Episode 5: Broken Oaths è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da K. Arsenault Rivera e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 14 agosto 2023. Racconta parte della storia dei gemelli Kenrith, Ashiok e Kellan dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia e narra la conclusione del Sonno Stregato su Eldraine.
Racconto precedente: Episode 4: Ruby and the Frozen Heart
Storia[]
Kellan il Bambino alle rovine del castello giunge, infine. Nonostante grazie alle imprese sue e di Rubinia si fossero meritati dei pony come ultimo dono, lui non si sente eroico in sella al suo nuovo destriero. Per nulla. Mentre perlustra le colline e le vallate, un tempo gloriose, attorno al Castello di Ardenvalle, l’unica sensazione che percepisce è rassegnazione.
“Sei pronta?” chiede a Rubinia.
Lei si trova sul suo pony, ornato del colore che porta nel nome, con il mantello svolazzante ai fianchi. C’è una buona ragione per quella artisticità: sotto il tessuto si nasconde una lama di ghiaccio eterno. Hylda trovò la richiesta di Rubinia per una spada “grande quanto lei” non ridicola, ma addirittura tenera. Con l’ultima riserva di magia della corona aveva concesso il dono a Rubinia… e Rubinia non fu che contenta, tanto da vantarsene quasi costantemente.
Ora però non se ne vanta. Chi avrebbe mai potuto, vedendo la tristezza sul volto di Kellan? “Sì, sono pronta. Ma se ti serve più tempo per parlarne-”
“No” dice Kellan. “Faremo la cosa giusta, e tanto basta.”
Nemmeno un nemico li affronta lungo la strada per i cancelli di Ardenvalle. Per la pianura vige una calma inquietante. Kellan aveva già percepito qualcosa di simile prima dell’avvento di una tempesta, con il bestiame che si ritirava diverse ore prima che la gente ne capisse il motivo.
Quando vedono lo stato disastrato delle porte di fronte a loro sembra una cosa ragionevole e sensata: la proverbiale tempesta che li consumerà ha strappato la porta dai suoi cardini; il cuore marcio e corrotto della maledizione aveva consumato il legno; i sognatori che attendono in agguato subito dietro sono gli incubi che hanno afflitto Kellan durante il loro viaggio fin qui.
Questo non è un luogo di soccorso o riposo, e nemmeno un luogo di gloria.
È un luogo dove le ferite si infettano.
Kellan non vuole entrarci. Ma ha dato la sua parola che lo avrebbe fatto, e qualcosa nel suo sangue si era affisso a questo giuramento come lo smalto sullo scudo di un cavaliere.
“Non possiamo superare le guardie dormienti” dice lui. “Faremo loro del male.”
Rubinia alza un sopracciglio. “Hai un’idea migliore?”
Kellan fruga nel suo mantello. Nella sua mano, tenuta a mezz’aria, mostra la seconda bottiglia di ranificazione che Troyan gli aveva prestato.
Rubinia mostra un ghigno. “Sai, mi piace il tuo modo di pensare” dice lei. “Ma questa volta, sarai tu ad aggrapparti a me.”
Qualcosa nel sorriso di Rubinia fa ricordare a Kellan tempi migliori. “Va bene, va bene. Basta che atterriamo per bene.”
“Non faccio promesse” risponde Rubinia.
Kellan lega i cavalli ad un palo. Con due sacche di mangime saranno a posto per il resto della giornata… sperando che lui e Rubinia non ci impieghino di più. Dopo aver salutato velocemente i cavalli, si ricongiunge a Rubinia alla base delle mura del castello.
Qualche secondo dopo si trovano già in aria. Rubinia non è tipa da aspettare un segnale.
Le sue abilità nell’atterraggio sono migliori di quelle di Kellan, atterrando sulle sue possenti gambe anfibie giusto qualche attimo prima di tornare alla sua forma umana. Eriette non si doveva aspettare che qualcuno oltrepassasse i cancelli del castello. Qui non c’è nessun dormiente di guardia, nessun occhio chiuso ad osservarli.
“Va bene, va bene, forse Troyan non era così male” dice Rubinia. Tiene la voce bassa come il rumore dei suoi passi. “Dove andiamo?”
Le sopracciglia di Kellan si toccano intanto che pensa. “Se fossi una strega, vorrei avere la sala del trono tutta per me.”
“Hylda ha detto che Eriette adorava essere al centro dell’attenzione” dice Rubinia, con un cenno della testa. “Probabilmente ha radunato lì un sacco di persone che le dà da mangiare dell’uva e altra roba.”
Kellan inclina la testa verso di lei, ma apre comunque la prima porta che vede. “Perché dell’uva?”
“Non lo so. Ma è sempre l’uva” dice Rubinia.
Dinanzi a loro si trova un vasto corridoio, oscuro e tetro, decorato con ritratti sbiaditi e deturpati. I pavimenti e i muri di pietra rendono l’aria più fresca all’interno. Nonostante ci siano un buon numero di torce sui rispettivi sostegni, nessuna è accesa. L’unica luce che possono sfruttare è quella che filtra attraverso la porta… e la luce della maledizione sul pavimento.
Insieme, i due eroi seguono i serpeggianti fili violacei per le sale del Castello di Ardenvalle. Si aggirano per le camere da letto vuote, le sale di guerra depredate e le armerie saccheggiate. Tengono le orecchie talmente aperte che gli squittii dei topi di passaggio sono forti quanto il grido morente di un drago.
Non c’è quindi da stupirsi se sentono i passi della donna prima di vederla. Sono leggeri, ma non abbastanza leggeri: lo scricchiolio dei suoi stivali di cuoio, lo sfregamento della suola contro la pietra, persino il suo sospiro ostinato ne rivela la presenza.
