poi fuggire. Vraska si infuriò, ma Jace la calmò dicendole che era in grado di localizzarla. Prima che potessero inseguirla, sentì due menti molto vicine a loro. Avendole percepite, Jace si girò di scatto incrociando le braccia davanti a sé e quando un immenso serpente volante illusorio si abbatté su di lui, si infranse, spaccato in due dalla sua difesa psichica. Jace comprese che l’illusione nemica era stata plasmata dalla tritona che cavalcava un elementale, rivolse lo sguardo all’origine dell’altra voce mentale e vide una guerriera che brandiva una lama semicircolare lanciarsi su di lui. Senza perdere tempo, Jace usò la sua magia e lui e Vraska scomparvero alla vista delle loro nemiche, ma l'invisibilità durò poco perché la tritona la neutralizzò. La gorgona chiese perchè li stavano seguendo ma fu Jace, che aveva letto le loro menti, a rispondere che sapevano della bussola. Vraska chiese i loro nomi e le due si presentarono: Tishana, un’anziana degli Araldi del Fiume, e Huatli, poetessa guerriera dell'Impero del Sole. Tishana fissò Vraska e le disse che nessuno poteva possedere Orazca, né ciò che si trovava al suo interno: doveva consegnarle la sua bussola o prepararsi a morire. Gli occhi della gorgona iniziarono a riempirsi di magia per pietrificare le due, ma Jace allungò una mano per bloccare il suo sguardo e rispose che loro non avevano più la bussola. Tishana usò le sue abilità e incuriosito Jace si avventurò un’altra volta nella mente dell'altra percependo quello che sentiva lei e si sentì eletrizzato nel provare quelle sensazioni in prima persona: non sapeva nemmeno che potesse esistere un potere simile. Tishana disse che c'era una vampira nelle vicinanze e chiese se fosse stata lei a prenderla. Jace confermò e le altre due si diressero verso la giungla. Rimasti soli, Vraska chiese nuovamente a Jace se fosse in grado di trovare la vampira. Lui sorrise, confermò e aggiunse che oltre a lei stava localizzando anche dell'altro. Vraska annuì e i due si addentrarono nei meandri della foresta dove successivamente si riunirono ai loro compagni. Il gruppo raggiunse le altre donne dopo che Huatli aveva sconfitto Vona. Vraska pietrificò il dinosauro della cavaliera e recuperò la sua bussola. Subito dopo Tishana inondò la zona costringendo Jace e gli altri a scappare.

Si imbatterono in alberi dalle foglie dorate e tra le rocce, sotto i muschi e i licheni, scintillavano venature di oro prezioso; la terra stessa sembrava ansiosa di tradire i segreti che occultava. Raggiunse una radura e all’improvviso tutti si fermarono. Splendenti come picchi dorati che spuntavano tra il verde degli alberi, le guglie di Orazca si stagliavano contro il cielo. Lontano dagli altri, Jace e Vraska parlarono del Sole Immortale e lei disse che non aveva ancora compreso la vera funzione del manufatto dal momento che c'erano troppe dicerie per credere a una teoria piuttosto che a un'altra. Jace commentò che credeva che fosse qualcosa che era stato portato lì da un altro mondo. Stavano per proseguire quando la terra iniziò a tremare, la radura fremette con violenza e nella roccia sotto di loro si formò una lunga fenditura. Le guglie che si intravedevano in lontananza cominciarono a innalzarsi nel cielo, mentre la città stessa stava affiorando dalla giungla a ogni scossa di terremoto. Orazca emerse, risvegliata in tutto il suo splendore. Nella giungla risuonò il ruggito di una bestia gigante, così forte da coprire il frastuono delle scosse del terreno. Mentre s’incamminavano verso la città dorata, il bordo della radura in cui si trovavano si era spaccato a causa di un'altra scossa e Jace si ritrovò aggrappato a un macigno traballante nel tentativo di non cadere nel precipizio. Vraska cercò di aiutarlo ma non appena lo sfiorò, il terreno si spostò di lato ancora una volta, lui perse la presa e precipitò.

Riacquistare la memoria[]

Jace si aggrappò a una roccia vicino alla riva in cui il fiume appena formatosi incontrava la pietra della città riemersa dalla giungla. Tuttavia il telepate non era in sè: aveva una ferita sanguinante sulla testa, i suoi occhi illuminati dalla magia; l’espressione sul suo viso era di confusione e dolore, lo sguardo era assente e distante. Non sentì la voce di Vraska, caduta a sua volta, che lo chiamava. Dolorosamente, Jace cominciò a riacquistare la memoria; con i ricordi che erano tornati alla sua mente come un fiume in piena.

