Epilogue 1: Bring the End, Part 1 è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Alison Lührs pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 1 aprile 2024. Racconta parte della storia di Jace Beleren durante l'Invasione di Nuova Phyrexia.
Racconto precedente: Episode 6: The Ballad of Thieves and Thunderslingers

Storia[]
Un anno prima. L’Albero dell’Invasione.
L’unica cosa che rimane alla fine del viaggio è la catastrofe; Jace stringe tra le mani il sylex, Phyrexia riuscirà nella sua invasione e l’unica cosa rimasta da fare è provare disperatamente a spiegare ai suoi amici perché l’annientamento totale sia l’unica strada per la pace.
Stanno cercando di convincerlo a non farlo, ma loro riescono a vedere solo ciò che sembra giusto e non ciò che è reale. Non stanno ascoltando. Il cuore di Jace è colmo di dolore per i miliardi e miliardi di persone che sopravvivranno per soffrire ed assistere al proprio annientamento, e lui desidera che quell’unica persona con la bussola morale salda come la pietra sia lì per sostenere la sua tesi: il Multiverso non può persistere se Phyrexia sopravvive. Dobbiamo farlo ricominciare da capo.
Anche se vincessimo, migliaia di piani moriranno. Se perdiamo, la stessa esistenza è condannata. È il nostro debito verso i piani e le generazioni future donare loro un Multiverso purificato da Phyrexia.
Devono agire. Jace sa di essere una bomba. È l’equivalente di sedici tonnellate di pirite, di un campo di coltelli rivolti verso l’alto, di un martello circondato da ragnatele e, in questo preciso momento, la sua mano tremante si trova a dieci centimetri dal bordo del sylex. I cavi si dimenano dal suo braccio; quelle appendici sono sue, ma si ritraggono dall’artefatto. Ciò che è rimasto di lui è affascinato da quel riflesso: nemmeno la phyresis può sterminare l’istinto di autoconservazione. Ma non è la cosa ideale. Deve morire velocemente, così che Elesh Norn non possa farlo detonare.
La trasformazione è quasi completa; solo un’esagerata quantità di autocontrollo l’ha tenuta a bada. Al passare di ogni ora, un altro cavo striscia fuori dalle sue braccia e si innesta nelle menti dei suoi amici… e ogni volta, lui si sforza di estrarlo e renderlo inerte. La comparsa del primo fu già abbastanza allarmante, ma ciò che lo rendeva disturbante era il fatto che se chiudeva gli occhi poteva comunque vedere attraverso di essi. E ora lui guarda così i suoi amici, osservando ogni volto trasformarsi in una maschera di rabbia, delusione, dolore. Jace riesce a sentire il sapore del loro senso di tradimento.
Lui sa già quanto diventerà pericoloso quando, non se, Phyrexia vincerà. Dopotutto, avevano già convertito una delle persone più potenti che avesse mai incontrato. Anche con le sue abilità, quali possibilità avrebbe avuto? Persino ora Jace percepisce il suo dono che si sta diffondendo come non mai, sente l’olio strisciante caldo ed accogliente come una sorgente termale. Percepisce l’attrazione, sente l’odore sulfureo che avverte la propria dipartita. La Vraska che conosce è morta, e anche lui sarà morto, e tutto diverrà uno, quindi l’unica cosa logica da fare è far ripartire il Multiverso da zero; sacrificarci in pochi per il bene dell’infinito, giusto Gideon?
I miei amici non capiranno, si rende conto Jace. Almeno il loro sentimento di essere stati ingannati non durerà molto. Al sylex serviranno pochi secondi per innescarsi. Con un ultimo sguardo ai suoi alleati, ai suoi amici, a Kaya e Kaito, pensa per un attimo di dare loro un po’ di tregua, ordinando loro di chiudere gli occhi e addormentarsi fino al sopraggiungere della morte, ma si ricorda che lui non è più quel ragazzo. Il suo ultimo atto di gentilezza per i loro ultimi respiri sarà il mantenimento del libero arbitrio.
Lui conosce anche il nome dell’ultima persona che ha usato il sylex. Sa che tipo di uomo era. Liliana, in uno scatto di rabbia, una volta gli rivolse un vecchio modo di dire di Dominaria, sibilando un nome che lui non conosceva con l’acredine di un’imprecazione: “Tieni aperti gli occhi, o vedrai con gli occhi di Urza.”
