Children of the Nameless/Capitolo Nove è il nono capitolo di Children of the Nameless.
Capitolo Nove[]
Tacenda
Tacenda si costrinse a muoversi e a non pensare troppo a ciò che era appena accaduto. Decise infatti di controllare i corpi dei sacerdoti e degli abitanti del villaggio, mentre i demoni si medicavano le ferite di fronte alla vecchia chiesa.
Eppure, non riusciva a distogliere lo sguardo dai corpi dei soldati caduti, ed ogni volta che lo faceva provava un senso di nausea. Era abituata alla crudezza della vita negli Accessi, ma c’era qualcosa di sconcertatamente brutale in quei cadaveri. In quelle donne e quegli uomini uccisi in battaglia.
A quanti altri orrori avrebbe dovuto assistere quella notte prima che ne venisse completamente schiacciata?
Continua ad andare avanti. Aiuta chi puoi, pensò, rigirando Ulric il ciabattino e posizionandolo vicino alla sua famiglia. Non pensare a come avevi proclamato l’eroismo dei cacciatori di demoni, in nessuna circostanza…
Serrò con forza gli occhi, prendendo alcuni respiri lunghi e profondi. Avrebbe continuato ad andare avanti. Doveva farlo. Era la protettrice del villaggio. Era stata scelta per questo compito.
Riaprì gli occhi e si sedette sul pavimento di legno massiccio. Da quanto riuscì a vedere, nessuno degli abitanti in coma era stato ferito durante la schermaglia. Il pericolo più grande fu quando Davriel aveva scatenato la piromanzia rubata. E lei aveva dovuto usare il mantello di Ulric per spegnere le fiamme lì vicino.
Nelle vicinanze, Gutmorn zoppicava tra le ceneri con la gamba avvolta dai bendaggi. Il magro demone si inginocchiò, sollevando dolcemente qualcosa dalle nere bruciature: un teschio demoniaco cornuto. Delle ceneri caddero lentamente mentre Gutmorn lo portava davanti al viso, ed un basso lamento sfuggì dalla sua gola. Un suono grezzo e tormentato. Chiudendo i suoi terribili occhi, appoggiò delicatamente la testa contro il teschio, rannicchiandosi ed incurvando la sua postura.
Tacenda riuscì a vedere un barlume di umanità nel povero demone.
“Gutmorn” disse Davriel dall’esterno della chiesa, “la tua ferita alla gamba sta sanguinando attraverso le bende. Il taglio è più profondo di quanto mi hai riferito.”
Il demone non si mosse.
“Ritorna al maniero” disse Davriel. “Fatti ricucire quella ferita e avverti Grindelin dei cacciatori che ci sono sfuggiti. Potrebbero voler trovare delle prede facili al maniero.”
Gutmorn si alzò in piedi. Senza proferire parola e continuando a tenere tra le braccia il teschio, iniziò a zoppicare via dalla chiesa in rovina. La Signorina Highwater lo raggiunse e gli pose una mano sulla spalla mentre passava, e anche se il demone più alto non la guardò negli occhi, esitò a quel suo gesto.
Tacenda si sentì un’intrusa all’interno di un momento intimo nel quale lei non era inclusa.
Gutmorn, infine, svanì nella notte, ed il suono delle sue ali in volo ne annunciò la ritirata. Davriel corse poi nella stanza per analizzare Crunchgnar. Il massiccio demone senza ali si stava bendando con attenzione un avambraccio. Aveva subìto ferite ben peggiori di Gutmorn, ma sembrava indifferente al dolore.
“Non pensare nemmeno a mandarmi via” ruggì a Davriel. “Nella prossima ora sarò già completamente guarito, e non ti lascerò da solo. Finirai col farti uccidere prima del tempo e spezzerai il nostro contratto.”
“Accidenti, hai scoperto il mio piano” disse Davriel. “È da tempo immemore che cerco di suicidarmi solo per il gusto di infastidirti.”
Crunchgnar grugnì, come se avesse creduto che quelle parole fossero la verità.
“Finora” aggiunse Davriel, “la fetida aria della tua presenza non è bastata ai miei scopi, ma sono assolutamente determinato a trovare un altro metodo.” Si voltò verso Tacenda. “Ti serve altro tempo per riprenderti, Signorina Verlasen?”
“Sto bene” mentì lei, alzandosi in piedi.
