Episode 10: Roots of Decay è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Seanan McGuire e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 18 gennaio 2024. Racconta parte della storia di Kaya Cassir e Alquist Proft dopo la fine dell'Invasione di Nuova Phyrexia.
Racconto precedente: Episode 9: Beauty in Destruction

Storia[]
Il viticcio attorno alla caviglia di Kaya si strinse abbastanza da sembrare che stesse raschiando contro l’osso. Non che il dolore fosse un problema; lei era un’assassina ed era stata chiamata a servire come guerriera più volte di quanto non volesse ammettere. Il dolore era un vecchio amico ormai. Il dolore significava che non era ancora morta e, mentre il viticcio la scagliava verso ciò che sicuramente sarebbe stato un impatto devastante contro il terreno, lei sapeva senza dubbio che non era ancora pronta ad esserlo. La morte arrivava per tutti, persino per i Planeswalker, e caspita se sapeva che era così, ma non aveva mai assistito ad alcun segno riguardo il fatto che i morti potessero viaggiare tra i piani. Quando sarebbe morta, sarebbe dovuta rimanere ovunque fosse caduta.
Era un pensiero devastante, che stava emergendo velocemente mentre veniva trascinata in aria. I fantasmi dei Planeswalker infestavano i piani dove morivano, incapaci di tornare a casa, ovunque essa fosse? O attraversavano la Cieca Eternità un’ultima volta? Un magnanimo passaggio finale nel luogo dove il loro cuore potesse trovare la pace?
E magari le grandi domande di cosmologia potevano aspettare per quando non stava per essere spiattellata sul suolo di Ravnica. Perché di una cosa poteva essere sicura: lei non voleva morire su Ravnica. Si rifiutava di essere solo un altro fantasma degli Orzhov, un ulteriore ingranaggio eterno in un meccanismo che non poteva mai permettersi di smettere di girare, indipendentemente da quante persone ne venissero stritolate.
Provò di nuovo a diventare incorporea per liberarsi dal viticcio, e di nuovo percepì l’Anima del Mondo di Ravnica che la respingeva, rifiutandosi di lasciarla andare. Ma lei non aveva a disposizione solo la propria magia. Se Oba voleva brandire Mat'Selesnya come un’arma, non c’era motivo per Kaya di non rispondere a tono. Si concentrò profondamente su sé stessa, oltre la paura di ciò che stava per accadere, oltre il lutto di ciò che era già accaduto, persino oltre le sue connessioni alle terre dei morti, necromantiche pur senza essere parte dei classici trucchetti da necromante. Cercò di raggiungere la profondità, cercando in tutti i modi di rimanere calma sapendo che da lì a pochi secondi il viticcio agitato avrebbe potuto far terminare il suo viaggio in aria e schiantarla a terra abbastanza forte da romperle ogni osso del corpo, fragile in confronto.
Più a fondo, finché non raggiunse il luogo in cui bruciava la propria scintilla, quel piccolo frammento del Multiverso che la legava alla Cieca Eternità e che la rendeva ciò che era, preziosissima, dal momento in cui l’aveva sentita prendere fuoco nel nucleo di tutto ciò che era, cambiando per sempre il modo in cui avrebbe compreso la realtà. E ora ancora più preziosa, visto quant’era diventata rara. I Planeswalker erano sempre stati una rarità, ma non riusciva ad immaginare un altro periodo in cui i loro numeri erano precipitati così velocemente e brutalmente.
La Cieca Eternità avrebbe portato le cicatrici di Phyrexia per sempre, e così avrebbe fatto anche lei.
Stringendo delle dita mentali attorno alla propria scintilla, Kaya richiamò la Cieca Eternità, chiedendole non una via d’uscita, ma una via di fuga; chiedendole un supporto per respingere l’anima vivente di un intero piano.
Quasi non percepì il proprio corpo diventare abbastanza intangibile da scivolare attraverso il viticcio. Oba gridò furiosa ed incredula quando Kaya, ancora semi-solida, atterrò delicatamente sul pavimento di Vitu-Ghazi, brillando del leggero viola della propria magia… ma era anche prismatico, lucente come i cieli sopra Kaldheim, mentre lei manteneva la connessione alla Cieca Eternità che normalmente l’avrebbe risucchiata via verso qualche altro luogo o piano, verso qualche altra problematica.
Estraendo i pugnali ancora una volta, Kaya provò a farli roteare, studiando il modo in cui pesavano sui propri polsi, essendo intangibili come tutto il resto del suo corpo ma abbastanza solidi da percepirne la presenza e il peso tra le mani. Sapeva che era un’illusione, un’altra cosa che condivideva con i morti: anche loro percepivano come reali gli oggetti che tenevano in mano, e a volte risultavano confusi quando i vivi non erano dello stesso avviso.