Jace sapeva fosse un insulto, ma non ne aveva mai compreso il contesto. Ora, con le sue mani sul sylex, con le sue dita letteralmente sul confine dell’Armageddon, quella linea che separa ciò che è buono da ciò che è corretto sembra immaginaria. Urza non fu un uomo virtuoso e, bè… nemmeno lui lo è. Ma ciò che è corretto solo a volte, nell’immediato, è anche buono. Forse solo qualcuno come loro può fare qualcosa del genere.
Finché siamo tutti qui, non possiamo far altro che peggiorare la situazione.
Jace afferra il sylex e, mentre lo fa, si arrende ad esso.
“Ripulisci completamente la terra. Che sia fatta la fine” mormora. “Mi dispiace.”
Si taglia, e dentro il sylex riversa tutta la tristezza che percepisce: gli amici e i piani perduti per mano di Phyrexia. Solo la pura cancellazione può purificare tutto.
Il corpo di Jace si blocca, i suoi occhi si illuminano, e qualunque legame avesse con la materia e con il suo essere viene reciso. È in preda al panico, cerca di riottenere il controllo, alla ricerca delle redini del proprio corpo, ma il completamento è definitivo: ora è giunto Jace il Phyrexiano, e lui non ha spazio per le banalità della carne.
Un muro collassa, e la sua mente cosciente si separa dal mondo reale, soffocandolo nella familiare oscurità.
Sembra una caduta, questa disconnessione. Si chiede vagamente se il sylex abbia funzionato mentre lascia la presa, viaggiando sempre più dentro e sempre più giù, nuotando attraverso il caldo benvenuto della phyresis e ritirandosi… non a morire, non su una nuvola lucente con Gideon e Kallist ad aspettarlo, ma nella vastità interna della propria mente.
Il suo corpo rimane, ma Jace non c’è più.
Mentre cade all’interno della propria mente, si rinchiude da tutt’altra parte, sigillandosi all’interno, disconnettendosi dalla superficie. Non riesce a capire se era lui che voleva ritirarsi in questo modo o se la versione Phyrexiana di sé stesso lo ha costretto.
Strano… quindi è questo il completamento? È familiare. È come dimenticarsi di qualcosa.

Jace riprende quella che si potrebbe definire coscienza in una distesa vuota della sua mente, senza alcun orizzonte in lontananza, solo pietra d’alabastro senza soluzione di continuità con un semplice pozzo al centro. Era stato qui tantissime volte in passato.
Il pozzo della mente di Jace è familiare e snervante. Se appoggia la sua mano sulla struttura, è tiepida come il suo sangue. Si avvicina, scontento (non vuole farlo di nuovo), e si siede con i piedi oltre il bordo, facendosi cadere ulteriormente.
Verso l’interno.
Verso il basso.
Si scontra senza conseguenze con la superficie di un mare tiepido. Nuota fino in superficie, sputa acqua salata e sbatte le palpebre alla luce del sole. La marea lo spinge delicatamente verso il bagnasciuga. L’acqua turchese scintilla ed è accogliente; attorno ai suoi piedi vede la lucentezza dei pesci, e sotto di essi percepisce la sabbia ruvida e il corallo polverizzato. Soffia una leggera brezza che trasporta un albatros solitario in alto nel cielo, che non ha niente di speciale, ma la cui presenza indica che Jace può trovarsi solamente in un luogo.
Appena dietro di lui si erge una riproduzione dell’Isola inutile, simile a un delicato faro verde. Quella vista potrebbe causare preoccupazione, ma con sollievo di Jace non sembrava avere un’amnesia questa volta. Sa di trovarsi nella propria mente. (Come? Una bolla? Una sezione della sua coscienza tenuta al sicuro dalla phyresis? Sembra proprio così; ha avuto a che fare già con abbastanza mostri.) E sa che questa versione di sé stesso è immacolata. Jace abbassa lo sguardo. Non ha cavi né ferite: sembra tutto intero. Guarda verso l’oceano calmo e trasparente: sembra che abbia costruito, nelle profondità di sé stesso, un punto d’appoggio per la propria mente, un piccolo pezzo intatto, nascosto dall’olio scintillante.
Ma quel momento che si è concesso per contemplare la sua esistenza viene interrotto da un’immensa forza.
Una corrente che lo scaglia violentemente indietro, da dove è venuto.
L’Isola Inutile diventa sempre più piccola sotto di lui, e il mare sempre più largo e lontano. Grida di sorpresa e di rabbia mentre viene lanciato verso l’alto. Aspetta, no… si stava bene lì…
Cacciato da qualunque paradiso liminale nel quale si era ritirato all’interno della propria mente.