Kellan e Rubinia si appiattiscono ai lati della porta. Rubinia è la prima a sbirciare, con l’arma impugnata al suo fianco. Quando fa cenno a lui di fare lo stesso, il suo sguardo è stupefatto.
E lui capisce il perché. In piedi di fronte a un leggio e circondata dai mulinelli delle nuvole maledette si trova una donna conosciuta persino a Orrinshire. Rowan Kenrith, la figlia dell’Alto Re in persona, è giunta al Castello di Ardenvalle.
Kellan non riesce a non sorridere. Deve averlo capito al loro stesso modo. Non riesce a credere alla fortuna che hanno avuto.
La buona notizia sovrasta il suo buonsenso. Kellan si precipita nella stanza, con Rubinia al seguito, e la sua spada che penzola come un giocattolo al proprio fianco. “Rowan!” dice lui ad alta voce. Poi, quando lei alza lo sguardo e le guance di lui si sono arrossate dall’imbarazzo, farfuglia: “V-Volevo dire, L-Lady Kenrith! Stia attenta con la maledizione-”
“Chi siete voi? Cosa ci fate qui?” risponde lei. Strano… Rowan è corrucciata.
“Siamo venuti a sconfiggere la strega, proprio come lei” dice Rubinia. “C’è un qualche tipo di incantesimo che la confina qui?”
Kellan non ci aveva pensato. Meno male che Rubinia lo ha accompagnato. Lei pensa sempre rapidamente. Dev’esserci qualcosa che confina Rowan in questo posto… la maledizione, forse. Il modo in cui vortica attorno a lei… dev’essere per quello.
“Possiamo trovare un modo per spezzare l’incantesimo” si offre Kellan. Non ci sono calderoni qui, né ghiaccio perenne, né sigilli che riesce a individuare. Solo libri, bacchette, pagine sparse e calamai. Li studia per vedere se possono nascondere una risposta. “Io e Rubinia siamo diventati molto bravi a farlo.”
“Noi siamo eroi” aggiunge Rubinia, opportunamente.
Ma Rowan Kenrith non ride né sorride, e nemmeno li ringrazia per il loro aiuto. Appoggia le mani ai lati del leggio. Delle scintille crepitano lungo le sue dita.
“Io penso che voi due dobbiate andarvene” dice lei, con una voce fredda e piatta.
“Ah, voglio dire, probabilmente potrebbe risolvere la situazione da sola. Ma ho bisogno di stare con lei, almeno” dice Kellan. “Ho promesso che avrei aiutato a porre fine a questa maledizione.”
“Potete farlo anche dall’esterno” dice Rowan. “Sarebbe meglio che non foste qui.”
Qualcosa nella voce di lei fa sollevare i peli del collo a Kellan. La sua lingua si incolla al palato, e osserva ancora una volta la pagina che si trova di fronte a lui. Con un inchiostro rossiccio, una scrittura frastagliata rivela la verità.
Tentativo 23. Non sono ancora riuscita a mettere a dormire nessuno, se non nel solito modo.
Non ha tempo di elaborare ciò che ha appena letto, perché quando alza lo sguardo verso Rowan è avvolta da una luce scintillante.
La vista di Kellan si fa bianca.
“Kellan! Kellan, svegliati! Non farmi prendere l’acqua della prigione. Giuro che lo faccio!”
…Cosa?
Prima che possa capire cosa stia succedendo, viene colpito in faccia con qualcosa di molto, molto freddo. Rubinia è in piedi davanti a lui con un secchio vuoto ai suoi piedi.
“Sei tornato tra noi?” dice lei.
Kellan si schiarisce la gola. La corda che gli teneva legate le mani era già stata tagliata, probabilmente grazie all’opera della spada ghiacciata di Rubinia. Ma, aspetta…
“Dove siamo? E come hai fatto a riprendere la spada?”
“Guardati intorno, eroe. Syr Rowan ci ha messi fuori gioco. Stava cercando di far funzionare una specie di magia onirica quando mi sono svegliata, ma poi…”
Gli occhi di Kellan vagano fino alle guardie dormienti che si trovano faccia a terra sul terreno. Un clangore metallico e lo scricchiolio del legno riecheggiano per le scale di pietra fino alla loro piccola cella.
“...è arrivata la cavalleria. Lei è partita per affrontarla, quindi mi sono ripresa la spada e ti ho svegliato.”
Kellan si alza in piedi. Solleva le catene sopra la testa e le lascia cadere a terra, tranne quella più corta, che si avvolge attorno al proprio palmo. “Ha davvero agito contro di noi?”
“Pensava di aiutarti” dice Rubinia. “Continuava a dirlo mentre era indaffarata. Che se avesse evocato per bene la magia, l’avresti ringraziata per ciò che stava facendo.”
“Sì, bè, non è stato proprio un bel sogno” dice Kellan. Lascia andare un respiro. “Lei è lassù?”
“Penso insieme alla strega” dice Rubinia. “Qualcuno aveva gridato il nome di Rowan, e sembrava proprio minaccioso.”
“Allora andiamo lassù” dice lui.
Nel profondo del proprio cuore, Rowan Kenrith sapeva che questo sogno non sarebbe potuto durare a lungo. Proprio come nessun addestramento la preparò per salvare la sua famiglia, nessuna pia illusione avrebbe potuto prolungare questa pausa per l’eternità. Il suo tempo insieme a Eriette, a studiare la magia che avrebbe salvato Eldraine, era sempre stato destinato a finire.
Ma aveva sperato di avere a disposizione più di qualche settimana.
