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Blood ArtistART1

Non c'è vera arte senza una vera sofferenza.

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Emonberry Red è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Clayton Kroh e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 4 febbraio 2014. Racconta la storia di Pavios e Tanasis.

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Storia[]

Non c’era bisogno di scomodare l’Agente per questa faccenda; sarebbero bastate le forbici di Adrasteia. Che peccato, pensò, e sospirò ad alta voce. Le sue due sorelle, una dalla parte opposta dell’enorme ed antico tavolo di quercia, l’altra sul lato a metà strada tra le due, fermarono il loro lavoro su un grande arazzo disteso per alzare lo sguardo.

Due fili, uno blu e l’altro dorato, che avevano iniziato il loro viaggio attraverso l’arazzo in parallelo, ora si erano intrecciati. Succedeva tutte le volte, ed ogni volta era un nuovo intreccio, talvolta bellissimo, talvolta tragico, alcune volte entrambi. Può essere trovata una tale bellezza nella tragedia; tuttavia, Adrasteia non si concedeva di venire influenzata da ciò a cui assisteva tra le trame dell’arazzo. Deve considerare il benessere dell’insieme. Questi due fili particolari avevano effettivamente creato un bellissimo disegno mentre si avvolgevano l’uno intorno all’altro, bordati da trame di colori scuri da tutti i lati in disegni che sembravano intenzionati a dividere il blu e l’oro.

La tessitura di questi due fili non era convenzionale, era così unica nella sua espressione che perfino Adrasteia, rinomata per il suo distaccamento ed efficienza, si concesse un attimo in più per apprezzarla. L’attimo passò, ed era ora di utilizzare le sue forbici per gestire il nodo che si era sviluppato nelle trame.

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Pavios era sveglio nella sua stanza scura. Eliod aveva da molto cavalcato oltre l’orizzonte. Nonostante l’intero giorno passato a camminare praticamente per ogni via e vicolo della polis di Akros al seguito di suo padre, che insisteva nel presentare Pavios ad un’infinita lista di ufficiali di governo, diplomatici, banchieri e uomini d’affari, Pavios non riusciva a dormire. Pensava solo a Tanasis, che era coricato proprio dall’altro lato del muro dietro la sua testa. Si chiedeva se Tanasis avesse letto il biglietto che gli aveva lasciato, e se avesse trovato il regalo che aveva nascosto prima, dietro le loro case confinanti, sotto il mucchio di carbone che il padre di Tanasis utilizzava per forgiare.

Tempio dell'Illuminazione

Più pensava che non avrebbe più rivisto Tanasis, più a Pavios si stringeva un nodo alla gola. Soltanto a distanza di due giorni, il padre di Pavios aveva pianificato di rispedirlo a Meletis per sposare la figlia di un ufficiale di spicco: una dolce ragazza, ma poco interessante, il cui morbido volto brillava perennemente pulito e roseo, come se se lo strofinasse ogni ora. Il padre della ragazza aveva donato a Pavios una bella spada corta per suggellare il contratto tra le due famiglie. Pavios era immobile in piedi, incapace di muoversi per prendere la spada. Sentiva le braccia troppo pesanti. La spada avrebbe potuto rappresentare le manette che lo avrebbero vincolato a questa ragazza e ai piani politici dei loro padri. Suo padre si fece avanti rapidamente ed accettò il dono per conto di Pavios. Era fatta.

Tra due giorni, non avrebbe rivisto Tanasis mai più, e questo pensiero fece sembrare il sonno come uno spreco di tempo prezioso.

Era diventato molto difficile comunicare con Tanasis, e fargli sapere dove cercare il regalo non era stato facile. Nonostante vivessero l’uno accanto all’altro, separati da quel semplice muro in muratura, il loro genitori non erano amici, e avrebbero anche potuto vivere dalla parte opposta di Akros. I padri delle due famiglie evitavano qualsiasi interazione tra loro. Il padre di Pavios era un ambasciatore di Meletis, e loro due furono stati trasferiti ad Akros sei mesi prima. Non era un compito a cui il padre di Pavios aspirava, e trasferirsi per trovare lavoro ad Akros per lui fu una tale retrocessione da portarlo a rimuginare continuamente. Non fu molto dopo aver ottenuto questa residenza nella piccola casa di fianco al fabbro che i padri litigarono, e che a Pavios fu proibito di interagire con il calmo e bel figlio del fabbro.