“Non rimarresti insieme a noi se fosse vero” disse Davriel, per poi indicare la notte con il suo bastone. “Ma andiamocene. I morti non possono più dirci nulla. Quelli che non possono parlare, si intende.”
Iniziarono a camminare nel buio, con la Signorina Highwater che trasportava le lanterne. L’iniziale riluttanza di Davriel sembrava svanita. Tant’è che, mentre guidava la comitiva per il villaggio sulla via del ritorno alla carrozza, il suo bastone animato da gentiluomo batteva il terreno con un vigore che Tacenda avrebbe potuto definire impaziente in una persona normale.
“E ora dove si va?” gli chiese lei.
“Quegli uomini sono ovviamente passati per la prioria mentre si dirigevano qui” disse Davriel. “Alcuni avevano le menti protette dal mio talento. Avevo già intenzione di fare una visita alla prioria, sia per chiedere di questo sacerdote che afferma di avermi visto, sia per vedere la priora di persona. Possiede alcuni talenti magici che potrebbero essere utili per interagire con gli spiriti. L’arrivo di questi cacciatori conferma la mia decisione. La priora dovrà rispondere a diverse domande.”
“Non… avrai intenzione di ucciderla, vero?”
“Penso che dipenderà in larga parte dalle sue risposte.”
Lui rallentò nel buio, e Tacenda lo raggiunse al suo fianco, confusa… finché non notò la carrozza più avanti. O, più precisamente, la raccapricciante figura di fianco ad essa. Povero Brerig… il piccolo demone sempliciotto era stato scoperto dai cacciatori, probabilmente prima del loro assalto alla chiesa. Il suo corpo deforme era stato inchiodato ad una porta lì vicino, gli era stata rimossa la testa e posizionata vicino ad una lanterna tremolante sul terreno. La sua bocca era stata riempita da ciò che sembrava essere aglio.
Davriel non proferì un suono, anche se la mano sul pomo del suo bastone iniziò a stringersi fino a tremare, facendo impallidire le nocche.
“Queste” disse a bassa voce, “sono le tue ‘brave persone’, Signorina Verlasen. Che gli dèi nei cieli e i demoni nel sottosuolo possano proteggermi dalle brave persone. Un uomo etichettato come malvagio ti potrà anche rubare i soldi, ma una cosiddetto ‘buon uomo’ non sarà soddisfatto finché non ti avrà strappato il cuore con le sue mani.”
Lei indietreggiò. Nella sua voce non c’era minaccia… anzi, parlò con lo stesso tono spensierato di sempre. Eppure…
Eppure.
Dal loro primo strano incontro, lei aveva ormai perso la paura che provava per lui… fino a quel momento. Era in piedi in mezzo alla strada, e la luce delle lanterne in qualche modo non riusciva a illuminare il suo volto. In quel momento, sembrava essere diventato un’ombra, così fredda da assorbire tutto il calore. Poi si girò, con quello strano mantello che fluttuava attorno a lui, e camminò verso la carrozza, i cui cavalli, fortunatamente, non erano stati né feriti né rubati.
Tacenda lo seguì con esitazione, lanciando uno sguardo verso il cadavere di Brerig. Decise che l’avrebbe sepolto una volta che il villaggio fosse stato salvato. Il piccolo demone era stato gentile con lei. Di sicuro non si meritava un simile destino.
Davvero non se lo meritava? pensò lei, salendo sulla carrozza. Era un demone. Chissà quali orrori ha compiuto nel corso della sua vita.
Lei non lo sapeva, e nemmeno i cacciatori. Forse era quello che l’aveva sconcertata di più. Ma cosa avrebbero dovuto fare? Chiedere a un demone di denunciare i suoi crimini prima di ucciderlo? In quelle terre non si aveva il lusso di tali finezze. Se non si colpiva velocemente, ciò che si nasconde nella foresta avrebbe reclamato la tua vita prima ancora di avere la possibilità di parlare.
E quindi, la notte rendeva chiunque un mostro.
Crunchgnar stava già meglio. Prese il posto del cocchiere, facendo cigolare la carrozza sotto il suo peso. La Signorina Highwater si sedette nuovamente all’interno, con una piccola lanterna appesa vicino alla sua testa per farle luce mentre apriva il suo libro mastro ed iniziava a scrivere.