Ma era quella la grande differenza tra Kaya Viaggiatrice da Luoghi Lontani e i morti effettivi. Quando lei colpiva i vivi, loro sentivano il colpo.
Vitu-Ghazi era ancora più immerso nel caos, dopo il tragitto su e giù dal cielo che aveva fatto lei. Krenko non si vedeva più, ormai solo un cumulo di radici e rami che stava per essere assorbito nella parete. I capigilda erano stati avvinghiati e sottomessi. Persino Ral, con il corpo che si scuoteva e vibrava con le ondate di elettricità che lo attraversavano, apparentemente fuori controllo. Proft era ancora inginocchiato vicino ad Etrata, ora bloccato al terreno da costrizioni di radici, incapace di distogliere lo sguardo dall’assassina caduta. Qualcuno doveva porre fine a tutto quello.
Kaya doveva porre fine a tutto quello.
Fece roteare ancora una volta i pugnali e iniziò a correre sul pavimento dissestato verso Oba, diventando eterea senza fatica per oltrepassare gli ostacoli sul suo cammino, compreso il corpo immobile di Tolsimir.
Oba fece uno scatto, voltandosi, per guardare Kaya negli occhi, ringhiando. “Perché non vuoi morire?” chiese Oba.
“In molti mi hanno fatto questa domanda” disse Kaya, rendendo solido uno dei pugnali abbastanza a lungo da tranciare un ramo che la stava per colpire. “Alcuni erano molto più spaventosi di te. Una signora driade infuriata? Non sei minimamente allo stesso livello di certe cose che ho affrontato.”
Lei tremò in maniera teatrale, continuando l’inesorabile marcia in avanti. Oba le lanciò altri rami. Lei tagliuzzò anche quelli.
Qualcosa si avvolse attorno al suo polso, strattonandola fino a fermarla. Kaya abbassò lo sguardo e fu quasi colpita nel vedere un ramo fantasma che la teneva ferma.
“Furba” disse lei, non riuscendo a nascondere dell’approvazione nel proprio tono di voce. L’Anima del Mondo di Ravnica deve comprendere ogni cosa su Ravnica, ogni aspetto del piano, e ciò includeva i morti. Un ramo tagliato normalmente non manifesterebbe il proprio fantasma, ma era potenzialmente possibile. Aveva già visto degli alberi fantasma su altri piani, e non tutti erano stati tanto efficienti o riveriti quanto l’Albero del Mondo di Kaldheim o l’Albero dell’Invasione di Phyrexia. Infestavano le foreste dove cadevano, rendendo noti i loro lenti desideri da vegetali.
Quell’albero, un tempo parte di Vitu-Ghazi e controllato da Oba in preda ad una furia iraconda, non era affatto lento, e se avesse avuto un qualche desiderio, era solo quello di fermare l’avanzata di lei. Era anche spettrale, della stessa sostanza di un qualsiasi fantasma.
Kaito ti direbbe che il luogo migliore per camminare in mezzo a una tempesta è tra una goccia di pioggia e l’altra; devi solo muoverti più velocemente di quanto cadano, pensò mentre tornava nuovamente corporea, libera immediatamente dal fantasma avvinghiante. Diversi altri rami tangibili scattarono per afferrarla. Lei tranciò i primi due con i suoi pugnali prima di diventare eterea e farsi attraversare dal terzo, muovendosi nello spazio dove le gocce di pioggia… o le armi potenzialmente letali… non erano presenti. Se l’afferravano, lei sfuggiva. Era come una danza, una veloce danza potenzialmente mortale, intorno ai corpi dei suoi amici, dei caduti e di coloro che erano entrambe le cose.
Una serie di radici perforò ciò che era rimasto del pavimento e si avvolse attorno alle sue caviglie. Quando lei cercò di attraversarle, ancora una volta si scontrò contro la resistenza dell’Anima del Mondo di Ravnica, che si rifiutava di farla diventare eterea, che si rifiutava di lasciarla andare. E addio a camminare tra una goccia di pioggia e l’altra, pensò lei.

Bè, Kaito non era l’unica persona dalla quale aveva avuto l’opportunità di imparare qualcosa. Koth era di sicuro l’incarnazione della lezione di sfruttare il proprio ambiente circostante, di comprendere e occuparsi del mondo che ti aveva accudito senza preoccuparsi di quanto diventasse difficile. Lei era una figlia di Tolvada, non di Ravnica, ma era stata lì abbastanza spesso e abbastanza a lungo che c’erano poche probabilità che il piano non sapesse chi lei fosse. Ravnica la capiva, forse meglio del proprio mondo natale, e anche se non voleva infestare quel piano quando sarebbe morta, dovette ammettere che sarebbe stato piuttosto facile.