L'inondazione[]

Jace giaceva agonizzante sull’argine del fiume con i capelli inzuppati dal suo stesso sangue. I suoi occhi rilucevano di una magia fuori controllo. Rivisse vari ricordi, dalle macerie di Portale Marino; quando venne torturato da Tezzeret con la lama di mana; il giorno in cui si fece fare il suo tatuaggio bianco da uno sciamano Gruul; e la sua conversazione con Liliana dopo l'imprigionamento di Emrakul. I suoi ricordi andarono ancora più indietro, un'imponente struttura circolare apparve e Jace ansimò dalla sorpresa mentre con gli occhi ancora spenti e invasi dal blu della sua magia pronunciò il nome del suo mondo di origine: Vryn. Il telepate ricordò la sua famiglia, la sua infanzia, l'addestramento e il tradimento di Alhammarret e infine la perdita di memoria mentre viaggiava per la prima volta su Ravnica con un’immagine del collare del suo maestro e un anello allungato, aperto nella parte inferiore, con un cerchio che fluttuava al centro; l’unico ricordo che gli sarebbe rimasto e che lo avrebbe aiutato a conservare il suo nome. I ricordi di Jace si spostarono su Vraska che cantava una canzone mentre l’equipaggio lustrava la nave per poi tornare al loro primo incontro quando lei aveva tentato di ucciderlo. Le illusioni svanirono, ll bagliore della magia cessò, Jace si tolse le mani dalla testa e osservò il miscuglio di sangue e fango. Alzò lo sguardo verso Vraska, lei aveva visto i ricordi che non era riuscito a trattenere. Lui disse che era un assassina e lei rispose in modo schietto e triste che era anche sua amica. Jace replicò che aveva pochissimi amici, l'altra non rispose e lui aggiunse che la sua memoria non era tornata del tutto: non ricordava come aveva perso la memoria o come era arrivato lì. Vraska si dispiacque di aver cercato di ucciderlo su Ravnica e Jace la perdonò: aveva agito nel modo che riteneva più opportuno per il suo popolo.

Jace disse che non aveva mai conosciuto una versione di sè stesso con ricordi intatti, tante persone l'avevano manipolato per ferirne altrettante e a volte l'aveva anche fatto di sua iniziativa. Vraska si sedette accanto a lui. Era stato ferito, manipolato e sfruttato; sarebbe dovuto morire così tante volte e, nonostante tutto, aveva fatto ciò che doveva ed era sopravvissuto. Chiese se ricordava gli ultimi tre mesi. Jace annuì e rispose che erano stati i migliori della sua vita. Vraska continuò che "quel Jace" era una delle migliori persone che avesse mai incontrato, l'aveva ascoltata in un modo che non aveva mai fatto nessun altro e credeva fermamente che chiunque potesse ricostruire la propria vita. Concluse che "quel Jace" era ancora dentro di lui e credeva che fosse proprio ciò che lui era davvero. Jace rispose che era ciò che avrebbe preferito essere e raccontò che sua madre avrebbe voluto che lui si trasferisse in città per diventare uno studioso. Vraska sorrise e rispose che lui si era trasferito in una città notevole ed era diventato uno studioso eccezionale. Jace disse che in passato si forzava a immaginare che i suoi genitori lo odiassero perchè quell’idea lo faceva sentire meglio, fingendo che fossero crudeli per dimenticarli. In quel modo, qualsiasi cosa avesse scelto di fare, non avrebbe mai temuto di deludere nessuno. Adesso voleva che sua madre fosse fiera di lui. Vraska lo aiutò ad alzarsi e fece un cenno con la testa verso la scalinata che risaliva la scogliera fino a Orazca. Jace sussultò per il dolore e le strinse la mano in segno di ringraziamento.

