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Episode 3: Shadows of Regret è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Seanan McGuire e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 9 gennaio 2024. Racconta parte della storia di Kaya Cassir e Alquist Proft dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia.

Racconto precedente: Episode 2: Monsters We Became

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Storia[]

La festa terminò di lì a breve.

Per trasferire Etrata fuori dalla proprietà del Maniero Karlov non ci si impiegò praticamente nulla nel grande schema dell’accaduto. Ma fu abbastanza perché tutti vedessero cosa stava succedendo; fu abbastanza perché diversi membri del Conclave di Selesnya si avvicinassero a Teysa, quasi colti da una frenesia per rendere chiaro che Etrata non era dei loro, che non l’avevano fatta intrufolare nella festa, che non era opera loro, che erano stati traditi quanto tutti gli altri! Non quanto Zegana, forse, che non sarebbe più stata tradita da nessuno, ma tanto quanto Teysa, quanto l’Agenzia, quanto chiunque altro fosse innocente in tutta quella faccenda.

Le difese di Teysa avrebbero dovuto impedire a chiunque di andarsene: il Maniero Karlov non era la sede del potere Orzhov, ma era la sede del potere di lei, e lì la sua parola era legge assoluta. Ma quando i maghi Azorius che avevano preso Etrata la trasportarono al cancello e la trascinarono fuori, nulla li fermò. E nessun altro membro della Casata Dimir apparve per richiedere il rilascio di una dei loro.

Come durante la corsa verso il guardaroba, Kaya avrebbe giurato che Teysa non fosse assolutamente nelle vicinanze. Il tocco del bastone da passeggio dell’altra donna contro le pietre del cortile fu l’unico avvertimento che le indicò che si sbagliava, e se non fosse stata abituata ad udire quel suono, se lo sarebbe perso in tutto quel mormorio di voci. Tutti volevano sapere cos’era successo. Tutti volevano sapere perché un’assassina Dimir aveva fatto correre all’inseguimento la Planeswalker domestica di Teysa durante quella che sarebbe dovuta essere una festa, e vestita come un membro del Conclave di Selesnya per giunta! E dentro quella ridicola magia di Proft! Solo pochi membri dell’Agenzia l’avevano vista in azione prima di allora, e nonostante si mostrassero leggermente spavaldi riguardo l’eleganza che aveva applicato al suo compito, gli Azorius rimasti sembravano più infastiditi che altro.

Kaya pensò che non era così sorprendente. Proft fu una loro risorsa prima di scegliere di andarsene e prestare il proprio talento all’Agenzia, e se c’era una cosa che lei sapeva delle gilde, era che a loro non piace perdere risorse. Soprattutto in quei giorni, con tutte le gilde tese e con l’organico ridotto all’osso.

Kaya resistette all’impulso di dare uno sguardo a Teysa quando arrivò alla sua destra, appoggiandosi pesantemente al suo bastone. La serata l’aveva stancata parecchio.

“Li hai lasciati andare” disse Kaya.

“Segui l’esempio dei nostri colleghi dell’Agenzia con le arti investigative?” chiese Teysa. “Mi sembrava poco diplomatico imprigionare i membri di un’altra gilda quando stavano arrestando un’assassina. Sono le mie difese. Posso aprirle per chiunque io desideri. Le avrei aperte per te, se avessi provato a seguirli.”

“Non puoi tenermi qui senza il mio consenso.”

“No. Non credo di poterlo mai fare, vero? Tra tutti noi, tu rimani quella che può semplicemente… andarsene, in qualunque momento.” L’espressione di Teysa divenne seria.

Kaya riuscì a non sussultare. In qualche modo, senza nemmeno avvicinarsi a chiamarli per nome, Teysa era riuscita ad invocare le ombre di Jace e Vraska, le altre due persone che se n’erano andate da Ravnica. Le due persone che non erano tornate.

Le due persone che non avrebbero mai potuto farlo.

Cosa stava facendo? Quello non era più il suo posto. L’avrebbe anche potuto dire, ma Teysa la guardò negli occhi, con un’ombra straziante nel suo sguardo, e disse: “Ti sono grata che tu sia rimasta.”

“Ti ho detto che l’avrei fatto” disse Kaya, distogliendo lo sguardo. “Come sta Vannifar?”

