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Episode 2: The Jailbreak è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Akemi Dawn Bowman e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 13 marzo 2024. Racconta parte della storia di diversi planeswalker e personaggi dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia.

Racconto precedente: Episode 1: An Offer of Revenge

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Storia[]

Il vento soffiava attraverso la finestra aperta, facendo ondeggiare le tende nella stanza di Annie. Lei osservava le ombre arricciarsi sulle assi del pavimento, ascoltava l’incessante raglio di un animale solitario nei campi e si rigirava da un lato all’altro del suo letto.

Nulla di tutto quello era abbastanza per tenere la voce di Oko fuori dalla propria testa.

Era riuscito a minacciare la sua città, semplicemente trovandola. E se Akul si fosse mai deciso a cercarla…

Annie si sedette di colpo e passò le proprie dita in mezzo ai suoi lunghi capelli sciolti. I suoi concittadini erano la cosa più vicina ad una famiglia che le fosse rimasta. Se mai lei fosse diventata un bersaglio, anche loro lo sarebbero diventati.

Forse Oko stava bluffando. Forse aveva avuto fortuna, a trovarla lì nelle terre desolate. Forse la storia non era destinata a ripetersi.

Ma Annie non poteva permettersi di rischiare.

Prese i suoi vestiti da cavalcata e gli stivali di cuoio, si intrecciò i capelli e si vestì il più velocemente possibile. Il suo cappotto era appena appoggiato sulle spalle quando spinse la porta sul retro per aprirla e camminò a grandi passi verso il campo, fermandosi solo per raccogliere una pala da uno dei logorati capanni esterni.

Contò cento passi a partire dal recinto, dritti in mezzo all’erba gialla che appariva grigia nell’oscurità. Dopo aver compiuto l’ultimo passo, abbassò lo sguardo verso la piccola lapide anonima davanti a lei. Strinse la mascella e iniziò a scavare.

Per un po’, non trovò altro che terra. Ma quando la sua pala colpì il terreno con un tonfo, si bloccò.

Era ancora lì, proprio dove l’aveva seppellito tanti mesi prima.

Annie scavò la terra attorno finché non divenne visibile la parte alta di una scatola di legno. Lei si inginocchiò, sbloccò i lati e sollevò il coperchio, mostrando il suo fucile di tuono.

Venne investita dalla nostalgia, svuotandole l’aria dai polmoni.

Annie raccolse l’arma, facendo scorrere le dita sulla sua familiare struttura in metallo, poi fissò la tracolla sopra la spalla. Con due dita, fischiò verso i campi pianeggianti. Il vento avrebbe trasportato il suono lontano… ma era la magia che si sarebbe assicurata che raggiungesse il suo amico.

One Last JobART1

Fato arrivò scivolando nell’aria, evocato dal legame tra loro due. Si lasciò andare in un nitrito festoso, ma i suoi occhi scuri si spalancarono quando vide il fucile di Annie.

“Lo so” disse lei, accarezzandogli il collo. “Ma questa città ci ha dato più di quanto potremmo mai ripagarla. Le dobbiamo la sua sicurezza.”

Fato abbassò la testa mentre Annie si issava sulla sella. Lei prese le redini e schioccò la lingua contro il palato, incitando Fato di cavalcare verso l’aperto deserto.

Andarono al piccolo galoppo per chilometri, attraversando le terre desolate e superando il canyon. Quando il sole sbucò oltre l’orizzonte, Annie prese la scatola di fiammiferi di Oko dalla tasca e guardò la scritta nera un’altra volta.

Il Saloon del Jolly,
Boscoruggine

Non aveva mai visitato quella città prima, ma l’aveva già sentita nominare. Era una delle tante fallite città basate sull’allevamento che era collassata, come spesso accadeva alle comunità di periferia: troppe poche persone, e troppi pochi soldi.

Boscoruggine apparve in lontananza e Fato rallentò il passo fino ad una cauta camminata. Il sole sorse e il vento aumentò d’intensità, spargendo polvere e steppicursori lungo il sentiero sbiadito.

La città sembrava abbandonata. Per un attimo, lei si chiese se quello non fosse stato tutto un elaborato piano per attirarla lontano da casa.

Il panico iniziò a prendere il sopravvento. Annie stava iniziando a tirare le redini quando una serie di passi rumorosi la fece fermare. Aggrottando la fronte, prese il suo fucile, smontò da Fato, salì i gradini del saloon e aprì le porte con una spinta.

Da dietro il bar provenne un urlo. Annie puntò il fucile verso il suono, individuando una piccola creatura scheletrica, con le ossa che vibravano in strane direzioni e la sua mascella ruotata in segno di assoluta gioia. Pochi passi dietro di esso si trovava un goblin peloso e blu, col petto gonfio e gli occhi pieni di rabbia.

“FERMO!” strillò il goblin, ma il suo avvertimento non fece altro che far tremare lo scheletro di emozione.

