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Episode 1: An Offer of Revenge è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Akemi Dawn Bowman e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast l'11 marzo 2024. Racconta parte della storia di Annie Flash e Kellan dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia.

Racconto precedente: Episode 11: Portents and Omens

Storia[]

Il sole stava tramontando su Porto dei Presagi. Sgusciando oltre i tetti triangolari, delle vampate di luce ambrata proiettavano ombre appuntite sulla secca erba desertica che cresceva tra le strade della città. Attorno agli edifici in legno erano disseminati gruppetti di cactus, e in mezzo alla piazza si trovava un’unica fontana, con l’acqua ribollente di magia per mantenerla sempre fresca. Le campane della missione risuonarono come facevano ogni sera al calar del sole, eppure Archie Dixon controllava il suo orologio da taschino, ancora e ancora.

Due guardie della Compagnia Sterling erano in piedi di fianco ad una carrozza nei paraggi. Una delle due masticava pigramente un pezzo di canna da zucchero stretto in mezzo ai denti. L’altra teneva i suoi occhi fissi sulla Via dei Presagi, scrutando il portale alla ricerca di movimento.

Archie infilò il suo orologio nella tasca del gilè e produsse un sospiro esagerato. Non era la prima volta che veniva assoldato dalla Compagnia Sterling per trasportare della merce per Crocevia Tonante, ma la maggior parte dei corrieri erano convinti che la puntualità fosse la cosa più importante… e Archie stava aspettando alla fontana da più di un’ora.

Se fosse stato un altro lavoro per un altro cliente, se ne sarebbe anche potuto andare. Ma la Compagnia Sterling pagava bene. Gli avevano anche fornito due guardie armate che lo scortassero per il deserto, oltre ad avergli offerto un pagamento extra in cambio del suo silenzio. Non poteva fare domande riguardo a chi dovesse incontrare o a cosa stesse trasportando, ma i soldi erano pur sempre soldi, e i pettegolezzi non portavano il pane in tavola.

Comunque sia, detestava quando gli altri erano in ritardo.

Archie stava per prendere di nuovo il suo orologio quando la Via dei Presagi si mosse, increspandosi e facendolo irrigidire. Delle sfumature di blu fluorescente crepitarono come fulmini, dopodiché apparve una figura lucente.

Un uomo camminò oltre la soglia, con il volto coperto da una bandana nera. Non che fosse necessario: Archie non riconobbe l’uomo tanto quanto non riconobbe lo stile di vestiario che stava indossando.

Lo straniero proveniva da un piano completamente diverso. Lo sguardo dell’uomo vagò per la piazza parzialmente acciottolata prima di fermarsi sulle guardie Sterling. Avanzò in silenzio lungo il largo sentiero, fermandosi a diversi metri di distanza. Col braccio teso verso di loro, stringeva nel pugno un sacco di iuta.

Archie prese il sacco senza soffermarsi e si affrettò all’interno della carrozza.

Le guardie Sterling salirono rapidamente alla postazione rialzata del cocchiere. Una delle guardie lanciò il suo pezzo di canna da zucchero nella sabbia con un colpo del dito e prese saldamente le redini, gesto che riempì d’aspettativa i due cavalli marroni, facendogli ruotare le orecchie all’indietro. Archie batté a malapena le nocche contro il tettuccio quando la carrozza partì, lasciandosi alle spalle l’uomo mascherato e il portale.

I cavalli li trainarono attraverso il panorama polveroso per chilometri, con una singola lanterna appesa davanti alla carrozza per illuminare la strada. Si ergeva contro la crescente oscurità finché non fu l’unica cosa che Archie riusciva a vedere fuori dal finestrino.

Si strinse la sacca al petto, cercando di individuare l’orizzonte dove le montagne del deserto incontravano il cielo stellato. Sperava che quella calma fosse di buon auspicio, ma in cuor suo sapeva che non era così. Il suo cliente non avrebbe mai fornito due guardie della Compagnia Sterling se il lavoro non avesse comportato dei rischi.