Tacenda salì per ultima, e controllò lo stato della sua viola, che aveva lasciato sul sedile. La carrozza iniziò a muoversi, e Tacenda percepì l’oppressione del silenzio. Cercò qualcosa da dire, e fece uscire la prima cosa che le venne in mente… anche se, pensandoci un po’ di più, potrebbe non essere stata la scelta più saggia.
“Allora” disse lei. “Voluptara?”
La Signorina Highwater smise di scrivere e Davriel, seduto nel posto di fianco a Tacenda, ridacchiò a bassa voce.
“L’hai sentito, vero?” chiese la Signorina Highwater.
“Si danno i nomi da soli” disse Davriel, inclinandosi verso Tacenda. “Se non l’avevi capito da ‘Crunchgnar’ e dal suo appellativo estremamente creativo.”
“Ero giovane” disse la Signorina Highwater. “Sembrava un nome altisonante.”
“Per un ragazzino di sedici anni, forse” disse Davriel.
“Ed è proprio quello il punto. Ricorda che avevo solamente dodici giorni. Avrei voluto vedere te fare di meglio.”
“Sulterix”, disse Davriel, svogliatamente. “Lusciousori.”
“Possiamo fermare la carrozza?” disse la Signorina Highwater. “Devo trovare un certo demonologo e inchiodargli la lingua a qualcosa.”
“Bosomheavia-”
“Oh, smettila” lo interruppe la Signorina Highwater. “Stai facendo arrossire la bimba. Ascolta, perché non mi riveli la risposta all’indovinello di Brerig? I diavoli ci stanno scommettendo sopra.”
“Oh, quello?” disse Davriel. “Era una roccia particolare che avevo visto una volta a Cabralin, era a forma di zucca.”
“È... stranamente deludente” disse la Signorina Highwater. “Come avrebbe mai potuto indovinarlo?”
“Non avrebbe potuto, ed è proprio questo il punto.” Davriel diede un’occhiata a Tacenda, e la confusione di lei doveva essere palese, perché poi lui spiegò: “Ogni demone ha stipulato un contratto con me, ed il primo che riesce a soddisfare i requisiti ottiene la proprietà della mia anima. Crunchgnar, ad esempio, potrà ottenere la mia anima solamente se vivrò fino a sessantacinque anni senza morire.”
“Ed è una mossa astuta” disse la Signorina Highwater, “perché fornisce a Crunchgnar un ottimo motivo per proteggerlo.”
“Brerig avrebbe ottenuto la mia anima se avesse risposto correttamente all’indovinello che gli avevo posto” disse Davriel. “Sfortunatamente per lui, non aveva definito dei limiti riguardo all’indovinello.”
“Io continuo a credere che lo abbia fatto di proposito” disse la Signorina Highwater. “Era sempre felicissimo quando poteva servire un padrone nel lungo termine. Gli forniva uno scopo.”
“L’indovinello” disse Davriel, “era ‘A cosa sto pensando ora?’”
“Ma questo… non è un indovinello” disse Tacenda.
“Lui lo accettò come tale” disse Davriel. “Quindi soddisfò i termini del contratto.”
“Ma non c’è alcun indizio!” disse Tacenda. “E non c’è nemmeno un contesto! Potrebbe essere letteralmente qualsiasi cosa. O, tecnicamente, nulla. E avresti potuto cambiare la risposta nel caso fosse riuscito ad indovinare!”
“Non avrebbe potuto farlo” disse la Signorina Highwater. “Davriel dovette scrivere la risposta sul contratto prima di bruciarlo per sigillare il patto. Chiunque altro avesse provato ad evocare il contratto per leggerlo avrebbe trovato indecifrabile quella parte, ma se Brerig fosse riuscito ad indovinare, ne sarebbe subito venuto a conoscenza. Detto ciò, aveva solamente cinque tentativi ufficiali al giorno. E, chiaramente, Davriel scelse qualcosa di tecnicamente impossibile da indovinare.” Lei scosse la testa.
“Stavi tifando per lui, vero?” disse Davriel, divertito. Non gli sembrava veramente importare che stessero parlando del fato della sua anima.
“Sarebbe stato veramente spassoso se Brerig avesse indovinato in qualche modo” rispose lei. “Mi sarebbe piaciuto vedere la reazione di Crunchgnar. Sai, mi aspettavo che avresti dato la risposta a Brerig il giorno prima del tuo sessantacinquesimo compleanno, solo per far esplodere di frustrazione Crunchgnar.”