“Scossa, ma si sta riprendendo” disse Teysa. “È passata dal lutto allo sdegno. Non vorrei essere la persona che ha architettato tutto questo. Probabilmente si ritroverà addosso tutto il peso dei Simic, e nessuno è nella posizione di alleviare l’ira di Vannifar. Lei e Zegana si scontravano riguardo il futuro dell’Alleanza Simic, ma erano sorelle, a modo loro. Esistevano profondi legami di lealtà e affetto tra loro due. Vannifar non ignorerà la questione.”

“No, non credo proprio lo farà. Di cosa volevi parlarmi prima?”

Teysa esitò, lanciando occhiate agli ospiti della festa che giravano loro intorno, anche se si stavano riorganizzando in gruppetti e iniziavano a dirigersi verso le uscite. Alcuni erano diretti al maniero, altri ai cancelli, in base ad eventuali effetti personali lasciati all’interno, e Kaya si ritrovò a chiedersi, per quanto inutilmente, cos’aveva intenzione di fare l’Agenzia con i cappotti che erano stati lasciati sotto il corpo di Zegana.

Proft, che era in piedi nelle vicinanze e stava osservando l’intera interazione con occhio inquietantemente attento, ebbe apparentemente lo stesso pensiero. Si raddrizzò e camminò svelto verso il maniero, lasciando Teysa e Kaya da sole nella folla in diminuzione.

“La notizia sarà dappertutto entro la mattinata” disse amaramente Teysa. “Venite a festeggiare che bel lavoro hanno fatto le gilde nel proteggerci, guardandole fallire nel proteggere una delle loro affiliate.”

“Sono sicura che il popolo capirà che non è stata colpa tua” disse Kaya.

Teysa le dedicò uno sguardo tagliente. “Non essere ingenua.”

E lei non lo era. Eppure aveva speranza. Speranza che le ferite di guerra stessero guarendo, speranza che le vecchie ferite di Ravnica potessero guarire allo stesso tempo. La pelle cicatrizzata a volte guariva lasciando qualcosa di più pulito della ferita iniziale, sotto le giuste condizioni. Forse quelle erano le giuste condizioni.

“Prima, sulla balconata, c’era qualcosa che volevi dirmi” disse Kaya. “O raccontarmi. Puoi raccontarmelo ora?”

Teysa sospirò. “Rimani abbastanza perché si diffonda la notizia, e per controllare che la marea non ci porti via insieme ad essa, poi ti farò chiamare” disse lei. “Io voglio dirti questa cosa, è solo che… ora non è il momento.”

Kaya la guardò attentamente. Sembrava sincera. Teysa era una politica nata, ma anche i politici possono avere i loro momenti di vulnerabilità.

“Tre giorni” disse lei, infine. “Dopodiché, se non mi hai fatta chiamare, verrò a cercarti.”

“Affare fatto” disse Teysa.

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I tre giorni passarono lisci. Kaya tornò alla sua stanza in affitto, avendo rifiutato l’offerta di Teysa per una camera degli ospiti al maniero, e Teysa, forse comprendendo che insistere sulla questione sarebbe stato un ottimo modo per far lasciare il piano a Kaya, non aveva pressato ulteriormente. Durante il giorno vagava per le strade, godendosi il sapore familiare del cibo di strada di Ravnica e del forte caffè macchiato con panna e miele di lavanda, e ascoltava le persone che non la conoscevano così bene da rimanere zitte.

Le dicerie vorticavano per le strade: rancorose, agitate, con denti che scattano e che mordono. C’era stato un furto alla festa Orzhov, dicevano; un membro di gilda aveva perduto un prezioso cimelio e sarebbe stato furioso finché non l’avesse riottenuto. C’era stato un tradimento. Era stata svelata una tresca. A quanto pare, si era compiuta ogni sorta di crimine nella proprietà del Maniero Karlov, e visto che erano presenti sia l’Agenzia che gli Azorius, ad entrambi i gruppi veniva rivolto un disprezzo esagerato.

Tin Street GossipART1

Chiunque si sapeva fosse presente venne portato al centro di un uragano di lusinghe e sdolcinate richieste di rivelare più informazioni. Quasi tutti, non avendo delle vere storie da condividere, inventarono storie sempre più assurde, sapendo che non ci sarebbe stato nessun altro che avrebbe potuto contraddirli. Kaya li ascoltava tutti, aggrottava la fronte e non diceva nulla. Meno attenzione attirava, meglio era.