Si aspettava dei banditi… ma ciò che lo trovò nel deserto fu molto peggio.

Un muro di fuoco si innalzò dopo una fiammata dall’alto, creando un cerchio impenetrabile attorno alla carrozza. I cavalli indietreggiarono spaventati e il veicolo si fermò di colpo, facendo sbattere la testa di Archie contro il telaio del finestrino. Lui sussultò, sbattendo ripetutamente gli occhi, e osservò con orrore le due guardie che saltarono nella sabbia ed estrassero le armi.

“Cosa succede?” chiese Archie frettolosamente, con lo stomaco stretto dal terrore.

Speroni” mormorò una delle guardie.

L’altro, come per rispondere, strinse la presa attorno al suo fucile di tuono.

Apparvero diverse figure attraverso il muro di fuoco, immuni alle fiamme che sibilavano e schioccavano attorno a loro. Spararono senza preavviso alle guardie con le loro armi, scagliando ondate di energia che si dispersero nella sabbia. Una decina di fori comparvero sul lato della carrozza, e le guardie Sterling caddero immediatamente.

Quando il crepitio del fuoco fu l’unico suono rimasto nel deserto, gli estranei abbassarono le armi.

Il gruppo si separò nel mezzo, lasciando spazio ad una grande figura che stava avanzando, con degli artigli muniti di speroni che ticchettavano a terra. La luce del fuoco traspariva dalla silhouette incombente del drago, facendo apparire tremolanti le scaglie sul suo corpo. Non si poteva non riconoscere il capo degli Speroni. Non nel deserto, dove il suo nome incuteva così tanta paura.

Akul.

Il drago fece scattare le sue strane mandibole, tirò indietro la coda e la fece schioccare contro la carrozza come una frusta, tagliando in due ciò che era rimasto del veicolo.

Archie era in una pozza di sangue, stringendo ancora la sacca. La sua mortalità stava scivolando via ad ogni faticoso respiro, e i suoi occhi erano spalancati dal panico.

Akul sembrò notarlo a malapena.

Il drago strappò la sacca di iuta dalla stretta morente di Archie e gonfiò il petto, trionfante. “Finalmente. L’ultima chiave è mia.”

Con un solo artiglio, tagliò la sacca per aprirla. Sul suo palmo aperto si riversarono alcuni pezzi di carbone, quindi lui sibilò, con i suoi occhi dorati ricolmi d’ira.

Akul ringhiò, stringendo il pugno attorno al carbone finché la fine polvere nera non cadde lentamente attraverso i suoi artigli. Si voltò, sbattendo la coda, e ruggì nel vasto deserto.

All’interno della carrozza distrutta, Archie Dixon osservò gli Speroni fare qualche passo indietro mentre Akul dava fuoco alla sabbia intorno a lui. Archie percepì le fiamme avvicinarsi, ma la sua mente stava già svanendo. Mentre esalava l’ultimo respiro, ebbe lo strano ed improvviso impulso di controllare il proprio orologio da taschino.

Per quanto gli importasse la puntualità, non si sarebbe mai aspettato di arrivare così presto al suo appuntamento con la morte.

Archie sbatté le palpebre per l’ultima volta… e in qualche altro luogo lontano, ben oltre l’incendio nel deserto, la vera chiave si stava allontanando sempre di più dalle grinfie di Akul.

Annie Flash si sistemò il cappello a tesa larga e socchiuse gli occhi per osservare il terreno battuto dal sole, con la fronte corrugata segnata da profonde linee. Stava seguendo la colonna di fumo dall’alba e finalmente riusciva a vedere a occhio nudo la sua fonte carbonizzata in lontananza.

Sotto di lei, Fato sbuffò impazientemente.

Lei appoggiò una mano guantata sul collo dell’animale e si inclinò verso la sella. “Non preoccuparti. Mi farò perdonare con tutte le mele e il mais che vorrai mangiare una volta tornati a casa… ma quelle rovine là fuori sono probabilmente ciò che ci permetteranno di comprarli.”

