Episode 4: Ruby and the Frozen Heart è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da K. Arsenault Rivera e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast l'11 agosto 2023. Racconta parte della storia di Kellan dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia.
Racconto precedente: Episode 3: Two Great Banquets
Storia[]
La giornata è tersa e pungente quando Kellan e Rubinia ritornano a Estremuro. Dopo le disavventure a Tumulo Grigio e le meraviglie della casa dei giganti, questo luogo sembra sia un paradiso che un tugurio. Ed è questo che a Kellan piace così tanto. Se dovesse tornare a Orrinshire, sa perfettamente cosa vedrebbe: sua madre al telaio, il suo patrigno che bada alle pecore, gli abitanti del villaggio che vivono la loro giornata in perfetta armonia. Non ci sono tracce del Sonno Stregato a Orrinshire, né alcuna sorpresa.
Qui a Estremuro ce ne sono tantissime.
La prima è la diffusione del viola per la città. Dove prima i rigagnoli maledetti toccavano appena le vie e le strade, ora formano fiumi e ruscelli. Quando se ne andarono, c’erano decine di dormienti. Ora, con un tuffo al cuore, Kellan si rende conto che le vittime sono troppe per essere contate. Appoggiati contro le balconate, nascosti dietro carta da pergamena e lenzuoli, in piedi davanti alle finestre aperte…
Persino Rubinia rimane sconcertata a quella vista. Lei non lo dice ad alta voce… è troppo coraggiosa per farlo… ma lui lo sente dagli intensi respiri che lei si lascia sfuggire mentre camminano per le vie. Lo vede negli attenti saltelli che compie per evitare qualsiasi filamento viola, nella sua postura rigida. “Attento a dove metti i piedi” dice lei, con un sorriso più per far contento lui che per mostrare una vera gioia. “Non possiamo lasciare che il nostro eroe si addormenti.”
“Non chiamarmi così” dice Kellan. “Mia madre mi dice sempre che se dò l’impressione che ciò che ho fatto non sia una gran cosa, allora anche tutti gli altri inizieranno a farlo. Tu sei stata eroica quanto me.”
Rubinia ride. “Tua mamma mi sembra proprio una brava signora, ma ti sbagli. È Peter l’eroe nella nostra famiglia. Crescere la sorellina tutto da solo ed essere il miglior cacciatore in città…” Salta oltre un filamento maledetto. “Questo è un vero eroe.”
“Io penso che ci siano un sacco di modi per essere un eroe” dice Kellan. “Peter è un eroe, ma anche te lo sei. E piacerebbe anche a me diventarlo, un giorno.”
“Bè, stai già affrontando una missione” dice Rubinia. Lei li conduce per le strade fino ad arrivare ad una casetta al limitare della città. Una persona scortese potrebbe dire che non fa affatto parte di Estremuro, ma i colori della città che decorano la finestra affermano orgogliosamente il contrario. Un pennacchio di fumo si alza dal camino, spargendo aroma di legno di melo. Lo stomaco di Kellan brontola.
“Cosa pensi che renda un eroe tale, comunque?” gli chiede lei.
“Un eroe è qualcuno che fa sempre la cosa giusta” dice lui. “Qualcuno che migliora le vite degli altri.”
Rubinia si ferma con la mano appoggiata alla porta. Stringe gli occhi. Kellan aspetta di vedere se risponderà, ma non c’è occasione di continuare la chiacchierata. Peter li vede dalla finestra e li invita ad entrare. Grazie alle bistecche di cervo fresche che sfrigolano sulla padella di ghisa, la discussione sull’eroismo cede educatamente il posto a quella sulla cena. E ai prossimi piani.
Gli dicono che andranno al Loch Larent, e lui accetta di accompagnarli… ma ad una condizione.
“Dovete indossare il mio mantello più pesante, e quando non riuscite più a sentirvi il naso, dovete tornare indietro. Qualsiasi sia la circostanza.”
“Ma se quando succede non abbiamo ancora finito?” dice Kellan.
“Allora quando voi due sarete tornati, andrò io” dice Peter. “Ho sentito parlare di quel castello. Nessuno è riuscito a raggiungere il centro. Né gli altri cacciatori, né i banditi. Syr Imodane ci ha provato prima di venire qui. È sua opinione che sia più facile avventurarsi nelle terre selvagge piuttosto che fare più di quaranta passi lungo il ponte levatoio… e lei aveva quella magia focosa a scaldarla.”
Nella stanza cala il silenzio. Kellan lancia uno sguardo a Rubinia, e Rubinia fa lo stesso con Kellan.