Mentre Pavios si agitava nel buio, gli venne in mente che non sapeva se Tanasis sapeva leggere. L’aveva dato per scontato quando, quella mattina, aveva rubato un pezzo di pergamena, un vasetto di inchiostro ed una penna dall’ufficio di suo padre prima che andassero al giro di appuntamenti politici per tutta la polis. Il loro viaggio li aveva portati sufficientemente vicini alla nuova dimora da giustificare una pausa per il pasto di mezzogiorno proprio lì. Pavios sfuggì nella sua stanza e scrisse velocemente un biglietto, che diceva a Tanasis di cercare nel mucchio di carbone. Aveva infilato il biglietto nella maglia e si era ricongiunto a suo padre a tavola. Mangiò velocemente una galletta, ma continuò a guardare fuori dalla finestra verso la fucina dall’altra parte della strada.

Tanasis era apprendista presso suo padre, per diventare fabbro. Pavios riusciva a vedere sia padre che figlio al lavoro. Della fuliggine sporcò la faccia di Tanasis. La sua faccia era sempre sporca di fuliggine, e la cosa lo faceva apparire duro e serio, finché non rideva o parlava. Quando lavorava con suo padre, non faceva nessuna delle due cose, il suo volto inondato dal calore era come il metallo lucente che immergeva nell’acqua, indurito e luccicante.

Il padre di Tanasis scomparve dalla visuale. Pavios si congedò dalla tavola e si diresse fuori prima che suo padre potesse chiedere dove stesse andando.

Ci volle solo un istante perché i loro sguardi si incrociassero. Tanasis sembrava averlo visto tornare a casa con suo padre e stava aspettando che uscisse di nuovo dall’abitazione. La smorfia sul volto di Tanasis si trasformò in un sorriso riconoscente. Pavios tirò fuori il biglietto dalla maglia in modo che Tanasis lo vedesse. Pavios arrotolò il biglietto e lo mise sotto una pietra vicino alla porta di casa di Tanasis. Quando si girò, Tanasis non stava più guardando. La smorfia era riapparsa, insieme al padre di Tanasis. Aveva visto dove aveva nascosto il biglietto Pavios? Non ebbe modo di assicurarsene, dato suo padre uscì di casa, bastone alla mano, e gli ordinò di seguirlo.

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Pavios imparò che Tanasis era infelice tanto quanto lui. Non voleva diventare un fabbro.

“Voglio essere un Lukos” gli aveva detto Tanasis la prima volta che si erano incontrati, in quei meravigliosi giorni prima del litigio dei loro padri, quando non gli era proibito vedersi. Tanasis gli aveva mostrato un luogo segreto appena fuori Akros, un affioramento ampio ma appartato appena dopo lo stretto tornante che conduceva giù dalle montagne al di fuori delle mura della polis. Anche se non erano lontani da Akros, dall’affioramento non riuscivano né a vedere i bastioni della polis né ad udire i suoni delle sue strade. Un solo albero di emonbacca cresceva vicino all’orlo dello sperone, i cui rami era piegati per il peso del suo bianco e tenero frutto. Dei conigli di una tana lì vicina frequentavano il posto, rosicchiando i rari germogli verdi e le erbe che crescevano a chiazze attorno alla base dell’albero.

                   ART (Mountain illustrazione di Raoul Vitale)

“Un Lukos?”

“Un lupo dell’esercito di Akros” rispose Tanasis. “Sono i guerrieri più forti di tutto Theros.”

Tanasis raccontò a Pavios le epiche storie di Akros. Si sedettero uno vicino all’altro, con le schiene contro un enorme masso riscaldato dal sole, le gambe stese, togliendosi i sandali impolverati. Tanasis era animato mentre raccontava le storie, ed il suo piede sfiorò quello di Pavios. Pavios non potè far altro che farsi trascinare nella potente corrente dell’entusiasmo di Tanasis mentre parlava dell’Esercito. Gli permise di farsi conquistare, col cuore leggero come una foglia volteggiante.