La piccola creatura scattò ancora più lontana dalle grinfie del goblin, sbattendo i denti in ciò che sembrava un linguaggio che Annie non comprendeva. Quando lo scheletro notò Annie, inclinò la testa e corse dritto verso lo spazio tra i piedi di lei. Annie perse l’equilibrio e inciampò di lato, colpendo forte il pavimento. Le sue dita rimasero vicine al grilletto, con la canna puntata verso i due estranei.

Un essere alato con lunghe piume che spuntavano dalle braccia arrivò ed afferrò il colletto del goblin, stringendolo con un pugno e strattonandolo indietro. Vicino a lei, lo scheletro fece roteare la testa su sé stessa, prendendolo in giro.

“Basta così, Braghe” disse severamente l’uomo alato, premendo l’altra mano contro il petto del goblin. “Sai che lo fa solo per provocarti.”

“LADRUNCOLO!” ruggì il goblin.

Lo scheletro sollevò una collana d’oro e se la infilò immediatamente nella cavità del petto. Il goblin, Braghe, gridò una vasta gamma di insulti da una singola parola, poi lo scheletro saltellò felice nella stanza vicina.

“Gradisci qualcosa da bere?” La voce di Oko risuonò da dietro il bancone del bar. Quando Annie si voltò per guardarlo, gli occhi di lui erano socchiusi e colmi di malizia.

Annie abbassò il suo fucile di tuono e appese l’arma dietro la spalla. “Sai benissimo che questa non è una visita di cortesia” disse lei, spolverandosi le mani contro il cappotto. Fece cenno con il mento verso gli estranei che stavano ancora bisticciando in mezzo al saloon. “Amici tuoi?”

Oko si inclinò oltre il bancone come se stesse per rivelarle un segreto. “Fanno parte della squadra che ti ho accennato. Braghe, il goblin, è specializzato in esplosivi, e Malcolm è un sirenide che gestisce la sorveglianza. Il piccolino lo chiamiamo Minutosso.”

L’espressione di Annie si irrigidì. “Hai minacciato casa loro come hai fatto con la mia, o sono qui per spassarsela?”

“Ciò che dissi al ranch era un’osservazione, non una minaccia. Eppure… sapevo che saresti venuta.”

“Suppongo tu pensi di sapere più cose di quanto non ne sappia in realtà.”

“So cos’ha fatto Akul a tuo nipote.” Era impossibile non notare la scintilla negli occhi di lui. “Solo un certo tipo di persona potrebbe mai perdonare una cosa del genere.”

“Non sono qui per vendicarmi” rispose lei, bruscamente.

Oko alzò le spalle, chiaramente non interessato ad approfondire ulteriormente. “Avanti… ti presento al resto della compagnia.”

Annie seguì Oko oltre una delle porte sul retro, dove un mezzanino al primo piano forniva una visuale su un ampio salotto. Dei tavoli da gioco vuoti erano sparsi per la sala, insieme ad un pianoforte a cui mancava ben più di qualche tasto.

Minutosso barcollava sul bordo del corrimano, giochicchiando con la catena dorata che penzolava attraverso la sua gabbia toracica. Non appena apparve Braghe nella stanza di sotto, lui scalò fino ad arrivare ai travetti e trovò un posto a sedere sulla trave esposta più alta.

“SCAPPA E RUBA E SI NASCONDE!” gridò Braghe al soffitto.

Minutosso iniziò a dondolare le gambe e tremolò con gioia.

Un uomo e una donna erano seduti ai lati opposti di un tavolo, con gli occhi della stessa identica gradazione di grigio chiaro. Il primo indossava una benda di cuoio e vetro sull’occhio sinistro. Seduta sulla panca del pianoforte si trovava una donna dai notevoli capelli bianchi e di un’eleganza che era al contempo bellissima e terrificante. E appollaiata su uno degli irregolari sgabelli del bar si trovava una gorgone ricoperta di scaglie verdi, con un disordinato ammasso di lunghi tentacoli a forma di serpente al posto dei capelli.

Oko indicò il tavolo per primo. “Loro sono Gisa e Geralf, i fratelli necromanti. Geralf è il nostro medico e Gisa è… bè, diciamo che è meglio lasciare le cure a suo fratello. Al pianoforte c’è Eriette, una strega specializzata in incantamenti. E Vraska, un’assassina di Ravnica, è la mia vice.” Poi spostò la sua attenzione all’intera stanza. “Voialtri, questa è Annie Flash. Riesce a vedere oltre qualsiasi illusione ed è una delle migliori tiratrici di tutto Crocevia Tonante.”

Ci furono una serie di ondate di mormorii e sbuffi. Annie non si perse in convenevoli. Qualcosa le diceva che quello non era il tipo di gruppo che li avrebbe apprezzati.