“Eh?” disse Davriel, poi iniziò a parlare molto piano, volgendo lo sguardo in alto, verso il posto da cocchiere della carrozza.
“Mia cara, pensi veramente che avrei firmato un contratto che avesse dato a Crunchgnar una possibilità per ottenere la mia anima, anche nel caso avessi raggiunto i sessantacinque anni?”
“Ho letto il contratto” disse la Signorina Highwater. “È ineccepibile. Le definizioni sono specifiche. Nel contratto ci sono due pagine solo per la definizione di tempi, misure ed età! Tu…”
Le parole le morirono sulle labbra mentre Davriel si sistemava al suo posto, sorridendo.
“Come?” sibilò lei. “Come l’hai fregato?”
“Lui ottiene la mia anima” sussurrò Davriel, “se vivo fino a sessantacinque anni senza morire.”
“Ah, per l’inferno…” disse la Signorina Highwater, spalancando gli occhi. “Sei già morto una volta, vero? Come?”
Davriel si limitò a continuare a sorridere.
“Tutto quel discorso su tempi e misure nel contratto”, disse la Signorina Highwater, “era solo una distrazione, vero? Non me n’ero mai resa conto… Per il fuoco infernale! E poi dicono che siamo noi i demoni.”
Tacenda continuava a passare lo sguardo dall’uno all’altra mentre la carrozza sobbalzava su un ponte. Che conversazione bizzarra. “Quindi…” disse lei, corrugando la fronte. “Qual è la tua condizione, Signorina Highwater?”
“Mm?” disse lei, concentrando l’attenzione sul suo libro mastro. “Oh, io potrò reclamare l’anima di Davriel quando riuscirò a sedurlo.”
Tacenda percepì una scarica di sorpresa, poi arrossì tantissimo. Strinse la sua viola, poi guardò prima Davriel, e poi la Signorina Highwater. Nessuno dei due sembrava minimamente preoccupato dall’idea.
“È piuttosto testardo”, continuò la Signorina Highwater. “Pensai di poter ottenere la sua anima in meno di un giorno. Eppure eccomi qui, quattro anni dopo. Ad amministrargli le finanze.”
“Forse non mi piacciono le donne” disse Davriel con leggerezza.
“Ti prego. Pensi che sia così stupida?” Scrisse sul suo libro mastro un segno di punteggiatura particolarmente violento, poi alzò lo sguardo. “Sei qualcosa di completamente diverso.”
“Non hai mai considerato che forse sei meno attraente di quello che credi?” disse Davriel.
“Ho reclamato un buon numero di anime usando questa esatta condizione contrattuale. Sia uomini che donne.”
“E loro sono stati così gentili a provare compassione per te” disse Davriel. “Davvero, dovrei congratularmi con loro per aver pompato la tua autostima vedendo la vera bellezza dentro di te. Persone davvero encomiabili, tutte quante.”
La Signorina Highwater sospirò, guardando Tacenda. “Capisci con chi ho a che fare ogni giorno?”
Tacenda abbassò la testa nel tentativo di nascondere il suo visibile rossore.
“Guarda cos’hai fatto”, disse la Signorina Highwater a Davriel. “Hai scandalizzato la piccolina.”
“Tu…” disse Tacenda. “Veramente… tu… voglio dire…”
“Non è l’unico modo con cui posso reclamare anime” disse la Signorina Highwater. “Ma mi ci sono trovata bene in passato. E, ammetto, a questo punto è ciò che ci si aspetta da me. Non ero affatto sorpresa quando Davriel mi suggerì questa modalità durante l’evocazione ed il procedimento di vincolo. In più, mi incuriosì che una persona che presentava già un contratto per la propria anima osasse stipularne un altro. Davriel però è un caso speciale. È molto persuasivo. In modo irritante.”
“Ma… prima, eri così imbarazzata per il tuo nome…”
“Perché è sciocco. Non significa che sia imbarazzata da chi sono veramente.” Diede un’occhiata a Davriel. “Sono solamente arrugginita. Ho passato anni rinchiusa in quella stupida prigione d’argento.”
“Avresti potuto migliorare le tue arti di seduzione sugli altri demoni” puntualizzò Davriel.