Pavios sapeva molto poco della sua nuova dimora e della cultura guerriera del popolo di Akros. All’inizio le sdegnava, incolpandole dello spostamento dalla sua abitazione nella bellissima città di Meletis a queste montagne isolate. Lasciando Meletis, era stato costretto ad abbandonare i suoi studi alla Decazia; non c’erano Taumaturghi ad Akros con i quali avrebbe potuto continuare il suo studio della magia, e la magia era una di quelle poche cose che piacevano a Pavios. Si promise di percorrere un sentiero diverso da quello delle ambizioni del padre. Ad Akros, non poteva sfuggire alle aspettative opprimenti e alle decisioni sulla propria vita da parte di suo padre. Era tutta colpa di questi rudi ed aggressivi uomini di Akros.

Tuttavia, Pavios non potè covare tutto quel risentimento a lungo dopo aver incontrato Tanasis. Pavios non sentì mai sparlare duramente di qualcuno da parte di Tanasis, nemmeno del proprio padre, che contrastava le sue speranze di addestrarsi come guerriero al grande Kolophon, l’impenetrabile cuore di pietra della polis di Akros. Al contrario, il padre di Tanasis aveva premuto per il suo apprendistato presso la sua fucina. Sembrava sopportare bene quella delusione, molto meglio di quanto Pavios sarebbe riuscito a fare. Tanasis sembrava costruito per resistere a tutto, era alto ed abbronzato, con le spalle larghe e compatte, come gli archi a quadrante che rafforzavano le imponenti mura di alcuni dei magnifici edifici in pietra di Meletis. Teneva i suoi capelli neri tagliati corti al modo delle nuove reclute nell’Esercito. Tanasis sarebbe stato un grande guerriero, ne era certo.

Durante i primi due mesi che si erano conosciuti, si incontravano il più spesso possibile sull’affioramento. Pavios iniziò a condividere alcune delle sue storie, ed intrattenne Tanasis con degli indovinelli e dei semplici trucchetti che aveva imparato durante il periodo alla Decazia. Fu lento ad aprirsi per raccontare storie più personali, però, e non rivelò il suo ingaggio con la ragazza di Meletis.

I giorni iniziarono ad accorciarsi e l’aria delle montagne a raffreddarsi, ma i due continuavano ad incontrarsi per raccontarsi delle storie. Durante un giorno particolarmente freddo, Pavios, con la fretta di sfuggire alle incessanti pianificazioni di suo padre su cosa avrebbero fatto una volta tornati a Meletis e dopo il matrimonio di Pavios, lasciò casa senza il suo mantello. Non si accorse dell’errore fin quando non uscì dalle protettive mura di Akros e la fredda brezza di montagna lo morse. Andare a prendere il mantello l’avrebbe fatto ritardare all’incontro con Tanasis ed avrebbe potuto far sorgere delle domande a suo padre, quindi continuò.

I due si sedettero insieme come al solito, anche se il grande masso era freddo sulla schiena di Pavios ed il sole spesso si immergeva tra le nubi, facendolo tremare. Nel bel mezzo del racconto di una storia su Passo Guercio e delle imprese eroiche di uomini di Akros che combatterono i ciclopi che vivevano lì, Tanasis si tolse il proprio mantello e lo avvolse attorno a Pavios senza perdere un colpo nell’andamento della narrazione. Il semplice mantello era bordato di pelo di coniglio, ed il cuoio era morbido a causa dei molti anni di utilizzo. Aveva l’odore del fumo e del bronzo battuto, e di Tanasis stesso. Quando Pavios si coprì col mantello ed il collare di pelo si chiuse attorno al suo collo, respirò l’intimo e confortante profumo del suo amico.

                  ART (Cyclops of One-Eyed Pass di Born of the Gods)

Quando Eliod toccò l’orizzonte, si alzarono per ritornare alla polis. Pavios iniziò a slacciarsi il mantello, ma Tanasis gli mise una mano sulla spalla. “Puoi tenerlo” disse. Pavios da allora indossò il mantello ogni giorno durante la stagione fredda.