Oko raddrizzò le spalle, con la voce improvvisamente seria. “Ho intenzione di offrirti la stessa opportunità che ho dato a tutti i presenti: la possibilità di andartene. Poiché una volta che ti spiegherò il colpo, ci sarai dentro finché non sarà compiuto.”

“Sembra che tu mi stia chiedendo di fare un gioco senza conoscere le regole” fece notare Annie.

Il ghigno di Oko non si scompose. “È più che altro un gesto simbolico. Sappiamo entrambi che hai scelto di unirti alla squadra prima ancora di attraversare quelle porte.”

Annie appiattì la propria bocca in una linea dritta. Non aveva torto. Lei alzò una mano. “Ci sto… ma solo per fermare Akul. Ogni cosa ulteriore non ha nulla a che vedere con me con la mia città, mi hai sentito?”

Oko era raggiante. “Accetto le tue condizioni. Ora, non vuoi sentire qual è il lavoro da fare?”

Annie fece una smorfia, in attesa.

“Rapineremo Maag Taranau” disse, finalmente.

Annie sbatté le palpebre. Oh, ne aveva già sentito parlare: l’unica struttura di Crocevia Tonante che si diceva fosse antecedente alle Vie dei Presagi. “Mi hai trascinata fin qui per una favola?”

I capelli tentacolari di Vraska si sollevarono in risposta. Eriette contrasse le labbra.

“Un sacco di gente è arrivata a Porto dei Presagi in cerca del caveau, e tutti sono tornati a mani vuote.” Annie scosse la testa. “È soltanto una leggenda.”

“Ti assicuro che Maag Taranau è molto reale” riecheggiò una voce dall’alto.

Annie alzò lo sguardo allarmata. Qualcuno li stava osservando dal mezzanino. Qualcuno che non sembrava completamente umano.

La sua testa era adornata da due corna che curvavano verso l’interno ma, nonostante la metà inferiore del suo volto fosse visibile, tutto ciò che si trovava sopra la sua bocca era composto di fumo e ombra. Fluttuò giù dalla balconata come un fantasma, rilasciando oscurità dietro di sé, e atterrò con grazia di fianco a Oko.

“Ed ecco Ashiok” disse Oko. “Manipola gli incubi e può estrarre informazioni dalla mente di una persona. Ci ha assoldati per irrompere nel caveau.”

Annie cercò di combattere le palpitazioni nel suo petto, ma le ombre attorno ad Ashiok la facevano agitare. “Cos’ha a che fare tutto questo con Akul?” insistette lei.

Ashiok fu impassibile. “Akul e gli Speroni hanno costruito un’intera città attorno al caveau sperando di controllarlo. La chiamano Dannazione.”

Annie aggrottò la fronte. “Se Akul sa già dove si trova il caveau, allora perché non ha preso qualunque cosa si trovi all’interno?”

“Perché lui non ha la chiave, nonostante i suoi sforzi” disse Oko, semplicemente. “Un uomo di nome Bertram Graywater ne è recentemente venuto in possesso.”

“Graywater?” ripeté Annie. “Il fondatore della Compagnia Sterling?”

“Proprio lui” rispose Oko. “Secondo le nostre informazioni, è riuscito a depistare Akul in mezzo al deserto all’inseguimento di un corriere esca solo per assicurarsi che la chiave non cadesse nelle mani della concorrenza. Per nostra fortuna, non ha idea che la stiamo cercando anche noi.”

Nella testa di Annie scattò il ricordo del carro incidentato. Ecco cosa stava cercando Akul.

“Il caveau…” La voce di Annie rimase sospesa, poi guardò Oko negli occhi. “Cosa si trova all’interno?”

“POTERE GREZZO!” gridò Braghe, facendo spaventare alcuni degli altri.

“Ciò che si trova dentro Maag Taranau non ha importanza per la squadra” ribatté Ashiok. “Stanno agendo per mio conto per irrompere nel caveau, e saranno pagati molto bene, te compresa. Il tesoro è solamente mio.”

Annie non era sicura che il puro potere magico fosse qualcosa da consegnare ad una singola persona, anche fosse stato tutto vero, ma finché non era Akul ad ottenerlo, probabilmente non era affar suo mettere in dubbio la gestione logistica.

Annie incrociò le braccia sul petto. “Da dove iniziamo?”

“La nostra prima fermata è il quartier generale della Compagnia Sterling” disse Oko. “Un paio di membri della nostra squadra sono bloccati in prigione dopo un incidente non correlato… ma guarda caso è anche dove si trova la chiave.”

Il terreno tremò e le pareti scricchiolarono, gemendo e facendo cadere polvere dalle travi del soffitto. Annie afferrò la colonna più vicina per rimanere in piedi, aggrottando la fronte quando notò l’assenza di preoccupazione del resto del gruppo.

La porta sul retro si spalancò, e l’enorme volto di un demone con quattro corna e la rossa pelle coriacea sbirciò all’interno. Aprì la bocca in un sorriso, mostrando due file di denti affilati come rasoi.