Perché non parlavano solamente della festa, nonostante fosse il grande scandalo più recente, e per certi versi meno duro delle ferite di guerra. Parlavano anche dell’invasione Phyrexiana e di come i Planeswalker li avessero delusi. Dopo aver passato anni interi di tranquillità, sapendo che la persona media non sapeva cosa fosse un Planeswalker e quindi non poteva avere opinioni su di loro, Kaya ora doveva affrontare una realtà in cui tutti sapevano, e in cui quasi tutti disapprovavano.

Era talmente a disagio che fu quasi sollevata quando, la mattina del terzo giorno, un messaggero dell’Agenzia venne a cercarla. Si era seduta in una piccola caffetteria ad ascoltare le notizie della mattinata. La parola “delitto” stava infine iniziando a circolare. Quello, unito agli insoliti bassi numeri di membri dell’Alleanza Simic, stava attirando l’attenzione e allontanando le chiacchiere dalla continua discussione sulla guerra.

“Signora?” disse il messaggero, fermandosi a qualche metro di distanza, impaziente nell’attesa di essere considerato.

Kaya si concesse un ultimo lungo sorso di caffè prima di voltarsi verso di lui, sbattendo le palpebre quando vide il suo volto. “Agente… Kellan? Perché hanno mandato te?”

“Vi stavate aspettando che l’Agenzia inviasse qualcuno?” chiese Kellan, sbattendo gli occhi con entusiasmo.

“Pensavo avrebbe potuto farlo, quindi sono rimasta dove fossi facile da trovare” disse Kaya. Lei si alzò, lasciando con rammarico il suo caffè mezzo finito sul tavolo. “Suppongo che il Detective Proft voglia parlare con me riguardo a ciò che è successo?”

Lei sapeva fin troppo bene quante orecchie si sarebbero alzate e direzionate verso di lei, con i proprietari attratti dalla menzione all’Agenzia, sperando di cogliere qualche succoso pezzo di informazione.

“In realtà no” disse Kellan. “Non è il tipo da condividere ciò che pensa con gli altri quando non è costretto a farlo. No, è il capo che vuole parlarvi.”

Kaya riuscì a contenersi prima di dire impulsivamente “Ezrim?” Che i pettegoli si facciano ancora un po’ di domande. Lei annuì e fece cenno a Kellan di seguirla fuori dal negozio.

Una volta in strada, e dopo essersi resi bersagli meno esposti per i ficcanaso, lei chiese: “Perché sei venuto di persona? Ti hanno appena concesso gli onori per il servizio. Fare da corriere non credo si adatti al tuo rango.”

“Oh” disse Kellan. “Ho chiesto io di farmi mandare.”

“Cosa? Perché?”

“Volevo parlarvi.”

Kaya sbatté le palpebre, incerta su come avrebbe dovuto reagire. Kellan iniziò a camminare verso il quartier generale dell’Agenzia, e lei lo seguì in automatico, cercando ancora di processare i propri pensieri.

“Perché?” chiese lei, infine.

“Ho letto il vostro fascicolo. Non siete di qui.” Lui agitò una mano, indicando la città attorno a loro. “Ravnica, intendo. Provenite da un luogo molto più lontano.”

“Ti è permesso di dire ‘Planeswalker’, sai? Non è una parolaccia” disse Kaya.

Kellan la osservò imbarazzato. “Scusatemi. Sì. Siete una Planeswalker. Lo è anche mio padre. Speravo che poteste… mi chiedevo se sappiate dove si trova.”

Kaya smise di camminare. Kellan continuò ancora qualche passo prima di notarlo e voltarsi per guardarla in viso.

“Cosa c’è?” chiese lui.

“Tuo padre è… chi è tuo padre?” Ti prego fa che non dica un nome che conosci, aggiunse lei nella sua mente. Ti prego, se è rimasta un po’ di pietà nella Cieca Eternità, non dirà il nome di qualcuno che è morto.

“Il suo nome è Oko” disse lui. “Fa parte del popolo fatato.”

Un estraneo, allora. “Mi dispiace. Non lo conosco.”

Riuscì a vedere la delusione negli occhi di lui, pari al sollievo che scaturì in lei.

“Siete la seconda Planeswalker con cui ho parlato che mi dice la stessa cosa. Pensavo… bè, l’Agenzia ha ogni genere di informazione. Pensavo potessero sapere qualcosa, se mai fosse passato di qui.”