Mentre i cavalieri di suo fratello si precipitano oltre i cancelli, le scintille crepitano lungo l’avambraccio di Rowan. Eriette, seduta sul suo trono, fatica a controllare le decine di dormienti tra le rovine, e continua ad inviare filamenti violacei dalle proprie mani agli arti dei guerrieri. Rowan aveva faticato solo per tenere i bimbi addormentati e creare un sogno per loro. Eriette sta facendo la stessa cosa con un intero esercito.
L’ultima cosa di cui ha bisogno sono delle distrazioni, ma potrebbe esserle utile un po’ di aiuto. Ashiok aveva lasciato il Reame per gestire degli affari altrove. Rowan è l’unica persona rimasta a Eriette. Fino al ritorno di Ashiok, almeno.
Una falange di cavalieri sfonda le porte. Per contrastarli, Eriette schiera i suoi sognatori, posizionati in due file di fronte al trono. Eriette potrà anche esserle superiore quando si parla di magia onirica, ma Rowan aveva partecipato ad abbastanza lezioni di tattica da sapere che non sarebbe finita per nulla bene. Due file non saranno abbastanza per contrastare una falange di quelle dimensioni.
“Per ordine di Sua Maestà l’Alto Re di Eldraine, ritiratevi!” grida una donna nell’avanguardia. Rowan stringe gli occhi. La voce le è famigliare. È un braccio di legno, quello? Ah… il getto di fuoco sulle teste dei dormienti conferma i suoi sospetti. Imodane. Ovviamente solo qualcuno di così stolto penserebbe che sparare fuoco ai dormienti innocenti sia una buona idea. Era malaccorta alla montagna esattamente come lo è qui.
Rowan si concentra sulle scintille nel proprio sangue, le lascia crescere, le lascia accumulare. Tutta questa energia poi la rilascia in una terribile saetta che punta ai piedi di Imodane. La pietra si frantuma, il fumo si alza dal cratere appena formato sulla pavimentazione del castello.
“Non esiste nessun Alto Re di Eldraine” tuona lei. “Squagliatela e torna dall’impostore, Imodane, o ti sbatto sulle rocce.”
“Tu!” dice Imodane. “Cosa ci fai tu qui?”
“Ahh, Rowan” dice Eriette dal trono. “Vorresti tenere i parassiti lontani da me, bimba?”
“Non ti saranno d’intralcio” promette Rowan. Mentre sale sulla pedana rialzata, individua suo fratello e sa che, in un modo o nell’altro, oggi tutto questo avrà fine.
Lui siede in sella al suo cavallo bianco dietro l’avanguardia, con la spada sguainata. Della brina ricopre i suoi spallacci e i bracciali. Nonostante stia cavalcando in battaglia, non ha il buonsenso di indossare un elmo. Vederlo… Vederlo è come vedere tutte le parti che detesta di lei esternate in qualcun altro.
Ed è ancora peggio quando lui stringe gli occhi, quando alza la sua voce colma di incredulità e dolore: “Rowan? Cosa stai facendo?”
Le si forma un nodo alla gola, un dolore indicibile, quando suo fratello la guarda in questo modo. Come se avesse paura di lei. Come se volesse che lei sia qualcos’altro, che un giorno si risvegliasse e tornasse ad essere la donna che conosceva prima. Quando capirà che la Rowan che conosceva è morta?
“Sto apprendendo il modo per salvare il Reame” dice lei.
“Ascoltati. Lavorare insieme alle streghe? Maledire il Reame? Questa non sei tu” dice lui. È questo ciò che pensa dovrebbe essere un Alto Re… un uomo sul punto di piangere in sella al suo cavallo da battaglia? “Torna a casa, ti prego.”
Lei vuole che lui capisca. Vuole così tanto che lui capisca che lei non potrà mai più stare bene.
Ma lui non lo capirà.
Lei li sta già caricando prima ancora di sapere cos’altro fare. La sua spada respinge gli scudi e spezza le lance. Nel mezzo della mischia, il suo sangue canta. Qui, circondata dai petali in fiore dell’acciaio, è libera da ogni pensiero che non sia quello che muove i suoi arti. Parata, contrattacco; schivata, colpo magico.
Quando raggiunge suo fratello, l’armatura di lei è già sporca di sangue. Alza la spada contro di lui, sul suo cavallo, e lo sfida a smontare. “Casa non esiste più, Will!”
Dei freddi occhi la studiano. Quando i piedi di lui toccano finalmente terra, le sue spalle risentono anche del peso delle sue preoccupazioni. Lui non estrae alcuna arma. “No, non è vero. Hazel ed Erec hanno bisogno di noi-”
Sta parlando a lei nello stesso modo in cui parlò a Imodane. A sua sorella. Non riesce a sopportarlo un secondo di più. “I nostri genitori sono morti, il Reame è in frantumi, e tu ti comporti come se parlare fosse d’aiuto. Non serve! Parlare non sarà mai d’aiuto!”
Un brusco fendente al petto lo convincerà ad alzare la spada. Persino Will non può competere con un argomento tanto convincente: alza la propria lama per parare. Non lo aiuta molto. Rowan è più forte di lui. È sempre stata più forte.
Lui viene respinto da un’implacabile raffica di colpi, passo dopo passo, con i suoi guerrieri che gli fanno strada per lasciarlo passare. Che lui avesse impartito un ordine oppure a causa della loro paura nei confronti di lei, gli altri cavalieri fanno ben poco per fermare Rowan.
L’unica cosa che effettivamente la ferma è un dardo di ghiaccio. Will riesce a scagliarlo tra un colpo e l’altro: lei non si rende conto che i suoi piedi sono congelati al terreno finché non prova a muoverli ancora una volta.