Se lei stava interagendo con l’Anima del Mondo di Ravnica, anche se sotto il controllo di Oba in quel modo, il piano ne era consapevole. Il piano sapeva ciò che stava accadendo. Forse avrebbe potuto sfruttare quella situazione.
L’amore di Tyvar per il mondo naturale e la maniera in cui era riuscito a trasformarlo in un suo punto di forza le comparve per un istante nella mente, proprio mentre un altro ramo tentò di afferrarla e lei lo attraversò, incorporea, con la propria scintilla che emanò un impulso leggermente più luminoso, come per evidenziare quel momento. E Nahiri, che aveva parlato alle pietre attorno a lei… e sembrò che le pietre le rispondessero, vero? Come se in qualche modo potessero comprendere…
“Ehi” disse lei, con voce abbastanza alta da far accigliare Oba, chiaramente confusa. “Non so se puoi capirmi, ma faccio un azzardo, perché noi siamo ciò che tu ci hai reso, e tu sei ciò che noi ti abbiamo reso. Dei e mostri, eroi e malvagi, e una città che ci contiene e protegge tutti. Non hai scelto di chi ti saresti presa cura. Non ti sei schierata. Bè, lei vuole che tu ora ti schieri. E io dico che una Ravnica che si schiera da una parte piuttosto che dall’altra non è più Ravnica. Lei vuole trasformarti in qualcosa che non sei.” Si fermò per lanciare uno sguardo velenoso verso Oba. “Proprio come hanno fatto i Phyrexiani.”
Oba indietreggiò, e sembrò che per un attimo stesse comprendendo la gravità di ciò che aveva fatto. Kaya fu quasi dispiaciuta. Era più facile combattere i mostri quando sapevi che non potevano più essere aiutati. Ma quel volto di Trostani era responsabile per la morte di Teysa, e quindi non pensava che un singolo sguardo scioccato l’avrebbe rallentata una volta finalmente libera.
Riguardando in basso, verso le radici che l’avevano trattenuta, Kaya aggiunse un disperato “Ravnica. Ti prego.”
Quella volta, quando provò a diventare eterea, le radici la attraversarono senza fatica. Kaya scattò lungo il resto della stanza verso Oba, saltando sulle radici, diventando incorporea attraverso i rami e diventando nuovamente solida quando i fantasmi dei rami volevano colpirla, attraversandola senza effetto. Oba ora aveva una stretta più solida sull’Anima del Mondo; Kaya non sarebbe riuscita ad aggirare a parole la furia della driade una seconda volta. Il ritmo di Kaya doveva essere preciso, esatto quanto i libri contabili che compilava Teysa. Ogni passo doveva pareggiare il bilancio aperto dal passo precedente.
Il pensiero di Teysa si rivelò essere proprio ciò di cui Kaya aveva bisogno per concentrarsi. Lei aveva un debito verso gli Orzhov. Teysa ne aveva condonata una parte subentrando come guida della gilda, e a cosa l’aveva portata? Assassinata da una Trostani sconvolta dal lutto che non riusciva a distinguere gli amici dai nemici all’indomani dell’invasione. Morta e immobile a terra, con un probabile ritorno imminente… gli Orzhov potenti di solito lo facevano… ma senza mai essere la stessa persona di prima. Mai più viva. La sua morte era una spesa sul libro contabile che Kaya non sarebbe mai riuscita a compensare, né a cancellare, e saperlo la aiutava a muoversi intorno, attraverso e in mezzo agli ostacoli che Oba le scagliava lungo la strada.
E poi Kaya attraversò un grosso ramo caduto spesso quasi quanto la propria coscia, ormai faccia a faccia con Oba per la prima volta da quando era iniziato quel caos. Lei sbatté le palpebre e, per un attimo, pensò di aver visto Teysa, sul lato, che le faceva cenno di farla finita. La sua attenzione tornò istantaneamente su Oba, che stava ringhiando in procinto di sputare una qualche maledizione o insulto rivolto a Kaya, ma tutto ciò che Kaya riusciva a provare erano tristezza e stanchezza.
Il suo piede colpì qualcosa mentre si posizionava; lei abbassò lo sguardo per vedere una capsula della barriera protettiva dell’Agenzia sul terreno. Abbassandosi per evitare un altro ramo in rapido movimento, lei la afferrò, sperando che la sua gemella fosse vicina. Le barriere protettive non erano pensate per essere usate in fase di arresto: servivano a delimitare le scene del crimine che erano state reclamate dall’autorità dell’Agenzia.