Lontano.
In alto nel cielo.
Verso un foro in alto, un’oscura caverna circolare che può essere solamente la base del pozzo.
Jace viene ancora tirato verso l’alto, sbattendo contro le pareti del pozzo, tenendo gli occhi chiusi mentre viene spinto attraverso il ghiaccio e l’olio, poi all'improvviso… si sveglia.
Nel mondo fisico.
Di nuovo nel suo corpo. I suoi piedi poggiano su vera materia, la sua pelle rabbrividisce dal panico. Respira vera aria, sbatte le palpebre dei propri (due) occhi adattandosi alla vista periferica dei dannati cavi nelle sue braccia.
Si trova all’Albero dell’Invasione? Cos’è successo? Quanto tempo è passato?
Il suo corpo non è più suo: ora è completato. C’è azione e qualcuno grida, i suoi alleati urlano nelle vicinanze… Jace deduce che sono passati solo pochi secondi da quando ha attivato il sylex. È sveglio, e non dovrebbe esserlo. Panico… sta per finire tutto, quindi perché non è già così?
Jace lancia un’occhiata verso il basso e vede una spada che gli spunta dal petto, con il Nimbo al suo interno che trasuda dalla ferita che ha appena inferto.
Oh.
Spaventato e con un dolore bruciante che si diffonde in tutto il corpo, segue il suo istinto e crea un’illusione attorno a sé. Se non è morto, allora l’opzione migliore è fingersi tale. Il suo doppione illusorio estrae facilmente la spada mentre il vero Jace, dolorosamente conscio delle proprie facoltà, cade a terra con la spada ancora conficcata nello sterno. Vomita bile nera. Sputa, trema, il suo cuore batte ricolmo d’olio. Si abbassa, con le mani sull’elsa, e con pragmatico coraggio estrae la spada, invisibile e in preda all’agonia, facendo tutto il possibile per stare zitto (nonostante annulli i suoni che gli sfuggono con un’onda psichica). Lascia cadere la spada a terra, poi lui cade prono di fianco ad essa, continuando a tremare e sputare, con il Nimbo all’interno della lama che incita la sua psiche a riprendere il controllo del suo corpo Phyrexiano. Lui osserva, invisibile.
Jace manda l’illusione al fianco di Elesh Norn, ringraziando il fatto che lei fosse ancora una psichica dilettante nonostante la sua influenza. La Madre delle Macchine si rivela poetica: “Sono Uno. Anche voi potete essere Uno. Arrendetevi e finirà in un attimo.”
Fa agire l’illusione in modo silenzioso, controllato, pieno di sé ma remissivo, un ottimo strumento per le macchinazioni di qualcun altro, ed Elesh Norn non nota assolutamente nulla. È così che mi vedi, vero, dannata dilettante telepatica? L’illusione sorride con arrogante allegria mentre il vero Jace vomita ancora una volta. L’olio trasuda attraverso i suoi denti stretti. Lei è un’arrogante, ed è un bersaglio facile. Se lui non fosse stato infilzato, avrebbe fatto venire un colpo a Norn.
Tyvar dice di no. Kaito rifiuta con una nonchalance che Jace invidia. Kaya praticamente sputa in risposta all’invito. “Saremo nemesi” conclude Elesh Norn.
Riesce a sentire lo scorrere del tempo e del Nimbo. Jace non sa se verrà curato o se questo antidoto gli permetterà soltanto di essere cosciente durante la propria morte. È troppo debole per contrattaccare; la fine sta ancora avvenendo. Ma nella ferita sul suo petto c’è speranza: Jace non può più salvare il Multiverso, ma può salvare lei.
A Vraska andrebbe bene se è Norn, si giustifica mentre, non invitato, tocca rapidamente la mente di Elesh Norn. L’esperienza è spiacevole, come lavarsi le mani nel fluido fibroso del liquido spinale. Ma è l’incarico di Norn che lo ferma.
Vai a casa, ordina la Madre delle Macchine, vai a casa.
Ci vuole un attimo a Jace per processare l’ordine. Lei non è una psichica, e nemmeno lontanamente una ricercatrice come Bolas: ciò che vuole Norn è semplice e diretto. Ma Jace sente ancora i sussurri di come la propria versione Phyrexiana tradurrebbe quel desiderio: ritorna a Vryn. Ripara ciò che hai rotto. Questa è la tua espiazione.