Anche Tanasis aveva rivelato storie dolorose. Fissava il terreno mentre raccontava la storia di sua madre, e di come morì appena tre mesi prima che Pavios arrivasse ad Akros. Nonostante lei fosse un’artigiana fortemente indipendente che viaggiava spesso per vendere il vasellame e la gioielleria che produceva, con la sua famiglia teneva sempre una tabella di marcia affidabile su quando sarebbe tornata a casa dai suoi viaggi. Un giorno non ritornò. Tanasis e suo padre la cercarono finché non si imbatterono nella sua sacca tra le montagne lontane dalla strada, strappata ed insanguinata, con le sue creazioni di gioielleria che spuntavano da essa. Era stata presa da una bestia, era chiaro, anche se non avrebbero mai trovato i suoi resti. Non molto tempo dopo, la reticenza di suo padre riguardo all’entrata nell’esercito di Akros da parte di Tanasis si rafforzò in un rifiuto costante.

Quando Tanasis terminò la storia, guardò in alto. I suoi occhi erano bordati di rosso. Non c’erano lacrime in essi, bensì la resistenza che lottava per tenere dentro una gonfia marea di tristezza e perdita. Pavios pensò di vedere anche qualcos’altro: una scappatoia dalla solitudine, ed un crescente amore per il suo amico. O stava osservando un semplice riflesso di sé stesso? No, era lì, ne era certo.

Pavios lo avvicinò a sé, abbracciandolo, e lo baciò sulla guancia. Tanasis si irrigidì improvvisamente, come se fosse sorpreso dell’intraprendenza di Pavios, con le sue spalle che facevano da muro tra di loro. Non ricambiò l’abbraccio di Pavios. Il momento finì bruscamente e Pavios lo rilasciò. Si misero i sandali e percorsero il tornante verso casa in silenzio.

Il giorno seguente, scoppiò il disaccordo tra i loro padri e non ci furono più incontri sull’affioramento. Poi, tre giorni prima che Pavios lasciasse il biglietto per Tanasis, il padre di Pavios gli annunciò che sarebbero partiti per Meletis alla fine della settimana per preparare suo figlio all’imminente matrimonio.

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Pavios scivolò nel sonno, ma si svegliò quando qualcosa lo colpì sulla fronte. Si strofinò una mano sulla faccia e trovò un sassolino tra i capelli. Si mise seduto e ci giocherellò tenendolo in mano nel buio. Mentre stava pensando di alzarsi per accendere una candela ed esaminarlo, un altro sassolino atterrò sulla sua testa. Udì un sussurro. Sembrava chiamare il suo nome.

“Pavios.” Veniva da sopra di lui. Pavios stette a letto e rimase immobile, ad ascoltare.

“Pavios, sono io, Tanasis.”

Il suono proveniva dal muro, ma sembrava che Tanasis fosse nella stanza con lui. Pavios scorse la mano lungo il muro e scoprì una piccola crepa. Vi sbirciò all’interno ma non vedeva nulla apparte il buio. Si sporse più vicino. “Tanasis?”

“Pavios!” La voce di Tanasis si alzò. “Hai il sonno di un morto.”

Il cuore di Pavios palpitò. “Sono così felice di sentire la tua voce” disse. In quel momento la mancanza del suo amico lo travolse. “Sono così felice di sentire la tua voce” ripetè, più forte, sentendosi ad un tratto stupido.

“Shhh! Sveglierai i nostri padri.”

“Mio padre non mi lascerà vederti. Ora mentre lavora mi trascina con lui tutto il giorno per tutta la polis.”

“Anche il mio non mi lascerà vederti” rispose Tanasis. Ci fu una lunga pausa. “Pavios?”

“Sì” rispose tranquillamente Pavios. “Sono qui.”

“Voglio vederti.”

Pavios sentì che se avesse aperto la bocca per parlare, non sarebbe stato capace di trattenere un urlo di eccitazione. O peggio, avrebbe potuto svegliarsi e questo sarebbe stato solamente un sogno. Voleva rispondere “Sì! Voglio vederti anch’io!” e colpire il muro che li separava fino a ridurlo in macerie, ma apparentemente non riusciva neanche a respirare al momento, men che meno sollevare le braccia per compiere tale gesto.

                  ART (Fated Infatuation di Born of the Gods)

“Possiamo incontrarci di nuovo?” la voce di Tanasis era più bassa.

Pavios ritrovò il respiro e si avvicinò al muro. “Non ero sicuro…” iniziò, esitando, “...dopo l’ultima volta. Cioè…” balbettò. “Sì.” disse, alla fine.