“Lord Rakdos!” esclamò Oko. “Chiedo scusa per aver iniziato la riunione senza di voi. Ma, in nostra difesa, è difficile che riusciate a passare per una delle porte.”

Rakdos ringhiò, ed un paio di ali simili a quelle di un pipistrello frusciarono sulla sua schiena.

Un demone, necromanti, assassini e ladri… Annie ebbe la netta sensazione di esserci dentro fino al collo. Ma nel momento in cui avesse estratto il suo fucile di tuono, sapeva già cosa sarebbe successo. Avrebbe fatto tutto il necessario per fermare Akul… anche se fosse significato unirsi ad un gruppo del genere.

Annie aveva fatto la sua scelta, e non poteva tornare indietro.

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Il quartier generale della Compagnia Sterling si trovava ai confini della movimentata metropoli di Prosperità. Delle alte rocce grigie emulavano dei grattacieli torreggianti e i treni decorati si muovevano attraverso il cuore della città, connettendo Prosperità alle varie stazioni sparse per Crocevia Tonante. Seguendo le rotaie rialzate, si snodavano due lunghe strade, lastricate con lucide pietre bianche e pattugliate da una decina di guardie.

Oko camminava tranquillamente per la strada, rivolgendo cenni educati alle poche guardie che si degnarono di guardarlo in viso. Molte non lo fecero: aveva assunto le sembianze del volto più modesto e dimenticabile che era riuscito a pensare, per quanto la cosa lo ferisse.

Si tirò il colletto della sua uniforme da corriere, spostando il peso della scatola che aveva incastrata sotto il braccio. Dall’interno risuonò un tremolio di ossa.

“Smettila di agitarti” brontolò Oko a bassa voce. “Siamo quasi alle porte.”

Oko lanciò un’occhiata al crinale in lontananza, dove Braghe, Malcolm, Vraska e Rakdos stavano attendendo il suo segnale. Sperava che non gli sarebbe servito. Se tutto fosse filato liscio, Oko sarebbe entrato e uscito prima ancora che Bertram Graywater si rendesse conto di essere stato derubato.

Il quartier generale era circondato da una recinzione di metallo, che tremolava di energia blu. Oko si avvicinò ad uno degli edifici esterni più piccoli, dov’era appostata una guardia, e sollevò la scatola.

“Hai un lasciapassare per corrieri?” chiese la guardia dall’altro lato della finestra di vetro.

Oko estrasse dalla tasca una tessera identificativa rubata, cortesia delle dita agili di Minutosso ed una serata in uno dei molti saloon di Prosperità.

La guardia la analizzò brevemente prima di premere un pulsante. Il cancello si aprì scorrendo e l’energia blu si dissipò leggermente. Oko continuò per la sua strada sui larghi gradini di cemento, tamburellando le dita contro il pacco da consegnare.

Nel momento in cui oltrepassò la soglia, Oko scandagliò la stanza. Delle enormi colonne bianche sostenevano l’altissimo soffitto in vetro. Il banco di accettazione era fatto di solido marmo bianco e circondato da grossi vasi di cactus curati. C’erano varie scalinate che conducevano ai diversi livelli dell’edificio… qualcosa di utile per nascondersi, ma meno utile per una fuga veloce.

Oko si avvicinò all’uomo seduto al banco. “Ho una consegna per Bertram Graywater. Mi è stato detto che è urgente.”

“Lo sono sempre” sospirò l’uomo, allungando la mano in attesa della scatola. “La porto io al suo ufficio. Non c’è bisogno che tu stia qui.”

Oko fece un passo indietro, osservando l’uomo che si trascinava verso le scale. Quando fu sicuro di non essere visto da nessuno, girò attorno ad una delle larghe colonne e si tramutò in una delle guardie che aveva incrociato lungo la strada.

Ammirando i lucenti bottoni d’argento sulla sua uniforme, Oko si sistemò i polsini e seguì l’uomo che trasportava la scatola, assicurandosi di stare a distanza di sicurezza.

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Annie ed Eriette si fecero strada verso il retro del quartier generale della Compagnia Sterling, dove una fila di ventole per l’aria conduceva ai livelli inferiori dell’edificio.

Incastrata tra le colonne di un’arcata e nascosta alla vista, Eriette estrasse una fiala dalla sua borsetta e la studiò con disgusto. “Braghe mi ha assicurato che non sarebbe esplosa” disse lei, versando il liquido scintillante sopra la grata. Il liquido sfrigolò in risposta, ribollendo e sibilando man mano che il metallo si dissolveva. La leggera increspatura tra le sue sopracciglia sparì. “A quanto pare quella creatura pelosa sa davvero preparare una pozione.”

“Sembri sorpresa” fece notare Annie.