Uno scorcio sul lato nascosto del sole[]

Jace salì la scalinata verso Orazca, con la mente impegnata nel catalogare e analizzare l’inondazione di ricordi che era ancora in corso. Doveva concentrare l’attenzione su qualcosa o sarebbe stato sicuramente sopraffatto dal dolore. I ricordi stavano continuando a riaffiorare, ma ora era in grado di trattenerli. Si vergognò per tutto ciò che Vraska aveva visto, ma comprese con crescente conforto quanti elementi in comune avessero le loro vite: anche lei era stata torturata e sapeva ciò che si provava. L'oro intorno a lui gli riportò alla mente gli amici sconfitti e condannati, lui che cercava di entrare nella mente di un drago, impedirgli di creare danni e, per un breve istante, ci era riuscito, aveva visto lo scopo del suo nemico, l’obiettivo finale. Quel ricordo era più complicato da recuperare e Jace cercò di richiamarne i dettagli: il drago si era accorto della sua presenza e aveva cercato di contrattaccare leggendogli la mente lui stesso, ma qualcosa era intervenuto proprio quando aveva cercato di intrufolarsi, poi tutto era stato avvolto nell’oscurità. Avrebbe voluto ricordare maggiori dettagli, come il nome di quel drago dorato. Non vedeva l’ora di mettere insieme tutte le parti, in modo che formassero un ricordo coerente. Gli venne in mente Ugin, ma l’essenza di quel ricordo appariva bizzarra, andò alla ricerca della loro conversazione, ne analizzò i lati e vide un accenno di astuta magia di mascheramento che lo Spirito Drago doveva aver inserito senza che lui se ne accorgesse. Era un semplice ordine: "se qualcuno cercherà di leggere la mia mente e starà per scoprire l'incontro con Ugin, il ricordo verrà nascosto e io viaggerò verso Ixalan". Jace iniziò a preoccuparsi e si chiese perché Ugin aveva dovuto nascondere quel ricordo di lui, perché farlo andare proprio su quel mondo e se era destinato ad agire come un'esca.

Jace e Vraska raggiunsero la cima della scalinata. Una torre centrale dominava la loro visuale, Vraska estrasse la bussola taumaturgica e disse che ciò che stavano cercando si trovava là dentro. Chiese se poteva inviare un segnale per avvisare l’equipaggio della loro posizione, ma invece di rispondere, Jace nascose entrambi con un illusione. Dalla scalinata, la testa di un immenso dinosauro sovrastava la città. La creatura spiegò le ali e si lanciò in volo sollevandosi sempre più in alto. Vraska cercò di spalancare il cancello, ma lo trovò chiuso. Indietreggiò, scrutò il disegno sulla porta e contemporaneamente a Jace disse che si trattava di un labirinto. Si fece da parte dicendo che il maestro dei labirinti era lui. Jace cercò la soluzione del labirinto e magicamente apparve una linea blu che seguiva i movimenti del suo dito. Lo risolse facilmente, poi indicò il simbolo sulla porta e disse che si trattava dello stesso simbolo che appariva sulle loro teste ogni volta che provavano a viaggiare su un altro piano: era il simbolo degli Azorius. Chiese se ci fossero dei planeswalker in quella gilda, ma Vraska non lo sapeva. Lui disse che doveva trattarsi di qualcuno che riteneva quel simbolo come rappresentazione della propria identità e lei rispose che il fondatore di quella gilda era Azor. Jace concentrò la sua attenzione sull’interno della stanza e sentì una mente labirintica. Chiese se Azor fosse una sfinge. Comprendendo, Vraska disse mentalmente che non sarebbero esistite altre sfingi in grado di ferirlo, si sarebbe preparata e al suo segnale l'avrebbe pietrificata. Jace spinse la porta e i due entrarono nella stanza. I due videro un enorme trono all’altra estremità e un imponente disco brillante incastonato nel soffitto. Una figura imponente sollevò il capo e chiese chi fossero. Vraska rispose che erano due stranieri in quel mondo e di consegnargli il Sole Immortale. La sfinge si presentò come Azor, poi entrò nella mente della gorgone e disse che sarebbe stata imprigionata per la terza volta nella sua vita. Jace eresse una protezione psichica tra i due e disse che avrebbe dovuto rivolgersi a lei chiamandola capitana. Azor ringhiò, spostò la sua attenzione su di lui e chiese chi fosse. Lui si presentò come Jace, il Patto delle Gilde vivente. A quelle parole le ali di Azor sussultarono.