“Nessuna fortuna?”

Kellan si limitò a scuotere la testa. “Il sistema di archiviazione è… complicato.”

“Continua a cercare, va bene, ragazzo? E se mai lo incrocerò, gli dirò che stai cercando di trovarlo” disse Kaya.

Kellan le concesse un fragile sorriso laterale. “Grazie” disse lui. “Sarebbe fantastico.”

La fluttuante forma spigolosa del quartier generale dell’Agenzia incombeva di fronte a loro. Dei flussi d’acqua cadevano dalla base, riversandosi in canali che erano stati progettati per accoglierli prima che potessero inondare le strade. Le cavalcature dell’Agenzia erano pronte, e trasportavano gli agenti su e giù. Kellan condusse Kaya oltre la fila, verso la porta e oltre i controlli di sicurezza, scortandola per la sala verso l’ufficio di Ezrim prima di dire: “Ci vediamo quando avrete finito col capo”, e la lasciò da sola.

Kaya esitò, osservando la porta chiusa. Aspettare non avrebbe fatto passare più velocemente il tutto, quindi alzò la mano e bussò con attenzione.

“Entra” rimbombò Ezrim dall’interno.

Kaya prese un profondo respiro e camminò attraverso la porta, senza preoccuparsi di aprirla.

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L’ufficio di Ezrim era stato progettato con il suo onnipresente compagno in mente. Oltre ad un’enorme scrivania e diverse sedie tradizionali per gli ospiti, circa un terzo dello spazio in fondo era stato trasformato in qualcosa simile ad una stalla, con la paglia sul pavimento sotto un cumulo di cuscini che formavano una sorta di poltrona per stendersi. Non che Ezrim si stesse stendendo in quel momento: il grande arconte era seduto sul dorso del suo destriero, girato per fronteggiare la scrivania, e stava ordinando una pila di fogli. Kaya realizzò con un piccolo sussulto che non sapeva se gli arconti di Ravnica fossero una singola entità congiunta o una coppia di individui che avevano semplicemente scelto di non separarsi per alcuna ragione. Non aveva mai visto Ezrim smontare dal destriero, né qualsiasi altro arconte di Ravnica disarcionato dal suo compagno in battaglia. Se erano un’unica creatura, quell’ufficio era un simbolo di necessità pratica, non di estremo riguardo.

“Mi avete richiesto, signore?” chiese lei, unendo le mani dietro la schiena e mettendosi sull’attenti.

“Sì” disse Ezrim, prima di tornare in silenzio. Kaya capì che quel silenzio fosse un incipit perché lei dicesse qualcosa, quindi si raddrizzò un po’ e non disse assolutamente nulla. Era felice di rispondere ad una chiamata, ma ciò non significava che lei lavorava per Ezrim. Tecnicamente non gli doveva nulla. Se lui voleva che parlasse, le avrebbe potuto fare una domanda.

Dopo aver fatto durare il silenzio abbastanza da renderlo imbarazzante, Ezrim si schiarì la gola e disse “Voi non siete un membro dell’Agenzia.”

“No, signore.”

“Ma siete una nota risolutrice di problemi. Gli Orzhov hanno sempre parlato molto bene delle vostre abilità nel risolvere problemi.”

Non sa come, ma lei dubitava di quel “sempre” nella frase. Kaya sorrise leggermente e disse “Grazie, signore.”

“Vista la vostra posizione di ex capogilda, le gilde vi vedranno prevalentemente neutrale in questa situazione. Non avete risentimenti conosciuti né con l’Alleanza Simic né con la Casata Dimir.”

“No, signore. Sono in relativi buoni rapporti con entrambe le gilde.”

“Teysa ci ha chiamati entrambi a quella festa per cercare di fornirci tutta la legittimità che poteva offrirci. Io, come capo dell’Agenzia, e voi come ex capogilda… e Planeswalker. Siete conscia che quelli come voi attualmente non sono ben visti a Ravnica. Credo che anche il Capogilda Zarek abbia incontrato qualche problema di recente.”

“Ne sono consapevole, signore” disse Kaya.

“Mi piacerebbe che assumeste la guida dell’indagine. Avreste accesso a tutte le risorse necessarie, incluso il mio staff, e credo dovrete fare un po’ leva sul Detective Proft nel caso voleste rimuoverlo dal caso. Lui non lascia mai andare un enigma, una volta che il suo interesse viene stuzzicato. Nonostante l’assassina Etrata sia stata catturata, ancora non sappiamo chi ha ordinato l’omicidio, o perché, e lei continua a insistere che non ha memoria dell’accaduto.”