“Non sono solita fidarmi dei pirati” disse piano Eriette. “Ma, per ora, sembra che siamo tutti allineati.”

Discesero nello stretto tunnel, seguendo una scalinata debolmente illuminata finché non raggiunsero un corridoio. Due sentinelle della prigione stavano camminando avanti e indietro per la sala, con gli stivali che sbattevano pesantemente sull’umido pavimento in pietra.

Eriette si fece avanti e sussurrò una magia sottovoce, che sembrò investire le guardie con una strana euforia. Ondeggiavano sul posto, con gli occhi vitrei e le bocche incurvate in un sorriso perdutamente innamorato.

“Sembra che io abbia perso la strada” dichiarò innocentemente Eriette. “Forse voi potete aiutarmi?”

Le guardie iniziarono a parlare l’una sull’altra, indotte dall’incantesimo di lei, e ciascuno cercava di essere l’unico e solo salvatore di Eriette. Annie colse l’opportunità per superarli, attraversando il portone di metallo e dirigendosi verso un’altra ampia serie di scale.

Così sotto la superficie non c’era affatto il familiare calore del deserto. Annie rabbrividì in quell’aria fredda e stagnante, poi puntò il suo occhio dorato verso ogni singola cella della prigione. La Compagnia Sterling usava delle illusioni come misura di sicurezza, facendo apparire le celle vuote. Era una delle ragioni per cui Oko aveva bisogno dell’aiuto di Annie.

Ci volle giusto qualche secondo per trovarli. Kaervek si trovava ad un lato della stanza, mentre Satoru Umezawa era dall’altro lato.

Dall’angolo della sua cella, Umezawa alzò lo sguardo. Dal suo chignon sulla testa si liberò una ciocca di capelli neri, che lui rimise al suo posto. “Non sembri una guardia, eppure riesci a vederci” notò lui, facendo trapelare del sospetto nel suo tono di voce. “Puoi dare una spiegazione?”

“Mi ha mandata Oko” spiegò Annie. “Mi ha detto di ricordarvi dell’accordo fatto lontano da questo piano e che avete ancora un lavoro da fare.”

Kaervek gonfiò il petto, sotto i suoi vestiti di cuoio, e puntò un dito verso l’altro lato della stanza. “Non ho disatteso alcuna promessa. È colpa di questo stolto se siamo stati sottomessi con tale umiliazione!”

Umezawa afferrò le sbarre, con le nocche che divennero di un bianco brillante. “Siamo qui a causa della tua incompetenza!”

“Dici di essere un leader tra i ladri, capace di aprire qualsiasi serratura” ringhiò Kaervek. “Se sei veramente così scaltro come affermi di essere, allora perché siamo ancora confinati in queste gabbie di ferro?”

“Potrei farti la stessa domanda. Continui ad insistere di essere un potente conquistatore, ma a me pare che tu sia bravo solo a farti catturare” ribatté Umezawa. “Con tutto il tempo che hai passato dentro delle prigioni, dovresti essere un esperto di evasioni ora!”

Eriette apparve alla base delle scale con una chiave d’argento penzolante dal suo dito. “Pensavo che potrebbe servirti. Le guardie sono state molto gentili.” Il suo sguardo vagò per le celle apparentemente vuote. “Li hai trovati?”

Annie indicò le rispettive gabbie. “Non mi avevi detto che erano grandi amici.”

Eriette strinse la chiave al petto e rise. “Oh, si detestano. È una storia piuttosto divertente, a pensarci bene.” Sospirò e si mosse verso il lucchetto della cella di Kaervek. “Un’altra volta, magari.”

La chiave scattò e Kaervek apparve dall’illusione, con le mani legate da manette lucenti.

Eriette schioccò la lingua con disapprovazione. “Oh, poverino, con la tua magia sottratta in questo modo.”

“Risparmiami la tua falsa compassione, strega” disse Kaervek.

Gli occhi di Eriette brillarono di malvagità. Sbloccò le manette e le lanciò sul pavimento, prima di liberare anche Umezawa dalla sua cella.

“Grazie” disse Umezawa, con un secco gesto della testa.

“Che buone maniere, e che bel viso” disse Eriette, con voce suadente.

Annie non ne fu sicura, ma pensò di aver visto le guance di Umezawa tingersi di un’impercettibile sfumatura di rosa.

Kaervek evocò una vivace fiamma arancione sul palmo della mano, con gli occhi che iniziarono ad illuminarsi. “Sono pronto ad evadere da questo sotterraneo. Quanto caos dovremo scatenare sui nostri carcerieri prima di trasformare il loro castello in una terra desolata di cenere ed ossa?”

“Temo non ci sia tempo per quello” disse Eriette. “Ce ne andremo da dove siamo arrivate, senza attirare attenzioni indesiderate. Tranne Umezawa.” Gli angoli della sua bocca si sollevarono brevemente. “Credo che Oko abbia bisogno del tuo aiuto. Si trova da qualche parte dentro l’edificio, anche se non sono sicura di dove sia esattamente.”