Rowan riprende fiato. Mentre la battaglia infuria intorno a loro… cavaliere contro sognatore, amico contro amico… suo fratello cerca di trattenere le lacrime.
“Ro, mi dispiace” dice lui. “Non ti ho aiutata quando ne avevi bisogno.”
Non è una cosa che si sarebbe aspettata da lui. Sente una sensazione pungente agli angoli degli occhi, un dolore al petto. Una freccia le vola sopra la testa, conficcandosi in un sognatore dietro di lei. Non può guardare Will per troppo tempo, poiché altrimenti non riuscirebbe più a parlare. Lancia uno sguardo dietro di sé, verso Eriette.
Ma non vede solamente Eriette. Rowan è presa dallo sconforto. I bambini devono essersi liberati. E peggio ancora, stanno attaccando il trono. La ragazza in rosso sta brandendo contro Eriette una spada grande il doppio di lei; il ragazzo combatte con una frusta di viticci dorati.
Eriette potrà anche essere una potente strega, ma non è una combattente. Non può gestire i bambini e animare i dormienti allo stesso tempo.
Rowan guarda ancora Will. Ora lui è corrucciato. “Vuoi salvare lei?”
“È nostra zia. Questa magia è sempre stata nel nostro sangue, Will” dice Rowan. È sorpresa da quanto la propria voce sembri giovane. “Possiamo usarla per salvare Eldraine. Nessuno dovrà più soffrire, nessuno deve morire. Possiamo tenerli al sicuro.”
Per un attimo, lei confonde il dolore nell’espressione di lui per compassione. È il più lungo attimo della sua vita: una corda di speranza avvolta attorno al collo, una scatola calciata via da sotto di lei.
“Non ti riconosco più” dice lui.
Le scintille si uniscono sulle sue dita. Rowan lancia un’esplosione nuovamente contro l’avanguardia, creando un altro squarcio sul pavimento. Un’altra ondata di rabbia, un’altra ondata di frustrazione, un’altra ondata di dolore. Lei continua a puntare contro i suoi ex amici infedeli, ancora e ancora. Tutte queste persone che sapevano quanto stesse male e l’hanno lasciata a marcire, tutte queste persone che hanno visto quanto sanguinasse e hanno sparso sale sulla ferita... che ora conoscano il suo potere!
Solo quando le sue furiose acque si calmano, allora Rowan respira.
E lì, dove lei si aspetta di vederli a terra, vede un bozzolo di ghiaccio. Bucherellato, crepato e rovinato, eppure integro di fronte al suo assalto.
Will lo fa scomparire con un gesto della mano. “Non funzionerà” dice lui.
“Non puoi saperlo!” risponde Rowan. Disperata e senza fiato, non può trattenersi dal partire in carica verso di lui. La sua spada avrà successo dove la sua magia ha fallito… ne è sicura. Will non l’aveva mai eguagliata sul campo.
Lei lo attacca con un fendente, solo per farsi afferrare la lama da una famigliare mano di legno massiccio. Imodane la spinge indietro e Rowan barcolla.
“Non lo capisci, vero, ragazza?” ringhia Imodane. Perdere un’arma non sembra averla fermata. Colpisce con un pugno di legno il proprio palmo di carne. “Sarà lui quello che riunirà il Reame. Persino io riesco a vederlo, ora.”
“Non esserne così sicura.”
Freddo glaciale sulla nuca; fumo nei polmoni; una foschia che minaccia di trasportarla in un posto bellissimo e lontano. Dei veli neri si riuniscono fino a formare l’elegante forma di Ashiok di fronte all’esercito riunito.
Rowan non può fare a meno di sorridere beffardamente. Eriette avrà anche avuto qualche difficoltà a controllarne così tanti contemporaneamente, ma ad Ashiok viene naturale. I dormienti riuniti attaccano con una nuova grazia, dondolando lontano dai colpi in arrivo, e infliggendo i propri con crudele precisione.
“Will non è l’unico con degli amici” risponde Rowan a Imodane.
Non possono contrastarlo facilmente. Ashiok, in centro, è circondato su ogni lato dai suoi sognatori, e i suoi sognatori sono fin troppo felici di difenderlo. La falange dovrà spezzarsi se decidono di attaccare.
Imodane sferra un colpo tremendo in direzione di Rowan. Lei non si preoccupa nemmeno di schivare: il naso si spezza, il mondo intorno a lei inizia a girare, la bocca viene inondata dal sapore di rame. Ne vale la pena, se riesce ad avvicinarla. Perché c’è una cosa che Rowan comprende, una cosa che loro non sanno: i cavalieri riuniti non possono vincere contro Ashiok. Lei deve solamente resistere abbastanza a lungo, così che Eriette possa metterli tutti a dormire.
Rowan colpisce il volto di Imodane con l’impugnatura della sua spada. Un attimo di concentrazione è sufficiente a rilasciare scintille attraverso l’armatura della cavaliera. Lei grida di dolore, allontanandosi dal combattimento per cercare di strapparsi di dosso la sua cotta di maglia, ma lei non è l’unico nemico che affronta Rowan. Almeno una decina di cavalieri si sono radunati per difendere suo fratello mentre gli altri tengono a bada i sognatori.
Tredici contro uno.
A Rowan piace come pronostico.
“Tutte queste persone si trovano qui perché credono nella stessa cosa in cui credevano i nostri genitori: un Eldraine unito. Non puoi far fare alle persone quello che vuoi!” dice Will.
“Lo stai dicendo solo perché sei sempre stato troppo debole per farlo” risponde Rowan. “La diplomazia avrebbe fermato Oko? O gli Oriq?”