“Possiamo incontrarci domani a mezzogiorno?”

“Troverò un modo.”

“Ti aspetterò” disse Tanasis. “Buonanotte, Pavios.”

“Buonanotte, Tanasis.” Pavios si accovacciò sotto le sue coperte.

“E grazie per il regalo, Pavios.”

Pavios sorrise e non vide l’ora di addormentarsi. Si tirò il mantello di pelo di coniglio che era appoggiato dall’altra parte del letto fino al mento, inspirò profondamente, e poi cadde nel sonno.

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L’ingarbuglio dei fili si stava rivelando arduo. Adrasteia lo massaggiò tra le sue morbide dita rugose, tirandolo con un uncino nel tentativo di separare i fili. Magari uno si sarebbe salvato per continuare il suo tortuoso viaggio? Purtroppo, l’intelligente tecnica che sua sorella aveva impiegato per tessere questi due insieme legava i loro destini così fortemente che i tentativi di terminarne soltanto uno erano sconsigliabili. Uno era l’ordito, l’altro la trama, ed uno senza l’altro avrebbero indebolito l’arazzo, lasciandolo vulnerabile a strappi irreparabili. Nonostante lei e le proprie sorelle controllassero molte cose dei destini di tutti gli abitanti di Theros (a volte perfino degli dei stessi) esistevano regole che non avrebbero dovuto essere piegate, ed alcune che non dovevano mai essere infrante.

                 ART (Fate Unraveler di Born of the Gods)

Da sotto il tavolo prelevò una scura scatola intagliata grezzamente ricavata dall’antico legno nodoso di un albero che non vide la sua crescita nel mondo. I cardini d’argento della scatola non produssero alcun rumore mentre veniva aperta. Di velluto color prugna era l’interno, e tre utensili giacevano ordinati sul fondo: un ditale argentato, un delicato e lungo punteruolo d’osso ed un paio di storte forbici d’ebano. Adrasteia prese le forbici e ripose la scatola sotto il tavolo.

Le forbici erano nere come un vuoto cielo notturno, non riflettevano la luce ambrata delle candele né l’ubiquo regno di Nyx. Le lame iniziavano dalle impugnature, dritte ed affilate, scivolando precisamente all’unisono, ma man mano che si avvicinavano diventavano sempre più disallineate, piegandosi leggermente per poi andare in modo impossibile l’una dentro e poi fuori dall’altra finché il taglio non cessava. Le forbici non potevano mai essere completamente chiuse. Purforos le aveva offerto di forgiarne un nuovo paio molto tempo fa, un’offerta sulla quale lei e le sue sorelle continuavano a scherzare dopo ben trentatrè anni dall’avvenimento.

Adrasteia tornò al nodo tra i fili. Si può vedere in modo troppo critico lo stato dei singoli fili, pensò, fino ad escludere il valore artistico di ciò che i mortali o gli dei chiamerebbero difetti. Un difetto implica un giudizio, che richiede dei criteri basati su un insieme di esclusioni, e ci si aspetta che queste ultime rimangano consistenti nel tempo. Queste cose sono illusioni in questa stanza. Il fato non ha difetti, né un’estetica duratura. L’unica vera bellezza è la completezza imparziale.

Eppure, in alcuni fugaci attimi, Adrasteia sperimentò la bellezza nelle trame, conobbe l’apprezzamento e, a volte, provava ammirazione. Ma quegli attimi passavano, ed il lavoro rimaneva sempre, ad aspettare il suo completamento.

Ecco. Legò il nodo dal retro. Era pronto. Adrasteia lo strinse tra i propri pollice ed indice, ciascuno calloso ed indurito a causa di un’eternità di punture di spillo ed abrasioni da scorrimento di infiniti fili. Aprì per bene la sua forbice storta e posizionò il vertice delle lame alla gola del nodo.

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Pavios arrivò per primo all’affioramento. Il cielo era nuvoloso e c’era abbastanza freddo. Sotto il mantello, a tracolla sulla sua schiena, trasportava una sacca con cibo, vestiti, il suo coltello, il manuale di addestramento che il maestro Taumaturgo gli aveva dato quando aveva lasciato la Decazia a Meletis, pietra focaia ed acciaio, ed altri oggetti necessari per un lungo viaggio. Al suo risveglio quella mattina presto, prima di suo padre, aveva preso una decisione. Non sarebbe tornato a Meletis. Il pensiero di lasciare Tanasis e sposare qualcun’altro gli faceva venire un crampo allo stomaco, causandogli il panico. Non sapeva dove sarebbero andati, ma se Tanasis avesse accettato, si sarebbero inventati qualcosa.