Fato rispose scuotendo le sue corna arricciate, chiaramente non convinto. Annie si lasciò sfuggire un sorriso. Non era una cosa che faceva spesso, ma c’era qualcosa nelle cavalcate su grandi distanze che la rendeva più incline ad abbassare la guardia.

Annie smosse Fato con un colpo di tacco, e insieme cavalcarono verso il fumo. Aveva già visto molte volte delle carrozze in fiamme durante i suoi giorni con gli Svincolati. Riusciva a capire la differenza tra un incidente ed un’imboscata… e quello non era certamente un incidente.

Ma un solo sguardo alla fenditura nella carrozza le disse anche esattamente di chi fosse opera tutto ciò.

Akul era stato qui.

Con una smorfia, Annie puntò il suo occhio dorato verso il panorama riarso, alla ricerca di illusioni. Sicura di essere sola, smontò e si spostò verso i resti della carrozza. Tirò un calcio al grosso cumulo di cenere e alcune ossa si riversarono sul lato.

Cercò di non chiedersi a chi appartenessero. La curiosità non aveva mai portato a nulla, se non porle un bersaglio più grande sulla schiena.

Raggiungendo ciò che era rimasto del sedile, Annie diede uno strattone e rivelò un compartimento nascosto. Al suo interno si trovava un piccolo scrigno, rimasto illeso. Prendendo un coltellino dalla cintura, fece leva sul coperchio per aprirlo e trovò diverse pile di denaro.

Gli attacchi di quel genere sembravano avvenire solo per una tra due ragioni: soldi o vendetta. Ma il suo istinto le stava dicendo che c’era qualcosa che non andava.

Nonostante sapesse che non aveva senso ipotizzare, lo fece comunque.

Per quanto riguardava gli Speroni, dare fuoco ad una carrozza come atto di vendetta era decisamente troppo pacato: Akul preferiva rendere le cose spettacolari, spesso in pubblico. Ma avevano lasciato lì i soldi… e ciò significava che stavano cercando qualcos’altro. Qualcosa di più importante di uno scrigno pieno di contanti che avrebbe potuto sfamare un’intera famiglia per un mese.

A cosa dà la caccia? I pensieri di Annie erano martellanti. E quante carrozze ha bruciato per trovarla?

Una fitta di terrore le si diffuse nel corpo. Detestava che un mostro come Akul stesse portando distruzione sul piano, facendo del male a degli innocenti, e la facesse comunque franca. Ma aveva anche deciso molto tempo prima di stare il più lontano possibile da lui. Perché fintanto che quegli innocenti non erano le persone che aveva imparato a chiamare famiglia, non le interessava. Non poteva permetterselo.

Akul era qualcuno che non voleva affatto infastidire di nuovo. Ma era contenta di prendere i soldi che aveva lasciato lì.

Annie raccolse lo scrigno, lo ripose con cura in una delle bisacce e spostò un ciuffo lucente della criniera di Fato dagli occhi della cavalcatura.

“Pensi di poterci riportare a Spazzasella prima di mezzogiorno?” chiese lei, osservando Fato piegare la testa verso il basso come risposta. Lei tornò in sella e prese le redini con una mano. “Benissimo, allora. La cena la offro io.”

Annie puntò il suo sguardo ben oltre la vallata successiva, con l’iride destra scintillante di magia. Nonostante fosse lontana chilometri, riusciva a vedere la silhouette della cittadina nelle terre desolate che chiamava casa. Spazzasella non era proprio la città più carina di Crocevia Tonante, ma Annie scoprì che aveva un certo fascino… soprattutto per quanto fosse fuori mano. Era arrivata ad apprezzare quella tranquillità e l'anonimato che ne derivava.

Annie condusse Fato ad un abbeveratoio fuori dall’emporio della città. Non appena lei toccò terra, si lanciò la bisaccia sulle spalle e salì sui gradini storti e consumati dalla polvere.