(Poiché Jace ricorda, ora, ciò che deve espiare.)
(Anche dopo aver riottenuto i suoi ricordi, Jace sigillò Vryn dietro un muro. Con gli occhi di un adulto, era molto più chiaro ciò che gli fece fare Alhammarret, quale influenza ebbero i suoi crimini. Quanta guerra innescarono, di come la sfinge godeva nel cancellare la mente di Jace così che il ragazzo potesse mettere in scena un altro incontro.)
Lo sforzo di leggere la mente di Elesh Norn spezza la sua concentrazione: Jace sente la marea di prima iniziare a richiamarlo indietro, al sicuro e lontano, e percepisce che la propria coscienza inizia a ritirarsi giù nel pozzo. Lui si aggrappa mentalmente, si sforza e sente che il suo corpo inizia ad eseguire un viaggio planare verso il luogo che Norn gli ha assegnato.
Non può andare là.
Deve andare là.
Il respiro di Jace si stringe e condensa mentre striscia invisibile nella Cieca Eternità, scacciando l’illusione che si lascia alle spalle, mentre il suo corpo si alza e la sua mente si ritrae. Percepisce i sensi del suo corpo lontano e si blocca al terrore della nostalgia: il profumo della terra bagnata, dell’ozono statico, la pioggia sulle lande spoglie, il ticchettio della nebbia sull’immensa curva di un anello magico.
Riesce a gridare un “No!” mentre la phyresis reclama il comando e strappa via l’ultima goccia di Nimbo. Il suo corpo esce dall’etere della Cieca Eternità e calpesta il suolo bagnato di un piano che non vedeva da anni. La corrente scaglia via ancora una volta la mente di Jace, lontana dalla coscienza e dentro il vasto oceano interno della propria psiche.
La phyresis lo spinge ancora più lontano, e lui perde il controllo, scivolando nei recessi della propria mente e lontano dal proprio corpo… Jace si schianta nelle acque mentali del mare poco profondo con uno spruzzo.
Si alza in piedi, ansimante e sputando acqua salata, poi colpisce la superficie dell’acqua in preda alla rabbia. Guada verso la spiaggia, imprecando, ed esce dall’acqua sopraffatto dalla furia. Non sa cosa può fare: il Nimbo gli ha permesso di tornare cosciente una volta, ma è stata una soluzione temporanea. Qui dentro, lui può solamente controllare la propria mente, non il corpo oltre di essa.
Jace si accuccia sulla sabbia, pensando disperatamente ad una soluzione. Come può un prigioniero scappare da una cella di prigione senza porte?
La dai alle fiamme, suggerisce intelligentemente la propria mente.
Un ricordo lontano brucia verso la superficie, e lo sente vicino a lui sulla spiaggia. “Il cervello è la sede del corpo, e il corpo guarisce o si indebolisce secondo la guida del cervello.”
È un vecchio ricordo, un ricordo complicato, distante e riecheggiante attraverso i decenni e gli strati di amnesia, ma la sua saggezza fornisce la risposta. Deve riuscire ad ammalarsi, deve costringere il suo corpo a combattere ciò che la sua mente non può.
Jace si alza e mantiene saldi i suoi piedi nella morbida sabbia della spiaggia. Stringe la sua essenza, esala un respiro e percepisce i suoi occhi che si illuminano mentre estende le mani verso l’orizzonte per impartire l’ordine telepatico.
L’OLIO NELLE TUE VENE È UN VIRUS.
Nell’immediato non accade nulla, ma vede che ai bordi dell’orizzonte il cielo inizia a scurirsi e a contorcersi, turbolento e color pervinca.
SEI FEBBRICITANTE. HAI CONTRATTO UNA MALATTIA LETALE.
Nel cielo crepitano dei fulmini, e Jace si sente attirato in avanti, con le dita dei piedi che raschiano la sabbia mentre viene sollevato e spinto via. Rincara la dose, concentrando completamente la propria volontà sul suo obiettivo. Se vuole sopravvivere, deve costringere il proprio corpo a combattere il virus della phyresis. Gli intima di farlo tornare nuovamente dentro…
STAI RESPIRANDO E SEI VIVO.
STAI COMBATTENDO UN’INFEZIONE E STAI VINCENDO.