Vitu-Ghazi era una scena del crimine. E Trostani aveva riconosciuto l’autorità dell’Agenzia quando permise loro di tenere in quel luogo il loro incontro. Kaya si alzò, tenendo l’ancoraggio in mano.
“No” disse lei, e spinse il pulsante per innescare la barriera. Scaturirono delle cascate di luce magica che cercarono di avvolgersi attorno alla figura di Oba. Di nuovo, Kaya pensò di aver visto Teysa con la coda dell’occhio che afferrava i nastri e li guidava verso Oba, ma lei non poteva guardare, non poteva sperare in nessun modo, non poteva permettersi di vedere…
Oba strillò, dimenandosi contro le barriere. Si sarebbe liberata. Era inevitabile. Le barriere protettive dovevano essere innescate da due capi allo stesso momento, permettendo loro di sigillare una scena senza lasciare nulla di esposto. Non poteva farlo da sola, e lei non aveva nessun altro: erano tutti bloccati a terra, tutti legati. Avrebbe perso. Di nuovo.
Etrata aprì gli occhi.
L’assassina Dimir, che era rimasta coricata immobile da quando venne infilzata e non era stata avvolta da alcuna radice che bloccava i suoi alleati, si mise in ginocchio, con del sangue che gocciolava dalla ferita nel suo petto, e afferrò il secondo ancoraggio della barriera protettiva dove giaceva abbandonato sul pavimento. Lei premette il pulsante mentre si alzava faticosamente in piedi, e partirono altri nastri che si avvilupparono attorno ad Oba, bloccandola sul posto mentre lei sfogava la sua rabbia urlando all’aria. Insieme, Etrata e Kaya strinsero i nastri sempre di più… finché non sfuggirono dalle mani di Kaya.
Ansiosa di non perdere il vantaggio che avevano guadagnato, Kaya afferrò la prima cosa che riuscì a trovare, chiudendo le proprie mani attorno ad uno dei rami fantasma di Oba. Iniettò al suo interno una scarica di energia necromantica e lo sentì piegarsi alla propria volontà, diventando suo e non più di Oba. Sventolando in giro il nuovo ramo flessibile, lo puntò all’ammasso di nastri, usandolo per afferrare e bloccare la driade agitata.
Le catene erano ancora molto tese, come se due persone le stessero tenendo. Ancora una volta, Kaya si rifiutò di guardare. Se fosse stata veramente Teysa, si sarebbe distratta, e non poteva proprio permetterselo in quel momento. Ravnica non poteva permetterselo. E se non fosse stata lei, la delusione sarebbe stata anche peggio.
Tirarono finché i movimenti di Oba non cessarono, finché non fu avvinghiata nella barriera protettiva e nel fantasma che Kaya aveva rubato da Vitu-Ghazi, prigioniera come una mosca al centro della tela di un ragno.

La stanza smise di muoversi.
“È finita?” chiese Yarus.
“Non ancora” disse Etrata. “Ma guardate…”
Le altre due teste di Trostani iniziarono a muoversi. Si raddrizzarono, poi raggiunsero la loro sorella bloccata. Ciascuna di loro mise una mano sulla sua tempia, e lei si accasciò.
Allo stesso momento, qualcosa collassò dentro Kaya. Avrebbe potuto uccidere Oba durante il combattimento. Ora, con la driade catturata e svenuta, sarebbe assomigliata troppo ad un’esecuzione. Non poteva farlo. Non aveva importanza quanto lo desiderasse, ma non poteva.
Sembrò che l’ultimo granello di forza di Etrata fosse svanito non appena Oba smise di divincolarsi. In quel momento lei collassò a faccia in giù sul pavimento, senza più muoversi. Kaya si alzò in piedi, concedendosi finalmente di guardare dall’altro lato della barriera protettiva. Non c’era nessuno, ovviamente. Sarebbe stato chiedere troppo. Le sue spalle si abbassarono mentre si guardava intorno, nella stanza piena di strutture in legno ricoperte di radici e capigilda intrappolati. “È stato un bell’incontro, grazie a tutti” disse lei, stancamente. “Non dovremmo rifarlo mai, mai più fintanto che rimaniamo in vita. Può andarvi bene?”
Nella sua gabbia di radici, Ral iniziò a ridere e, dopo un attimo, Kaya fece lo stesso. Ridevano non perché fossero divertiti, ma perché erano vivi, e a volte il sollievo poteva assomigliare veramente tanto alla gioia se si guardava nella giusta luce.
Tutto dipendeva dal punto di vista.