“Buon pomeriggio, Sig. Towning” disse Annie, prendendo tra le dita il bordo del suo cappello in segno di rispetto e lasciando che le porte di legno si chiudessero dietro di lei.

Un uomo dai capelli ingrigiti si alzò da dietro il bancone, con le mani strette attorno ad una cassa di verdure. “Non mi aspettavo di vederti oggi! Ho una consegna al tuo ranch che parte domattina… a meno che, ovviamente, tu non sia qui per fare delle modifiche.” Con uno sforzo, posizionò la cassa su una mensola vicino, fece qualche passo indietro e si appoggiò immediatamente una mano sulla schiena. “Le cose non si spostano allo stesso modo quando si invecchia” disse lui, sussultando. “Ma suppongo che sia meglio dell’alternativa.”

Annie appoggiò lo scrigno sul bancone con un tonfo. “Non posso fare molto per le vecchie ossa che ti ritrovi, ma scommetto che questo ti tirerà su di morale.”

Il Sig. Towning sollevò il coperchio e si illuminò subito in volto. “Sei troppo buona con me.”

Annie lo osservò dividere il denaro in due parti uguali. Mise la sua parte in una cassaforte sotto il bancone e Annie infilò la propria in una tracolla che portava sul fianco.

“Sei sicura che nessuno verrà a cercare questi soldi in particolare?” chiese lui, mentre ruotava la manopola della cassaforte.

Nella mente di Annie comparve per un attimo l’immagine della carrozza bruciata, ma lei aveva una regola quando si trattava di discutere dove e come trovasse il proprio bottino.

“Nessuno ha intenzione di sprecare ore preziose a setacciare le terre desolate per cercare una scatola che non sapevano nemmeno esistesse” fece notare lei. “Inoltre, io e Fato non abbiamo visto anima viva in quel deserto. Chiunque abbia lasciato quei soldi se n’è andato da molto tempo.”

Lui annuì, con espressione più rilassata. “Non credo che la nostra cittadina sarebbe sopravvissuta fino ad ora se non fosse stato per te. Ti siamo veramente grati. Lo siamo sempre stati, e lo saremo sempre.”

“E io che pensavo di starvi pagando per evitare che mi consegnaste al miglior offerente.” Annie alzò un sopracciglio. “Se sono l’eroina della città, probabilmente dovremmo ritrattare questa divisione al 50 e 50.”

La risata del Sig. Towning rimbombò all’interno del piccolo negozio. “Bè, dai, sai come si dice: Squadra che vince…”

Annie indicò un cesto di prodotti appeso al muro dall’altro lato del bancone. “Che mi dici di qualcuna di quelle mele, allora? Ho promesso a Fato che avrei anche preso del mais, intanto che ero qui.”

Lui si allungò per prendere la mela rossa più lucida del mucchio e la lanciò oltre il bancone. Annie la prese al volo tra le sue mani.

“Dì a Fato che offre la casa” disse lui. “Il resto te lo faccio mandare domattina.”

Annie abbassò il cappello e si voltò verso la porta. “È sempre un piacere.”

Cavalcò fino alla periferia di Spazzasella e arrivò al loro piccolo ranch appena prima del tramonto. Si fermò vicino ai campi sulla via verso casa, dove Fato si unì a pascolare insieme agli altri animali. A volte lui spariva insieme agli ultimi raggi di luce: un attimo prima c’era, e quello dopo se n’era andato. Nonostante Annie non sapesse dove andasse o perché lo facesse, tornava sempre indietro. C’era una silenziosa intesa tra loro due.

Annie lo guardò per un attimo. I suoi segni erano come quelli degli altri palomino, ma Fato era una creatura per cui Annie non aveva un nome. La sua intelligenza era al pari di qualsiasi umano che lei avesse incontrato… anche se il senso dell’orientamento di Fato era su un livello completamente diverso. Si erano trovati bene l’uno con l’altra in quel modo: Annie forniva a Fato assistenza per esplorare il deserto, e Fato le offriva un’affidabilità che lei non vedeva da molto tempo.