Sperava che Tanasis portasse il regalo che gli aveva dato: proprio la spada corta donatagli a Meletis per finalizzare il matrimonio combinato. Se lui e Tanasis erano destinati a stare insieme, la spada sarebbe stata essenziale nel loro fato.

Se Tanasis avesse rifiutato, Pavios decise che sarebbe andato da solo. Forse sarebbe potuto morire; vivere senza Tanasis sarebbe stata una vita che non avrebbe potuto sopportare. Il pensiero lo rendeva nervoso. Tanasis avrebbe potuto rifiutare: era ancora una volta troppo presuntuoso, proprio come lo fu quel giorno che si incontrarono qui per l’ultima volta? Iniziò a sudare. Si tolse il mantello e la sacca, e mise entrambi per terra. Il freddo lo colpì, e sorseggiò dal suo otre di vino per riscaldarsi.

Pavios sentì un grugnito, più profondo e terrificante di qualunque altro avesse mai sentito da altri animali. Dall’altra parte dell’ampio affioramento ed appena sotto il tornante vide una figura in movimento. Una bestia con una spessa criniera di vello del color della neve dilaniò un coniglio. Pavios non si mosse, ma osservò mentre il coniglio veniva ucciso, strappato in due, e consumato in pochi morsi veloci. Dalle fauci dell’uccisore colavano sangue e pelliccia.

                   ART (Fleecemane Lion di Theros)

Alzò lo sguardo, annusò l’aria, e poi vide Pavios.

Nel panico, Pavios scattò nella direzione opposta, oltrepassando l’albero di emonbacca ed affrettandosi giù per lo stretto tornante. In tutto il tempo che era venuto qui con Tanasis, non aveva mai esplorato oltre l’affioramento ed il sentiero che seguivano per raggiungerlo. Non sapeva dove portava il tornante oltre il loro punto di incontro, ma non aveva tempo per pensarci.

Non si guardò indietro. Il tornante divenne più stretto e pericoloso, e non poteva rischiare di perdere il passo. E se la bestia fosse stata dietro di lui, se stava per balzargli addosso per abbatterlo, non voleva saperlo. Meglio che succedesse in fretta, come per il coniglio.

Pavios raggiunse il fondo della gola, ma, nonostante questo, non si fermò né si guardò indietro. Più avanti, vide una piccola apertura nel muro di roccia, una piccola caverna. La raggiunse e ci si fiondò dentro. Provò a calmare il suo respiro, cercando di non boccheggiare e rendere inutile il suo nascondiglio.

Pavios non sapeva per quanto tempo o quanto lontano aveva corso. Il suo respiro affannoso si placò, ma tremò per la paura e per il freddo. Rimase fermo per molto tempo, alla ricerca di un contatto visivo con la bestia. Non apparve più.

Poi una nuova paura lo attanagliò. Tanasis sarebbe arrivato per incontrarlo. Avrebbe camminato dritto nelle fauci della bestia.

Pavios uscì dal suo nascondiglio. La bestia non si vedeva. Si affrettò per tornare al tornante, ma era lento a risalire le ripide pareti della gola.

Stava calando la notte mentre si avvicinava all’affioramento, ma poteva notare che la creatura aveva rovistato nella sua sacca. Aveva sparpagliato tutte le sue provviste. La sacca giaceva alla fine dell’affioramento, strappata. Era imbrattata di sangue. Pavios sperava che fosse il sangue del coniglio mangiato prima dalla bestia.

Pavios si arrampicò in cima all’affioramento. “Tanasis?” chiamò. “Ti stai nascondendo?”

Sentì un respiro irregolare. Pavios cercò di individuarlo nella luce fioca. Là, appoggiato contro l’albero di emonbacca, c’era Tanasis. Del sangue impregnava la sua tunica. Nel suo petto era conficcata la spada corta che gli aveva dato Pavios. In grembo a Tanasis c’era il mantello che aveva dato a Pavios. Era strappato ed insanguinato; la bordatura di pelo di coniglio era scucita.