“Non ho intenzione di tornare indietro” dice lui. “Non posso farlo. Non quando così tante persone sono malate. Il mio signore ha detto che chiunque sconfigga le streghe metterà fine alla maledizione-”
“Il tuo signore non ha detto che devi farlo per forza te, ragazzo” dice Peter. “Non c’è vergogna nel chiedere aiuto. Sei solo un ragazzino, e anche Rubinia è ancora giovane. Devi riconoscere quando una bestia può essere abbattuta e quando è meglio lasciarla in pace.”
Quando gli occhi di Kellan si incrociano nuovamente con quelli di Rubinia, sa che lei sta pensando la stessa cosa.
E se Peter avesse ragione?
Alla fine, Rubinia fa la sua promessa. Suo fratello le avvolge una pelle d’orso attorno alle spalle, nonostante lei insista nel tenere il suo cappuccio. A Kellan fornisce un bel cappotto di lana, alla cui vista il ragazzo si lascia andare in uno sbuffo. La lana è di Orrinshire.
Eppure lo indossa con orgoglio quella sera, quando Peter gli dice che ha una sorpresa per loro, dopodiché affonda il viso nel colletto alzato quando l’imbarazzo lo investe. Poiché lì, nella piazza cittadina, ci sono dei bambini riuniti con cappucci rossi e mantelli di lana. Decine e decine, sembrerebbe… e ci sono anche ragazze vestite di lana, così come ragazzi vestiti di rosso. Tutti osservano perfettamente immobili due marionette che superano ogni genere di ostacoli per sconfiggere una malvagia strega mangiauomini.
Nella tremolante luce delle candele, Kellan pensa di vedere Rubinia in lacrime. Ma lei le asciuga nel momento in cui lui la scorge, ed entrambi decidono di non parlare di questo prezioso momento.
Loch Larent si trova ad una lunga settimana di viaggio da Estremuro. Peter li accompagna per quasi tutta la strada, ma mentre si stanno avvicinando al loch vero e proprio, lui annuncia che si fermerà per accamparsi. E chi poteva biasimarlo? Nonostante siano ancora lontani un'intera giornata di viaggio, fa così freddo che Kellan deve saltellare per tenersi caldo. In tutti gli inverni che aveva vissuto, aveva patito solamente due giorni più freddi di questo: ed entrambi nei mesi più rigidi. Lui e la sua famiglia si erano rannicchiati insieme alle pecore così che nessuno congelasse. In cuor suo, si era chiesto se fosse possibile congelarsi nel vero senso della parola. Sembrava più una cosa che poteva fare l’acqua, o forse la birra, ma non le persone.
Ora non ha più così tanti dubbi. Ma non lo lascia a vedere. E nemmeno Rubinia.
Peter è più cauto. “Siete sicuri di non volere che venga con voi?” chiede.
“Ti stai ancora riprendendo” dice Rubinia, anche se Kellan sente una punta di rimpianto nella voce di lei. “E poi… penso di volerci provare. Per vedere quanto lontano riesco ad andare.”
I due salutano Peter. Lui li abbraccia forte, augura loro ogni bene e rimane presso il fuoco mentre loro si allontanano. Per un buon periodo di tempo dopo la loro partenza, Rubinia si guarda alle spalle, forse cercando la silhouette del fratello contro la luce arancione. In questo luogo, tutto è blu, verde o viola. Il cielo sopra di loro è striato con tutti e tre i colori che vorticano l’uno sull’altro come gli strati del mantello di una nobildonna. Sotto la superficie ghiacciata del loch, delle inquietanti luci blu ondeggiano e serpeggiano, cercando di attrarre la loro attenzione. Kellan crede di vedere un paio di occhi gialli sotto il ghiaccio… ma l’attimo dopo sono già spariti.
La cosa più impressionante è il castello. Vederlo attraverso lo specchio è una cosa, ma posarci gli occhi di persona ha decisamente tutt’altro impatto. Kellan non aveva idea di quanto fosse grande fino ad ora. La torre principale si erge su una scogliera che si affaccia sul loch, ma chiunque l’avesse progettata non si è limitato a fermarsi lì. L’ignoto architetto fu colpito dalla follia: cancelli che conducono a nuove fortezze, ponti levatoi verso il nulla, una serie infinita di bastioni, ciascuno che ospitava un nuovo cancello. Kellan riesce a contare cinque saracinesche.
Erano sgattaiolati in una baita, avevano scalato una pianta di fagioli ed erano passati sotto la porta per entrare nella fortezza di un gigante.
Non avevano ancora assaltato un castello.
La strada dinnanzi a loro, lastricata di lucente ghiaia cristallina, sembra più una minaccia che un invito. Eppure Kellan non esita a camminarci sopra. Dice a sé stesso che la paura è nulla di fronte al bene superiore.
Ma Rubinia si ferma, con il piede proprio sul bordo della ghiaia scricchiolante. “Questa… sembra una cosa diversa dal resto, vero?”