Lavinia aspettò che i due Planeswalker smettessero di ridere prima di schiarirsi la gola e dire: “Se avete finito, a noialtri piacerebbe essere liberati.”
“Già, credo che ora ci sia bisogno di una ripulita” disse Kaya, prima di muoversi verso Proft per liberarlo dal pavimento, offrendogli la propria mano per aiutarlo a rialzarsi. Lui annuì e fece due passi prima di inginocchiarsi e raccogliere Etrata, che si trovava a terra, tra le sue braccia.
“Stavi fingendo di essere morta per tutto il tempo?” chiese lui.
Etrata aprì un occhio. “Sei tu il grande detective. Dimmelo tu” disse lei. La sua voce, seppur stanca e debole, era perfettamente chiara.
Proft sbatté le palpebre diverse volte prima di sollevare la testa verso il soffitto ormai lontano. “Che cosa devo fare con te?”
“Non lo sapevi?” chiese Etrata. “La Casata Dimir è andata, il nostro capogilda è morto. I nostri assassini disseminati in giro sono come cani randagi. Se ti porti uno di noi a casa, poi devi tenerlo.”
Proft la guardò all’improvviso.
“E poi hai bisogno di un’assistente, o ti farai assassinare in men che non si dica. Sono piuttosto sicura che metà di questa stanza mi pagherebbe per farlo.” Etrata sembrò pensarci sopra. “Forse potrei convincerli a fare un’asta tra loro.”
“Non oseresti.”
“Suppongo sia vero.” L’espressione di lei si addolcì. “Un’assistente ha bisogno di un detective da proteggere. Ora siamo un ecosistema, tu ed io.”
“Non posso pagarti.”
“Sarà un secondo lavoro.”
“E dobbiamo parlare della tua testarda insistenza ad affermare che Lazav sia morto. Sappiamo entrambi che non è così.”
“Una ragazza ha i suoi segreti.”
Kaya rise di nuovo. Non era così divertente, ma era un sollievo essere vivi per ridere, stare in piedi dentro una stanza in rovina piena di persone che non avevano paura l’una dell’altra, sapere che la morte di Teysa sarebbe stata vendicata. Quella di Teysa e di molti altri, alcuni dei quali sarebbero potuti rimanere sconosciuti, ma Oba aveva avuto ragione su una cosa: si piangono di più le persone che si conoscono rispetto agli estranei. Era così che funzionava il cuore. Era così che doveva funzionare il cuore, altrimenti non ci sarebbe stato altro che un costante lutto, in qualsiasi parte del Multiverso. Era meglio così. Egoista e piccolo, certo, quando confrontato con la vastità di qualcosa come la Cieca Eternità, o anche Vitu-Ghazi, ma a volte piccolo era sinonimo di sicurezza, perché piccolo era qualcosa che poteva essere compreso. Piccolo era qualcosa che poteva essere tenuto.
Kaya voleva tenere le cose com’erano per un po’.
Vagò per la stanza a liberare tutti quanti, ad aiutare Aurelia a togliersi gli stretti rami dalle sue ali senza rompere ulteriori piume, a cercare di evitare di tagliare Krenko per sbaglio, che stava imprecando ed era agitato nel suo bozzolo di radici, apparentemente non del tutto conscio del fatto che la battaglia fosse terminata.
Vitu-Ghazi non si muoveva più; Kaya non era neppure sicura che il grande albero fosse vivo. Non erano fuggiti da quella battaglia incolumi, nonostante la maggior parte di loro sarebbe riuscita, sorprendentemente, ad andarsene sulle proprie gambe.
Ral infilò le dita in uno strappo sull’orlo della sua giacca. “Tomik mi ucciderà” disse lui. “Mi aveva fatto promettere di non farmi coinvolgere in combattimenti potenzialmente mortali con persone che davo per scontato fossero miei alleati a meno che anche lui non fosse presente, visto che a quanto pare la presenza del mio consorte dovrebbe impedirmi di agire in modo ‘irrazionalmente incauto’, come dice lui.”
“Se mi chiede qualcosa, ti prometto che gli dirò che non sei stato tu a far partire il combattimento, e che hai passato la maggior parte del tempo letteralmente radicato al pavimento, senza prendere rischi non necessari” disse Kaya.
“Davvero?”
“Voglio dire, è vero. Ed è ovvio che saresti stato incauto se avessi potuto. Vuoi che gli dica questo?”
“Preferirei di no.”
Kaya sorrise. “Allora rimango sulla mia prima versione.”