Pavios urlò e corse verso l’amico. “Cosa-Cos’è successo?” Lo raggiunse per aiutarlo, ma si fermò. Cosa poteva fare? Avrebbe dovuto estrarre la spada? Tanasis poteva essere spostato? C’era il tempo di correre a chiedere aiuto ad Akros? La sua mente si riempì di pensieri contrastanti. Prese la testa di Tanasis tra le sue mani, spostandogli i capelli dalla faccia. Gli occhi di Tanasis si aprirono leggermente. La sua pelle era pallida e fredda alle mani di Pavios.

“Pavios” Tanasis disse il nome con le labbra, ma non lo accompagnò nessun suono. Con un grande sforzo, fece un respiro profondo ed alzò la voce. “Pensavo ti avesse ucciso…” La sua voce si spense.

“No” disse Pavios. I suoi occhi erano colmi di lacrime. Ciò che era successo gli stava diventando terribilmente chiaro. “Sono vivo. Sono salvo.” Prese il mantello strappato ed insaguinato e provò ad avvolgerci Tanasis per riscaldarlo. Da esso penzolavano pezzi di pelliccia di coniglio ed alcuni peli caddero, mescolandosi col sangue che gocciolava dalle labbra di Tanasis. Tanasis doveva aver visto il mantello e la sacca e scambiò il sangue per il suo in una scena orribilmente simile a quella della morte di sua madre. In quel momento di disperazione, Tanasis si era tolto la vita pugnalandosi al cuore con la spada?

I deboli respiri di Tanasis cessarono. La notte era sopra di loro. Pavios riusciva a vedere a malapena il volto del suo amico a causa dell’oscurità e delle sue lacrime. Toccò la fronte di Tanasis con la propria. “Non andare” disse placidamente.

Pavios non pregava spesso. Conosceva gli dei, ma c’era poco tempo od intento per la preghiera. In questo momento, però, richiamò Erebos, il dio dei morti. “Potente Erebos” iniziò, “io lo amo. Non…” Pavios deglutì. Anche se non era abituato a pregare, era certo che quando uno lo faceva, era saggio non fare richieste agli dei. “Ti prego, Erebos… Non posso vivere senza di lui.”

Erebos

La spada.

Non era una voce, ma comunque lui la sentiva.

Puoi restare di nuovo con lui, ma solo nel mio regno. Usa la spada prima che il calore della sua vita abbandoni il suo corpo, e ti permetterò di unirti a lui.

Erebos gli aveva risposto. “Erebos” disse Pavios, “Ho paura.”

Ti faciliterò il passaggio. Non proverai alcun dolore.

Pavios prese saldamente l’impugnatura della spada e la estrasse piano dal petto del suo amico. Il metallo era caldo del corpo di Tanasis. Si alzò in piedi, puntò la spada verso il proprio cuore. Non credeva di avere la forza di spingerla tra le proprie costole, quindi si girò verso Tanasis e si lasciò cadere in avanti. L’impugnatura colpì il terreno, e la lama trapassò il cuore di Pavios. Sentì uno shock, ma non ci fu dolore. Anzi, per un istante sentì felicità, e mentre la lama si faceva strada nel suo corpo, rise ad alta voce. Quella sensazione, però, passò rapidamente e chiuse gli occhi, con la testa a riposo sul grembo di Tanasis.

Sotto di loro, il sangue penetrò nelle radici dell’albero di emonbacca.

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Forse fu una distrazione momentanea mentre chiudeva le forbici attorno ai fili che le fece calcolare male il ritaglio di pochissimi millimetri. Le forbici tagliarono il nodo, ed insieme ad esso, appena la punta del suo pollice. Adrasteia fece un rapido respiro tra i denti. Si succhiò la ferita, che sapeva di rame, piatto e pesante. Vecchia sciocca sentimentale, si insultò da sola, che sia da lezione a te ed al tuo stupido cuore sul perché non dovresti rimanere sedotta dai travagli dei mortali.

Si piegò verso l’arazzo, socchiudendo gli occhi, e vide che una piccolissima goccia di sangue l’aveva macchiato.

Adrasteia mise le sue forbici storte ed il nodo di fili nella scatola e chiuse il coperchio.

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