“Solo se credi che lo sia” dice Kellan. Lui stende la propria mano. “Almeno questa volta non dobbiamo scalare nulla.”
Rubinia si mette a ridere in una nuvola di vapore. Prende la mano di lui e inizia a percorrere il sentiero. “Non dirlo ad alta voce, o Troyan potrebbe saltare fuori da un cumulo di neve.”
“Non penso sarebbe così male” dice Kellan. “I posti di cui parlava sembravano fantastici, vero?”
Rubinia fa una pernacchia. “I posti di cui parlava erano inventati, Kellan! Ho vissuto tutta la vita a Estremuro e non ho mai sentito nessuno parlare di un circo del dolore prima d’ora. E poi, cosa dovrebbe voler dire?”
“Non lo so. Pensavo che magari fosse una cosa che facevano le fate” dice Kellan. Cerca di non far trapelare la delusione nel suo tono di voce ma, come sempre, Rubinia è troppo furba perché sia efficace.
“Tu vuoi veramente scoprire di più sulle terre fatate, non è vero?” dice Rubinia. Lei gli stringe la mano. “Sono sicura che appena avremo finito sarai al centro dell’attenzione.”
Lui non ne è così sicuro. Parte di lui si chiede… è sempre stato troppo fata per gli umani, e se fosse troppo umano per le fate? Talion gli faceva già notare quanto poco conoscesse le convenzioni del popolo fatato ogni volta che parlavano. Non è ancora riuscito a far funzionare le impugnature di vimini. E se là fosse la stessa cosa, ma diversa?
Cerca di pensare a qualcosa da dire.
Ma qualcun altro parla per lui: la voce di una donna trasportata dal vento gelido.
“Cavalieri, banditi ed aspiranti re hanno fallito a percorrere questa strada. Due bambini hanno ben poca speranza di successo. Tornate indietro.”
Il cielo sovrastante si scurisce, il vento si rafforza; se non fosse per la spilla d’acciaio che tiene al suo posto il mantello di Kellan, gli sarebbe stato strappato direttamente dal suo esile corpo.
Rubinia abbassa la testa dell’orso sulla propria per evitare di congelare. Kellan fa lo stesso, ma con il suo cappuccio di sola lana.
“Non abbiamo intenzione di arrenderci così facilmente” grida lui all’aria. Ma qui l’aria è così fredda che per parlare si procura dei taglietti, e quando solo il silenzio risponde, si pente di aver compiuto un simile sforzo.
“Gli audaci vivono vite brevi. Non pensate che la vostra età vi farà ottenere pietà dalla sottoscritta. Il mio reame sarà al sicuro dalle minacce, qualsiasi esse siano. Tornate indietro.”
Con ogni parola pronunciata da Hylda, l’aria attorno a loro diventa sempre più fredda. Il vento è così potente che devono lottare contro di esso ad ogni passo, ma loro non smettono di camminare.
Kellan continua a volgere lo sguardo verso Rubinia mentre avanzano. Non riesce a vedere molto del resto del suo viso, ma quello che riesce a vedere è rosso come il suo cappuccio. Di sicuro non riesce più a sentirsi il naso. “Non devi continuare per forza.”
Ma Rubinia gli lancia uno sguardo contrariato. “E lasciare che la strega vinca?”
“Non vincerà se riesco ad arrivarci io” dice Kellan. Parla nella sua sciarpa per cercare di tenersi al caldo. “Se continuiamo ad avanzare…”
“Morirete” si inserisce la voce di Hylda. “Questo è l’ultimo avvertimento. Date retta alle vostre parole e andatevene.”
Il manto di neve è diventato così spesso che l’unica cosa che riesce a vedere sono gradazioni di grigio e bianco. Ma comunque si guarda intorno, cercando di individuare il castello. In lontananza avvista una leggera sfumatura blu. Un miglio, se non di più.
Kellan sbatte i suoi freddi occhi. Potrebbe andarsene… ma se lo facesse, nessuno si sveglierà e lui non saprà mai chi era suo padre.
“Tu… non riconosci… un eroe in missione quando ne vedi uno” rantola lui. Di fianco a lui Rubinia ride, e ciò lo fa sentire un po’ più coraggioso.
“Invece sì. Muoiono facilmente come chiunque altro. Tu non sarai l’ultimo” risponde Hylda. La sua voce svanisce nell’ululato del vento… e con le creature al suo interno.
La prima si muove troppo velocemente per essere vista dai due giovani: una scia cerulea attraversa il loro campo visivo, con un suono di vetri infranti. Solo quando la lancia glaciale atterra ai loro piedi comprendono ciò che stanno guardando. La neve danzante davanti a loro si è solidificata per formare un’armatura di piastre: un guerriero del gelo, grande almeno il doppio di Kellan, corre loro incontro. Nella sua mano aperta si forma una nuova lancia.
