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Blood Will Have Blood è un articolo della rubrica Magic Story, scritto da Shawn Main e pubblicato sul sito della Wizards of the Coast il 4 giugno 2014. Racconta parte della storia di Selvala e Grenzo.
Racconto precedente: Like Cogwork
Storia[]
Alcune larve non erano più grandi di una moneta. Pallide e polpose, si facevano strada, dimenandosi, tra le crepe del pavimento. Scarafaggi con zampe spesse e rumorose correvano su di esse, sibilando tra loro mentre passavano. Millepiedi, lunghi quanto un braccio umano, si arrotolavano nelle asciutte casse toraciche dei prigionieri morti da tempo. Per essere in isolamento, di certo Selvala non si sentiva sola.
“Cerbiattina.”
La voce era un nodoso sussurro che si infiltrava dalla porta della cella. Non aveva ancora visto il guardiano dei sotterranei, ma aveva già sentito quella voce, con quel suono che si immergeva nelle sue orecchie. Per i primi due giorni, c’era stata una sfilata di goblin che bussava alla sua porta, urlando con quella loro voce metallica. Si era occupata di ciascuno separatamente.
“Piccola cerbiattiiina.”
Selvala si alzò in piedi, concentrandosi sugli insetti che sciamavano. Quando non li osservava, le vertigini avevano il sopravvento: gli insetti singoli sarebbero scomparsi e, al loro posto, il pavimento e le mura si sarebbero contorti e avrebbero iniziato a respirare, come se fosse nello stomaco di un gigantesco animale.
“Felice cerbiattiiiiina.”
E quando non li osservava, delle cose avrebbero iniziato a strisciare su per il cuoio dei suoi stivali. Si chiese se fossero attirati dall’aroma del sangue seccato. Tre giorni dopo, era l’unica cosa di cui poteva sentire l’odore.
“Dolce cerbiattiiiiiiiiiina.”
Quel sangue aveva anche annegato una folla tre giorni prima, ma dopo era rimasto liquido, rosso e scendeva dal suo coltello come se fosse acqua. Non voleva pensarci. Non voleva ascoltare la voce del guardiano dei sotterranei. Si concentrò sullo sciame. Aveva la bocca secca.
“Cerbiattina assassiiiiiiiiiiiina.”
Ora, assorbito dai suoi guanti, il sangue era color ruggine. Erano stati aggiunti tre strati sopra a quello. Sangue di goblin. Nero. Viscoso. Appiccicoso. Si chiese se avrebbe dovuto offrire quei guanti ai suoi compagni di cella. Li avrebbero potuti ripulire.
Tre giorni sembravano, in realtà, molto tempo fa.
“Mortale cerbiattina. Malvagia cerbiattina. Cerbiattina omicida.”
Si concentrò sul proprio respiro e cercò di non ascoltare il suono del guardiano dei sotterranei appena oltre la porta. Sapeva che stava osservando da dietro le sbarre, con la sua faccia tozza vicino ad esse e le chiavi che tintinnavano al suo fianco.
“Non vuoi il tuo pasto, Cerbiattina?”
Si chiese se potesse muoversi abbastanza velocemente da raggiungere la porta prima di una sua reazione, si chiese se potesse conficcargli un frammento d’osso nel cranio finché era così vicino.
“Certamente” disse Selvala. Deglutì. Non aveva parlato per tre giorni e la sua voce sembrava così dura. “Perché non vieni qui dentro e me lo dai?”
Il guardiano dei sotterranei ridacchiò. La sua voce incorporea echeggiava da dietro la spessa porta.
“Oh, cerbiattina. Per cosa mi hai preso? Hai cavato un occhio ad uno dei miei migliori agenti. Cosa sei riuscita ad intrufolare qui dentro, dei ferri da maglia?”
Selvala sorrise ed indicò l’arma crudelmente appuntita al suo fianco. “Un femore.”