I tatuaggi vicino al collo di Umezawa iniziarono a muoversi sulla sua pelle. “Lo troverò” disse lui, dirigendosi verso le ombre senza dire altro.

Annie diede un’ultima occhiata alla prigione e seguì Eriette e Kaervek sulla via del ritorno attraverso il tunnel. Si rese conto che l’unica cosa che impediva al gruppo di Oko di assalirsi l’un l’altro era un obiettivo comune.

Non voleva pensare a cosa si sarebbero fatti a vicenda in caso fossero stati nemici… e con un po’ di fortuna, non avrebbe mai dovuto scoprirlo.

Kaervek, the PunisherART1
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Oko aspettava vicino ad una rientranza, osservando l’uomo che trasportava la scatola muoversi sempre più lontano lungo il corridoio. Si fermò davanti ad una delle porte, estrasse una chiave dalla tasca ed entrò. Qualche secondo dopo, uscì con le mani libere.

Quando il suono dei passi svanì, Oko si affrettò verso la porta dell’ufficio e guardò attraverso la finestra di vetro rotonda. La scatola era stata appoggiata sulla scrivania di Graywater, circondata da un ammasso organizzato di scartoffie e fascicoli.

Con una nocca, Oko batté una lenta sequenza sul vetro. Ci fu del movimento dentro la scatola, ed il cartone si spostò da solo, ruotando da un lato all’altro. Minutosso uscì violentemente dal coperchio, parzialmente smontato. Le sue ossa si rimisero al loro posto ticchettando una per una, poi si appoggiò un cappello rovinato sul cranio. Dondolando velocemente le braccia per prendere le misure, saltò giù dalla scrivania e sbloccò la porta.

Oko lo guardò con vaga ammirazione. “In vita mi hanno colpito veramente poche cose… ma tu sei davvero qualcosa di straordinario.”

Minutosso sbatté i denti come risposta.

Oko passò le dita su diverse superfici, in cerca di nascondigli e mobili chiusi a chiave, mentre Minutosso rovistava sulla scrivania. Non avevano sentito nessuno entrare nella stanza. Finché la persona non parlò.

“Riconosco lo scheletro. Ma noi ci conosciamo?”

Oko si voltò velocemente. La testa di Minutosso ruotò rimanendo sul posto.

Umezawa si trovava in piedi davanti ad entrambi, silenzioso come un necrospettro.

La bocca di Oko si curvò per mostrare un ghigno, e lasciò che le sue orecchie appuntite apparissero oltre la sua illusione. “Puoi dire davvero di conoscere qualcuno?”

Umezawa quasi non si mosse. “Mi sembra chiaro che tu non abbia avuto grandi problemi ad infiltrarti nel quartier generale. Avresti potuto liberare me e il warlock giorni fa, se avessi voluto.”

“Le tempistiche non erano giuste” rispose Oko con leggerezza, poi agitò una mano indicando la stanza intorno. “E comunque ora è acqua passata. Dobbiamo trovare la chiave. Dubito che Graywater la lasci allo scoperto, ma…”

“Il ritratto” lo interruppe Umezawa. Si spostò verso la parete dietro la scrivania, chiaramente non impressionato dalla mancanza di originalità di Graywater. “È sempre il ritratto.”

Oko studiò attentamente la cornice prima di darle uno strattone. Si staccò dalla parete con facilità, svelando una cassaforte nascosta. Fece spazio ad Umezawa e recuperò un piccolo dispositivo dalla tasca. “Mi sono preso la libertà di dare un’occhiata tra le tue cose. Pensavo che ti potesse servire questo.”

Umezawa serrò la mascella, poi strappò di mano l’oggetto da Oko. “Sempre due passi avanti” mormorò, permeando quelle parole di indignazione.

Sul suo palmo aperto, il dispositivo si contorse fino a prendere la forma di un ragno, con le zampe allungate verso l’esterno. Saltò, agganciandosi alla manopola della cassaforte, prima che una serie di numeri balenasse sullo schermo laminato. Il dispositivo ruotò, e le zampe metalliche ticchettavano delicatamente sul posto ogni volta che la serratura si muoveva all’interno. Dopo qualche secondo, ci fu un sonoro scatto e la porta si aprì completamente.

C’era una piccola borsa di iuta appoggiata contro alcuni spessi libri.

Sul volto di Oko si allargò un sorriso. Allungò la mano all’interno ed estrasse un piccolo artefatto che sembrava non appartenere a quel mondo. Nonostante quasi tutto il metallo sembrava annerito dal tempo, alcune parti brillavano di sfumature fluorescenti.

La sesta chiave.

Oko infilò l’artefatto nella tasca interna della sua camicia e raccolse la scatola vuota dalla scrivania, abbassandola verso il pavimento. Minutosso saltò dentro, dando una scarica alle sue ossa, prima che si smontassero inermi.