Jace sbatte le palpebre, un lampo di coscienza di qualsiasi cosa il suo corpo stia facendo all’esterno…
…le sue orecchie non stanno proprio fischiando, ma ronzano con un suono statico…
…il suo corpo si trova al di sotto di un cielo turbolento, compresso all’interno di una folla, con le orecchie che fischiano, ed è stretto all’interno di una lunga fila di suoi compatrioti Phyrexiani. Vede centinaia e centinaia di persone da entrambi i lati, con i propri cavi che fissano, analizzano e concentrano un impulso di danno psichico verso l’esterno, il suo corpo percepisce la pioggia battente e sente una strana vibrazione, uno strano battito planetario, e si rende conto con profonda e sentita colpa che si tratta del suono degli anelli magici. Non lo sentiva da quando era bambino. Ma è quando alza lo sguardo che comprende il contesto dei suoi dintorni: i Phyrexiani al suo fianco marciano in avanti, con un sentiero di corpi liberato appositamente per loro, ed è lui quello che ha liberato quel sentiero.
Sotto di lui, sul terreno di Vryn, si trovano delle persone, tutte tremanti, boccheggianti, con gli arti che si muovono spasmodicamente contro il terreno, un’epilessia di massa. Venti soldati sono in preda ad un attacco di fronte a lui, con le loro menti che cantano verso quella di Jace in una cacofonia statica. Il volume mentale è troppo, troppo rumoroso, e ci vuole un momento a Jace per rendersi conto che il ronzio, il suono statico, la magia che aveva dato il via a quegli attacchi epilettici proveniva… proveniva da lui.
Annulla la magia e prende un respiro tremante, nonostante la nausea. Il suo cuore si spezza e le sue mani tremano. Inquieto, Jace vede la propria verità nella sofferenza di fronte a lui. Questo è ciò che lui è realmente, una forza inarrestabile svincolata dalla vergogna, questo è ciò che sarebbe sempre potuto essere.
La marea lo attira ancora una volta, la sua coscienza scivola via, la versione Phyrexiana di sé stesso torna in superficie mentre Jace viene tirato indietro, e per fermare quello scambio Jace dà ordini al suo corpo con quanta più forza possibile:
STAI DORMENDO. STAI DORMENDO. STAI DORMENDO.
E improvvisamente…
Sta dormendo.

Quando Jace torna cosciente, lo fa con una collisione, risvegliandosi ansimante, con il corpo e la mente di nuovo tutt’uno, e si trova steso sulla schiena in un burrone. Ci sono altri corpi, quasi tutti Phyrexiani, dappertutto. La pioggia lo ha bagnato completamente, fino ad arrivare alla sua pelle. Il suo petto brucia a causa del Nimbo rimasto, e il suo braccio è martoriato da squarci aperti causati dai cavi che si è strappato, ma quello che sente più di ogni altra cosa Jace è la febbre. La vista gli trasmette calde vertigini e allucinazioni sfocate, i suoi muscoli tremano a causa dei brividi e il sudore della sua fronte si mischia con la pioggia. Ha spinto il proprio potere verso nuovi limiti, e si sente così orgoglioso, debole e potente contemporaneamente.
Ma poi si ricorda della scia di vittime che stanno morendo sul terreno. Di come fosse colpa sua. Di quanto è stato facile controllare, demolire e uccidere. È stato facile perché hai già ucciso dei soldati di Vryn in passato. Alhammarret sarebbe fiero di te. La voce che sente è la propria, un’allucinazione della malattia, e Jace trema udendo il suo giudizio: ti sei dimenticato chi sei? Qualunque parte di lui che non stava bruciando a causa della febbre cade a terra. Jace aveva indossato l’illusione del salvatore così bene, convincendo i suoi amici che avrebbe trasportato il sylex, che avrebbero potuto salvare il Multiverso, una piacevole fantasia che si ergeva in netto contrasto con la schiera di soldati che era riuscito a manipolare con facilità, conducendoli a danni irreversibili e alla morte. Sì. Si era dimenticato.
La febbre si rinnova con una nuova ondata, e Jace si libera con un respiro della propria voce febbricitante nella sua mente. Sente un freddo gelido, è fradicio di sudore e, in preda alle allucinazioni dell'encefalite auto-indotta, si alza in piedi, incerto su dove dirigersi. Sente il suo corpo lottare, sente l’olio che lo sta chiamando ancora una volta, ma non questa volta: Jace si mantiene saldo puntando i piedi nella terra sporca di olio e invia alla propria mente una dichiarazione: HO IO IL CONTROLLO.