Uno spietato tiro punta dritto al cuore di Kellan. Rubinia lo tira a sé per scansarlo. Ma, comunque, la punta trapassa il bel mantello di Kellan, piantandolo nel terreno nevoso dietro di loro. Il vento ulula nelle sue orecchie e la neve gli punge gli occhi mentre cerca di divincolarsi.
Ma la lana di Orrinshire è famosa per la sua robustezza. È proprio il tessuto di casa sua, magari tosato proprio dalle sue pecore, a bloccarlo sul posto. Per quanto ci provi, non riesce a strappare l’angolo bloccato.
“Non può farti del male se la sua lancia è bloccata!” grida Rubinia. “Slacciati il mantello e vai!”
Ma lui non riesce a farlo. Le sue dita sono troppo rigide per aprire la spilla che tiene fermo il mantello e, anche se ci fosse riuscito, in che condizioni sarebbero stati? Con quel freddo sarebbe finito sicuramente congelato.
Kellan fissa lo sguardo sul guerriero nella penombra. Qualcos’altro sta prendendo forma nella sua mano libera: un’ascia.
“Rubinia, vai avanti!” dice lui.
“Non essere s-aah!”
La sua protesta dura poco, quando viene trascinata verso l’alto. Si è formato un altro guerriero, e questo l’ha stretta tra le sue grinfie. Una spada ricoperta di brina le viene premuta contro la gola.
No, no, non è così che dovrebbe andare. Un conto è quando è lui a trovarsi nei guai, ma dev’esserci un modo per uscirne. Nelle storie, c’è sempre qualcosa che l’eroe riesce a inventarsi. Ma lui non ha armi e non conosce nessuna magia, dato che sua madre non gliene ha mai insegnata una, e suo padre non ha mai…
Il guerriero si prepara a colpire.
“Papà, ti prego” sussurra Kellan, piagnucolando. Per un’ultima volta, afferra le sue impugnature di vimini… e della luce dorata si staglia contro il grigio. Dentro di lui, Kellan percepisce qualcosa di limpido come la primavera nonostante l’ambiente circostante, qualcosa che viene riversato nelle impugnature e le cambia. Agendo d’istinto, compie uno scatto per attaccare-
-e la sua nuova spada taglia di netto il braccio del guerriero del gelo.
Kellan guarda imbambolato la delicata lama di luce tra le sue mani, la cosa che ha evocato grazie alla propria disperazione. Attorno all’impugnatura la luce sembra affilata come un rovo. Lui la ammira per un secondo, ma ora deve tirare lui e Rubinia fuori da questo pasticcio.
Kellan si accuccia sotto le gambe del guerriero, correndo dritto verso Rubinia. Prima che possa pensare di esitare, trancia anche il braccio di questo guerriero. Afferrare Rubinia al volo nella discesa è una cosa facile in confronto.
“Kellan, ce la stai facendo!” dice lei, con gli occhi spalancati. “I poteri fatati, ce la stai veramente facendo!”
“Sì!” Se avesse detto qualsiasi altra cosa, probabilmente avrebbe rovinato tutto. È preoccupato che dicendolo ad alta voce l’effetto sarebbe svanito.
Lui fa indietreggiare Rubinia sul sentiero. I guerrieri, gridando di dolore, si erano allontanati, lasciando le loro armi conficcate nella neve. Rubinia raccoglie la spada e si mette schiena contro schiena con Kellan sul sentiero. Ma più aspettano, più è difficile rimanere dritti in piedi. La loro frivolezza iniziale inizia a sparire. La spada magica nelle mani di lui è pesante come il ferro. Possibile che senta ancora più freddo? Lui percepisce una strana sonnolenza ed è preoccupato che sia la maledizione… ma non ci sono sbuffi violacei qui, nessuna magia salvo la sua e quella di Hylda. Quindi perché si sente così…?
Le palpebre di Kellan iniziano a chiudersi. “Rubinia… penso di essere…”
“Kellan?” dice Rubinia. Si volta. “Kellan!”
Forse dovrebbero riposare un po’ prima, comunque. Ha così freddo, ed è così stanco, e…
È stato così bravo. Si è meritato un riposino.
Kellan si accascia.
Questa volta, è Rubinia a prenderlo al volo.
In mezzo ai turbini di blu, bianco e verde, si trova una ragazza in rosso… e un ragazzo che lei trasporta nella neve.
Tra le braccia di lei, rannicchiato istintivamente nel calore del suo mantello, Kellan è così fragile da temere che i fiocchi di neve possano romperlo. Il suo respiro è così flebile che, se lei non percepisse il suo battito cardiaco, potrebbe pensare che sia morto.