Scontro con Azor[]

Azor disse che le intrusioni non erano permesse tra le mura di Orazca e scatenò un'ondata di ieromanzia che aggirò la protezione di Jace e investì Vraska con una catena di magia runica bianca che la afferrò al petto e la scagliò indietro. Jace annullò la stretta ieromantica e ascoltò Azor: aveva viaggiato da un piano all’altro, in mondi popolati da società crudeli, contaminati da violenza e disordine. Lui aveva utilizzato la sua ieromanzia per offrire a quei popoli il dono della stabilità: aveva creato sistemi di governo per curare quei mondi; voleva migliorare il multiverso e i suoi doni avevano trasformato quei luoghi in baluardi di pace strutturati. Azor cercò di sfondare la protezione di Jace ma non ci riuscì e rinunciò al suo attacco. Vraska disse che loro sapevano che la sfinge aveva costruito la struttura delle gilde di Ravnica, che non era originario di quel piano e chiese perché non fosse rimasto. Azor rispose che Ravnica era uno tra i tanti piani e se ne era andato dopo che aveva terminato il suo compito. Si rivolse a Jace e disse che lui era una persona di talento e chiese se avesse soddisfatto in pieno le sue responsabilità su Ravnica. Jace rispose che non l'aveva fatto e spiegò che la sfinge aveva costruito un sistema incredibilmente intricato, con una magia più complessa di quanto chiunque avesse potuto comprendere ma, nonostante ciò, aveva scelto come sistema di sicurezza un mortale; anche se lui avesse avuto un dono per l’amministrazione, non sarebbe stato ugualmente in grado di portare a termine i compiti che gli erano stati assegnati. Azor disse che le gilde rappresentavano un sistema perfetto, ma Vraska replicò che lo erano state in passato, ma durante la sua assenza erano diventate maligne e crudeli.

Jace osservò Azor scendere dal trono. Mentre si avvicinava ai due, la sfinge disse che come custode e massima autorità della legge per l’intero multiverso, era suo dovere collaborare per il bene supremo: il Sole Immortale era stato costruito per imprigionare un planeswalker diabolico che era un pericolo. Aveva realizzato un piano perfetto insieme a un suo amico e per la creazione del manufatto aveva rinunciato alla sua scintilla sicuro che l'avrebbe riottenuta, ma il suo alleato aveva fallito: doveva attirare il loro nemico su un piano lontano e lui avrebbe dovuto utilizzare il Sole Immortale per potenziare le sue capacità ieromantiche e trasportarlo su Ixalan. Ma non aveva mai ricevuto il segnale di attivare il Sole Immortale e non era a conoscenza del destino del suo collega e ciò era successo circa mille anni prima. Continuò che dopo il fallimento del piano aveva deciso che non voleva avere nulla a che fare col manufatto perchè gli ricordava ogni giorno il fallimento del suo amico, così l'aveva donato alle razze del piano che però avevano dimostrato di non esserne degne e così l'aveva ripreso con sè. Vraska disse che dava la colpa agli altri per i problemi che lui stesso aveva causato e chiese come facesse a non rendersi conto del danno che aveva generato: gli ultimi secoli di Ixalan erano stati uno sconquasso a causa della sua intrusione. Azor ruggì, spiegò le ali e si lanciò in volo verso di lei. Jace eresse un velo di invisibilità che nascose entrambi e Vraska ne approfittò per ferirlo a una zampa. Azor atterrò e venne attaccato mentalmente da Jace che gli inviò una sensazione di penetrante mal di testa. Era stato sconfitto.

Jace chiese telepaticamente a Vraska se fosse ferita, lei rispose che voleva pietrificare la sfinge prima che si riprendesse e li attaccasse nuovamente. Jace disse che Azor non meritava di morire e Vraska replicò che meritava una punizione. Si inginocchiò di fianco a Azor con gli occhi che luccicavano della sua magia di morte e disse che meritava di essere punito: un condottiero non doveva abbandonare le proprie responsabilità. Jace la fermò e disse che spettava a lui. Si rivolse ad Azor e disse che il Patto delle Gilde vivente aveva il compito di mantenere l’equilibrio tra le gilde di Ravnica; come patriarca degli Azorius, lui era parte di quel mondo e aveva generato uno squilibrio su innumerevoli piani: non solo aveva deciso di porsi al governo di ciò che non gli apparteneva, ma non si era neanche fermato a valutare le conseguenze delle sue azioni. Ixalan era in pericolo, Ravnica era stata costruita per essere instabile dopo la sua partenza e innumerevoli altri mondi avevano probabilmente subito i danni della sua intrusione. Qualsiasi fossero le sue intenzioni, non aveva cercato di comprendere tutte le ramificazioni delle sue scelte. Azor disse che il loro obiettivo con l'uso del Sole era intrappolare Nicol Bolas. A quel nome Jace si paralizzò, i suoi occhi si spalancarono dalla consapevolezza e un'immagine del drago dorato passò brevemente nella sua mente. Ripresosi emise la sua sentenza: la sfinge e il manufatto erano un pericolo per la stabilità di quel piano e quindi lo esiliava rendendolo maestro e custode sull’Isola inutile dove non sarebbe stato in grado di andarsene e non si sarebbe immischiato più nelle vite degli esseri umani; avrebbe abbandonato il Sole Immortale e la sua vita precedente. Azor sbattè le palpebre, non poteva opporsi al volere del Patto delle Gilde che lui stesso aveva creato e così si sollevò in aria e uscì in volo dalla porta senza pronunciare neanche una parola. Vraska chiese perchè Bolas volesse un manufatto in grado di imprigionare i planeswalker e Jace rispose che era necessario che lei sapesse per chi stava lavorando.