“Ah!” Urlò lui. “Osso nell’occhio! Sapevo che saresti stata brava. Un’esperta! Gli altri mi avevano detto che eri solo chiacchiere, eppure eccoti qui: la mia assassina perfetta.”
Il sorriso di lei svanì. Non guardò in faccia il suo carceriere, ma se lo immaginava. Denti gialli, occhi sporgenti, alito caldo e putrido. Neanche lui era adatto per Paliano.
“Bè, lo zio Grenzo ti perdona” disse il guardiano dei sotterranei. “Cosa vuoi che sia un po’ di sangue che scorre tra amici?”
Finalmente lei puntò la sua attenzione verso la porta. La faccia sorridente e gonfia di lui osservava dalle sbarre della piccola finestra. “Perché non te ne vai?” chiese lei. “Sto organizzando la mia evasione.”
Il sorriso di lui si allargò fino a rivelare tutti i suoi denti marci. “Com’è stato uccidere un uomo che amavi?”
Lei distolse lo sguardo, tornando agli scarafaggi che venivano schiacciati dai suoi stivali. Era stata nei bassipiani, era sopravvissuta nelle terre selvagge, poteva resistere al gusto degli insetti. I sangueblu erano morti di fame qui dentro, rifiutandosi di mangiare dal pavimento?
“Rispondimi a quest’unica domanda, squisita cerbiattina, ed aprirò questa porta.”
Lei tese i propri muscoli. Sarebbe bastato un solo rapido affondo per far terminare questa conversazione. Il suo frammento d’osso non era uno stocco, ma era un pezzo di qualcosa e sarebbe andato bene.
Lei disse “Sono sicura che non ti servo io per rispondere a questa domanda.”
“Oh, e invece sì. Le mie mani sono pulite.”
Lei diede un’occhiata al teschio che giaceva nell’angolo. Le sue orbite vuote avrebbero fissato per sempre il soffitto gocciolante di questa cella.
Lui disse “Le uniche cose che faccio sono girare chiavi e parlare.”
Lei prese in considerazione le storie che aveva sentito riguardo al guardiano dei sotterranei, riguardo ai suoi agenti che sciamavano nelle fogne, strisciando durante la notte: assassini e spie mercenari, che creavano problemi e coglievano opportunità per ricattare.
Lui aspettava che Selvala parlasse. Quando non lo fece, disse “E io girerò questa chiave qui, l’ho già fatto in passato, se rispondi alla domanda del tuo caro vecchio zio Grenzo: Com’è stato uccidere un amico?”
Selvala disse “E’ stato troppo facile.”
Lui ridacchiò. Lei aspettava. Sopra il sibilo degli insetti, il tintinnio delle chiavi, lo scatto della serratura. La porta si aprì con un cigolìo.
“La prossima volta potrebbe incastrarsi” disse lui dal corridoio.
Selvala spostò la propria attenzione sulla porta. Non arrivò nessuno. Oltre, riusciva a sentire il respiro affannoso del guardiano lungo il passaggio.
Non capiva, non conosceva il suo gioco. Sapeva che stava venendo manipolata, ma a quale fine?
ART (Backup Plan di Conspiracy)
“Vieni fuori” disse lui. “Ho una borraccia d’acqua ed una brocca di vino. Hai diviso il tuo tempo tra la città bassa e quella alta. Non sapevo cosa avresti gradito.”
Selvala fece un leggero passo verso la porta. Le ombre tremolavano alla luce delle torce. Grenzo aveva un’enorme stazza per essere un goblin, ma era ricurvo, quasi come se le sue ossa si stessero ribellando contro di lui. Afferrò il suo bastone e lei si chiese se riuscisse a fare un solo passo senza di esso. Lui prese la borraccia, tenendola in alto. Lei si aspettò una trappola: una dozzina di agenti dietro l’angolo? I doni erano avvelenati? Una qualche magia oscura?