“Prendilo con te e tornate a casa.”
Abbassando lo sguardo su di lui, lei sa che è un saggio consiglio. Suo fratello le avrebbe detto lo stesso: hanno fallito. Può riportarlo indietro, e poi entrambi avrebbero potuto capire come fare in altro modo. O magari sarebbe passato qualche altro eroe, qualcuno con un cuore come una fornace e il sangue come ferro fuso, che non sarebbe stato rallentato dal freddo.
Un mese fa non avrebbe minimamente esitato. La vita era fatta per proteggere te stesso e i tuoi cari; lo scopo è rimanere vivi.
Ma non è più solo così. Tutto questo ha una portata maggiore di loro due; gliel’aveva fatto capire lo spettacolo di marionette. Tutti quei bambini con i loro cappucci rossi… cos’avrebbero pensato se l’avesse lasciato qui? Cos’avrebbe detto Kellan al suo risveglio, sapendo che avrebbe potuto non sapere mai più la verità su suo padre? Come avrebbe potuto vivere in pace con sé stessa se il Sonno Stregato non fosse mai svanito?
Rubinia inizia a camminare.
La neve crepita sotto i suoi piedi, e il vento le fischia nelle orecchie. I suoi passi non le erano mai sembrati così pesanti come in questo momento: ognuno è una battaglia.
“Non hai un debito nei suoi confronti.”
“Non c’è bisogno di un debito perché le persone si aiutino a vicenda” risponde Rubinia, parlando nel vento tagliente.
Non c’è risposta. Per un lungo periodo non ci sono proprio parole: nessun suono, eccetto le raffiche di vento, la neve e il suo respiro. Non riesce nemmeno più a percepire quello di Kellan. Gli si è formata una patina di ghiaccio sulle ciglia. Nonostante sia ancora lontana, il castello si avvicina ad ogni passo… ad ogni battaglia vinta.
Un passo, un altro ancora. Le sue gambe sono doloranti.
“Lui è piccolo e debole. Tu sei robusta e forte. Hai il sangue del cacciatore. Abbandonalo e potresti riuscire a raggiungermi.”
Rubinia è come se stesse respirando del vetro, ma continua a respirare. “Continua… a parlare… Mi stavo sentendo sola, comunque.”
Una forte raffica, probabilmente dovuta alla disapprovazione della strega, la butta a terra. Lei e Kellan rotolano nella neve. Il freddo le risucchia tutta la forza che era riuscita a mantenere e per cui aveva lottato duramente. I suoi arti le sembrano pesare quanto un maiale all’ingrasso.
Ciononostante riesce a sollevarli. Ciononostante riesce ad alzarsi in piedi. Ciononostante solleva il ragazzo dalla neve e lo trasporta, ancora una volta. E, durante tutto questo, mai una volta le viene in mente di abbandonarlo.
Un piede davanti all’altro.
“Sai cosa penso?” grida Rubinia al vento. “Penso che anche tu ti senta sola. È per questo che continui a provocarmi. Non riesci a parlare alle persone in altro modo, vero?”
Un’altra potente raffica. La grandine sbatte contro di lei. Si accovaccia, usando il mantello per attutire l’impatto.
“Vattene.”
Rubinia stringe Kellan ancora più forte e continua ad avanzare.
I cancelli scheletrici si innalzano di fronte a lei. Da quanto tempo stava camminando? Sembra da un’eternità. Si volta e analizza le sue tracce sulle lande ghiacciate. Peter disse che era la parte più facile raggiungere il ponte levatoio esterno. Era l’attraversamento ad essere mortale.
Quando si volta nuovamente verso il ponte levatoio riesce a vederli: dei cumuli sotto il velo di neve immacolata. Corpi nascosti alla vista. Lei e Kellan sarebbero stati così piccoli da non farsi notare, se mai fossero finiti in quel modo. Persino Peter non sarebbe stato capace di trovarla.
Tornate indietro quando non riuscite più a sentirvi il naso, le aveva detto. Lui l’aveva fatta promettere di farlo.
In verità, era da un po’ di tempo che non riusciva più a sentirlo.
Rubinia fa un passo sul ponte.
Qui non ci sono montagne che schermano il vento, nessuna struttura per proteggersi dalla grandine o dal nevischio. Nel momento in cui si ritrova allo scoperto il maltempo la raggiunge da ogni lato. Le dita le tremano. Non sarebbe comunque riuscita a muoverle, nemmeno provandoci. Ma non ha bisogno di muoverle per resistere, per continuare a camminare.
Un passo, un altro ancora.
“Sei una stolta se continui.”
“Forse” dice Rubinia. Non ha torto. Nonostante sia solo a un quarto della lunghezza del ponte, sta già diventando difficile continuare a sollevare i piedi.
“Morirai qui.”