Annie si allontanò dal cancello, stringendo forte la tracolla della sua borsa, e arrancò sulla strada sterrata che portava a casa sua. Si era fissata così tanto su Fato e sui ricordi del proprio passato che era già quasi arrivata al portico prima di notare che c’era qualcuno in piedi alla base delle scale.

La sua mano si spostò immediatamente sul coltello infilato al fianco, con le dita all’erta. L’uomo di fronte a lei era vestito come qualcuno proveniente dalla grande città, con un completo nuovo su misura e degli stivali fin troppo lucidi. I suoi biondi capelli mossi andavano verso l’alto e ricadevano sul lato, e il suo volto mostrava un compiacimento che Annie detestò fin dal primo istante.

“Cosa sta facendo nella mia proprietà?” chiese lei, con voce tagliente.

L’estraneo mostrò i suoi denti con un sorriso. “È forse lei la famosa ex fuorilegge che si fa chiamare Annie Flash?”

Lei sussultò a quella descrizione, preferendo non pensare ai suoi giorni di lavoro insieme ai criminali. Non dopo ciò che accadde a suo nipote. “Chi lo sta chiedendo?”

L’uomo continuò a sorridere. “Sono venuto fin dalla città per incontrarla di persona. Credo si possa dire che sono un grande ammiratore.”

“Questa è solo una mezza risposta” disse lei, freddamente. Il suo occhio destro brillò con una sfumatura arancio, e lei vide l’uomo per ciò che era veramente oltre l’illusione. Lei incrociò le sopracciglia con una smorfia. “Che affari deve svolgere una fata qui fuori, nelle terre desolate?”

Il ghigno dell’uomo si curvò maliziosamente e mutò forma, tornando al suo aspetto naturale: capelli corvini, orecchie appuntite e un volto pallido che sembrava essere ricoperto d’argento. Fece un inchino beffardo. “È un piacere fare la tua conoscenza, Annie Flash. Il mio nome è Oko… e la tua capacità di vedere attraverso le illusioni è esattamente il motivo per cui ti stavo cercando.” Lui inclinò la testa come se stesse ammirando un quadro. “Mi è stato detto che fu un angelo a donarti quell’occhio. Un dono raro, senza dubbio.”

“Non è stata l’illusione ad averti smascherato.” Lei incrociò le braccia. “Ma il fatto che le tue scarpe non fossero minimamente sporche, nonostante avessi affermato di aver viaggiato nel deserto pur di trovarmi.”

Oko rise. “Quando devo scegliere tra precisione ed estetica, preferisco la seconda.”

“A qualsiasi gioco tu stia giocando, non mi interessa. Mi sono ritirata. Ora vattene dal mio portico.” Lei iniziò ad oltrepassarlo, ma Oko fissò i propri occhi sulla sua tracolla, facendola fermare.

“Se i soldi non ti interessano, forse la vendetta potrebbe fare più al caso tuo” offrì lui, con la voce simile a delle pericolose fusa. “Ho formato una squadra per rubare qualcosa di importante ad un fuorilegge che potresti conoscere con il nome di Akul.”

Annie si irrigidì, incapace di nascondere la sua reazione viscerale al suono di quel nome.

Oko apparve compiaciuto. “Ho sentito delle voci che dicono potrebbe esserci un affare in sospeso tra voi due.”

“Hai sentito male” sbottò Annie. Poi lei si voltò, verso i campi, il ranch e tutto ciò che aveva costruito da sola dal giorno in cui Akul per poco non uccise suo nipote, dopodiché chiuse le mani a pugno. “Non tornerò indietro. Non ho bisogno della vendetta per trovare la pace.”

Oko la studiò con quel tipo di meticolosità che sembrava sempre seguire l’ambizione. Dopo un po’, lui si mise una mano in tasca ed estrasse una scatoletta di fiammiferi con il nome di un saloon stampato sul lato. “Qui… in caso cambiassi idea.”

Annie la prese solo perché sperava potesse convincerlo ad andarsene più rapidamente.