Non appena furono tutti liberi, Proft aiutò a condurre una barcollante Etrata fuori dalla stanza, accettando di buon grado le frecciatine di lei, mentre gli altri se ne andarono in autonomia… tutti tranne Krenko, che si ritrovò trascinato da una furiosa Aurelia, determinata ad arrestare qualcuno dopo tutto il caos di quella giornata. Kaya tra sé e sé sospettò che Aurelia avrebbe scoperto che la legge non avrebbe considerato le farneticazioni di una driade una prova sufficiente per colpevolizzare qualcuno, ma quello era un problema che si sarebbe presentato più tardi.
C’erano così tanti problemi che si sarebbero presentati più tardi.
Mentre gli altri se ne andavano, Kaya si avvicinò a Trostani. Ses e Cim stavano piangendo. Oba era accasciata e ciondolante dalla sua rete di barriere protettive, senza alcun segno per capire se fosse ancora viva.
Fermandosi ad una distanza rispettosa, Kaya chinò la testa e aspettò. Assassina per un terzo o meno, era Trostani a guidare i Selesnya fino a prova contraria.
Infine, con voce tenue, Ses chiese “Di cos’hai bisogno da noi?”
“Mi scuso per l’intrusione” disse Kaya, alzando lo sguardo. “Ma ho bisogno di saperlo. Oba…” Lasciò la frase a metà, incerta su come porre effettivamente la domanda.
Cim sospirò. “Il Patto delle Gilde non dispone di una misura per la nostra situazione. Oba rimane un terzo di noi; non abbiamo modo di separarla. Né lo faremmo, anche se potessimo. È pur sempre nostra sorella.” Lei fece una pausa, come se si fosse resa conto quanto quella frase sembrasse indelicata. “Mi dispiace per ciò che hai perduto.”
“Anche a me dispiace” disse Kaya. Poi si fermò, mordendosi la lingua. Qualsiasi altra cosa avrebbe potuto dire sarebbe stata superficiale.
“Quando un ramo è marcio, deve essere rimosso per la salute di tutto l’albero” disse Cim. “Lasciato dov’è, il marcio si espanderà, e l’albero morirà. Piangeremo nostra sorella, che è morta durante l’invasione. Ciò che è rimasto non è ciò che era.”
Ses produsse un suono trascinato e singhiozzante, coprendosi il volto con le mani.
“Preferiremmo rimanere sole nel nostro lutto” disse Cim. “Dobbiamo immergerci in profondità nei nostri pensieri e cercare di ripristinare la nostra connessione con Mat’Selesnya, per vedere se ha ancora il desiderio di farci rimanere come siamo, di parlare per lei, dopo ciò che ha fatto nostra sorella. Forse anche noi andremo incontro alla nostra fine. Emmara Tandris parlerà per conto del Conclave mentre noi siamo in comunione, e forse anche dopo il nostro ritorno, in base alla volontà di Mat’Selesnya. L’abbiamo convocata. C’è la possibilità che non ci vedremo un’altra volta.”
Ses abbassò le mani. “Ogni cosa ha fine. Gli alberi mettono radici, crescono, allargano le foglie verso il sole, vivono per un certo periodo di tempo, e quando quel tempo giunge al termine, muoiono. Se Mat’Selesnya decreterà che il nostro tempo è giunto al termine, noi ce ne andremo.”
“Ravnica ci giudicherà per ciò che ha fatto nostra sorella” disse Cim. “Ora puoi andare.”
Sentendosi più esausta di quanto avesse pensato possibile, Kaya si guardò intorno. Si trovava da sola con Trostani e Tolsimir, caduto. Aveva dato per scontato che i Selesnya avessero altri servitori, o magari i membri rimasti dei “più fedeli” di Tolsimir, che sarebbero arrivati a ripulire tutto quel danno. Se non loro, allora Emmara avrebbe organizzato tutto al suo arrivo. Eppure, lei esitò.
“Il Patto delle Gilde…”
“Sarà disponibile a chiunque ne abbia bisogno” disse Ses, con sorprendente chiarezza. “Vitu�Ghazi non è caduto. Selesnya resiste, nonostante tutto ciò che è accaduto. Faremo il nostro dovere, come ci è richiesto. Se c’è motivo di consultare il Patto delle Gilde originale, sarà qui in attesa di coloro che lo cercano.”
Quella era la cosa migliore a cui poteva sperare, date le circostanze. Kaya annuì e si congedò, appoggiando le porte rotte per farle sembrare chiuse il più possibile, dietro di lei.
Nessuno l’aveva aspettata. Non poteva decisamente biasimarli.
Facendosi strada fuori dal maniero, si rese conto trasalendo che non aveva visto alcun segno di Kellan da quando Oba lo aveva lanciato via dal tetto. Affrettò il passo, sperando di non uscire e trovare il suo partner spiaccicato sulle pietre del cortile.