“Vieni con noi?” chiese Oko ad Umezawa. “Posso travestirti da guardia, se vuoi.”

“Non ho fiducia nella tua magia ingannatrice utilizzata su di te, figuriamoci su di me” rispose con leggerezza Umezawa. “Ci ritroviamo fuori.” Poi sparì nel corridoio.

Raddrizzando le spalle trionfante, Oko si fece strada nuovamente fuori dall’edificio, attento a non attirare l’attenzione. Si tramutò nuovamente in un corriere appena prima di svoltare l’ultimo angolo, e quando raggiunse il cancello la guardia gli aprì senza fare domande.

A metà strada, Oko incrociò un gruppetto diretto al quartier generale della Compagnia Sterling. L’uomo al centro aveva dei capelli scuri con spesse striature d’argento sui lati. Era affiancato da due guardie del corpo.

Non si erano mai incontrati prima, ma Oko riconobbe il volto dell’uomo. Era molto conosciuto su Crocevia Tonante. Un Planeswalker… proprio come Oko.

Ral Zarek.

Eccetto che non fu Ral che fece fermare di colpo Oko, né la robusta guardia armata che sembrava non vedere l’ora di fare a botte.

Fu un ragazzo dai neri capelli scompigliati e le orecchie appuntite.

La magia fatata che scorreva nelle loro vene… Era facile da percepire. A giudicare dallo sguardo sul volto del ragazzo, anche lui aveva riconosciuto la magia di Oko.

Oko si irrigidì, e la sua illusione svanì senza preavviso, incapace di mantenerla attiva in presenza di un inaspettato membro del popolo fatato. In un attimo, fu nuovamente Oko, senza maschere né travestimenti.

“Chi-?” iniziò a dire allarmato Ral, quando i suoi occhi caddero sulla scatola tra le braccia di Oko.

Minutosso fece sbucare la testa. La guardia del corpo di Ral balzò in avanti, ma Oko fu veloce. Si abbassò, rapido e preciso, e piazzò un colpo dritto nella gola della guardia, facendola mettere in ginocchio. Minutosso si rimosse il femore e saltò fuori dalla scatola, colpendo forte con l’osso la tempia di Ral, che si afferrò la testa, stordito.

Il ragazzo fata era bloccato, e Oko non aspettò di capire il perché. Si trasformò in una grossa aquila, aprendo le ali mentre Minutosso scalava il dorso di Oko e si aggrappò alle sue piume per salvarsi le ossa. Oko prese il volo verso le colline, proprio mentre le guardie della Compagnia Sterling iniziarono a reagire.

“Seguitelo!” La voce di Ral rimbombò per il pendio.

Dei tuoni emersero dal cielo, e Oko fece diverse manovre rischiose per evitare di essere colpito. Il cappello di Minutosso cadde a terra, e si lasciò sfuggire una vibrazione irritata prima di stringersi al collo di Oko. Il crinale era vicino, ma c’era poca copertura oltre ai massi torreggianti, ed ogni guardia Sterling era armata. Se Oko si fosse spostato in uno spazio aperto, sarebbe stato in svantaggio.

Scese in picchiata e si trasformò immediatamente nella sua vera forma a pochi centimetri dal terreno. Minutosso saltò via dalla sua spalla, tremando dopo quel volo non pianificato. I due si nascosero dietro una delle alte rocce e si prepararono a combattere. Ad Oko bastava trattenerli fino all’arrivo del resto della squadra.

Nel cielo apparve il ragazzo fata, con una scia di polvere dorata dietro i piedi. Atterrò diversi metri più lontano, con gli occhi spalancati e in allarme. Oko iniziò una carica, ma il ragazzo si limitò ad alzare le mani, implorante.

Nonostante il suo istinto, Oko esitò.

“Io… non voglio combatterti!” balbettò il ragazzo.

“Strana propensione per una guardia del corpo.”

Il ragazzo lasciò cadere le braccia. “Ti stavo cercando. Non solo su questo piano, ma anche sugli altri.”

“Oh?” Oko alzò un sopracciglio. “E perché mai?”

“Sono piuttosto sicuro… bè, vedi… il fatto è che…”

“Sarei un po’ di fretta” sbottò Oko.

Le mani del ragazzo tremavano ai suoi fianchi. “Penso che tu sia mio padre.”

Oko lo fissò, non sicuro di aver compreso bene quello che aveva detto.

“Mia madre è Alyse” disse il ragazzo. “Mi chiamo Kellan.”

Oko aveva udito tante menzogne quanto quelle che aveva raccontato lui durante la sua vita… abbastanza da sapere che il ragazzo stava dicendo la verità. Si ricordava bene di Alyse. E Kellan…

Un rombo di passi si avvicinò sempre di più. Nel tempo in cui si decise di allontanarsi dal ragazzo, era troppo tardi. La sua esitazione gli era costata cara: Oko era circondato.