Tre delle guardie di Will si accasciano attorno a lui, e i loro corpi si uniscono al cumulo dei dormienti. Un fendente in arrivo da parte di uno degli altri dà a lei un’altra possibilità. Rowan si lancia contro il fendente, deviando all’ultimo secondo. Con la distanza diminuita in quel modo riesce a colpire con l’impugnatura la tempia del cavaliere. Le sue nocche sono ricoperte di sangue mentre il suo avversario cade a terra.
Si trova a metà strada.
In lontananza nota un lampo d’oro in mezzo al fumo di Ashiok. Il ragazzo di prima, che brandisce una specie di catena dorata. Piccolo com’è, è riuscito a sgusciare tra i ranghi.
Non che gli farà molto bene. È un ragazzino contro Ashiok… cosa potrà mai fare? Gli archi dorati della sua frusta improvvisata potranno anche essere vistosi, ma non lo salveranno. E nemmeno parlare lo aiuterà. Lei rivolge nuovamente la sua attenzione su Will.
“Se avessi parlato ai Phyrexiani, Will, pensi che i nostri genitori sarebbero vivi ora?” Si lancia contro Will ancora una volta.
Per anni hanno fatto incontri d’allenamento, per anni hanno conosciuto la mente dell’altro. Lei conosce ogni trucco di cui lui può disporre, ma anche lui conosce quelli di lei. E quando lo mette con la schiena al muro, è disperato. Raffredda l’aria attorno a lei, evoca scudi all’ultimo secondo, ghiaccia il terreno per farle perdere l’equilibrio. “Il potere ha così tanta importanza per te?”
“Il potere è l’unica cosa che ha importanza” dice Rowan. Lei colpisce il gomito di lui con un fendente; lui lascia cadere la spada. Una lancia giunge verso di lei, ma uno dei sognatori si getta sulla traiettoria. Il contrattacco del dormiente, una martellata sul ginocchio, vede cadere anche il suo uccisore. “Ora riesci a vederlo? Porta pure quante persone vuoi, Will. Non avrà importanza. Guardati intorno, il tuo esercito si sta addormentando.”
Will, con la sua personalità da seguace, fa ciò che gli è stato detto. Rowan lo osserva mentre comprende che non c’è via di scampo per loro. Lui scaglia un ultimo, disperato dardo di ghiaccio, che lei evita facilmente.
“È finita.”
Ma poi Will inizia a sorridere. “Qual era la battuta? ‘Non esserne così sicura?’”
È il più vecchio trucco del mondo, eppure ci è cascata, voltandosi per guardarsi alle spalle.
Il dardo ha colpito il suo vero bersaglio: il petto di Ashiok.
Il ragazzo non stava cercando affatto di sconfiggere Ashiok. Rowan lo capisce solo ora. La sua unica intenzione era di tenerlo fermo in quella posizione abbastanza a lungo perché Will potesse colpirlo con il suo dardo. E un dardo potente, per giunta; Rowan raramente aveva visto Will mettere così tanto potere in un singolo colpo.
Ashiok si lascia andare in un urlo di dolore mentre il ghiaccio si diffonde nel suo corpo. Il fumo lo inghiotte, e poi sparisce. Ha ancora la sua scintilla, si rende conto improvvisamente Rowan, con un senso di sbandamento.
Il fumo si dirada giusto in tempo per vedere la ragazza che preme la sua lama contro la gola di Eriette.
Il cuore di Rowan le finisce in gola.
In questo momento di pericolo, Eriette rimane calma e composta. Dall’altro lato delle rovine della sala del trono, i suoi occhi si incrociano con quelli di Rowan. Un singolo filamento della maledizione, abbastanza sottile da non essere visto, le connette.
Vattene da questo posto, le dice Eriette. Quando il momento sarà opportuno, ci incontreremo ancora.
Rowan fa un passo verso di lei. Ma io non posso perdere nessun altro.
Non stai perdendo nessuno. Non mi uccideranno, cara. Sono troppo deboli. Staremo in attesa.
Il filamento si spezza. Nei recessi della sua mente lei è sola, ad osservare ancora una volta una persona cara tenuta a punta di spada.
Se non ascolta il consiglio di Eriette, allora suo fratello sicuramente la arresterà. La imprigionerà, e ci sarà una sfilata infinita di guaritori e sciocchi dal cuore tenero che parleranno con lei. Che cercheranno di capirla. Nel frattempo Eldraine rimarrà frammentato, perché anche se Will qui ha radunato un esercito che veste diversi colori, non li ha radunati tutti. E se alla fine lei si arrende, se fa finta che vada tutto bene, lui rimarrà l’Alto Re e lei…
Lei sarà sempre la donna che si è ribellata. Peggio, lei sarà sempre la donna che lui ha degnamente perdonato.
No… non si torna più indietro ora, non si torna a casa.
Ha ancora abbastanza potere per un ultimo colpo.
Rowan Kenrith prende un respiro. Come aveva fatto a Strixhaven, lascia che il suo potere crepiti attraverso di lei. Una luce divampa.
“Rowan!” grida Will.
Cerca anche di raggiungerla. Ma ha comunque paura di lei, ed è quello il problema.
È difficile controllare il proprio potere quando ce n’è così tanto. Ma deve comunque provarci. Corrugando la fronte, digrignando i denti, modella l’energia mentre lascia il suo corpo… invece di direzionarla all’esterno intorno a lei, la direziona tutta verso il basso.
Un boato più forte della caduta di un gigante.
Rowan si trova in aria.