Grenzo girò la testa da parte a parte, come se stesse prendendo in considerazione alcuni tunnel. “Puoi fuggire, Cerbiattina, ma il sentiero è infido. Ti mostrerò la strada.”
Lei strinse il frammento d’osso, ammirando la sua giugulare. Era spessa, come un serpente addormentato all’interno del suo collo.
“Bene, vai avanti allora” disse lei, ammiccando. “Fai strada.”
Grenzo aveva ragione. I tunnel erano come arterie, che si ramificavano e cambiavano continuamente direzione. Selvala era esperta nel seguire le tracce e provò a dare un senso a quei sentieri, cercando delle uscite dalle quali fuggire o segni particolari nel caso avesse dovuto tornare sui propri passi per seminare gli inseguitori all’interno dei tunnel. Ma la muratura era senza soste. Gli unici punti guida erano il chiacchiericcio occasionale dei goblin, che evitavano lo sguardo di Grenzo mentre passava, e i lamenti dei prigionieri, che supplicavano Grenzo e le sue chiavi.
Camminarono per molto tempo. Ogni tanto, Grenzo si fermava e picchiettava il soffitto sopra di loro. “Il palazzo”, diceva, ridendo. O “La camera da letto di Brago. Non che gli serva a molto!” “Il negozio di Sydri, fino a ieri al tramonto.” Lentamente, la mappa di Paliano iniziò a delinearsi, ma ancora non sapeva dove la stava portando o per quale scopo. “Camera segreta del concilio”, disse lui, e guardò il volto di Selvala per capire se lo sapeva.
Ad un certo punto, lui si fermò e annusò l’aria. Prese il bastone e colpì il soffitto sopra di loro. “La tesoreria”, annunciò. Poi puntò il suo bastone come un lungo dito ossuto. “Prendendo quel passaggio, ti ritroverai dritta nel caveau. Prendi una manciata d’oro per il tuo viaggio, se vuoi. Riempiti gli stivali, se vuoi. E’ gratis.”
La fissò, aspettando una reazione. “Non ti eccita la cosa? Il pensiero di essere nel segreto cuore di Fiora?” Lei lo fissò, cercando ti assumere un’espressione neutrale, senza offrirgli nulla. “Hai mai voluto vedere la collezione di sculture privata del re? Hai mai mangiato un uovo di uccello del paradiso in camicia? E’ sublime! Ci sono anche le scale per quella cucina. Io conosco ogni porta segreta, ogni serratura segreta!”
Prese le chiavi e le scosse di fronte a Selvala. “Cosa vuoi, Piccola Cerbiattina? Qual è il tuo prezzo? So che non è oro, ma te ne posso offrire parecchio. Accesso? Vuoi lasciare la città alta? O liberarla? Aprire i cancelli segreti e lasciare che il popolino salga nelle nostre strade? Delle grandi pulegge per sollevare le bestie del mondo antico? Informazioni? Immagina solo come sarebbe stato spiare il tuo caro amico, Brago, e scrutare nelle sue trame segrete. Forse non saresti stata così veloce nel colpirlo. Oppure saresti stata ben più veloce! Compiere il lavoro mentre ne avevi ancora la possibilità.”
Lui si avvicinò e si alzò al livello del volto di lei. Lei digrignò i denti.
“Un’altra possibilità di uccidere un amico? E’ questo che vuoi? Un altro omicidio? Posso fornirti anche quello. Potremmo tingere di rosso queste fogne a causa di un massacro.” Sorrise ed i suoi occhi la guardarono più da vicino. “Cosa ne dici dell’opportunità di uccidere un nemico per ottenere un cambiamento?”
“Che cosa” chiese lei “mi stai chiedendo di fare?”
Lui rise trionfalmente. Era sguaiato e scatenato. Lei non sapeva quanto in profondità andassero quei tunnel, ma dovevano essere abbastanza profondi da attutire la fragorosa risata di un folle. Lui imboccò un passaggio, poi si fermò, invitandola a seguirlo.