Sbatte le palpebre, respira. Ha lui il controllo. Lo ha davvero. E dopo aver gioito per essere tornato ad agire sul proprio corpo, Jace afferra uno dei cavi nel suo braccio e lo strappa via. Grida, il sangue mischiato all’olio trasuda dalla ferita, e riesce a sentire la sua pelle scoperta calda per via della febbre.
Il richiamo dell’olio si sta indebolendo, ma anche il suo cuore sta facendo lo stesso, e i suoi polmoni; la ferita nel petto di Jace ora perde sangue invece che olio. Sta morendo. E nonostante ciò, molti dei corpi continuano a dimenarsi; Jace li rasserena con un sonno senza sogni. Riposano nel morbido limo della terra fradicia di pioggia, con gli arti coperti dai vicini cespugli di salvia e le teste appoggiate su cumuli di erbe dalle lunghe radici. Jace si ricorda vagamente i nomi di ogni pianta che vede, si ricorda che gli era stato insegnato tanto tempo fa quali potevano fungere da cura per diverse cose. Un anello magico vibra in lontananza, ed è l’unico suono che sovrasta il vento, con i Phyrexiani ormai ritirati. Lui è l’unico vivo e sveglio sul campo di battaglia e la sensazione lo tormenta, gli fa pensare al raggiungimento di un traguardo, alle basse fusa di approvazione di una sfinge.
Un altro ricordo stringe il suo cuore palpitante per catapultarlo nuovamente nel presente.
Vraska.
Contro qualsiasi logica, la febbre, la ferita, l’olio nelle sue vene che lo stava ancora incoraggiando a ritirarsi nuovamente nel mare interiore e chiudere i suoi occhi risvegliati per sempre, Jace grida di dolore e inizia ad eseguire un viaggio planare.
Deve andare a Ravnica. Se lui riesce a salvarsi, forse può riuscire anche a salvare Vraska.
Jace torna a casa, e la sua casa è macchiata di sangue.
Ravnica è in guerra, ancora una volta, con legioni dei suoi compatrioti che si coprono il volto e assaltano le strade. Angeli Boros che sciamano nei cieli come vespe, furiose bestie Gruul che sfondano barricate e travolgono i Phyrexiani sulla loro strada… è di nuovo come nella Guerra della Scintilla, ma invece di un dio faraone a capo di Ravnica, Jace sa che è la sua amata che verrà manipolata per condurre la vittoria.
Schiva un battaglione di pacificatori Azorius, poi si accovaccia in un vicolo fuori dal campo visivo di un’ondata di thrull Orzhov armati con delle lucide picche dorate. Jace trova un’arcata tranquilla, chiude gli occhi mentre stringe la ferita sul suo petto, e la sua coscienza si estende. La sua mente scorre sui ponti e le passerelle, oltre il clamore e l’emozione della battaglia, evita abilmente la coscienza dei morenti e si fa strada verso la mente che ama più di qualunque altra. Ci vuole solo un attimo, ecco… ma ciò che trova è un’imitazione: è lei, ma è sottile. Un pezzo.
Jace tiene premuta una mano sul foro vicino al suo cuore e fugge via.
La guerra infuria, i Phyrexiani vengono respinti, un gruppetto di invasori presi dal panico inviano alla sua mente la loro preoccupazione per la morte della loro leader, che i Ravnicani hanno un dispositivo che può folgorare l’olio, che devono fuggire…
È tutto rumore. L’unica cosa di cui Jace si può preoccupare è il calmo rintocco di cristallo della mente di Vraska, che va e viene in lontananza. Si arrampica sopra delle macerie, cerca nei dintorni una casa vuota e si introduce all’interno, verso le scale. Mentre corre lascia dietro di sé una scia di sangue, si issa sui tetti, poi richiama un draghetto per farlo volare abbastanza basso da riuscire ad afferrarlo al volo. Ci riesce a malapena. L’animale protesta mentre lo trasporta, ma fa ciò che deve fare: Jace vede Vraska distesa sul tetto sottostante.
Non riesce a trattenere il suono che esce dalla sua bocca.
Il corpo di lei è un ammasso di cromo spezzato e bruciato. Le parti che non erano la sua pelle erano bruciate e colorate di blu, come del metallo surriscaldato dall’interno. Le unghie erano diventate artigli, i suoi tentacoli un groviglio di cavi, ogni parte riconoscibile è distorta, proprio come lui. Vraska è immobile, ma Jace sa che è ancora viva.