“Ti prego, hai visto come sono la maggior parte?” Guardò nuovamente Tacenda, che non riusciva a credere che quella conversazione stesse ancora continuando. “Crunchgnar è relativamente bello per essere un demone, bimba. Fidati di me. Alcuni altri hanno degli uncini al posto delle mani. Letteralmente degli uncini.”
“Me lo sono sempre chiesto” disse Davriel. “Mi sembra terribilmente scomodo. ‘Thornbrak, mi passeresti quel boccale di sangue umano? Oh aspetta, mi ero scordato. Ti mancano i pollici opponibili. E le dita.’”
Alla fine la conversazione terminò, e la Signorina Highwater tornò a scrivere. Con una rapida occhiata si poteva capire che stava trascrivendo ciò che avevano scoperto al villaggio.
Geist creati dalle anime delle persone. Sono tornati per attaccare i loro amici e la loro famiglia, quindi sono fuori di sé.
Sembra ci sia un traditore, ha ucciso i sacerdoti che proteggevano la chiesa. Controllare che non manchino dei corpi dal villaggio?
Sembra c’entri qualcosa il Pantano. È davvero così?
Qualcuno, probabilmente il traditore, oggi è andato di persona al villaggio. Tacenda ha sentito i passi. Perché non l’ha uccisa?
Tacenda non voleva rompere il silenzio con un’altra domanda stupida. Decise di sollevare la copertura del finestrino ed osservare l’oscura foresta all’esterno.
Una volta, un bizzarro studioso di Thraben era venuto a disegnare le mappe degli Accessi. Aveva provato a chiamare “il Bosco di Verlasen” le foreste nei dintorni, ma lo avevano costretto a rinunciarci. I boschi non erano loro. Nessuno poteva possedere quei boschi.
“I soldati non avrebbero dovuto uccidere Brerig” disse piano Tacenda. “Forse noi umani siamo stati le prede per così tanto tempo che abbiamo imparato a sopravvivere al costo di dimenticarci cosa significa essere umani. Essere giusti e buoni.”
Davriel sbuffò. “‘Essere buoni’ è solo un metodo utilizzato per far capire che qualcuno è disposto a conformarsi alle norme della società. È un accordo con la massa. Basta leggere un qualsiasi libro di storia, e scoprirai che la soglia della conformazione accettabile varia in base al gruppo.”
“Hai detto tu stesso che rubare i talenti delle brave persone ti risulta più difficile” disse Tacenda. “Quindi la bontà dovrà pur esistere.”
“Ho detto che per me è più doloroso utilizzare i talenti assorbiti dalle persone che si considerano pure. Che è una cosa completamente diversa.”
“Io ne conoscevo, di brave persone” disse Tacenda a bassa voce. “Al villaggio.”
“Lo stesso villaggio che ti chiudeva fuori di notte?” disse Davriel. “Che lasciava una bambina da sola ad affrontare gli orrori della foresta?”
“Era il mio destino” disse Tacenda. “Ero stata scelta dal Pantano, e devo seguire il mio fato.”
“Fato?” disse Davriel. “Devi imparare a non credere più a certe stupidaggini, bimba. Voi persone contate veramente troppo sul destino: dovete scegliere voi la vostra strada, creare voi il vostro fato. Agite e vivete la vostra vita!”
“Agire?” disse Tacenda. “Vivere la vita? Come fai tu, seduto da solo nel tuo maniero? A vivere il tuo sonnellino ogni tanto?”
La Signorina Highwater smorzò una risata, subendo un’occhiataccia da Davriel. Poi si voltò nuovamente verso Tacenda. “A volte, la scelta più ‘onorevole’ che si possa fare è non fare assolutamente nulla.”
“È una contraddizione” disse Tacenda. “Vuoi solo giustificare la tua impassibilità mentre persone migliori di te muoiono. Vuoi far finta che nessuno sia buono così che tu non ti senta in colpa per ignorare il loro dolore. Tu-”
“Basta così, bimba” disse lui.
Lei si girò dalla parte opposta rispetto a lui, tornando a guardare fuori dal finestrino. Ma lui aveva torto. Lei aveva conosciuto persone che erano veramente buone. I suoi genitori, ed il loro semplice amore nel confezionare vestiti. Willia, che era determinata ad imparare i modi per respingere l’oscurità, così che nessuno si sarebbe più sentito spaventato.
In un modo o nell’altro, Tacenda stanotte avrebbe ripristinato le vite di Willia e degli altri.