Lui appoggiò un orecchio al muro e lei fece altrettanto. Si udiva un suono, anche se non riusciva a decifrarlo: basso e riecheggiante, come una catena trascinata da un grande elefante, ma c’erano anche altri suoni. Dei leggeri ticchettii ritmici e dei ronzii. Le ricordarono dei richiami di uccelli, ma c’era qualcosa di strano in questi: qualcosa di assurdamente regolare.
Grenzo spulciò le sue chiavi, cercandone una in particolare. Con un ghigno, la trovò e la infilò in una serratura segreta nella pietra. Il murò si aprì scorrendo. Grenzo, ballando per l’emozione, le fece cenno di andare su per le scale.
L’usignolo era avvolto da del fil di ferro, il suo becco erano due tenaglie di ottone che si aprivano mentre cantava sette note perfette. Poi aprì le sue false ali e volò in cerchio per una volta, prima di cantare di nuovo. Quelle stesse sette note si ripetevano per tutta la biblioteca, alzandosi verso il soffitto a volte.
Tutti intorno a Selvala, gli automi decorati stridevano e ronzavano. Degli arti aracnidi di metallo ordinavano i libri sugli scaffali. Degli occhi di vetro posti su colli lavorati li seguivano, schizzando avanti e indietro alla ricerca di errori. Nell’angolo, un guscio di ferro modellato da umano tracciava sottili pennellate su una tela disegnando cerchi perfetti, un paesaggio che lentamente prendeva forma nel loro risveglio.
“La biblioteca di Muzzio?” chiese Selvala con un sussurro.
“C’è un ordine disturbante in ogni cosa, vero?” disse Grenzo. Il suo respiro era affannoso, come se l’aria fosse diminuita. “Il grande architetto tiranno, Muzzio, studente di Daretti, che un mattino guardò le proprie gambe e disse ‘Io posso fare di meglio.’ Ci promise un mondo nuovo. Un mondo creato perfettamente. Un mondo che sia programmato e compreso. Un mondo che avrebbe costruito per sostituirci tutti.”
Contro il muro di fronte, alto quasi due piani, c’era una bestia meccanizzata. Delle pulegge si allungavano in mezzo ai suoi arti di legno, come se fossero tendini. Una mascella formata da terribili ingranaggi sembrava sorridere. La bestia era ancora una statua, ma tra le sue gambe Selvala riusciva a vedere una grande porta rossa.
“Quindi? Che cosa vuoi, Piccola Cerbiattina? Il tuo mondo è inzuppato di fango, sangue e rabbia. Questi scintillanti animali dovrebbero essere la fauna del nuovo mondo.”
“Che cosa mi chiedi di fare?” ripeté lei.
“E’ un nuovo mondo, Cerbiattina. L’hai messo in moto. Abbiamo un re senza sangue. Abbiamo bestie con carne di ferro. Il futuro è immortale, inorganico, a meno che tu non agisca ora.” Grenzo alzò il suo portachiavi e prese una chiave. Era decorata con segni a spirale intrecciati: un oggetto da artigiano, proprio come ogni cosa lì dentro.
Grenzo sorrise ed i suoi occhi divennero sporgenti, quasi come se stessero per schizzargli dal cranio. Con un profondo ed emozionato respiro, disse “Oltre quella porta, Muzzio sta dormendo.”
Selvala si spinse lontano da lui. “E’ questo che mi stai chiedendo? Eliminare il tuo rivale? Cosa? Come ringraziamento per aver girato un chiavetta?”
“Non un mio rivale. Una persona che vorrebbe spazzare via e sostituire il tuo mondo sanguinante.”