Lui si inginocchia, prendendola tra le braccia, usando ciò che è rimasto della propria coscienza per farla risvegliare sulle sue gambe, presa dal panico. “Puoi aprire gli occhi per me?” dice lui, teso e a bassa voce. La sua preoccupazione trema attraverso le proprie mani: sono insanguinate e sporche del suo stesso olio, ma accarezza comunque la guancia di lei. “Riesci a respirare?”
Lei non risponde, quindi Jace decide di entrare. Appena al confine della sua mente, così che sia più facile per lei, ma sente una risatina familiare in risposta.
Non darti troppe arie, Beleren. Non mi hai tolto il fiato letteralmente.
Lui si lascia andare in una dura esalazione di sollievo e la stringe vicino a sé. È un miracolo che la sua mente sia ancora presente… com’è riuscita a resistere alla phyresis senza i doni di un telepate?
“Cosa ricordi?”
Lei spiega.
Mentre parla, Jace capisce che lei non è consapevole di ciò che avviene all’esterno, che gli sta parlando da quella stessa specie di bolla, molto simile a quella che aveva tenuto lui al sicuro.
Rimane con lei per un po’.
Poi accetta l’invito di lei ad entrare completamente nella sua mente, e si meraviglia davanti all’inconscio ingegno di autoconservazione di lei: di come apparentemente si fosse nascosta nel recesso segreto che lui le aveva creato così tanto tempo fa. Vraska si era salvata con le proprie mani, perché era ovvio che ci sarebbe riuscita. Si avvicinano, si ricordano a vicenda, e mentre Jace stringe la sua amata, vuole che questo momento duri per l’eternità, vuole negare tutto il resto salvo i tentacoli arricciati di lei e le zampe di gallina vicino ai suoi occhi.
Vraska ha il valore di diecimila piani.
È deciso. Non ci sarà alcuna festa d’addio. Jace la appoggia nuovamente sulle macerie. La scavalca e abbassa la propria fronte fino a toccare quella di lei, un cannone che punta ad una casa di vetro, stringendo il suo volto tra le proprie mani. Se lui era riuscito ad invertire (per la maggior parte) la propria phyresis, allora avrebbe potuto farlo sicuramente anche con lei: quella era la sua ipotesi, almeno. Sarà la telepatia più difficile che abbia mai fatto, e Vraska non ha idea di cosa l’aspetta. Forse è meglio così.
Lui la avverte: “Preparati. Questa parte fa male.”
Lei risponde dietro una metaforica porta, divertita, a malapena cosciente, felice ed ingenua: “Mi hai sempre salvata.”
Jace le bacia la fronte e sa che per ordinarle di guarire lei deve essere completamente sveglia. Si ricorda la sua promessa di tanto tempo fa, il loro piano per sabotare Nicol Bolas, il chiavistello che ancora trattiene il resto della mente di lei. C’è soltanto un modo per farlo, e metterà alla prova i suoi limiti. Lui si prepara con un respiro profondo…
“Ti amo anch’io, capitana.”
Poi, con un esperto respiro calmante, chiude gli occhi e compie cinque miracoli in una volta sola.
Il primo, e più immediato: non appena lui pronuncia ad alta voce il titolo di lei, la porta verso la psiche di Vraska che la tiene al sicuro all’interno, protetta dalla phyresis, si spalanca. La mente personificata di lei viene lanciata verso la superficie della coscienza e, nella loro connessione condivisa, brilla di una lucente luce bianca. Lui la contiene, la luce del suo amore intrecciata e protetta, e con agilità mentale Jace la afferra prima che il resto della sua mente completata possa infettarla e prendere il sopravvento. Nel mondo della veglia, gli occhi di Vraska si spalancano. Sospira, e i suoi muscoli iniziano a contorcersi.
Nel frattempo, nel reame interiore, lui erige una barricata, un muro lungo e spesso tra la mente di lei e il veleno che ha modificato il suo corpo. Il muro è costruito di tutto ciò che lui ama di lei: scaglie e chitina, tazze di altri piani e abiti bellissimi di questo, assi di navi veleggianti e la pietra che solo lei può creare; è un monumento alla forza e alla volontà di Vraska, e dietro di esso lui raccoglie e confina il maledetto miasma Phyrexiano.
Contemporaneamente, un’altra parte di lui trasmette il messaggio per aiutarla a salvarsi la vita, lo stesso comando ipotalamico che riverbera nella propria mente:
STAI COMBATTENDO UN’INFEZIONE. SEI FEBBRICITANTE. STAI RESPIRANDO E SEI VIVA. L’OLIO NELLE TUE VENE È UN VIRUS.