Ezrim sarebbe venuto a dirmelo se uno dei suoi agenti fosse morto, pensò lei, agitata per qualche motivo. Quel pensiero non fermò la vocina nella sua testa che stava cercando di ricordarle quanto spesso i suoi amici si fossero fatti del male, di quante volte lei se n’era andata via mentre loro no.
Chiunque fosse stato l’ultimo ad andarsene, aveva trovato il tempo di chiudere le porte. Kaya poteva rispettarlo. Ciò che non poteva fare era rallentare ora che si ricordava ciò di cui doveva essere preoccupata. Attraversò la porta, quasi scontrandosi dritta contro Kellan.
Lui sbatté le palpebre verso di lei. Lei fece altrettanto. Lui si ricompose prima.
“Ezrim mi ha detto di rimanere fuori mentre parlavi con Trostani, ma di non andare da nessuna parte finché tu non avessi saputo che sto bene” disse Kellan. “Sto bene. Tu stai bene?”
“Avrei preferito ti avesse detto di entrare, ma sono contenta che ti abbia chiesto di aspettare” disse Kaya. “No, non credo di stare bene. Non penso proprio di stare bene.”
Poi, per la prima volta da quando aveva trovato Teysa morta nel suo ufficio, Kaya si concesse di fare una cosa impensabile. Di fronte ad un Kellan molto confuso, si concesse di piangere.

Tre giorni dopo, Kaya era seduta su una panca della Cattedrale Karlov, fissandosi le mani mentre i portatori Orzhov selezionati per l’onore di portare Teysa all’altare trasportavano i suoi resti davanti a tutti.
Ci fu un vuoto tonfo quando appoggiarono la bara. L’organista suonò la tradizionale marcia che accompagnava l’entrata di un onorevole morto Orzhov. Ed una caustica voce irritata di fianco a Kaya disse: “Com’è che si chiama questa canzone, alla fine?”
“Penso si chiami il ‘Valzer degli Immortali’” disse Kaya, che in quel momento non osava alzare la testa.
“Buffo.” Teysa trattenne una risata. “Ho sempre pensato si chiamasse ‘Puoi Portarlo Con Te’.”
Kaya infine si decise a guardare.
Teysa era di fianco a lei, e solo la debole trasparenza della sua forma tradiva il fatto che il suo corpo fosse sull’altare mentre il suo fantasma si trovava lì con Kaya. La ferita che l’aveva uccisa era sparita. A differenza di alcuni fantasmi, non era chiaramente negli interessi di Teysa definire il suo aldilà tramite le modalità della propria morte. Il suo bastone era appoggiato contro la sua gamba. Era stata un’estensione del suo corpo da quando Kaya l’aveva conosciuta: aveva perfettamente senso che l’avesse tenuto con lei anche in quello stato.
“Apprezzo che tu abbia impedito alla gilda di cadere a pezzi mentre mi preparavo” disse Teysa. “E anche che tu abbia aiutato ad identificare ed eliminare il mio assassino. È stato gentile da parte tua.”
“Avevo un debito nei tuoi confronti, per averti permesso di morire” disse Kaya.
“Consideralo completamente ripagato, se davvero esisteva” disse Teysa. “Onestamente, è meglio così. Basta fame, basta distraenti bisogni corporei, soltanto io, i libri contabili e le risorse della gilda, come deve essere. Perché un'inezia come la morte dovrebbe impedirmi di guidare il Sindacato? Rimarrò qui per molto, molto tempo.”

“Eri tu nella battaglia a Vitu-Ghazi?”
“Certo che ero io. Ti guarderò sempre le spalle quando sei a Ravnica.”
“Perché non…?”
“Avevi un lavoro da fare. Sarei stata soltanto una distrazione. Davvero, Kaya, devi imparare a fare le cose nell’ordine giusto.”
Kaya emise un suono che sarebbe potuto essere sia una leggera risata che un singhiozzo. Nell’oscurità della cattedrale, poteva passare facilmente per entrambi. Teysa aggrottò la fronte, lanciandole un’occhiata.
“Stai bene?”
“Mi dispiace non essere riuscita a uccidere Oba per te.”
Nel tempo successivo alla battaglia, Trostani si era fatta da parte, come promesso, e si ritirò in un profondo stato meditativo. Lavinia aveva studiato ogni giorno il Patto delle Gilde, cercando di trovare un modo per arrestare Oba quando la driade si sarebbe infine risvegliata. Fino a quel momento, non era riuscita a trovare niente di sostanzioso.