Lei fissò Grenzo, tenendo testa a quegli occhi gialli. Lui sorrise ancora di più e lei calciò via il suo bastone, facendolo sbilanciare. Grenzo crollò sul pavimento. Lei raggiunse la propria lama d’osso con una mano e si chinò per stringere la coriacea gola del goblin con l’altra.
“Dovrei aprirti in due proprio qui. Non sarò il tuo assassino sotto contratto. Non ti aiuterò a mutilare Paliano secondo la tua visione distorta.”
E poi vide un luccichio dorato. Si girò per osservare il grande costrutto alzarsi dal suo sonno senz’anima. I suoi ingranaggi iniziarono a girare sempre più velocemente. Le pulegge si allungarono fino a tendersi mentre si preparava a saltare in avanti.
ART (Lurking Automaton di Conspiracy)
Lasciando andare Grenzo, Selvala si scansò dal percorso della macchina. Anche Grenzo si spostò, correndo via con una velocità che non si sarebbe aspettata dal suo corpo smunto.
La macchina colpì con una grande zampa. Selvala riuscì ad abbassarsi e i libri iniziarono a svolazzare sopra di lei e a caderle addosso. I bibliotecari meccanici si affrettavano per recuperare i detriti.
Selvala guardò il femore spezzato nella sua mano. Non era granché come arma. Sapeva dove colpire su qualcosa di umanoide, sapeva come cacciare i grandi animali, ma il femore non avrebbe neppure scalfito il rivestimento della macchina.
Si precipitò tra le gambe della macchina e perlustrò l’area in cerca del guardiano dei sotterranei. Era tornato giù per la scalinata segreta, chiudendo il nascondiglio nascosto nelle lastre del pavimento.
“Che mondo vuoi, Selvala?” urlò lui, e, con una grassa risata, sbatté la porta, chiudendola.
Lei si tuffò e provò ad infilare le dita nella serratura della porta segreta che l’avrebbe riportata nella città sotterranea di Grenzo. Dietro di lei, il guardiano di Muzzio stava contorcendo le proprie membra di legno, preparandosi a colpire di nuovo. Lei affondò la propria arma nella serratura, forzandola crudelmente sempre più forte mentre la bestia scendeva. Poi, con uno scatto, l’osso si spezzò a metà e la serratura si aprì.
Selvala si sentiva cadere mentre rotolava per le fogne. Dietro di lei, riusciva a sentire i pesanti passi della macchina. Nella sua mente, riusciva a sentire il freddo alito della bestia sul suo collo, ma sapeva che era soltanto la sua immaginazione. Tra le sue braccia, stava trasportando dei tomi di Muzzio. Le straripavano dalle braccia mentre correva, ma era proprio quella l’intenzione. Un esercito di bibliotecari artificiali la inseguì, riempiendo gli scuri tunnel con il ticchettio dei loro arti.
Da qualche parte poteva sentire le urla dei goblin; i loro tunnel si erano aperti e si erano riempiti di cose estranee al loro mondo. Presto si sarebbero scontrati, gli assassini segreti di Grenzo e gli animali artificiali di Muzzio, e lei non sapeva qualche parte avrebbe avuto la meglio. Sperava che entrambe le parti potessero capire che i propri segreti erano ora visibili a tutta Paliano, ma sapeva che non sarebbe potuto succedere anche questo.
Quando Selvala fu fuggita abbastanza lontano da non sentire più la battaglia alle sue spalle, collassò. Trovò una cella aperta e strisciò nell’angolo insieme agli insetti. Il giorno dopo avrebbe lasciato la Città Alta per tornare ai luoghi selvaggi che giacevano al di sotto e al di là dell’orizzonte. I suoi stivali sarebbero stati incrostati di fango, i suoi arti stanchi e sudati mentre sarebbe corsa per gli alberi a raccogliere frutta ed osservare le bestie selvagge. Ma, al momento, il suo compito era quello di nascondersi nell’oscurità con gli insetti, e dormire.
ART (Worldknit di Conspiracy)