Da quassù riesce a vedere i filamenti della maledizione che si delineano, come una ragnatela che ha il castello come centro.
Cosa le aveva detto Royse? Se non trovate tempo per il riposo, arriverà quando meno ve lo aspettate.
È la stessa cosa con Eldraine. Quanti colpi aveva dovuto subìre finora? Quanti sogni infranti? Se deve tornare ad essere forte… se deve tornare ad essere unito… deve forgiare nuovamente quei sogni.
Ha bisogno di riposare.
Così come Rowan.
Un giorno, porterà quel sonno benedetto al resto di Eldraine.
Alla fine di tutto, per Kellan c’è molto da esaminare.
L’Alto Re Kenrith prende lui e Rubinia in disparte. Dice loro che non ha mai incontrato dei bambini coraggiosi come loro, che sono invitati ad andare a palazzo quando vogliono, che saranno accolti come membri della famiglia. Ma i suoi occhi sono delle nuvole temporalesche mentre dice tutto questo, e non riesce a smettere di guardare l’orizzonte. Kellan pensa che stia cercando Rowan. Se fosse in lui… se fosse stata sua sorella ad aver fatto tutto quello… è ciò che avrebbe fatto Kellan. Perciò non biasima Re Kenrith per essere un po’ distaccato. Deve star provando molto dolore.
Rubinia accetta la sua offerta, alla condizione di poter portare anche suo fratello. Il sorriso del re si incrina. Lui accetta. Sì, sarebbe stato bellissimo avere in visita lei e suo fratello… entrambi.
Mentre pianificano il tutto, Kellan sguscia via. C’è qualcos’altro che deve fare. La sua amica si merita tutti i riconoscimenti possibili. Affrontare una strega con una spada di ghiaccio? È il genere di cosa che fa la sua figura in una storia. Estremuro ben presto non avrà più mantelli rossi disponibili. Che lei si diverta; ciò che deve fare lui non farà altro che allontanarla dalla gloria che si merita.
Fuori dal Castello di Ardenvalle mette piede nel Mondo Fatato.
Una fattoria assonnata fuori da un villaggio ancora più assonnato. Un luogo che conosce la difficoltà solo contro il tempo atmosferico e il suolo. Qui, tra i recinti e i pascoli di Orrinshire, non si parla di eroi.
La calma è strana per le orecchie di Kellan, mentre cammina sul sentiero battuto verso la fattoria della sua famiglia. Non è mai stato così contento di udire in lontananza i belati e le asce che tagliano il legno. Dopo tutto quello che aveva passato, il silenzio lo avvolge come un cappotto ristretto, l’intero posto lo faceva.
Quando cammina di fianco ai ragazzi Cotter, gli lanciano la stessa occhiataccia. La cosa terribile è che parte di lui ha ancora paura di loro, anche se sa che non dovrebbe. Ma ora almeno sa che è abbastanza forte. Si tiene dritto con la schiena. Li oltrepassa, e quando loro non fanno nulla per fargli del male, si lascia andare in un respiro.
Malocchio è il primo della sua famiglia ad accoglierlo. Arriva balzando sopra le file di rape piantate in modo preciso, lasciandosi dietro una scia di bava gocciolante, ululando con quell’ululato così familiare. Quando Malocchio gli lecca la guancia, Kellan si fa sfuggire un sospiro di sollievo. Non ha importanza dove fosse stato o cos’avesse scoperto su sé stesso, Malocchio sa sempre chi è veramente.
Kellan si carica il cane in spalla mentre si fa strada su per la collina. Malocchio non smette di abbaiare, ovviamente, quindi non passa molto tempo prima che la sua famiglia capisca che sta succedendo qualcosa. Ronald appare da dietro la fattoria, con un’ascia appoggiata sulla spalla. La lascia cadere non appena individua Kellan. “Tesoro! Tesoro, è a casa, il nostro ragazzo è a casa!” grida lui.
Ronald corre verso di lui, e Kellan è talmente avvolto nelle braccia del suo patrigno che non nota l’arrivo di sua madre finché lei non li abbraccia entrambi. Vedendo i campi attorno, con il velato belare delle pecore nelle orecchie e il leggero gusto di terra sulla lingua, la voce di sua madre e la forte stretta del suo patrigno… sì, dopo tutto quanto, finalmente è a casa.
Lo accolgono in casa. Insistono. Sul volto di sua madre scorrono lacrime di gioia. Gli porge una giacca che ha confezionato per lui. Quanto tempo ha dovuto filare per farla? Com’è possibile che sia riuscita a finirla solo nel periodo in cui lui è stato via? Perché ogni filo è vivace e bellissimo, dagli azzurri più scuri ai gialli più chiari. Dove il colore si fa dorato è impressionato nello scoprire del vero filo d’oro. Solo i colori e i materiali avrebbero dovuto mettere sul lastrico l’intero villaggio… ma i dettagli avrebbero messo sul lastrico persino una città come Estremuro. Ricamati ovunque si possono notare degli alci giocosi tra gli olmi e i faggi che circondano Orrinshire. Lungo i polsini ci sono primule in fiore; sotto una tasca, una ragazza è seduta davanti ad uno stagno di acqua cristallina, con il suo riflesso che la guarda a sua volta. E la fodera! Qui vede ancora la ragazza. Questa volta segue un uomo con la pelle macchiata di blu.
La mandibola di Kellan rimane a penzoloni. Si lancia nuovamente ad abbracciare sua madre. “È bellissima, Mamma, ma non posso accettarla. Non posso indossarla fuori! Potrebbe rovinarsi!”
Lei ride, togliendogli i capelli dal viso. “È molto premuroso da parte tua, Kellan, ma l’ho incantata.”