“Non posso saperlo finché non accade” dice Rubinia. Non solleva più i piedi; non riesce a farlo. Vacilla nella neve come un ubriaco che torna a casa dal pub. “Devo provarci.”
“Ma perché? Perché?” chiede la strega. Per la prima volta c’è insistenza nella sua voce. Per la prima volta, sembra davvero infastidita. “Non hai motivo di-”
“Perché il mio amico vuole sconfiggerti, così che possa incontrare suo padre e salvare il Reame, e io non ho intenzione di deluderlo” dice Rubinia.
È a un terzo della strada. Aveva già oltrepassato cinque cadaveri.
“Rinunceresti alla tua vita perché…?”
“Perché è la cosa giusta da fare” dice Rubinia.
Un altro passo. Ancora un altro. Le sue ginocchia cedono.
Quindi non riesce più a camminare. Che problema. Può comunque strisciare.
Rubinia ruota su sé stessa con grande sforzo. Solleva Kellan per metterselo sulla schiena e allunga le braccia davanti a sé. Affondano nella neve. Ha freddo, è stanca, è goffa, ma deve provarci.
“È tutto inutile. Lo sai benissimo.”
“Lui farebbe lo stesso per me, e non penserebbe che sia stato inutile” dice Rubinia.
Non funzionerà. Lo sa, nel profondo, ma ha intenzione di provarci comunque. Anche se sviene, anche se la neve riesce a prenderla, Kellan si sveglierà a un certo punto. Magari il suo sangue fatato verrà in aiuto. E poi, quando raggiungerà il castello, troverà un modo per continuare. Lei si allunga per raggiungere il prossimo appiglio.
Ma si ritrova invece un palmo aperto, con le dita di un bianco purissimo e le unghie delicatamente appuntite. Un braccialetto di cristallo brilla sul polso. “Prendi la mia mano.”
Quella voce. È la strega. Ma cosa ci fa qui fuori?
Rubinia respira, tremando. Suo fratello aveva incontrato una strega… e guarda cosa gli aveva fatto. Lei scuote la testa. “No. Io non-”
“Non voglio farti del male” dice la strega. “Ma se non mi credi, te lo dimostrerò.”
La strega si inginocchia di fianco a lei. Appare più triste di come si sarebbe aspettata Rubinia. Nessun bel vestito bianco, nessuna pesante corona dell’inverno, nessuna magia può nascondere la solitudine nei suoi occhi chiari.
Lentamente, il maltempo attorno a loro si calma finché non rimane una delicata nevicata.
È in questo perfetto silenzio che la strega si protrae verso Kellan. “Dolci bambini, che avete causato così tanti problemi…” Preme le sue labbra in un bacio sulla fronte di entrambi. “Siate i benvenuti alla Casa d’Inverno.”
La magia freme sulla pelle di Rubinia mentre inizia a perdere la concentrazione. “Cosa stai facendo?” mormora lei.
“Vi tengo al sicuro” dice la strega. Rubinia sente delle fredde dita passarle in mezzo ai capelli. “Avevi ragione su di me, ho paura. Mi sento sola. L’avevo dimenticato, ma voi due mi avete mostrato ciò a cui avevo rinunciato rimanendo qui, in questo castello.”
La vista di Rubinia inizia ad annebbiarsi.
“Dormi, bambina. Quando vi sveglierete, conoscerete la verità.”
I giovani si svegliano ore più tardi in una stanza di ghiaccio scintillante. Due golem, plasmati con lo stesso materiale delle pareti, fanno la guardia al loro sonno. Delle coperte, spesse e morbide, li circondano e dinanzi a loro si trova un banchetto mattutino presentato su un vassoio di cristallo. Sidro speziato, crostata, zuppa in abbondanza, ogni cosa che si potesse desiderare per riscaldarsi le ossa era appoggiata sotto una campana luccicante. L’unica cosa che rimane da fare è raggiungerla.
Kellan lo fa senza pensare. Lo stomaco gli brontola e la testa gli pulsa. Che altro avrebbe potuto fare un ragazzo in quelle condizioni? Ma Rubinia gli ferma la mano.
“È opera della strega” dice lei.“
La strega che non vuole farvi del male” La risposta arriva dal lato opposto della stanza. Lei si sta alzando da una sedia, dopo aver appoggiato un libro. Prende la propria tazza e un piattino prima di sedersi di fronte a loro due. “Mi fa piacere vedere che state bene.”
“Come facciamo a sapere che non è un trucco?” chiede Rubinia. “Ci hai salvati là fuori, ma forse volevi solamente metterci a nostro agio per un po’. Forse hai intenzione di mangiarci-”
“Mangiarvi? Deduco che abbiate incontrato Agata” dice lei.