E una quarta parte di Jace solleva il corpo di Vraska con tutta la sua forza, con i muscoli che infine cedono alla stanchezza, il foro nel suo petto che di nuovo fa fuoriuscire sangue senza più olio e, con la determinazione di un uomo morente, la trascina nella Cieca Eternità. Non sa nemmeno dove andare, ma si rende conto, mentre mettono piede in quell’eternità liminale, che nonostante i suoi sforzi, nonostante la telepatia più complessa che abbia mai eseguito, entrambi sono troppo deboli per andare avanti. Senza alcun aiuto, moriranno.
E infine la quinta parte della mente di Jace si ricorda che lui conosce una guaritrice, e la conosce da tutta la sua vita.
Trasportando la sua amata, torna nel piano che aveva appena abbandonato.

La Cieca Eternità è sempre apparsa a Jace in modo simile ad una mente: strati di vetro infinitamente intricati, curvi e sovrapposti, al contempo matematici ed emotivi. La mente non è un luogo logico: tutti racchiudiamo una follia di impulsi biologici e risposte dettate dalla natura. L’etere del luogo in mezzo ai luoghi è sempre apparso a Jace nello stesso modo, come un posto caotico e bellissimo, tanto illogico quanto fragile.
Vraska si trova tra le sue braccia, e la sente aprire gli occhi mentre attraversano l’etere. Prima lei guarda sopra e dietro di lui, forse vedendo per la prima volta la sua versione della Cieca Eternità, ma poi gli occhi di lei incrociano brevemente quelli di lui.
L’agonia del suo stato fisico fa vacillare Jace. Inciampa su un cavo che si sta staccando dalla sua schiena, gridando mentre strappa della pelle nella caduta. Il sangue sporca l’etere sottostante mentre lui continua ad avanzare verso l’unico posto dove saranno al sicuro. L’unico posto in cui aveva sempre potuto rifugiarsi, il primo posto a cui pensò quando Norn gli disse di andare a casa.
Dalla Cieca Eternità, Jace fa un passo oltre una porta che si apre con un profumo di viole.
Inciampa in avanti ancora una volta, con cavi staccati e sangue sparso dietro di loro, poi sia lui che Vraska crollano su un tappeto tessuto a mano di un altro piano.
Il tappeto è vecchio, intrecciato di blu indaco, con cerchi decorati e semplici cavalli, e mentre Jace ci rotola sopra si sente terribilmente in colpa per sanguinarci sopra. La stanza in cui atterrano è più piccola di come si ricordava: pannelli di legno imbiancato, un soffitto basso con travi esposte e una libreria fatta in casa che occupa tutta l’altezza del muro, di fronte alla quale si trova una lunga finestra orizzontale che tremola a causa della pioggia. C’è molto disordine, e un paio di occhiali sopra una pila di libri vicino al suo viso.
Vraska ha la pelle quasi completamente verde; respira, ma tossisce. Jace ansima di fianco a lei a causa della febbre. Cerca di muovere la propria mano per afferrare quella di lei, e mentre lo fa un pezzo di metallo si stacca dalle dita di lei. Lei ha un aspetto terribile, come lui, con i cavi che cadono aprendo degli squarci, ma è viva, e per questo è bellissima.
Lui sorride, e questa azione esaurisce tutte le forze di Jace.
“Impossibile” dice una voce che non aveva udito per decenni.
Lui alza lo sguardo e vede una donna di mezza età dai capelli castani macchiati di grigio e i suoi stessi occhi azzurri. È bassa, slanciata, asciutta come una corritrice e con un volto affilato come una donnola. La donna si ferma, con un’espressione indecifrabile, poi apre un libro per guaritori sul tavolo. Ranna Beleren, in pieno controllo, nasconde la sua preoccupazione ai mostri sanguinanti che si sono catapultati nel suo salotto.
Ranna si avvicina esitante, con le dita della mano destra unite attorno ad un frammento appuntito di luce celeste, un bisturi magico brandito come arma di difesa improvvisata, ma si blocca quando vede che gli occhi di Jace sono uguali ai suoi.
“Jace?” Sussurra il suo nome come fosse un’imprecazione.
Lui è troppo spossato per parlare, quindi Jace parla direttamente nella mente della donna appena prima che la febbre e la stanchezza abbiano la meglio su di lui.
Mamma, aiutaci. Ti prego. Mi dispiace tanto.

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- Articolo tradotto da MTG Traduzioni ITA: Banditi di Crocevia Tonante