Kellan volge lo sguardo nuovamente alla giacca. Preme le dita contro il tessuto, come se la magia sia qualcosa che può sentirsi come le scanalature di uno strumento. “Davvero?”
“Bè, tua madre non ha passato cinque anni in apprendistato presso una strega per niente” dice lei, con un sorriso. “Ronald, ci faresti un po’ di tè?”
“Certamente. Ma prima dovrò andarlo a prendere dai Brown, ho sentito che a Gretchen è appena arrivata questa nuova varietà…”
Sta già indossando la sua giacca, tessuta in maniera molto meno elegante, e si sta dirigendo verso la porta. Quando la chiude dietro di sé, Kellan alza un sopracciglio verso sua madre. “C’è qualcosa sotto.”
“Sei diventato più astuto, vero?” dice sua madre. Posa lo sguardo sulla giacca.
Kellan si siede di fronte a lei al tavolo. Lui non si sente molto più astuto, ma pensa di avere un’idea di cosa stia succedendo. Nonostante ciò, vuole che lei si senta a suo agio. “Cosa volevi dirmi?”
“Volevo parlarti di me e di tuo padre” dice lei. “Il tuo padre biologico. Sono sicura che il Signore delle Fate ti abbia già detto ciò che sa di lui, ma pensavo che avresti potuto conoscerlo come ho fatto io.”
Kellan sorride. Anche il suo cuore sta battendo forte. “In realtà, il Signore delle Fate non mi ha detto nulla su di lui.”
“Non l’ha fatto? Ma la tua missione-”
“Gli ho detto che volevo tornare a casa e sentire la storia raccontata da te” dice Kellan. “Quando pensavi che sarei stato pronto.”
Il silenzio si dilunga, man mano che le lacrime si raccolgono negli occhi di sua madre. Gli stringe la mano, e lui stringe quella di lei, e quando lei è pronta, inizia a parlare.
“Incontrai tuo padre durante il mio addestramento” dice lei. “Ero nella foresta a raccogliere della belladonna, quando trovai un uomo steso tra i boccioli, come se non fossero affatto pericolosi. Quando mi invitò a sedermi con lui pensai che stesse scherzando, ma si offrì di darmi tutta la belladonna che volevo in cambio solamente di una conversazione. Riconoscendolo come fata, gli feci promettere che sarebbe stata una sola conversazione, dopodiché… parlai con lui. Mi disse che il suo nome era Oko, e mi disse che era appena giunto a Eldraine. Che lui non proveniva da nessun Reame che io avessi mai visto. Voleva conoscere meglio il posto, e da una ragazza carina era tutto di guadagnato.”
L’uomo macchiato di blu sulla fodera della giacca cattura la sua attenzione in modo nuovo. Oko. Suo padre. Un uomo tra i boccioli di belladonna.
Sua madre sospira in maniera quasi sognante. “Fu la prima volta che qualcuno mi diceva che ero carina. E trovai l’idea di altri Reami oltre al nostro così elettrizzante che, naturalmente, gli feci mille domande. E lui le appagava cortesemente con delle risposte, fintanto che io gli dicevo qualcosa riguardo Eldraine in cambio. Rimanemmo lì seduti per ore, a parlare tra i fiori, finché… non ci rendemmo conto che avremmo dovuto incontrarci ancora.”
“Un altro Reame… Ti disse come si chiamava?”
“Lo fece ma, se devo essere onesta, quel nome l’ho dimenticato da tanto tempo” dice sua madre. “Ma disse che era una terra dove il popolo fatato regnava incontrastato. Infatti trovò l’idea di una sfida nei loro confronti da parte degli umani molto divertente e si lamentava di non riuscire ad affrontare direttamente Lord Talion. Ovviamente, tutti i giovani uomini parlano in quel modo, ed eravamo entrambi giovani al tempo.”
Lei si appoggia allo schienale della sedia.
“Durante gli anni successivi, udivo la sua voce provenire da corvi, alberi o, a volte, persino dai prodotti da forno, e io sapevo che ciò significava che voleva incontrarmi alla gola della belladonna. Giungeva a me in diverse forme e mi raccontava molte cose. Senza l’aiuto di tuo padre non sarei mai riuscita a fuggire dalla mia padrona… mi faceva sentire così coraggiosa e intelligente.
“Per un po’, fu meraviglioso. Noi due andavamo ovunque volessimo a fare qualsiasi cosa desiderassimo. Imparai più magie da lui di quanto non avessi mai fatto con la strega. Mi sussurrava i segreti della terra e mi promise un trono.
“I problemi iniziarono dopo. Nonostante fossi stata liberata, nessuno in città voleva avere qualcosa a che fare con me. Come recita il detto: strega una volta, strega per sempre.
“Tuo padre… era molto contrariato da questa cosa” dice sua madre. “Parte di me trovava affascinante che un uomo si preoccupasse così tanto per me. Io volevo andare via con lui, ma lui non poteva portarmi con sé. E stare qui lo stava logorando. Alla fine, lui… fece del male a delle persone che non erano state gentili con me, e compresi che non potevamo continuare in quel modo. Indipendentemente da quanto lo amassi.
“Non ero fatta per essere una regina, capisci? Dopo tutti quei sacrifici, volevo la pace… ma lui voleva radere al suolo questo posto per avermi offeso.”
“Tornò nuovamente in visita tre anni fa. Lo udii chiamarmi una notte, mentre stavo filando. E anche se la ragazza in me avrebbe voluto andare da lui, la donna che sono diventata sapeva a cosa avrei rinunciato se l’avessi fatto. Sono molto più felice qui con te.”