Kaya non disse nulla. Per una volta, Ezrim non permise a quella pausa di dilungarsi.

“La vostra neutralità è data per scontata. Il vostro coinvolgimento potrebbe solamente aiutare a redimere l’opinione pubblica dei Planeswalker che non ci hanno salvati quando ne avevano più bisogno.”

“No.”

“Scusatemi, che cosa?”

“No. È una frase completa, e sapete cosa significa. No, non vi aiuterò. Ho già fatto più del dovuto. Grazie della vostra preoccupazione riguardo la mia reputazione.” Lei girò i tacchi e camminò velocemente fuori dall’ufficio, di nuovo senza aprire la porta. Ezrim non la richiamò.

Kellan se n’era andato, probabilmente in qualche altra zona dell’edificio a fare effettivamente il suo lavoro, ma sembrava che ogni altro occhio dell’Agenzia fosse fisso su di lei quando alzò il mento e tornò indietro camminando per la sala fino alla porta, lasciandosi alle spalle tutti i loro silenzi e richieste indesiderate.

Prima se ne andava da Ravnica, meglio era.

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L’Agenzia era stata fondata per investigare sui crimini senza che il pregiudizio delle affiliazioni di gilda invalidasse le scoperte. I criminali, che fossero confermati o fortemente sospettati, venivano presi in custodia dagli Azorius e tenuti nelle condizioni idonee.

Mentre Proft era in piedi ad aspettare che il mago della legge Azorius a guardia della porta finisse di controllare i suoi documenti per lasciarlo passare, non poteva fare a meno di pentirsi degli anni che aveva passato a fare precisamente la stessa cosa.

“Sembra tutto in ordine” disse finalmente il mago della legge. Tre livelli di sicurezza avevano controllato i documenti di Proft, e nessuno aveva trovato alcun problema. Almeno questo era troppo nuovo nella gilda perché lui avesse potuto ricoprire il suo incarico. Le persone che se lo ricordavano vestito con i loro colori tendevano ad essere ancora più insofferenti quando si confrontavano con ciò che interpretavano come una supplica di lui per ottenere un accesso. “Può andare dentro.”

La porta si sbloccò alle parole del mago della legge e Proft annuì, riottenendo le proprie carte. “Eccellente dimostrazione dell’incarico” disse lui, cercando di trattenere il suo tono di voce mentre entrava nell’ultimo salone che si trovava tra lui e la sua destinazione.

La cella di Etrata era l’unica occupata in quel blocco, lasciandola completamente isolata, eccetto per le sue guardie, nessuna delle quali era particolarmente incline a fare conversazione. Lei alzò lo sguardo all’avvicinamento di Proft, abbandonando quella che sembrava essere un’assorta contemplazione di un ragno che stava camminando sul muro.

“Avete una certa affinità?” chiese lui.

“Non siamo per nulla simili, il ragno ed io” disse lei. “Lui può andarsene quando lo desidera. Nessuno lo punisce se segue la sua natura. Nessuno lo imprigiona. Fa ciò che vuole, e sempre lo farà.”

“Finché qualcuno non lo schiaccia.”

“Suppongo di sì. Sei venuto a gongolarti, vero? Il vincitore che si crogiola nella sua conquista?”

“Lo vorrei” ammise lui. “Mi ha portato molto piacere in passato, il gongolarmi. Gongolarsi è il bicchiere di bumbat che beve l’anima quando ha successo. Ma questa volta… ci sono troppe cose che ancora non riesco a spiegarmi. Troppe piccole inconsistenze, troppe domande senza risposta. Io conosco la tua reputazione.”

Etrata lo fissò, apparentemente confusa dal suo improvviso cambio di direzione. “Molte persone la conoscono. Quale sarebbe il punto?”

“Il punto sarebbe che le persone che sanno di te parlano molto bene delle tue abilità. Apparentemente sei una delle migliori che può offrire la Casata Dimir, la crème de la crème, come si suol dire. Ti prego, per il bene dei miei pensieri inquieti, mi vuoi dire perché hai scelto di uccidere un bersaglio così importante in maniera così pubblica? Senza tirare in ballo la teatralità dei dintorni del corpo. Avevi tutto il tempo necessario per commettere il delitto e compiere la tua fuga, ma sei rimasta nella proprietà anche prima che venissero erette le difese per impedirti di uscire. Non è stata opera di una professionista. Perché commettere un crimine così grave in quel modo e non fuggire quando avresti potuto?”