“Non dispiacerti” disse Teysa, indurendo la propria voce. “Lavinia non troverà una giustificazione per arrestarla. Ci sono troppi cavilli che può sfruttare. Io, d’altro canto, non intendo usare nulla di così trasparente come la legge. I Selesnya indubbiamente argomenteranno che può essere purificata e riformata. Io ho intenzione di controbattere, tramite una serie di statuti contabili e finanziari così arcaici che Azor in persona non riuscirebbe a comprenderli, che il prezzo dell’assassinio di un capogilda Orzhov è ogni cosa che pensavi di possedere. La vogliono viva? Bè, la sua morte sarebbe stata molto meno costosa.”
“Oh” disse Kaya.
“Dovrai andartene, ovviamente. Non voglio che si arrivi a tanto, ma se avrò intenzione di rovinare definitivamente i Selesnya per non aver risposto del tradimento di Oba prestando a qualcuno la scure del boia, è meglio che io non abbia chi mi ha preceduta, la nota assassina, che se la spassa in giro bella in salute e confondendo la situazione su chi sia al comando.” Teysa guardò Kaya con aspettativa. “Lo capisci, vero?”
“In realtà non vorrei farlo, ma sì, lo capisco” disse Kaya. “Avevo comunque intenzione di andarmene. Non voglio diventare il tipo di persona che uccide qualcuno che non può difendersi. Ma dopo ciò che ha fatto, se rimanessi qui… potrei farlo.”
“Bene. Allora è deciso” disse Teysa, e sembrava così perfettamente sé stessa che Kaya iniziò a ridere, non riuscendo a trattenersi.
“Pensavo di averti persa” disse Kaya, inclinandosi verso lei e rendendosi mezza incorporea, uscendo dal mondo dei vivi mentre allungava il braccio quasi tremante e abbracciava la sua amica.
Dopo un attimo, Teysa sorrise e ricambiò l’abbraccio.

Quattro giorni dopo, con il corpo di Teysa che giaceva immobile ed il suo spirito che riuniva la nuova iterazione del concilio fantasma degli Orzhov, Kaya tornò nell’atmosfera di caos silenziosamente efficiente che regnava all’Agenzia. Degli agenti che chiacchieravano erano appoggiati alla scrivania dell’accoglienza con delle tazze di caffè. Altri agenti si muovevano per la sala, quasi non tenendo conto degli altri.
E tennero ancora meno conto di Kaya mentre si faceva strada tra di loro, diretta alla scrivania di Kellan. Fortunatamente lui era presente, e stava inserendo delle annotazioni sul suo ultimo caso, finché lei non entrò e bussò contro l’angolo della sua scrivania.
Kellan alzò lo sguardo, facendo comparire un largo sorriso. “Kaya!”
“Me ne vado in mattinata” disse lei, solo leggermente incredula riguardo alla fitta che le stava crescendo in petto. Gli sarebbe mancato quel talentuoso, acerbo ed impaziente partner. Era bello pensare che ci sarebbero state ancora delle persone… persone viventi… su Ravnica di cui avrebbe sentito la mancanza quando se ne sarebbe andata. “Avevo promesso ad un amico che l’avrei aiutato a cacciare una cosa che lui chiama ‘orso crudele’ una volta finite le mie faccende qui. È un bravo ragazzo. Molto entusiasta. Penso ti piacerebbe.” Fortunatamente, probabilmente non si sarebbero mai incontrati. Il solo pensiero di Kellan e Tyvar che volevano dimostrare di essere più eroici dell’altro sul campo di battaglia era stancante.
“Grazie per avermi avvisato” disse Kellan.
“Volevo solo salutare prima di partire. Ancora nessun segno di Judith?”
“Nessuno.” Kellan scosse la testa. “Nessuno ha trovato un corpo, né l’ha vista, e nessuno ha rivendicato l’uccisione. Sembra che gli altri Rakdos ora stiano tenendo un basso profilo, e anche se non sono più in procinto di una guerra con i Boros, probabilmente è meglio così. Le piume di Aurelia stanno bene e sono veramente tanto arruffate.”
“Ora come ora, non vorrei affatto infrangere la legge” concordò Kaya. “Proft sta ancora passando tutto il suo tempo insieme alla nostra ex fuggitiva?”
“Ha ufficialmente assunto Etrata come sua assistente” disse Kellan. “Quindi la vedremo in giro per un bel po’.”
Kaya sbatté le palpebre. “Parlava sul serio?”
“Già. Le cose qui saranno interessanti, anche senza di te” disse Kellan. Poi lui sogghignò. “Sono molto contento.”
Kaya ricambiò il sogghigno. “Per quanto possa sembrare strano, anch’io.”

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- Articolo tradotto da MTG Traduzioni ITA: Delitti al Maniero Karlov