Sabotaggio[]

Jace e Vraska si scambiarono le informazioni su Nicol Bolas. Quando gli disse del sottoposto che doveva recuperare il Sole Immortale, Jace capì che parlava di Tezzeret. Vraska disse che il drago aveva creato un esercito per viaggiare attraverso i piani, mentre il Sole Immortale gli garantiva che nessuno potesse lasciare il piano senza il suo permesso. Jace spiegò che il suo scopo era conquistare Ravnica. Sconcertata, Vraska ebbe un'idea e gli chiese di rimuoverle temporaneamente i ricordi di lui; era l'unico modo per convincere Bolas che la missione era stata compiuta. Successivamente su Ravnica, al momento giusto, le avrebbe fatto ricordare ogni cosa e lei avrebbe tradito il drago.

Bolas aveva promesso a Vraska il titolo di capogilda e spiegò che la magia della legge era stata presente nell’essenza di Ravnica ancor prima dell’arrivo di Azor; la metafisica del piano si basava sulla gerarchia e i condottieri delle gilde avevano accesso a quel potere, soprattutto quando collaboravano. Lei avrebbe accetteto la posizione di capogilda e continuato ad agire come servitrice del drago mentre lui avrebbe continuato con il suo ruolo di Patto delle Gilde e avrebbe ideato un piano. Bolas non avrebbe sospettato nulla perché non sarebbe stata sua alleata fino al momento giusto. Jace disse che conosceva una tecnica per rimuovere le tracce delle manipolazioni mentali e avrebbe usato la magia che Ugin aveva usato su di lui per mascherare ancor di più la mancanza di ricordi. Bolas non sarebbe stato in grado di scoprire nulla di ciò che era stato rimosso perchè non si sarebbe accorto dell’assenza di qualcosa che non sapeva di dover cercare. Le giurò che avrebbe trovato un piano da utilizzare contro Bolas e le promise di far fede alla sua responsabilità di proteggere Ravnica. Vraska gli chiese dove sarebbe andato una volta libero dal vincolo di Ixaln e lui rispose che doveva incontrare i suoi amici su Dominaria per poi tornare su Ravnica. Vraska chiese del suo equipaggio. Jace rispose che Malcolm e Braghe si trovavano nella stanza sopra di loro e se voleva poteva inviargli un messaggio. Lei chiese di dire a entrambi che loro due erano stati catturati e di tornare alla nave con Amelia al comando. Vraska lo invitò in una libreria in Via Latta e avrebbero preso un caffè insieme quando tutta la faccenda di Bolas si sarebbe risolta. Jace accettò l'invito, poi le cancellò i ricordi legati a lui su Ixalan.

L'inganno[]

Invisibile, Jace osservò il Sole Immortale svanire e Vraska viaggiare nella cieca eternità. Vide altri precipitare attraverso il soffitto, li osservò litigare e poi andarsene indignati. Percepì Malcolm e Braghe nella sala superiore, contattò mentalmente il primo e lo salutò, dicendo che sia lui che Vraska si sarebbero assentati. Non poteva aspettare, era giunto per lui il momento di andarsene da Ixalan. Il primo istinto fu di concentrarsi su Liliana, ma si bloccò: ciò che provava ora per la necromante non era più affetto, ma angoscia e inquietudine. Percepì l’intensa e brillante bontà di Gideon che splendeva attraverso la cieca eternità come un faro, lo usò come punto di riferimento e viaggiò verso il suo amico.

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