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Etrata lo guardò, senza battere ciglio. “Non è ciò che vuoi realmente sapere, vero?” Il tono di lei era gentile, le sue parole ricoperte di acido ed implacabili. “Fammi la vera domanda, Detective.” In qualche modo, era riuscita a trasformare il suo titolo in un insulto.

Proft non si scompose. “Come sei riuscita ad ingannare i circoli di veridicità durante il tuo interrogatorio? Se sono stati sconfitti, le gilde lo devono sapere.”

“Oh, preoccupati di perdere uno dei vostri strumenti contro la criminalità?” Etrata fece finta di asciugarsi una lacrima. “Come potrà mai sopravvivere Ravnica senza i vostri piccoli trucchetti da salotto?”

“Ti prego.”

Etrata fece una pausa, per un attimo sorpresa dalla sincerità del tono di lui.

Lui continuò. “Sei stata catturata. Non ti sto chiedendo di rivelarmi i segreti della tua casata; non avrò niente a che fare con il tuo processo o la tua sentenza. Ma la città è già abbastanza frammentata. Non c’è più fiducia da perdere tra le singole gilde, o tra le gilde e i cittadini. Abbiamo bisogno di sapere che possiamo fidarci dei circoli di veridicità… che possiamo fidarci di qualcosa in questa città.”

Etrata distolse lo sguardo.

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Kaya tornò a piedi alla sua stanza in affitto con la testa bassa e le spalle in tensione. Detestava la sensazione degli sguardi sulla sua pelle, detestava la sensazione di isolamento in una città che sarebbe dovuta essere la sua, che era stata la sua per così tanto tempo. Dei e mostri… era pronta ad andare. Quel luogo non era più casa sua. Forse non era mai stata casa sua fin dall’inizio.

Un corriere vestito con i colori Orzhov si trovava in piedi fuori dalla sua casa in affitto, abbastanza giovane da avere solamente un leggero velo di corta barba sulle guance, e si stava guardando intorno con ansia mentre aspettava. Quando vide Kaya, si illuminò e si affrettò verso di lei, rapido e in imbarazzo, quasi inciampando da solo.

“Mastra Planeswalker” disse lui non appena fu abbastanza vicino da parlarle senza gridare.

Anche se sussultò internamente a quel titolo, Kaya immaginò che avesse un certo senso. Non era più una capogilda, e i normali onorifici per un ex capogilda Orzhov non si applicavano a lei, visto che non era nemmeno morta. Rivolgersi a lei senza rispetto poteva essere interpretato come un grave insulto e, in mancanza di qualsiasi altro ruolo su Ravnica, lui aveva optato per quello che conosceva. Era la scelta più sicura. Non doveva piacerle per forza.

“Sì?” chiese lei.

“La capogilda Karlov richiede la vostra presenza al maniero.”

“A quanto pare oggi sono popolare.”

Il corriere sbatté le palpebre nella sua direzione, chiaramente confuso. “Pardon?”

“Nulla. Non preoccuparti. Fammi solo recuperare una cosa dalla mia stanza. Ti ha riferito qualche altro messaggio per me?”

“Questo” disse lui, estraendo una nota sigillata dalla tasca e porgendola a lei con un leggero cenno del capo soddisfatto. Aveva fatto il suo lavoro, e non appena lei avesse preso la lettera, lui sarebbe potuto andare.

Kaya prese la nota senza spezzare il sigillo mentre la infilava nella camicia. “Mi farai da scorta?”

“Disse che conoscevate già la strada.”

“E aveva ragione.” Un altro metodo per evitare di insultarla. Era così stanca del galateo di Ravnica. Una volta terminati i suoi impegni lì, forse sarebbe potuta andare su Kaldheim per un po’, dove nessuno era preoccupato di insultare qualcuno, a meno che non fosse con un pugno in faccia. Oppure Innistrad. Molto meno etichetta e buone maniere. “Bè, grazie per avermi trovata così velocemente.”

Estrasse una moneta dalla tasca e la porse al corriere, che ne controllò discretamente il valore prima di farla sparire.