“Se per me è stato così facile trovarti, immagina quanto sarà facile per gli Speroni se mai decideranno di venire a dare un’occhiata.” disse Oko. “Deve piacerti veramente molto questa città vedendo ciò che fai per proteggerla.”

Annie raddrizzò le spalle. “È una minaccia?”

Oko posò una mano sul cuore; una manifestazione di sincerità. “Certo che no. Sto solo notando l’ovvio.” Quando tolse la mano, il suo sorriso tornò. “Se cambi idea, vieni a trovarmi al saloon. Ti prometto che varrà il tuo tempo.”

Annie osservò Oko sparire lungo la strada, con la stretta sempre maggiore attorno ai fiammiferi che aveva in mano.

Era un errore rimanere in un luogo per troppo tempo. Aveva messo delle radici senza volerlo.

Nulla rimaneva sepolto nel passato per sempre… e ora i suoi vecchi fantasmi l’avevano seguita fino all’unico luogo in tutto il mondo che aveva veramente a cuore.

Kellan sollevò l’ultimo perno di metallo sulla piattaforma elevatrice e fece un passo indietro. Osservò il macchinario sollevare l’equipaggiamento fino al livello successivo della torre di trasmissione parzialmente costruita.

Intorno a lui erano appese delle lanterne appuntite, con cavi e corde penzolanti come una cascata di luce stellare, brillanti contro il cielo sempre più scuro. Non era passato molto da quando il sole era sparito dietro al canyon, ma l’aria era ancora pesante di calore.

Kellan si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della mano e si guardò alle spalle, verso quella che stava rapidamente diventando la sua nuova vista preferita. La Via dei Presagi si trovava incastrata in mezzo all’enorme parete di roccia, crepitante di energia blu. Era difficile credere che fosse passata solo qualche settimana da quando aveva attraversato il portale.

File:Kellan, the KidART1.jpgBarra.png

Anche alla luce del giorno, Porto dei Presagi non assomigliava per nulla a Eldraine. Ma Kellan non guardava quel panorama giallo e arancio con nostalgia di casa. Lo guardava con speranza.

“Ehi… ragazzo nuovo!” ruggì una voce dalla fossa. Kellan guardò in basso e vide una dei sovrintendenti che agitava la mano in aria. “Questi bancali non si spostano mica da soli!”

Kellan si scusò, imbarazzato, e si affrettò a scendere la scaletta per aiutare con il prossimo carico di ricambi. Ne sollevò uno dopo l’altro, con la mente che ancora iniziò a vagare verso pensieri di viaggi verso altre città, quando un uomo dalle spalle larghe con una balestra urtò Kellan per passare con un grugnito.

Non c’era dubbio che fosse un mercenario della Compagnia Sterling. La guardia seguiva Ral Zarek come un’ombra, nonostante fosse stato probabilmente assoldato per proteggere l’edificio piuttosto che Ral in persona.

Ral, insieme a Niv-Mizzet su Ravnica, stava sviluppando un modo per comunicare attraverso le Vie dei Presagi, e la torre di trasmissione incompleta era praticamente un enorme bersaglio scintillante. C’erano molte società di fuorilegge che sarebbero state interessate nella sua tecnologia… e non solo su Crocevia Tonante, ma anche su altri piani. Chiunque avesse preso per primo il controllo del centro comunicazioni si sarebbe indubbiamente ritrovato incredibilmente ricco.

La Compagnia Sterling aveva già investito nella ricerca di Ral. Ora avevano bisogno di proteggerla.

“Buonasera, Sig. Zarek” disse la sovrintendente. “Non mi aspettavo di vederla sul sito a quest’ora tarda.”

“Volevo parlarti riguardo l’installazione del ripetitore ottico” disse Ral, prima di blaterare una serie di domande e specifiche che Kellan non riuscì proprio a seguire.