La Compagnia Sterling alzò le armi, pronte a sparare.

Oko lanciò un’occhiata a Minutosso, che si era aggrappato saldamente alla sua spalla. “Non ho mai pensato di chiedertelo… ma, in quanto scheletro, quanto sei effettivamente indistruttibile tu, precisamente?”

Minutosso alzò svogliatamente le spalle, e Oko strinse i pugni.

Apparve un ammasso di tentacoli dorati a forma di viticcio, che lanciò quasi tutte le guardie giù dalla collina in una nuvola di polvere e magia. I restanti vennero presi uno per uno, intrappolati nei viticci dorati e lanciati da una parte. La mente di Oko era pervasa dalla confusione finché non si rese conto che quella magia proveniva da Kellan.

Ral uscì dalla nuvola di polvere alle sue spalle, osservando Kellan con un misto di shock e delusione. “Ti dispiace spiegarmi cosa stai facendo, ragazzo?”

“Mi dispiace” disse Kellan, con una smorfia. “Io… non avevo previsto nulla di tutto questo!”

Dell’elettricità blu iniziò a ruotare attorno alle dita di Ral, e il cielo sembrò scurirsi sopra di lui. Dietro i suoi occhi si stava accumulando una tempesta. Alzò le mani, con le dita scintillanti di magia, quando l’elettricità si smorzò improvvisamente.

Ral aprì la bocca e sbatté le palpebre. “Vraska?

Oko si guardò alle spalle e trovò il suo gruppo in attesa. Vraska avanzò, con il suo stretto volto contratto in una smorfia. Le profonde cicatrici che segnavano la sua pelle sembravano ancora più visibili alla luce del sole.

“Lo so” disse lei, in modo deliberatamente lento, come il peggiore tra i veleni. “Pensavi che fossi morta.”

Rakdos piombò a terra di fianco a Ral, con le ali spiegate e il sole del deserto radioso dietro di lui. Dall’espressione di Ral, lo riconobbe, ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Rakdos tirò un pugno grande come un macigno contro il mago del fulmine, facendolo scivolare nella polvere.

Rakdos, the MuscleART1

Minutosso colse l’opportunità per trafugare l’orologio da taschino di una guardia, alzandolo trionfante verso la luce. La sua risatina soddisfatta fece tremare tutte le sue ossa.

“IL LADRO-GIULLARE SI PRENDE UNA RICOMPENSA PER IL SUO CAPPELLO!” osservò Rakdos, con voce roboante… ma sorprendentemente musicale.

Minutosso sbatté i piedi a terra in segno di gratitudine e si sistemò nella rientranza del collo di Rakdos.

Malcolm incrociò le sue braccia alate. “Dovremmo andarcene prima che mandino dei rinforzi. Non ci vorrà molto prima che Graywater capisca quello che hai preso.”

“Sono d’accordo” disse Oko, poi osservò Kellan per un attimo. Assomigliava così tanto a sua madre, con i suoi capelli scuri e gli occhi marroni. Quelli di Alyse erano dello stesso colore, una mescolanza di muschio e miele. Ricordarono a Oko la sua foresta preferita, e i giorni che passavano camminando nel bosco a parlare della loro infanzia. Lo aveva sorpreso allora… di riuscire ad ascoltare i segreti di una persona senza volerli trasformare in armi. Lo sorprese ancora di più che lei provasse gli stessi sentimenti.

Oko scacciò via quel pensiero e si costrinse a sorridere. “Sembra che tu verrai insieme a noi” disse a Kellan, che non sembrava stare molto bene.

“Sei sicuro che sia una buona idea?” si intromise Vraska, con gli occhi illuminati di una velenosa sfumatura di giallo. “Non sappiamo nulla di lui.”

“Lasciarlo nelle mani della Compagnia Sterling potrebbe essere un problema per noi.” Oko incurvò la bocca in un ennesimo sorrisetto leggero. “E poi, non hai sentito? È mio figlio.”

Gli altri membri della squadra si scambiarono sguardi imbarazzati, ma non ebbero la forza di controbattere.

“AVANTI!” starnazzò Braghe.

La squadra si ritirò oltre il crinale e non più in vista. Oko percepiva Kellan dietro di lui, chiaramente deciso a non distogliere lo sguardo da Oko ma senza voler avvicinarsi troppo.

Oko non si era mai visto come una figura paterna… ma il ragazzo li aveva appena aiutati a fuggire, e si era messo contro il suo capo per farlo. Kellan aveva mostrato lealtà senza essere stato costretto né ingannato. Gliel’aveva offerta liberamente.

A metà strada verso il loro ritorno al saloon, Oko decise che avere un figlio avrebbe potuto rivelarsi veramente molto utile.

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Racconto successivo: Episode 3: A Train to Prosperity

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