“Grazie mille” disse, per poi scomparire come la moneta in un vicolo nelle vicinanze. Kaya scosse la testa con riluttante tenerezza prima di entrare. Aveva bisogno di cambiarsi la camicia prima di andare al maniero. Di nuovo il galateo, ma bisognava rispettare l’etichetta. Nell’intimità della sua stanza spezzò il sigillo della nota di Teysa e la aprì.

È il momento per la discussione che non abbiamo potuto avere durante il gala. Mi dispiace molto di averci impiegato così tanto. Non posso scrivere nulla per la mia sicurezza. Ti prego di venire immediatamente. Da sola.

Grazie per essere rimasta. So che l’hai fatto per il mio bene, più che per quello di Ravnica, e lo apprezzo più di quanto tu sappia.

La tua amica, dopo tutto quanto,

Teysa

La firma di Teysa era un brutto scarabocchio. Kaya aggrottò la fronte mentre nascondeva la nota sotto il suo cuscino, si cambiò velocemente d’abito e uscì. Era ora di andare al maniero.

Era ora di finirla.

Nessuno la fermò mentre si affrettava per le strade verso il Maniero Karlov, e trovò i cancelli già aperti per lei, con le difese già modificate per permetterle di passare. La camminata lungo il viale d’ingresso sembrò essere la parte più intollerabile della sua uscita: inutilmente lungo e progettato solo per impressionare ed intimidire. Come se il maniero non fosse già abbastanza notevole per conto suo. La sola arte topiaria avrebbe fatto scappare a gambe levate la maggior parte dei ladri, e l’edificio sembrava incombere, come se osservasse ogni suo passo.

Kaya continuò ad avanzare fino alla casa, che era stata lasciata aperta per il suo arrivo. Si guardò intorno, quasi aspettandosi che Teysa la stesse aspettando, ma non vide alcun segno dell’altra donna, o del suo personale. Il maniero era inquietantemente silenzioso, senza nessuno che se ne stesse prendendo cura o che si fosse affrettato per annunciarla.

Percependo una strana stretta allo stomaco, Kaya iniziò a salire le scale. Teysa non avrebbe voluto avere questo incontro in una delle aree pubbliche della casa, né sulla balconata; qualsiasi cosa fosse troppo importante da non poter essere nemmeno scritta sarebbe stata riservata ai suoi alloggi privati, le stanze esclusivamente per sé. Aveva un salotto lì, piccolo ed elegante, attrezzato proprio per gli incontri di questo tipo. Kaya la conosceva abbastanza bene da essere sicura di trovarla lì.

Lo strano silenzio e l’immobilità persistevano mentre si faceva strada lungo la sala. Teysa doveva aver congedato tutto il personale prima di quell’incontro. Di qualsiasi cosa dovesse discutere, non voleva assolutamente rischiare che qualcuno origliasse.

La porta del salotto privato di Teysa era leggermente socchiusa. Kaya si mosse verso di essa, esitando per un secondo quando colse l’odore di sangue nell’aria. Quell’esitazione venne ampiamente compensata dalla velocità con la quale si lanciò verso la porta e dentro la stanza che si trovava oltre, dove si fermò, portandosi una mano alla bocca per contenere l’urlo che poteva sentire crescere nel suo petto, e si limitò a fissare.

Teysa si trovava lì, accasciata sul pavimento di fianco alla scrivania dove riceveva gli ospiti. Stava aspettando Kaya: quello era chiaro. I suoi occhi erano ancora aperti, fissando assenti il soffitto, e l’asta spezzata del suo bastone da passeggio le spuntava dal petto, lucida di sangue. Lo stesso sangue macchiava le sue mani, dove aveva provato ad estrarre la lancia improvvisata prima di morire dissanguata.

Teysa era morta. Con le ginocchia che minacciavano di cedere e farla cadere a terra, Kaya barcollò nella stanza, dirigendosi verso il corpo della sua amica. La morte non era la fine, non per gli Orzhov, ma Teysa, nonostante tutti i suoi intrecci con i morti, era sempre stata una delle persone più attivamente vive che Kaya conosceva. E tutto quello ora era finito. Un’altra amica che non c’era più. Un altro corpo da seppellire.