Kellan si voltò verso i cumuli di metallo. Non aveva accettato quel lavoro perché gli interessassero le torri di trasmissione e le Vie dei Presagi. Kellan si teneva occupato catalogando l’equipaggiamento dell’edificio. Caricava i vari pezzi sulla piattaforma vuota uno alla volta, con la mente che vagava sempre di più ad ogni minuto che passava, finché un potente scoppio lo fece uscire da quella sorta di trance.

Alla base della torre, un tecnico strattonava terrorizzato un pezzo di componentistica disallineato, cercando di rimuoverlo dall’enorme connettore. Ci fu un altro scoppio, e una scarica elettrica scaturì dal metallo. Si sparsero delle scintille dall’unità di controllo, ma la scarica principale di energia schizzò verso l’alto, seguendo la struttura incompleta della torre di trasmissione finché non si disperse nel cielo in una decina di direzioni diverse.

Nella parte alta dell’impalcatura, una delle scintille più grandi colpì una lanterna, facendo esplodere il vetro. Un operaio nelle vicinanze alzò le mani per schermare il viso, inciampando all’indietro verso il bordo della piattaforma. Barcollò, sforzandosi di riacquistare l’equilibrio, prima di lanciare un grido acuto.

L’uomo iniziò a cadere dalla cima della torre.

Alcuni operai nella fossa urlarono. Altri lo indicarono scioccati.

Kellan non esitò. Della polvere dorata avvolse i suoi piedi mentre volava verso l’uomo e avvolgeva le sue braccia intorno a lui a mezz’aria, cogliendolo dal cielo come un frutto prima di farlo scendere lentamente a terra.

L’operaio balbettò qualche parola di gratitudine, battendo i denti per la paura, quando arrivò Ral. I suoi occhi sfrecciarono dalla torre all’uomo, poi viceversa.

Ral gesticolò irritato verso il mercenario. “Incidenti come questo potrebbero arrestare i nostri progressi per giorni interi. È troppo richiedere un po’ di competenza su un progetto simile?” Si prese il ponte del naso tra le dita, respirando profondamente. “Non importa. Come stavo dicendo prima, gradirei un rapporto completo sulla conversione elettrica prima dell’installazione…” Se ne andò con passo spedito senza degnare di un altro sguardo l’operaio caduto.

Un gruppo di tecnici si affrettò verso l’unità di controllo per riparare il guasto prima che venisse rilasciata un’altra scarica di energia. Avvolgendo l’uomo con un braccio, Kellan lo aiutò a sedersi contro una pila di casse di metallo così che potesse riprendere fiato lontano dalla confusione.

Kellan tirò fuori una borraccia di cuoio piena d’acqua dal fianco. “Ecco… bevi.”

“Sei troppo gentile per fare questo lavoro” fece notare l’uomo prima di bere un sorso.

“Perché non ti ho lasciato cadere?”

“No… perché sei ancora qui a controllare che stia bene quando sai benissimo che il capo ti diminuirà la paga per questo.”

Kellan diede uno sguardo alla fossa, dove la sovrintendente era assorta a conversare con Ral. “Non ho accettato questo lavoro per i soldi.”

“Tu sì che sei strano. Anche per una fata.” L’uomo alzò il mento. “Allora perché hai accettato questo lavoro?”

Kellan esitò prima di sedersi sulla cassa di fianco a lui. “Il mio ultimo capo, Ezrim… mi ha detto che mio papà si trovava su questo piano. Io… io sto cercando di trovarlo.”

L’uomo aggrottò la fronte. “Tuo papà sta lavorando alla torre di trasmissione?”

Kellan si passò una mano tra i suoi folti capelli, ridendo nervosamente. “No. Ma Ral si è offerto di ingaggiarmi, e lui conosce un sacco di persone a Porto dei Presagi. Era un’opportunità troppo ghiotta per perdersela.”

L’operaio fece una smorfia e fece uscire l’ultimo sorso d’acqua con un movimento veloce. Quando ebbe finito, fece uscire un fischio attraverso i denti. “Sai, molte persone vengono qui per scappare da qualcosa. Forse se non hai ancora trovato tuo padre, è perché non vuole essere trovato.”