“L’abbiamo lanciata in un calderone” dice Kellan. Lui non è sicuro su quanto abbia ragione Rubinia, o come sia finito qui, ma pensava che andasse specificato.
Se la notizia infastidisce Hylda, lei non ne mostra segno. “Meritava anche di peggio” dice lei. “Io credevo di essere diversa da loro. Dalle altre due, intendo. Loro hanno sempre inseguito il potere. Tutto ciò che volevo io era stare da sola.”
Kellan lancia uno sguardo a Rubinia. Ha un vago ricordo della voce di Hylda, ma è un ricordo che lo mette a proprio agio. Stringe la mano a Rubinia. “Anche se ti piace di più stare da sola piuttosto che stare insieme alle persone, fa sempre bene avere degli amici.”
La strega sorride. Il suo volto non è adatto a certe espressioni. “Ed è vero” dice lei. “Anche quando sono degli amici molto scettici.”
Rubinia si imbroncia. “Mi sto solo prendendo cura di lui!”
Una risata, tanto inadatta alla strega quanto il suo sorriso. “Non ho cattive intenzioni verso di voi… ma siete difficili da convincere. Forse altri due doni potranno dimostrare le mie vere intenzioni?”
Rubinia incrocia le braccia, come se stesse aspettando per vedere cosa potrebbero essere. Nel frattempo, Kellan si serve del sidro e un po’ di crostata. Hylda non vuole far loro del male; se avesse voluto, li avrebbe lasciati là fuori. E poi sua madre gli aveva insegnato che era scortese rifiutare l’ospitalità in quel modo.
Ma ben presto lui si ferma quando vede ciò che ha fatto Hylda. Con un tocco leggero e attento, ha sollevato la corona ghiacciata dalla propria testa, posizionandola sul tavolo di fronte a loro.
“Ecco. Mi sento già più leggera. Portatela al Signore Benevolo, come dimostrazione della mia sconfitta.”
“Sei sicura?” chiede Kellan.
“Non sei sconfitta se rimani qui, però” dice Rubinia. “Chi mi dice che non continuerai ad espandere il castello e far morire congelate le persone?”
“Te lo dico io” dice lei. Indica verso le finestre. “Date un’occhiata fuori, se volete. Senza la corona possono mantenere soltanto una piccola casa per me e i miei cari.”
Rubinia stringe gli occhi e va alla finestra, con Kellan al seguito. Il sole mattutino si riflette sulle mura del castello, facendo risaltare l’acqua che sta già scorrendo a ruscelli giù per la pietra, con dei flussi che stanno creando delle cascate sulla scogliera. Il castello ha iniziato a sciogliersi.
“Credo che non stia scherzando” dice Kellan a Rubinia. Poi, rivolgendosi alla loro ospite: “È stata una cosa coraggiosa da fare, rinunciare al potere in quel modo. Mia madre ha sempre detto che non tutte le streghe devono essere temute.”
“Tua madre non ha detto il falso” dice Hylda. “In più, ho avuto tantissima ispirazione.”
Rubinia si siede. Infine, si concede di godersi un po’ di sidro.
Kellan prende la corona e se la mette sulle gambe. “Hai detto che hai qualcos’altro per noi?”
“Un dono di informazioni” dice Hylda. “Ho sentito voi due parlare mentre giungevate qui. Tu sei al servizio del Signore Benevolo. Quando lascerai questo castello, troverai sicuramente uno dei suoi portali ad attenderti. Ma questa volta, non attraverserai ignaro quella soglia.”
“Cosa intendi?” chiede Rubinia.
Hylda guarda attraverso la finestra prima di continuare. “Noi streghe non abbiamo creato il Sonno Stregato da sole. Farlo sarebbe stato ben oltre il nostro potere.”
“Cosa?” dice Kellan.
“Quando arrivarono gli invasori, ognuna di noi aveva idee diverse su come gestire la questione. Fu Talion a rompere lo stallo. La maledizione del sonno di Eriette, affermò, sarebbe stato il modo più sicuro per contrastare gli invasori. Dato che noi tre non avremmo mai potuto lanciare una magia così potente da sole, non avevamo nemmeno mai considerato l’eventualità. Noi eravamo quattro un tempo, e avremmo potuto avere qualche speranza all’epoca, ma lei morì vent’anni fa. Avevamo bisogno di quattro persone. Talion, per quanto possa essere forte, aveva bisogno di noi perché funzionasse, così come noi avevamo bisogno di Talion. Quindi, ci offrì l’opportunità di salvare il Reame… e dei doni per il nostro aiuto. Ci sono sempre dei doni, con le fate.”
Kellan deglutisce. “Ma Talion mi ha detto che siete state voi a mettere il mondo a dormire.”