Kellan ascolta, troppo assorto per interromperla, mentre guarda continuamente la giacca.
“Potresti dirmi qualcosa di più su di lui?” dice Kellan. “Di com’era come persona.”
Il sorriso di sua madre è triste solo un pochino. “Ma certo. Tutto ciò che vuoi sapere.”
Lui non riesce a dormire. Ci sono troppe storie nella sua testa. Troppi volti di suo padre che lo osservano. Si chiede quante volte lo abbia già visto. Sua madre ha detto che a lui piaceva cambiare forma, quindi forse si erano già incontrati.
Ma se fosse così, perché suo padre non si è presentato?
Questa è la domanda che gli impedisce di riposare, come un ferro di cavallo fissato male impedisce al destriero di correre. Fa male. La domanda continua a ripresentarsi: Perché non mi hai parlato? Non sono abbastanza per te?
Non aveva avuto il coraggio di chiederlo a sua madre.
Dato che dormire era inutile, decide invece di andare a fare una camminata. Forse libererà la sua dannata testa da quel pensiero incastrato. Forse farà meno male. Quindi parte, avvolgendosi nella sua bella giacca nuova, nell’oscurità esterna e nelle terre selvagge.
Un tempo lo spaventavano. Ora non ne ha più motivo. I boschi non lo tradiranno mai, fintanto che il suo sangue odora di pino.
Malocchio lo segue. A differenza di altre notti, Kellan non riesce a pensare a nulla da dire al suo vecchio amico. Parlare peggiorerebbe le cose; se aprisse bocca, sicuramente non farebbe altro che farsi altre domande. E non dovrebbe fare delle domande a un vecchio segugio.
Ma Malocchio lo aiuta a modo suo. Dopo appena cinque minuti, lui scatta in avanti, come se avesse sentito un odore particolare. Kellan può fare poco, se non corrergli dietro. Il suo respiro crea della foschia nel fresco notturno. La luce della luna gli illumina la pelle.
Passando sopra ai grossi rami e oltre una boscaglia di tasso che gli gratta la pelle, finalmente raggiunge Malocchio. Abbaia una volta e assume la sua posa da puntamento, puntando dritto verso… un portale?
Deve esserlo per forza: un susseguirsi vorticante di triangoli interconnessi, simile ad uno specchio opaco, senza sostegni al di sotto dei rami ondeggianti degli alberi. Non assomiglia affatto ai portali che portano nel reame di Talion. E l’altro lato non sembra affatto Eldraine.
Il respiro di Kellan gli si ferma nel petto. Troyan gli aveva raccontato degli altri Reami. E anche sua madre l’aveva fatto, ripetendo le cose che suo padre le aveva detto al riguardo.
E se questo fosse il modo per andare all’esterno? E se fosse una prova? Suo padre visitava altri luoghi oltre a Eldraine. E se vivesse di là, dall’altra parte? Kellan potrebbe chiedergli perché è passato così tanto tempo senza che si fossero incontrati. Magari dall’altra parte lo conosceranno.
Fa un passo in avanti.
Sarà solo un’occhiata veloce. E si ricorderà da che parte è entrato. Dovrebbe andare bene, giusto? Non sta veramente lasciando casa sua, sta solo facendo un giro da qualche parte. È come andare al mercato.
Non sta andando via da casa. Tornerà subito.
Kellan accarezza Malocchio e attraversa il portale.
Svegliati. Non è ancora tutto perduto. Sono tornato da te.
La voce è fredda, familiare. Eriette si chiede perché sia passato così tanto tempo prima di udirla un’altra volta ancora. Quando apre gli occhi, la cella della prigione ricambia il suo sguardo, ma anche Ashiok fa lo stesso. Del fumo fluttua dai suoi veli evanescenti, nonostante la mancanza di vento nella stanza.
“Cosa ti ha trattenuto così a lungo?” chiede lei. Le sue catene sferragliano quando si alza in piedi. Se le guardie fuori sentono qualcosa, non dicono nulla, e non si muovono nemmeno. Stanno indubbiamente sognando qualcosa di molto più piacevole rispetto a fare la guardia a lei.
“Dovevano essere completati dei preparativi” risponde Ashiok.
“Dov’è Rowan?” chiede lei. “Sta aspettando fuori?”
Le labbra di Ashiok si contraggono. “Non è ancora pronta per ciò che deve essere fatto.”
Eriette si imbroncia. “Se le dessi la possibilità di imparare, sono sicura-”
“L’opportunità ci conduce verso una nuova direzione. Una lontana da qui. Imparerai molto e, se vorrai, potrai tornare per insegnarle. Quando lo farai, avrai una schiera di servitori che si prenderanno cura del tuo nuovo regno.”
Bene. Quello di certo renderà più semplice la questione. Rowan starà bene da sola per un po’... e se Eriette fosse riuscita ad assicurarsi una nuova terra per loro, tanto meglio. Lei alza le sue mani incatenate.
La mano di Ashiok passa sopra le manette. “Sarai lontana da qui, Eriette. Molto lontana.”
“Lontana dalla cella di una prigione? Tesoro, è un’ottima cosa” dice lei.
Ashiok non ride. Non ride mai.
Sulla cella cala l’oscurità. Le manette cadono sul terreno di pietra. Al mattino, quando la verranno a cercare nella cella, lei se ne sarà già andata.
Racconto successivo: The Lost Caverns of Ixalan Episode 1
Curiosità[]
- Nella storia il cavallo di Will è bianco mentre nella carta che lo rappresenta è marrone.
Collegamenti esterni[]
- Articolo tradotto da MTG Traduzioni ITA: Terre Selvagge di Eldraine