“Non credo si stia nascondendo da qualcosa. Io penso che stia cercando qualcosa.” ammise Kellan.

“Bè, se è davvero così, sono sicuro che sarà felice di vedere un volto familiare quando scoprirà che sei qui.”

Kellan si sforzò di sorridere e annuì, con le orecchie che gli bruciavano mentre teneva per sé un pezzo di informazione importantissimo: suo padre non aveva idea di che aspetto avesse Kellan, perché non si erano mai veramente incontrati.

L’uomo restituì la borraccia. “Farò meglio a tornare lassù. Il giorno di lavoro è quasi finito. E non che non abbia apprezzato il tuo aiuto, ma se per te è uguale, questa volta prenderei le scale.”

Kellan lo osservò sparire dietro l’angolo e pensò all’ultima volta che aveva detto addio ad un amico. Gli fece ricordare una stretta familiare al petto. Cercò di scacciarla, decidendo che fosse meglio finire di impilare i perni di metallo piuttosto che pensare a quanto si sentisse solo su un nuovo piano senza conoscere una singola persona. Persino suo padre era un estraneo, tecnicamente.

Solo un altro po’, si assicurò Kellan, tra sé e sé.

Si alzò e si voltò per prendere il perno che aveva lasciato andare pochi minuti prima, quando si ritrovò una figura alta a bloccargli la strada.

La sovrintendente gesticolò con una mano verso l’equipaggiamento non completamente impilato. “Finisci qui. Il tuo nuovo turno inizia alla mattina.”

Kellan aggrottò la fronte. “Nuovo turno?”

“Il Sig. Zarek pensa che qualcuno con le tue abilità dovrebbe far parte della sua sicurezza invece di lavorare qui fuori al caldo. Tra qualche giorno visiterà il quartier generale della Compagnia Sterling… e tu andrai con lui.”

“A Prosperità?” chiese Kellan, con il cuore palpitante.

La sovrintendente lo guardò severamente. “Questa non è una gita, ragazzino. Dovrai proteggere il capo.”

Kellan annuì velocemente. “Ho capito” disse lui, nonostante la speranza gli stesse crescendo in petto come un pallone sempre più gonfio.

Lei si voltò seccamente verso l’ascensore. “Meglio che ti dia una mossa. Voglio questa confusione ripulita prima che arrivino quelli del turno di notte.”

L’emozione di Kellan era impossibile da contenere. Prosperità era di gran lunga la città più ricca di Crocevia Tonante… e i luoghi pieni di soldi solitamente erano la culla delle dicerie. Le probabilità che almeno qualcuno in città avesse delle informazioni su Oko erano piuttosto alte. Soprattutto se Ral avesse voluto aiutare a chiedere in giro.

Ral Zarek era una persona importante a Porto dei Presagi. Forse era importante anche a Prosperità. I Planeswalker, secondo l’esperienza di Kellan, tendevano ad essere piuttosto importanti ovunque andassero.

C’erano così tante domande che Kellan voleva fare a suo padre… riguardo il suo retaggio fatato, i suoi poteri e se mai Oko si fosse sentito attirato in due direzioni contemporaneamente come lui. Si erano persi così tanti anni insieme. Così tanti ricordi che avrebbero dovuto condividere, senza poterlo fare. Kellan sapeva che esisteva la possibilità che suo padre non provasse la stessa cosa. Magari l’avrebbe rifiutato, o non avrebbe proprio accettato di vederlo. Aveva sentito le storie secondo cui Oko fosse un noto ingannatore con una reputazione da disonesto.

Ma Kellan non era qualcuno che credeva alle dicerie, e preferiva fidarsi del potenziale delle persone invece di evitarle per colpa dei loro errori passati. E poi, lui era figlio di Oko, e quello significava qualcosa.

Doveva significare qualcosa.

Kellan era pronto ad incontrare suo padre.

E Ral Zarek avrebbe aiutato a renderlo possibile.

Racconto successivo: Episode 2: The Jailbreak

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