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Qualcosa scricchiolò sotto il piede di Kaya, facendola fermare. Guardò in basso. Una delle statue delle fanciulle eleganti che Teysa teneva in mostra nel salotto era stata buttata a terra nella colluttazione che era avvenuta e giaceva in pezzi. Sembrava quasi una dissacrazione dello spazio di Teysa che accompagnava la dissacrazione del suo corpo, e sembrava più facile guardare quello rispetto al corpo della sua amica. Kaya si inginocchiò e iniziò a raccogliere i pezzi di ceramica.

C’era un pezzo di carta nascosto nella confusione. Kaya aggrottò la fronte, mettendo da parte quello che aveva raccolto mentre sollevava da terra l’appunto, poi si bloccò di nuovo; il suo petto iniziò a stringersi man mano che il mondo si rimpiccioliva in un singolo punto. Poteva udire il proprio cuore martellarle nelle orecchie, lo scorrere del proprio sangue come il suono di un mare lontano, e se non fosse stato per le difese di Teysa, sarebbe caduta attraverso il pavimento, perdendo il controllo della propria frequenza con il mondo dei vivi in preda al panico.

La calligrafia era chiaramente quella di Teysa. Kaya riconobbe la piccola sbavatura alla fine di ogni riga. Il testo, tuttavia…

Il testo era in Phyrexiano.

Kaya respirò sempre più forte, stringendo compulsivamente la mano attorno alla nota e stropicciandola. Non poteva andarsene. Teysa era morta, Teysa avrebbe potuto lavorare per Phyrexia, e lei non poteva andarsene. Doveva tornare da Ezrim. Doveva dirgli che alla fine sarebbe stata coinvolta.

Lo era sempre stata.

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“Non l’ho fatto” disse Etrata.

Proft si accigliò. “Ma quando sei stata interrogata all’interno del circolo della veridicità, hai detto che non l’avevi uccisa.”

“Perché non l’ho fatto.” Etrata piegò la testa all’indietro finché non colpì il muro. “Mi sono intrufolata alla festa perché la Casata Dimir aveva bisogno di qualcuno che fosse i nostri occhi, e mi era sembrata una serata divertente. Non avevo bersagli. Non avevo incarichi. Avevo solo un vassoio di quelle paste sfoglia ripiene di carne e ricoperte di formaggio. Erano buonissime.”

Proft produsse un suono frustrato.

“Non hai fatto in tempo ad assaggiarle? Mi dispiace.” Poi Etrata sembrò decidere di smettere di giocare con lui. Sospirò e disse: “Se veramente l’ho uccisa, non me lo ricordo. Non mi sono presentata lì per uccidere qualcuno, e io non compio assassinii gratis.”

“Tu non…” Proft si fermò, con la mente in piena attività.

La legge di Ravnica era molto chiara: se fossero stati utilizzati il controllo mentale o la magia per forzare le azioni di Etrata, lei non sarebbe stata colpevole più di un semplice coltello. Lei poteva anche essere l’arma, ma non era l’assassina. Il caso rimaneva aperto. L’enigma rimaneva senza soluzione.

“Mi aiuteresti a riabilitare il tuo nome?”

Etrata lo fissò. “Le gilde hanno avuto ciò che era loro dovuto. Non c’è nessuna riabilitazione del mio nome.”

“Promettimi che mi aiuterai” disse Proft con insistenza.

“Non puoi risolvere questa situazione.”

“Io sono Alquist Proft, e rischierò il mio nome per riabilitare il tuo. Ora promettimelo.”

Etrata sbatté le palpebre, poi aggrottò la fronte. “Per quanto possa valere, hai la mia parola.”

“Allora vieni, abbiamo del lavoro da fare.” Fece alcuni semplici gesti, agitando le dita in aria, e il lucchetto della cella di lei si aprì di colpo con uno scatto. “Pff. Solo una serratura teorica tetranarchica? Stanno diventando superficiali.” Si sistemò i gemelli. “Tu sei un’assassina addestrata. Puoi uscire di qui senza essere vista.”

Lentamente, lo sguardo perplesso di lei divenne un sorriso. “E dove sono diretta?”

“A casa mia” disse lui, dandole l’indirizzo. “Ci vediamo là.”

Etrata annuì prima di uscire dalla cella e dissolversi nelle ombre.

Proft si voltò per andarsene, mostrando uno sguardo irritato sul volto. “Mi era stata promessa una prigioniera” disse ad alta voce, camminando a grandi passi verso la porta. “Non una cella vuota.”

Il caos che seguì avrebbe permesso ad entrambi di uscire.

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