Hylda accarezza i capelli di Kellan. “Serviva solo a fermare gli invasori” dice lei. “È opera di Eriette se poi ha continuato a diffondersi fuori controllo successivamente. Di questo sono certa. Non ci ha pensato due volte a promulgare una maledizione di quella portata… avere tutte quelle persone alla sua mercé. Credo che l’avrebbe potuto fare anche senza nessun dono, qualora il Signore Benevolo non ne avesse offerto alcuno.”
“Ma… questa dovrebbe essere una missione eroica” dice Kellan. Le sue labbra iniziano a tremare, la sua voce a vacillare “Pensavo stessimo facendo la cosa giusta. È Talion ad averlo fatto?”
“Tu stai facendo la cosa giusta” dice Hylda. “Talion ti ha inviato per ripulire il pasticcio che noi quattro abbiamo creato. È una cosa buona e nobile da fare… sistemare le cose. Ma viene fatto in modo migliore quando lo si fa consciamente.”
Rubinia gli prende le spalle, ma Kellan non riesce a smettere di tremare. Lo ha creato Talion. Le fate non dovrebbero mentire, non è vero? Tre streghe hanno questa terra con il sonno macchiato…
Kellan prende la corona dalle proprie gambe ed esce velocemente dalla stanza.
Si dirige verso i corridoi serpeggianti e scale a spirale, nonostante non conosca la strada. Dietro di lui Hylda lo richiama, ma non riesce a capire costa sta dicendo con il sangue che gli ribolle nelle orecchie. Quando infine raggiunge l’esterno, vede che Hylda ha ragione: c’è già un portale.
Quando Kellan raggiunge la porta, la mano di Rubinia trova nuovamente il proprio polso. È sudata e senza fiato, avendogli corso dietro per tutta la strada, ma lei è lì… con lui.
“Insieme, ricordi?” dice lei.
Kellan non riesce a proferire parola: il nodo alla gola è troppo grande. Annuisce e cammina attraverso il portale.
Insieme nella terra delle fate i due eroi camminano, una terra di falsi castelli e false speranze. Talion attende, sempre decorato, sul suo trono. “Nobili avventurieri, grande gloria avete guadagnato-” Kellan lancia la corona ai piedi di Talion.
Il Signore Benevolo analizza l’inestimabile dono. Alza un sopracciglio in direzione del ragazzo. “Lo spirito di tuo padre si mostra, infine, ragazzo. Cosa ti turba?”
“Avete mentito” dice Kellan.
Talion agita una bacchetta di biancospino. Una fata domestica raccoglie la corona e la porta via. Talion, per una volta, si siede composto sul trono.
“Le fate non mentono” dice. “È un anatema per noi. Se dovessi mentirti, il mio sangue si rapprenderebbe come del latte andato a male.”
“Sappiamo della maledizione” dice Rubinia. “Sappiamo che siete stato voi ad avere avuto l’idea. Ci state usando, non è vero?”
Talion si inclina all’indietro. È forse un ghigno sul suo volto? Kellan pensa di sì, e lo detesta. “Ah. Quella questione. È veramente così terribile essere usati per una così nobile causa? La spada di un cavaliere non si lamenta di dover bere sangue.”
“Non è la stessa cosa!” protesta Kellan. “Voi ci avete chiesto se fossimo puri di cuore. Avete detto che mi avreste aiutato a trovare mio-”
È vergognoso non riuscire a controllarsi in questo modo, piangere al cospetto del Re delle Fate, eppure Kellan non riesce ad impedire alla sua voce di spezzarsi, né alle sue lacrime di sgorgare. Si pulisce gli occhi con frustrazione. “Io vi ho creduto. Credevo veramente che lo conosceste.”
“È così” dice Talion. Le lacrime di Kellan non hanno alcun effetto. “E ti dirò ciò che so di lui se completi questa missione. O ti rifiuterai di salvare il Reame perché non ti piace il motivo per il quale sarà salvato?”
Kellan stringe un pugno. “Io… io non ho detto… Non è così semplice!”
“Nulla nelle nostre terre è semplice” dice Talion. “Troverai Eriette al Castello di Ardenvalle. Sconfiggila, e porrai fine alla maledizione; poni fine alla maledizione, e ti racconterò di tuo padre. Oppure non sconfiggerla. Ritorna alla tua casa pastorale, e non avvicinarti mai più ad un’appartenenza come hai fatto quando hai accettato il tuo retaggio. La scelta è tua.”
Un movimento della bacchetta. Il Mondo Fatato vibra e svanisce attorno a loro.
Ancora una volta, si trovano in piedi sulle alture fuori dal castello di Hylda.
E Kellan? Kellan inizia a piangere.
Racconto successivo: Episode 5: Broken Oaths
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- Articolo tradotto da MTG Traduzioni ITA: Terre Selvagge di Eldraine